venerdì 30 giugno 2017

Il teste Alfa (5)






Riassumiamo. Abbiamo scoperto (non certo una grande e nuova scoperta, ma comunque una verità ignorata da molti) che Alfa / Pucci sta all’origine della pista investigativa dei compagni di merende, alla cui fine (non Beta, ma Omega) sta Giancarlo Lotti.
E’ Pucci che per primo (2 gennaio 1996 – ma chissà poi chi era quel misterioso teste che venne sentito in questura il 28 dicembre 1995?) afferma di essere stato a Scopeti la presunta notte dell’omicidio.
E’ Pucci che per primo (9 febbraio 1996) fa il nome (quanto atteso dagli inquirenti!) di Pacciani e Vanni.
E’ Pucci che (stessa data) colloca se stesso e Lotti a Vicchio (non in coincidenza temporale con l’omicidio, ma tanto basta per dimostrare una conoscenza e frequentazione della piazzola da parte dei due compari).
E’ Pucci che (18 aprile 1996) afferma la compartecipazione del Lotti ai delitti di Giogoli e Baccaiano (e forse Calenzano).
Qui la serie si arresta, poiché, avendo Pucci chiarito che, per quanto riguarda i duplici omicidi precedenti a Scopeti, la sua conoscenza è solo de relato, a questo punto si inserisce a pieno titolo nella girandola di rivelazioni l’astro nascente di Lotti e brillerà fino alla sentenza di Cassazione, relegando – ma molto utilmente per la giustizia – il Pucci a ruolo di riscontro.
Allora, bisognerebbe capire perché il teste Alfa parla a rate, visto che è solo testimone e in nessun modo, come sostengono le diverse sentenze, coinvolto nei delitti. Per le confessioni (anch’esse a rate  e spesso discordanti tra loro) di Lotti, la sentenza di primo grado cerca di definire un iter che spieghi le diverse e contraddittorie dichiarazioni rese dal teste rispetto a quelle rese nello stato di indagato e poi di imputato, scegliendo di sposare esclusivamente l’ultima versione, ossia le dichiarazioni fatte in aula in sede di esame e controesame. Ci dice il giudice (pag. 26 della sentenza): “Tale premessa appare dunque doverosa, non solo ai fini di meglio capire la successione dei fatti, ma anche e soprattutto al fine di meglio valutare la credibilità del Lotti, posto che le sue prime ed intermedie dichiarazioni non sono sempre in linea con le ultime, perché allora il Lotti aveva avuto tutto l’interesse a dare una versione di comodo, dal quale risultasse la sua presenza sul posto ma non il ruolo realmente ricoperto: si spiegano così alcune inesattezze o contraddizioni rispetto alle dichiarazioni finali.” Se dovessimo applicare lo stesso metro alla testimonianza Pucci, otterremmo il risultato contrario, poiché, come già si è detto, in aula Pucci non ricorda nulla di quanto ha dichiarato in fase di indagine e, cosa più grave, ammette che “non se ne ricordava neanche prima”. Ma soprattutto, anche omettendo di cercare di capire perché Pucci, essendo perfettamente a conoscenza di chi fossero gli autori degli efferati delitti che avevano sconvolto l’Italia per più anni, abbia deciso di tacere perlomeno dal settembre 1985 al 2 gennaio 1996, rimane a mio parere inevasa la domanda: perché non dice tutto quanto sa già quel 2 gennaio in cui viene “incastrato” dal sapiente interrogatorio di Giuttari? Giacché non ha, affermerà il PM e confermeranno i giudici, alcune responsabilità penale personale nella vicenda, quindi nulla da temere?
