martedì 29 marzo 2016

Fallacia dei ricordi



Ai fini dell’accertamento della verità, quanto valgono le testimonianze, anche in buona fede?

Lo scorso Natale mi è capitato un episodio curioso. Venne a trovarmi un amico, che chiameremo Stefano; saremmo poi andati a cena, per scambiarci gli auguri, da una comune amica, ad esempio Maurizia. E’ nostra abitudine, come credo di quasi tutti, nelle cene pre-natalizie di scambiarci, oltre agli auguri, piccoli regali.

Stefano aveva comprato, per Maurizia, un carosello di latta con carillon, un oggetto grazioso e originale, che mi mostrò. Mi parve bello, un’idea regalo di buon gusto, azzeccata per la nostra amica e del tutto nuova per me. Ad un tratto, prima di uscire, Stefano fu assalito da un dubbio: non aveva forse regalato il medesimo oggetto proprio a Maurizia in occasione del Natale precedente? Fui subito colto dal medesimo dubbio: ero sicuro di averlo già visto in funzione; e quando poteva essere successo se non al momento dello scambio di regali di Natale con Maurizia (personalmente, non faccio né ricevo regali del genere)? Ricordai addirittura che Maurizia era rimasta piacevolmente sorpresa per il regalo e si era proposta di usarlo come centrotavola. Detto fatto, Stefano, per evitare una brutta figura, acquistò un altro oggetto strada facendo – ovviamente molto più brutto dell’originale – e riciclò il carillon destinandolo ad altra persona. Al momento della distribuzione dei regali, Stefano chiese comunque conferma del suo ricordo a Maurizia, ricevendone una netta smentita: mai lei aveva ricevuto tale dono, che avrebbe anzi molto gradito.

Sulla via del ritorno, Stefano fu in grado di svelare l’arcano: il Natale precedente aveva sì comprato il medesimo carillon, ma lo aveva regalato ad un’altra amica, Clelia; quanto a me, non avevo mai visto direttamente il carillon prima di quella sera, ma Stefano me l’aveva abbondantemente descritto poiché gli era piaciuto molto e la vera destinataria (non Maurizia) lo aveva assai apprezzato. In sostanza, Stefano aveva riportato un fatto realmente accaduto, ma attribuendolo ad una persona diversa (aveva regalato il carillon a Clelia e non a Maurizia); mentre io avevo trasformato, venendone indotto da un suggerimento (infatti, a prima vista non l’avevo assolutamente riconosciuto), un evento appreso per “sentito dire” in ricordo da esperienza diretta; in realtà, avevo sentito soltanto descrivere il carillon e la favorevole accoglienza da parte di Clelia, ma non l’avevo mai visto (anzi, neppure conoscevo Clelia se non di nome).

Sono convinto che queste situazioni accadano molto spesso, non solo a Stefano e a me; potrei portare altri esempi, se non temessi di passare per un inguaribile smemorato.

Ammessa la buona fede, la costruzione inconscia di ricordi fittizi partendo da uno spunto reale spiega abbondantemente anche tante testimonianze apparentemente incongrue rese nei procedimenti giudiziari intorno al cd Mostro di Firenze. Basta pensare, senza scendere nei dettagli, alla ridda di testi – tutti indubbiamente in buona fede – che ricordano e raccontano cose diverse in merito all’episodio di Baccaiano. E su Scopeti: il teste E.I. avrà davvero visto delle scarpe fuori dalla tenda o gli saranno state mostrate delle fotografie della scena del crimine? La teste S.C. avrà davvero sentito puzza di morto la domenica pomeriggio o ha fatto proprio un dato appreso indirettamente? la teste G.G. ha visto quella sera una macchina rossa scodata o semplicemente una macchina – e magari in un’altra sera? E’ infatti assodato che in questa inchiesta a un certo punto tutte le macchine diventano rosse scodate e appartengono al Lotti. Eppure, ognuna di queste testimonianze porta il suo mattone, grande o piccolo che sia, all’edificio dell’errore giudiziario.

Vorrei lanciare una provocazione: potrebbe il nocciolo dell’episodio inizialmente narrato da Fernando Pucci (ossia il venire minacciato da due tizi nel corso delle proprie e altrui attività voyeuristiche) essere avvenuto sì, ma in altro luogo o in altro momento o con altri protagonisti?

Concludo citando un articolo di Ivana Distefano, dal titolo “Fallacia della testimonianza: esito di un esperimento” (liberamente consultabile su Internet):

“In considerazione dell’elevato rischio di fallacia mnestica , in epoca recente gli studi si sono concentrati in modo particolare sugli aspetti giudiziari della questione, e non c’è “addetto ai lavori” che non sappia quante insidie possono nascondersi dietro la affermazione del capoverso dell’art. 196 del codice di procedura penale “Ogni persona ha la capacità di testimoniare”, anche quando nulla fa pensare che siano necessari gli accertamenti del successivo n.2 “Qualora, al fine di valutare le dichiarazioni del testimone, sia necessario verificarne l’idoneità fisica o mentale a rendere testimonianza, il giudice anche d’ufficio può ordinare gli accertamenti opportuni con i mezzi consentiti dalla legge”. In sostanza, esclusa l’ipotesi della falsificazione volontaria, bisogna riconoscere che in fatto di testimonianza rimangono confermati due diversi assunti: il codice riconosce come causa di distorsione mnestica solo una patologia fisica o mentale del testimone, motivo per cui non ricorrendo una causa del genere si presume che tra percepito ed evocato ci sia identità; per il pensiero scientifico, invece, la difformità prescinde da patologie ed è anzi un fenomeno in qualche misura inevitabile, che dipende dalla fisiologia de
ricordare e che, pertanto, è presente anche quando ed è questo il senso della ricerca effettuata - ricorrono le condizioni soggettive ed oggettive più favorevoli ad una testimonianza fedele".