domenica 28 maggio 2017

Il teste Alfa (4)






Riprendiamo il discorso dove lo avevamo lasciato. 
Nel dicembre 1996, ai periti o consulenti che dir si voglia, Pucci racconta di aver troncato l’amicizia con il Lotti in diretta conseguenza dell’omicidio di Scopeti. Sul piano temporale, ma non per la causa, è la stessa cosa che aveva detto a Giuttari il 2 gennaio: “l’ho anche frequentato per circa 6/7 anni fino a circa 10 anni fa, allorché egli non venne ad un appuntamento che mi aveva dato a San Casciano, per cui non lo cercai più e mi allontanai da lui.“ Qualcosa del genere viene brevemente accennato in udienza: “Poi io smisi di andare con il Lotti - capito? – a giro.” (nota: in un punto, però, in cui si sta parlando dell’omicidio di Vicchio); e poi, interrogato dal Presidente relativamente a Scopeti e ai racconti fatti da Lotti degli omicidi precedenti: “Prima succedesse il fatto s'eramo sempre insieme noi, io e lui, s'andava sempre via a Firenze la domenica sera.” Questa affermazione potrebbe essere logicamente integrata inferendo che “dopo che successe il fatto” non si videro più. Il Presidente, però, nella sua ansia di togliere dalla figura di Pucci ogni ombra di possibile favoreggiamento (nota: se ne dovrebbe parlare, di questo aspetto, ma forse lo farò in futuro) si affretta a fargli precisare:
Presidente: No, glien'ha parlato di questi omicidi, prima degli Scopeti o dopo?
F.P.: Dopo.
Presidente: Dopo.
Quindi, risulta pacificamente a dibattimento che Lotti e Pucci continuarono a vedersi e a parlarsi, anche degli omicidi, dopo Scopeti. Questa palese discrepanza verrà denunciata da Propato nella sua arringa (20 marzo 1999) e a detta del Procuratore Generale “questo la dice lunga sui rapporti che continuavano ad esserci tra Pucci e Lotti”. Ma lasciamo da parte questi trucchetti da avvocaticchi di mezza tacca; Pucci in dibattimento parla totalmente a vanvera, quindi le sue dichiarazioni non dovrebbero essere usate né in un senso né nell’altro. Torniamo a verificare la versione primigenia: l’amicizia tra i due compari si interruppe subito dopo l’episodio di Scopeti.
Tuttavia, questa versione venne smentita in dibattimento da testi certamente affidabili, in buona fede e a lui favorevoli, ovvero i suoi stessi parenti. Ne ho già parlato qui e qui, ma vale la pena di fare un breve approfondimento. 
Nella stessa giornata del 6 ottobre, dopo Fernando, viene interrogato il fratello, Valdemaro Pucci, il quale racconta una storia tutta diversa. Pucci e Lotti avrebbero continuato a frequentarsi fino al novembre 91, quando Lotti avrebbe pagato con un assegno scoperto dei generi alimentari acquistati  nel negozio di Valdemaro.  Avendo Valdemaro rimproverato Fernando per le cattive compagnie frequentate, quest'ultimo, forse per soggezione nei confronti del fratello, avrebbe effettivamente rotto l'amicizia con il poco raccomandabile Lotti. La data dell’assegno è certa (novembre '91), quindi siamo più di sei anni dopo Scopeti. Non solo, nello stesso periodo Valdemaro raccomandò Lotti a un conoscente perché lo assumesse, giacché il Lotti era all’epoca senza lavoro. Anche qui abbiamo una data certa, poiché viene escusso il datore di lavoro, Mario B. (udienza del 10 ottobre, non trascritta, ma ascoltabile su radio radicale), il quale conferma di aver fatto lavorare Lotti come manovale, su raccomandazione di Valdemaro Pucci,  nella seconda metà del 1991. Quindi nel giugno del 1991, data dell’assunzione, la famiglia Pucci è ancora in ottimi rapporti con il Lotti e ritiene che sia, testualmente “un bravo ragazzo” (e non certo un complice di feroci assassini e assassino lui stesso). Valdemaro riferisce anche di aver invitato Lotti a un pranzo natalizio, anche se non è in grado di precisare l’anno, presumibilmente dopo il 1985, giacché il Lotti era solo. Nella versione fornita da Valdemaro, quindi, l'allentarsi della relazione tra i due non ha alcun rapporto con l'episodio di Scopeti, avvenendo ben sei anni dopo e per motivi venali: Lotti ha pagato con un assegno scoperto.
Sentiamo gli altri parenti, all'udienza del 4 ottobre 1997. La cognata Paola F. (è la moglie di Valdemaro); riassumo, perché tra teste, avvocati e presidente in udienza c’è un po’ di confusione: quando è uscita fuori la cosa del mi’ cognato (nota: si intende - e verrà precisato - gennaio-febbraio '96), erano tre-quattro anni che Fernando e Giancarlo non si frequentavano più. Prendendo anche il termine più alto, ossia quattro anni, torniamo indietro al gennaio 1992, periodo perfettamente compatibile con l’assegno scoperto firmato da Lotti nel novembre '91. Quindi la dichiarazione di Valdemaro viene perfettamente confermata. Quanto alla sorella Marisa Pucci, interrogata dall’avvocato Bertini, colloca genericamente la rottura del rapporto intorno al ’90; non sa il motivo, ma fa capire che ne era contenta, purtroppo la frase viene interrotta e non sappiamo il motivo della contentezza. Possiamo fare un’illazione indimostrabile, ma, ritengo, credibile: dall’ottobre 1991 Pietro Pacciani è su tutti i giornali, non più solo in qualità di violento e stupratore delle figlie, ma di supersospettato “Mostro di Firenze”. Lotti, si sa, è amico di Pacciani; lo sa Fernando Pucci e lo sanno molto probabilmente anche i suoi parenti, che seguono e accudiscono il fratello meno fortunato con cura e amore. Può essere una coincidenza, ma la rottura dei rapporti tra Pucci e Lotti avviene proprio in questo lasso di tempo; non ci sarebbe da stupirsi che ne sia la vera causa, anche se non viene dichiarata a processo.
Non dà risultato, invece, la ricerca di quando Pucci andò a imbiancare da Vanni, poiché i parenti, comprensibilmente non ricordano il periodo se non per impressioni; è solo lo stesso Vanni che colloca l’episodio nel 1989, ma la sua dichiarazione rimane senza riscontro e essendo egli imputato non può essere considerata.