Mi pare che la sequenza logico-temporale sia chiara a chi voglia vederla in maniera obiettiva. Riportiamoci alle frenetiche giornate d’investigazione di quella fine dicembre 1995. La Ghiribelli ha visto sotto la piazzola una macchina rossa, Lotti aveva una macchina rossa, ergo Lotti è un possibile testimone del delitto (l’ipotesi che ne sia l’autore non sfiora la mente degli inquirenti, che il nome del colpevole già lo sanno e stanno solo cercando complici o, al peggio, persone informate sui fatti). Ma nel pomeriggio vicino alla macchina rossa c’erano due uomini (così Chiarappa – De Faveri), ergo ci deve essere un altro testimone, un testimone che non può essere altri che lo storico compagno di girate Pucci. Infatti Pucci conferma di essere stato presente e di aver visto qualcuno. E’ quello che in questa fase si aspettano gli  inquirenti, il presunto testimone c’era (anzi, ce ne sono due) e ha visto qualcosa, ma ben poco, giacché è stato mandato via da due uomini. Questi due uomini non possono essere altri che Pacciani e il suo complice. Che poi il complice sia Mario Vanni è nell’ordine naturale delle cose, da quel famoso 26 maggio 1994 in cui lo sfortunato ex postino ebbe la cattiva idea di pronunciare la fatidica frase: “Io sono stato a fa’ delle merende co’ i’ Pacciani…” Al secondo interrogatorio, il 23 gennaio, Pucci, pur tra molte incertezze (“io vidi due persone; se poi uno dei due fosse proprio il Vanni, non sono sicuro”) conferma (e con questa conferma, almeno per quanto riguarda Scopeti, il gioco è fatto).
A quel punto, agli investigatori sarà montata la curiosità. Dato che anche a Vicchio erano state notate due macchine, di cui una rossa, non sarà mai che Lotti e Pucci fossero anche da quelle parti? Tanto più che  già il 6 febbraio, la Nicoletti aveva detto di essere stata a fare l’amore a Vicchio (non con Lotti, però; una coincidenza inquietante e difficile da spiegare), proprio nel posto dove era stata ammazzata la Rontini. Prontamente, interrogato tre giorni dopo, Pucci ammette; ha visto, in un giro con Lotti, la coppia che è stata ammazzata alla Boschetta. Dopo una pausa di qualche tempo, in cui Lotti parla ampiamente di Scopeti e Vicchio, ma non dei precedenti omicidi (e diventa, da persona informata sui fatti, indagato), gli inquirenti fanno due più due: hanno avuto la prova –testimoniale – che Pacciani e Vanni, con la partecipazione - in un ruolo ancora poco chiaro - di Lotti, sono stati gli autori degli due ultimi duplici omicidi.   Che il deus ex machina Pucci non riservi altre sorprese “ricordando “ fatti più remoti? E’ così. Pucci coinvolge Lotti a  ritroso fino all’omicidio di Calenzano (18 aprile) e il 26 aprile Lotti fa una cosa un po’ strana: prima, alla presenza di Vigna nega tutto, fa mostra di non saper nulla di cosa parli il suo compare. Al che Vigna si alza  e se ne va e, al cospetto dei soli ufficiali di P.G. (e, beninteso dell’avvocato d’ufficio, o, per essere più precisi, del sostituto dell’avvocato d’ufficio), Lotti finalmente la canta giusta, ovviamente dopo che gli son state lette le affermazioni di Pucci di qualche giorno prima. A