Ma c’è un altro teste, inatteso, che smaschera la favola della rottura dell’amicizia tra Lotti e Pucci subito dopo Scopeti, ossia Gabriella Ghiribelli. La quale, nello stesso interrogatorio (8 febbraio 1996) in cui racconta la versione “giusta”, che qui citiamo interamente: “La domenica successiva all'omicidio il Lotti è venuto a trovarmi come sempre, senza però il Fernando. Io gli chiesi ragione di ciò ed egli, con fare molto alterato, mi disse che c'era stata una litigata tra loro e che, di conseguenza, egli aveva rotto l'amicizia, aggiungendo che per lui, quando un'amicizia era rotta, era rotta per sempre. La domenica ancora successiva, trovandomi a passare insieme al Lotti in via della Scala, vidi entrare il Fernando nel bar che si trova accanto ai portici di Santa Maria Novella. Io volli andare a salutarlo dicendo anche al Lotti, che non ne voleva sapere di avvicinarsi, che per me il Fernando era sempre un amico, anche se aveva litigato con lui. Lasciai quindi il Lotti dov'era ed entrai nel bar dove salutai il Fernando e gli chiesi che cosa era successo. Egli mi chiese se il Giancarlo mi aveva raccontato qualcosa ed io gli dissi che non mi aveva detto nulla. Egli mi disse che mi avrebbe raccontato tutto un'altra volta. in seguito non ho più avuto occasione di rivedere il Pucci, mentre il Giancarlo ha continuato a frequentarmi tutte le domeniche, fino a quando, recentemente, egli non è stato sentito dalla polizia”, si fa sfuggire anche la versione “alternativa”: “Dopo aver lasciato il Galli, ho affittato una casa in piazza San Lorenzo al n.3 e in quel periodo, quasi tutti i sabati e le domeniche, il Lotti ed il Fernando venivano a cena in quella casa. Ciò è avvenuto, grosso modo, tra il 1987 ed il 1991.” Dobbiamo essere grati alla memoria prodigiosa della Ghiribelli, la quale, dopo essere riuscita a datare con precisione massima la rottura dell’amicizia tra i suoi due affezionati clienti, (peraltro con motivazione sconosciuta, quindi fondamentalmente irrilevante) alla domenica successiva al delitto, ricorda però anche che i due andavano a cena da lei la domenica fino al 1991. Il che coincide perfettamente con quanto dichiarato, concordemente, dai parenti di Fernando Pucci in merito alla perdurante amicizia tra i due. Ora, può essere benissimo che in una qualche occasione ci sia stata una litigata tra Fernando e Giancarlo (Pucci dice per un appuntamento non rispettato, Lotti non dà spiegazioni), ma cosa c’entra tutto questo con l’episodio di Scopeti?
Sia come sia, se la constatazione che la rottura dell’amicizia Lotti-Pucci immediatamente dopo Scopeti era, nell’impostazione accusatoria, un significativo indizio che qualcosa di grave era successo tra i due amici proprio in quella occasione, la presa d’atto, sulla base delle testimonianze rese in udienza e non contestate, che Lotti e Pucci si frequentarono e andarono a giro insieme fino a tutto il ’91 dovrebbe portarci ragionevolmente a pensare che quella sera dell’8 settembre 1985 ai nostri eroi non successe proprio nulla di particolare.
Inspiegabilmente, come ho già spiegato in passato, le sentenze, sia di primo grado che di appello, tengono in non cale quanto inconfutabilmente acquisito in dibattimento e accettano la versione dei fatti raccolta nei verbali di P.G., una scelta difficilmente condivisibile anche dal punto di vista del mero formalismo giuridico.
Speravo di finire qui, ma sul Teste Alfa ci sono altre cose da dire, che rinvio a una prossima puntata.


(SEGUE)

domenica 21 maggio 2017

Il teste Alfa (3)





Con il SIT del 18 aprile termina sostanzialmente l’iter dichiaratorio - accusatorio di Pucci. Il teste verrà chiamato a deporre in aula il 6 ottobre 1997, con il risultato che il lettore informato già conosce: una valanga di “non ricordo”. E’ fin troppo facile osservare che, il 2 gennaio 1996, Pucci inizia la sua dichiarazione su Scopeti con le parole “ricordo bene”; ossia ricorda bene fatti e particolari (il motorino! E i discorsi al bar!) avvenuti più di 10 anni prima. E nel successivo aprile ricorda bene le cose che Lotti gli diceva dopo Baccaiano; ossia ricorda racconti fatti quattordici anni prima. Tuttavia, nel periodo tra l’aprile 1996 e l’ottobre 1997 sembra aver perso la memoria; peggio, non ricorda cosa ha dichiarato in corso dell’istruttoria dell’anno precedente, tanto che l’interrogatorio da parte del PM si riduce a una lettura dei verbali e il teste che conferma, non per sua esperienza o ricordo diretto, ma “perché c’è scritto costì”; un’applicazione davvero incongrua del principio che la prova si forma in dibattimento. A sua scusante, adduce il fatto che non si ricorderebbe neppure ciò che ha mangiato la sera precedente; ma da gennaio ad aprile 1996, quando veniva sentito, la memoria evidentemente funzionava più che bene, anzi migliorava progressivamente. Infatti, contrariamente al normale processo della memoria, col passare del tempo ricordava sempre di più (nota: sarebbe interessante disegnare un grafico dell’ascesa e del crollo della memoria del Pucci negli anni 1996-7, credo assomiglierebbe all’andamento della Borsa di Wall Street nel 1928-9; ma è superiore alle mie capacità tecniche). Potremmo citare le famose frasi dette in udienza: “No, lo voglio sapere, perché vu' scrivete un monte di robe, io 'un me lo ricordo... “ e “No, l'abbia pazienza un momento. Costì, come c'è scritto sul foglio? Perché io non me ne ricordo mica icché c'è scritto, costì”; ma facciamola breve, chi vuole saperne di più si legga i verbali di udienza disponibili su Insufficienza di Prove; o ancor meglio, con pazienza, ascolti l’audio su radio radicale. Sta di fatto che nella sua arringa al processo di appello, il PG Propato dichiara testualmente: “Secondo me il Pucci del dibattimento non può essere utilizzato a riscontro di dichiarazioni”. (nota: sarà, insieme al papocchio della doppia macchina del Lotti, l’elemento decisivo per convincerlo a chiedere l’assoluzione di Vanni; giacché la chiamata di correo fatta da Lotti a questo punto rimarrebbe senza riscontro alcuno). Anche qui, bisogna avere la pazienza di leggere o ascoltare le conclusioni di Propato, non certo accattivante come oratore; ma ne vale la pena. La Corte la penserà diversamente.