proposito dell’attività del primo avvocato d’ufficio, traggo dal vecchio blog di Master una frase, colta in una  intercettazione Lotti – Nicoletti del 24.03.1996, che appare molto significativa: : "...ma lui mi disse, l'avvocato, se tu vai lì, qualcosa in più bisogna tu dica, l'83, l'82, l'81... o come fo’ a sapere tutte queste cose?" Analogo concetto nella stessa telefonata, che traggo da “Al di là di ogni ragionevole dubbio” (ma, caveat lector, senza indicazione di fonte):
- Giancarlo Lotti: “Poi m’hanno interrogato dell’84.”
- Filippa Nicoletti: ‘Eh. ”
Giancarlo Lotti: “Se ero andato. Gl’hanno visto la mi’ macchina a coso, là (Nota: si intende Vicchio).  E i’ che gli dico?”
- Filippa Nicoletti: ‘Eh se hanno visto la tu’ macchina...”
- Giancarlo Lotti: ‘No, m’hanno imbrogliato su questo fatto qui. Sennò io... sapevo su uno solo, solo e basta.” (Nota: grassetto mio)
- Filippa Nicoletti: “Di uno solo, sapevi?”
- Giancarlo Lotti: ‘Eh, oh. Quando mi fermai lì, veddi la tenda, c’era la tenda. ”
- Filippa Nicoletti: “Ah. ”
- Giancarlo Lotti: ‘E c’era du’ persone. ”
- Filippa Nicoletti: ‘Eh. ”
- Giancarlo Lotti: “Quell’altro l’ha riconosciute subito. Io non l’ho riconosciute.
- Filippa Nicoletti: “Ah. ”
Giancarlo Lotti: ‘Poi mi voglian domanda’ le cose dell’83, dell’82... come fo a sapere queste cose?” (…)
Giancarlo Lotti: “Ma poi gli hanno visto una macchina, dice, a Scandicci, a Giogoli. E io che ne so? Per l’appunto la mi’ macchina l’è da tutte le parti. Io se vo a trovare una cugina, io un lo so. Loro dice... lì a Giogoli c’era un furgone, dice, quei du’ tedeschi... ”
Filippa Nicoletti: “Ah. ”
Giancarlo Lotti: “Ma come fo a dire una cosa che un n’ho vista?”
Filippa Nicoletti: “Eh ma tu... gli dici che non l’hai visto. ”
Giancarlo Lotti: “Dice: ‘ma te tu vai dalla tu cugina.’ E questo i’ che vuol dire? Perché dalla mi’ cugina un ci posso andare?”
Filippa Nicoletti: ‘Eh .. . ”(...)
Filippa Nicoletti: ‘Eh, comunque, tu se hai delle cose... devi dire la verità. Quando hai detto la verità pare che non si sbaglia mai. Capito?”
Giancarlo Lotti: ‘Eh ormai... Per me ho detto più di che un n’è. E son stato imbrogliato, guarda. (Nota: grassetto mio)
Torniamo ancora al fatidico 18 aprile che mette definitivamente nei guai Lotti, già indagato. A Pucci viene chiesto il movente degli omicidi, ma non sa dire altro che a qualcuno garbava uccidere, a qualcun altro guardare; quanto al quarto compagno di merende, “quello di Calenzano”, ci andava volentieri, per motivi suoi che Pucci non conosce. Gli inquirenti avevano già chiesto a Lotti del movente, ricavandone l’affermazione che Pacciani voleva far mangiare alle figliole il ricavato delle escissioni, una spiegazione evidentemente ritenuta poco soddisfacente. Anche la semplice e chiara motivazione data dal Pucci (ammazzavano perché gli garbava così, una verità incontestabile) non accontenterà gli investigatori, tanto che successivamente Lotti tirerà fuori la storia del “dottore” (storia invero non nuova, era stata fatta circolare nel maggio 1983 da Mario Spezi come corollario della sua ipotesi sul “dottor B.”), innescando in un sol colpo due nuovi filoni di indagine, quello dei mandanti e quello esoterico-satanico.