 Di fronte a questo atteggiamento del teste al processo, possiamo chiederci se Fernando Pucci era in grado di testimoniare, ai sensi dell’art. 196 C.P.P. (ossia se sussistesse l’idoneità fisica o mentale a rendere testimonianza). La domanda era stata preventivamente posta da parte del P.M. (dicembre 1996) ai consulenti d’ufficio prof. Lagazzi (psicologo; edit: mi è stato fatto notare in un commento che il termine psicologo è impreciso in quanto il prof. Lagazzi non è psicologo = laureato in psicologia, bensì è medico specialista in psicologia ad indirizzo medico; naturalmente accolgo la precisazione, pur ritenendola poco rilevante) e prof. Fornari (psichiatra), gli stessi che avevano precedentemente periziato Giancarlo Lotti; anche perché, come abbiamo già detto, il teste riceveva una pensione di invalidità per oligofrenia grave. Si prospettava la richiesta di rinvio a giudizio per Vanni e Lotti (11 gennaio 1997) e il P.M. intendeva presentare tutte le sue carte in regola. Si tratta propriamente, in quanto non disposta dal giudice, di una consulenza tecnica di parte e non di una perizia; ma i consulenti verranno poi sentiti a processo, come era doveroso (udienza del 30 settembre 1997).







Nei due incontri intercorsi con i  periti Pucci sostanzialmente rifiuta, progressivamente, di collaborare. Gli viene proposto il test di Rorschach, con esito disastroso, che i periti interpretano come rifiuto di collaborare; proprio per questo, ritengono inutile somministrare il reattivo psicometrico W.A.I.S., rinunciando così a misurare il Q.I. del periziato (nota: possiamo dire che una consulenza così fatta non serve a nulla? O meglio, serve molto alla parte che l’ha richiesta; del resto la consulenza Lotti era stata dello stesso tenore). Dopo molti giri di parole che lasciano intendere che Pucci non collabora perché non vuole collaborare, ma se volesse potrebbe raccontarne di cotte e di crude, la consulenza giunge infine alla riposta ai quesiti, che riporto testualmente (da storico, cerco di astenermi dai giudizi, anche se a volte riesce difficile).

Risposta ai quesiti:

a) non è possibile accertare l’invalidità da cui risulta affetto PUCCI FERNANDO, per assenza di adeguata collaborazione da parte del soggetto alle nostre indagini al momento, È possibile attestare unicamente l’esistenza di un disturbo di personalità e di un ritardo mentale, non quantificabili;

b) comunque quantificata, dato il contenuto specifico della sua testimonianza, tale invalidità non è in grado di influenzare nella sostanza l’idoneità del PUCCI FERNANDO a rendere testimonianza.



Non sarebbe mio compito aggiungere (deve ben saperlo il giudice) che la testimonianza del soggetto affetto da ritardo mentale, alla pari di quella del minore, deve essere valutata con particolare attenzione e la sua attendibilità, in quanto più facilmente influenzabile, soppesata con maggiore cautela. Tuttavia, si cercherebbe invano, nella sentenza di primo grado, anche un solo accenno alla condizione di ritardo mentale del Pucci, che anzi viene definito, sic et simpliciter, “un teste oculare di totale affidamento e quindi di piena credibilità” (pag. 198, il grassetto questa volta è del giudice estensore); e ciò, nonostante che “lo stesso Pucci (abbia) saputo riferire molto poco in ordine alla dinamica dell'azione omicida ed in ordine ai particolari di essa” (quindi un teste oculare di totale affidamento, che però ha saputo riferire molto poco). L’argomento verrà invece affrontato in Appello, giacché era stato tra i motivi di ricorso dell’avvocato Filastò. Purtroppo, la sentenza sembra stravolgere la lettera della perizia, quando afferma che “d'altro canto i disturbi dichiarati allora, ove pure esistenti, non sono apparsi tali da impedire una completa collaborazione da parte del soggetto con i periti” (pag. 150; ma è proprio il contrario di quanto avevano scritto Fornari e Lagazzi).

Possono essere più interessanti dell’esito, invero deludente, della perizia (e della sua ricezione nelle sentenze), alcune notizie desumibili a margine dal testo della stessa. Pucci racconta che a 15 anni era ancora in quinta elementare (scuola d’altri tempi, oggi sarebbe probabilmente diplomato). La sorella riferisce che è stato per qualche tempo inserito presso un istituto per handicappati mentali, che è seguito da un medico specializzato in pazienti con handicap, che non ha mai svolto una stabile attività lavorativa (nota: il timore di perdere la pensione di invalidità può indubbiamente giocare un ruolo in queste dichiarazioni).  

Riportiamo ancora questa dichiarazione resa da Pucci ai periti, in quanto costituisce un’ulteriore versione, alla data del 12 dicembre 1996,  dell’episodio di Scopeti e del rapporto di Pucci con gli altri protagonisti del caso: “Noi quella sera eravamo andati a Firenze come sempre la domenica sera. Al ritorno, ci fermammo sulla piazzola degli Scopeti per fare acqua e sentimmo sparare- ricordo anche che sentii il rumore di una tenda che veniva tagliata, poi Pacciani saltò fuori e ci disse: 'cosa fate qui voi due? andatevene'. Noi dalla paura si scappò. lo volevo andare subito dai carabinieri a dire quello che avevamo visto, invece Lotti disse di no, perché aveva paura del Pacciani. Io mi sono sempre tenuto lontano da quel gruppo, né ho mai chiesto niente a Lotti. lo non mi aspettavo che lui fosse dentro questo giro. Me ne sono reso conto la sera del fatto degli Scopeti. Ci sono rimasto molto male. Dopo questo fatto ho rotto l'amicizia con il Lotti”.

Ci ritorneremo su nell’ultima puntata.

(Disclaimer: le illustrazioni non vanno intese come pubblicità delle persone e delle opere rappresentate, neppure occulta)

(SEGUE)

mercoledì 17 maggio 2017

Il teste Alfa (2)