La Nazione - 2 luglio 1996


 Insomma, il perché delle ammissioni a rate di Pucci si spiega facilmente e senza troppi giri di parole: il teste dice in buona fede quello che ritiene che gli inquirenti desiderino sentire da lui. Su questo meccanismo psicologico, che in realtà è molto più comune di quanto si pensi, non è il caso di spendere parole qui, visto che la moderna bibliografia su suggestionabilità e falsi ricordi è imponente.
Naturalmente, dobbiamo presumere che le SIT di Fernando Pucci siano state condotte tutte in maniera corretta e ineccepibile, ma la tecnica di verbalizzazione riassuntiva non permette di valutare se gli investigatori abbiano involontariamente fatto ricorso a domande suggestive dalle quali il teste abbia potuto desumere quali informazioni avrebbe dovuto fornire per riuscire gradito agli interroganti. Il testo trascritto della registrazione del confronto Lotti-Pucci – già citato – non è filtrato da redattori (in filologia si parlerebbe di ipsissima verba) ed è prezioso per definire il livello di conoscenza dell’episodio delittuoso di Scopeti da parte dei due testi.
Ma sentiamo di nuovo la versione dei parenti del Pucci. Come sappiamo, nella sua prima versione (2 gennaio) Pucci non identifica i due uomini minacciosi; eppure nel corso delle sommarie informazioni testimoniali di quella decisiva giornata i nomi di Pacciani e Vanni sono fatti più volte in relazione ad altri episodi: vanno a fare merende e si ubriacano con il Lotti, vanno a prostitute, non trovano più la macchina, Lotti ha paura di loro ecc. Nell’udienza del 4 ottobre 1997 il PM dà lettura di un breve passo delle dichiarazioni rese il 24 gennaio 1996 da Marisa Pucci, sorella di Fernando, la quale aveva dichiarato: “Voi mi chiedete se mio fratello Fernando ha mai detto qualcosa circa i motivi per cui è stato recentemente sentito in Questura dai Magistrati. Effettivamente la sera che lui ritornò, accompagnato dal nostro fratello Valdemaro, dopo essere stato sentito in Questura, intorno alle 21.30 io gli chiesi cosa gli era stato domandato. Lui mi rispose genericamente che gli avevano fatto domande sul 'Vampa',  che lui aveva detto tutto quello che sapeva (Nota: grassetto mio), specificando a me di non parlare con nessuno in paese e che anche lui sarebbe stato riservatissimo con chiunque, perché così gli era stato raccomandato dalla Polizia”. E’ chiaro che il 24 gennaio 1996, chiedendo spiegazioni alla sorella, gli inquirenti si stanno essi stessi chiedendo come sia possibile che Fernando Pucci abbia tenuto un completo silenzio sui fatti di cui era stato testimone per più di dieci anni, con i suoi stessi parenti con i quali convive e che hanno nei suoi confronti, per loro esplicita ammissione, un ruolo accudente e genitoriale. E’ altrettanto chiaro che, già nel primo interrogatorio, l’attenzione si era ampiamente posata su Pacciani, giacché, nel riferirne il contenuto, Pucci dichiara solo “che gli avevano fatto domande sul Vampa”. E il fratello Valdemaro (udienza del 6 ottobre 1997): “Io non sapevo perché lo avevano chiamato (prima SIT, 2 gennaio 1996). Poi, quando... Perché dentro non fate entrare nessuno. Quando lo ripresi in macchina, gli dissi: 'ma icché t'hai fatto? Che c'è qualcosa di male?' 'Mah, io passai così dagli Scopeti, mi fermai per fare un bisogno con Giancarlo e ho visto, ho sentito delle voci, poi degli spari, poi sono andato via. Ma la voce la mi sembrava quella del Pacciani'”. Quindi già dopo la prima deposizione Pucci dice, a Valdemaro, che gli sembrava la voce di Pacciani. Poi, dirà Valdemaro, “a tavola, me lo disse insieme alla mi' moglie. Io, quando, non me ne ricordo, avvocato. Mi disse: 'ho visto Mario che con un coltello tagliava la tenda. E il Pacciani a sparare'.” In sostanza, Fernando ripete ai fratelli, nella stessa sequenza (13 febbraio e poi 24 aprile, date desunte dalla perizia), le stesse ammissioni  a rate che ha già fatto alla polizia; mai un’anticipazione, mai un elemento nuovo.
Ce n’è abbastanza per chiedersi cosa sapeva veramente – o cosa pensava di sapere – il nostro teste.

La Nazione - 6 luglio 1996
 
La consulenza Fornari – Lagazzi conclude nel senso che “nella fattispecie in esame, è possibile affermare, senza riserva alcuna, che Pucci Fernando è perfettamente in grado di rendere una testimonianza attendibile, purché lo voglia.” (Nota: i periti ebbero l’impressione che il teste non volesse confermare le dichiarazioni già fatte; in italiano corrente questo si chiama “mettere le mani avanti”). Si può essere d’accordo. Il problema è che, in dibattimento, la sua testimonianza è pressoché nulla e allora si ricorre, in modo assolutamente abnorme, alle contestazioni basate sui verbali di P.G.; e si ricorre ai verbali perché il teste, sostanzialmente, non sa rispondere o dà risposte incongrue – e non solo, come a volte si legge, agli avvocati difensori perché pressato o intimidito, ma anche al P.M. e allo stesso Presidente. I file audio sono oggi disponibili, per cui chi vuole farsi una propria opinione ha modo per farlo.
Lascio la serie aperta, perché ho speranza di ottenere un’intervista con uno psicologo che aiuti a capire meglio cosa si intende per “ritardo mentale” e le sue eventuali ricadute in termni di attendibilità della testimonianza.

Quindi, forse (CONTINUA).