  
Dopo il 2 gennaio, sembrerebbe che gli inquirenti si siano dedicati alla ricerca di riscontri alle dichiarazioni raccolte fino a quel momento. Il giorno 23 le abitazioni di Vanni e di Lotti furono perquisite e a Vanni fu trovato e sequestrato un coltello (nota: così si legge in “Al di là di ogni ragionevole dubbio”, pag. 152; ma non dovrebbe essere lo stesso sul quale poi si discusse animatamente al processo, il quale, secondo la requisitoria del P.M. in data 23 febbraio 1998 fu invece sequestrato all’atto dell’arresto di Vanni, quindi il successivo 12 febbraio). Lo stesso 23 gennaio alle 17 Pucci viene sentito dai magistrati (nota: Fleury e Vigna; il primo interrogatorio era stato eseguito dalla P.G.). Rispetto al 2 gennaio le sue dichiarazioni variano un po’: ammette che si erano sì fermati per fare un bisogno, ma anche per spiare qualche coppia. Vedono la macchina e più oltre la tenda (nota: quindi la macchina è ancora a metà tra via degli Scopeti e la piazzola); dalla macchina escono due individui minacciosi, uno dei quali ha una pistola; era notte fonda però c’era un po’ di albore. Si sono subito allontanati; Lotti ha affermato di averne riconosciuto uno. Ribadisce la presenza del motorino. Di fronte alle insistenze dei magistrati, racconta confusamente che il Lotti, giorni dopo, disse che credeva di aver riconosciuto il Pacciani e di stare attento perché Pacciani aveva una pistola; stranamente, a questo colloquio sarebbe stato presente anche Vanni e non si capisce bene chi abbia detto cosa. A nuove insistenze, dice che quello che aveva il coltello era Vanni; ma in effetti non è proprio sicuro, però in un’occasione, non datata, ha visto Vanni a Montefiridolfi girare, forse ubriaco, con un coltello. A questo punto, i magistrati si saranno chiesti qualcosa sull’affidabilità del teste, il quale riferisce di aver finito le elementari a 15 anni, di aver svolto qualche lavoretto saltuario in passato e di essere titolare di una pensione di invalidità, ma di non sapere perché. Notiamo che ancora in questa versione i due individui scendono dalla macchina e che della macchina dei francesi, posta - come sappiamo - dietro la tenda, non c’è traccia.
Il 9 febbraio Pucci viene nuovamente sentito. Ritornando alla domenica 8 settembre, racconta di essere stato con Lotti dalla Gabriella, poi di aver girovagato, cenato (non si sa dove) e sul ritorno Lotti ha proposto di andare a fare una guardatina a due in una tenda. C’era come aveva già detto la macchina e poi la tenda e questa volta i due individui sono in mezzo, tra macchina e tenda; uno aveva un coltellone da cucina ed era certo il Vanni, l’altro, tarchiato, con la pistola, era Pacciani. A questo punto, però, su insistenza del magistrato, aggiunge (nota: come egli stesso dice: “liberandosi da un peso”) la seconda parte del racconto. Invece di andare via subito sono tornati verso la piazzola e hanno visto la scena (nota: scena che ben conosciamo, quindi non starò a ripetere), dopo di che spaventatissimi sono scappati via. Ha visto una sola macchina, che Lotti gli disse essere quella dei francesi, avendone riconosciuto la targa. Quindi Pacciani e Vanni forse erano venuti con il motorino di cui ha già parlato. A questo punto, i magistrati gli chiedono se sia stato anche nella zona di Vicchio con il Lotti a spiare coppiette e lui conferma di esserci stato una volta e guarda caso la coppietta che avevano spiato pochi giorni dopo era stata ammazzata. Possiamo chiederci se vi è una ragione per questa domanda apparentemente incongrua dei magistrati; in effetti, tre giorni prima, la Nicoletti, sentita a SIT, aveva riferito di essere stata nella piazzola di Vicchio (delitto del 1984) con il suo amante di Arezzo; solo successivamente ammetterà di esserci stata anche con Lotti.
A questo punto, la Procura ha in mano un teste oculare – insperato - del duplice omicidio di Scopeti e deve ancora sentire l’altro, il Lotti. Che viene infatti convocato il giorno 11 e, debitamente torchiato, fa qualche ammissione, ma non vuole dire i nomi dei due uomini, chiede anzi che nomi abbia fatto Pucci. Viene quindi messo in atto un confronto tra i due testimoni, condotto da Pier Luigi Vigna, del quale abbiamo una preziosa trascrizione, pubblicata nella seconda edizione del volume “Al di là …” . Sorprendentemente, nel confronto della scena dell’omicidio non c’è traccia. Riporto solo alcune battute di Alfa / Pucci:
Insomma, ci si fermò lì con la macchina a fare un bisogno, no?
A pisciare, vero?
E poi s’andò a vedere, per curiosità…
E si sentì due vociare. Ora, mentre loro vociavano: “vi s’ammazza”, va bene? Uno gl’avea la pistola e quell’altro gl’avea un curtello da cucina…
E allora i’ che si fece noi? Dissi: “bah, scappiamo.”
Dalla paura che s’ebbe, si venne via noi dopo con la macchina. Ha capito? E allora… i’che si stava lì a farsi ammazzare? Sennò…
E quanto all’identità delle persone:
A me mi sembrava uno i’ Pacciani e uno il… come si chiama? Il Vanni. Mi sembrava, ma sa …
Io, tanto sicuro unn’ero nemmen io. Ma insomma… a me mi sembrava Mario quello lì. Quello co’ il curtello.
Bisogna esse’ proprio sicuri, sicuri, sicuri. Ha capito? E allora … bah, e …
Sulla macchina, a domanda del Lotti, che non  ricorda o pretende di non ricordare:
Sì, c’avei il 128. Proprio … quella rossa, sì. E si venne via.
E sul pomeriggio a Firenze:
Da chi s’eramo stati, dalla cosa … da … dalla Gabriella, no?
Sì. S’eramo … Sì, quella sera lì.
Quella sera lì. Di domenica. Preciso, proprio di domenica.
In sostanza, a parte l’incerto riconoscimento dei due vocianti per Pacciani e Vanni, siamo tornati alla prima dichiarazione del 2 gennaio. Per completezza, bisogna aggiungere che forse Pucci appare particolarmente incerto perché il Lotti non gli dà affatto man forte, anzi sembra capitato lì in Procura per caso. Sta di fatto che dal confronto esce solo il racconto di essere stati cacciati via con minacce da due individui che forse erano Pacciani e Vanni. Questa trascrizione della registrazione audio è preziosa perché ci restituisce, parola per parola (punto interrogativo per punto interrogativo, puntini di sospensione per puntini di sospensione) il reale e povero contenuto delle dichiarazioni del teste Alfa al di là della ricchezza lessicale e consequenzialità logica messe nero su bianco nei precedenti verbali redatti dalla P.G. in forma riassuntiva, sintetizzando o comunque ampiamente riformulando.
Ad ogni modo, dopo il confronto, Lotti viene nuovamente interrogato e questa volta, a quanto pare, confermando quanto già detto da Pucci (nota: ma perché non l’aveva confermato prima? O almeno durante il confronto? Perché aspettare di essere reinterrogato dopo?). Contestualmente, la Procura richiedeva per Lotti (nota: perché solo per Lotti? che si era solo adeguato al Pucci?) l’applicazione di misure di protezione e successivamente l’ammissione al programma di protezione testimoni del Ministero dell’Interno. Il giorno dopo, il GIP autorizzava l’arresto di Mario Vanni (nota: giacché Alfa e Beta erano, a questo punto, concordanti nell’affermare la sua partecipazione all’omicidio).


Il successivo atto di P.G. a carico del teste Alfa (13 febbraio) è un sopralluogo alla piazzola di Scopeti, dal quale non emergono elementi nuovi, a parte una grande confusione nel collocare temporalmente gli eventi (nota: significativamente, anche qui si tratta della trascrizione di una registrazione, quindi non ci sono interventi redazionali dei verbalizzanti): non è chiara la sequenza tra minacce, taglio della tenda, spari e fuga dei due testimoni dalla scena. Si legga ad esempio questo passaggio: “E si sentì strappare, come strappare. Madonna bona! Dopo si stette un attimo a vedere, e ritornarono addietro. Noi, via, si scappò, capito? Si senti vociare. Dice: "oh! dice  Che vu’ ci fate? Andate via, perché sennò si spara". Madonna bona! Io ... si scappò, capito? (…)  Poi dopo si sentì un altro sparo, mi sembra, ora ... Madonna bona, qui ... dopo un po' si disse andiamo via  e basta, perché noi ... (…)  Non si stette, non si stette a vedere proprio ogni cosa, ha capito? Perché si ebbe paura noi!
Paura comprensibile, verrebbe da commentare, se non che, secondo quanto affermano le sentenze accogliendo come veritieri i racconti dei due, Lotti era complice e Pucci, dal canto suo, era da tempo consapevole dell’identità degli assassini; cosicché non si comprende da dove provenisse tutta questa paura di cose già vissute in prima persona dall’uno e note all’altro. Per inciso, il 13 febbraio è anche il giorno della sentenza della Corte d’Assise di Appello che assolve Pietro Pacciani, senza che siano stati sentiti i “testi algebrici”; il segreto viene poi tolto il 16 febbraio, in coincidenza con l’interrogatorio di garanzia di Vanni, cosicché i giornali ormai possono tranquillamente chiamare Alfa con nome e cognome.
Quattro giorni dopo, Pucci viene condotto a Vicchio per un sopralluogo, a conferma di quanto aveva dichiarato il 9 febbraio, ma non riconosce i luoghi. Si dà atto a verbale, però, che appare a disagio nel guardare la piazzola (nota: che non gli facesse piacere vedere le croci delle vittime?).



Il 5 marzo Pucci viene di nuovo interrogato per sentire se si sia “ricordato qualche particolare in più” (nota: nel frattempo, infatti, Lotti sta ampiamente vuotando il sacco). Ma la sua versione, stavolta, è peggiore delle precedenti; infatti sostiene che quella sera Lotti si sia fermato agli Scopeti “su suo (di Pucci) invito perché aveva necessita di fare un bisogno fisiologico”. La cosa può, al momento, non impensierire gli inquirenti, perché Lotti, pur raccontando sempre più cose, non ha ancora svelato il suo ruolo di complice. In sostanza, però, dal 2 gennaio al 9 marzo, le dichiarazioni di Fernando Pucci non sono cambiate di molto e il suo ruolo (e quello del Lotti) è ancora a suo dire quello di involontario testimone dell’ultimo duplice omicidio; come assicura il teste: “quanto precedentemente riferito è la piena verità e di ciò vi prego di credermi.”
E’ dunque inaspettato, di fronte a questa sentita dichiarazione di aver già riferito la piena verità, il fuoco d’artificio di notizie inedite che Pucci racconterà il 18 aprile, quindi dopo una pausa di un mese e mezzo dall’ultimo interrogatorio.
La messe di importanti novità è tale che riassumere diventa difficile, proviamo comunque a farlo, ma sarà necessaria qualche citazione. Dopo aver detto di sapere che Lotti era presente all’omicidio di Vicchio (nota: cosa che fino ad allora mai aveva detto), gli viene chiesto se sa il perché Pacciani e Vanni li abbiano ammazzati. “Chiesto a questo punto al Pucci se conosce il motivo per il quale Vanni e Pacciani volessero ammazzare i due giovani, ci pensa a lungo chiedendo al P.M. successivamente se il Lotti abbia già raccontato qualche cosa in proposito; avuta risposta negativa dice: li hanno ammazzati perché anche loro volevano fare l'amore con quella figliola”. Poi ritorna su Scopeti e dice di essersi fermato a spiare la coppia in tenda anche al pomeriggio (nota: questa correzione era ovviamente necessaria per aggiustare l’apparente contrasto con la testimonianza Chiarappa – De Faveri). Andando indietro nel tempo, rivolgendosi al P.M.:  A questo punto lei mi chiede se io abbia saputo dal Lotti anche degli omicidi compiuti ai danni di coppie appartate con le stesse modalità negli anni dal 1980 al 1983. lo non so nulla”. L'Ufficio da atto che a questo punto il Pucci tiene a lungo il capo chino e non guarda il P.M., né gli Ufficiali di P.G. presenti, voltandosi dalla parte opposta alla scrivania. Ed aggiunge, io non so nulla di questi fatti. Quello che sapevo l'ho già detto”; inopinatamente però, in sede di rilettura del verbale, Pucci aggiunge che, già prima dell’effettiva esecuzione del delitto, Lotti gli aveva detto che Pacciani e Vanni avrebbero ammazzato la coppia che loro avevano spiato a Vicchio; che gli aveva detto che avevano ammazzato anche le altre coppie degli anni precedenti, i due tedeschi, la coppia di Montespertoli e quelli di Calenzano. Ammazzavano le ragazze perché quelle non volevano stare con loro. Parla di un guardone omosessuale di Calenzano, conosciuto da Pacciani e Vanni, che sarebbe stato presente al delitto di Scopeti (nota: qualche minuto prima aveva detto di non saperne nulla). Riporta ancora il verbale: “Chiestogli se il Lotti gli dicesse perché ammazzavano, risponde: "Perché gli garbava". Chiestogli ancora se il Lotti gli dicesse perché tagliassero parti anatomiche delle vittime femminili risponde: "Perché gli garbava". Lotti gli raccontava gli episodi nel tempo, man mano che facevano gli omicidi. Al Lotti piaceva guardare, Pacciani e Vanni invece avevano passione anche per ammazzare (nota: mentre il Faggi era semplicemente interessato, ci andava volentieri; sembra davvero si stia parlando di un’allegra scampagnata; mai il termine di compagni di merende è parso più appropriato che in questa occasione). 


Considerato che all’epoca Lotti aveva ammesso solo una sua presenza ai delitti di Scopeti e Vicchio, è facile vedere come questo S.I.T. di Fernando Pucci sia centrale nello sviluppo delle indagini e della vicenda giudiziaria nel suo complesso. Lotti infatti, che è già indagato per Scopeti e Vicchio, nuovamente interrogato il 26 aprile, dopo un primo diniego si adeguerà, confermando quanto dichiarato da Pucci. Vediamo quindi che Pucci, il 2 gennaio 1996, dà la stura a una prima serie di ammissioni su Scopeti; il 9 febbraio parla di essere stato a spiare coppiette a Vicchio con il Lotti (della piazzola di Vicchio ne aveva già parlato, invero, la Nicoletti qualche giorno prima, ma riferendosi a una girata con il suo attuale amante); il 18 aprile, infine, tira dentro Lotti anche nei delitti di Giogoli, Baccaiano e, forse, Calenzano. Insomma, in altre parole, è sempre il teste Alfa che dà il la ai racconti del teste Beta; il quale ci ricama su, aggiunge particolari importanti rispetto ai moventi suoi personali e della banda, ma a livello di ricostruzione fondamentale dell’iter delittuoso non sa andare oltre quanto già ammesso da Pucci.
Da quel giorno, non risulta, quanto meno dalla lettura di libri e dei documenti disponibili, che Pucci sia più stato sentito, fino all’esecuzione della perizia psichiatrico-forense condotta dai prof. Fornari e Lagazzi nel dicembre 1996.

(SEGUE)