sabato 19 ottobre 2024

La datazione di Scopeti - Un piccolo Addendum

 


Da Montbéliard a Montpellier, cambia qualcosa?


La notizia giornalistica del reportage di Paolo Cochi nel 2015 (non c'entra con l'oggetto dell'articolo presente, ma di quello precedente).

 

 Rileggendo il mio recente articolo sul blog ( http://mostrodifirenzevolumei.blogspot.com/2024/08/la-datazione-del-duplice-omicidio-degli.html ), mi sovviene qualcosa che non avevo considerato nella stesura. La crux della questione era, ricordiamo, comprendere perché Maurri ponesse la notte del delitto alla domenica ancor prima di aver eseguito l'autopsia sui cadaveri, avendo quindi una conoscenza non abbastanza approfondita dei fenomeni tanatologici sulla base dei quali avrebbe validato la sua, poi molto contestata, valutazione. 

Nell'articolo, ovviamente a livello di suggestione non verificabile, si avanzava l'ipotesi che gli fosse giunta voce dell'avvistamento delle vittime la mattina della domenica al bar della Locanda agli Scopeti, fatto però che risultava ufficialmente verbalizzato solo il 12 settembre.

 
Vi è però un altro episodio consimile da tener presente.
Nel Rapporto CC del 14 settembre, a firma del ten. colonnello Torrisi ( ma probabilmente steso dal mar. Congiu), si affermava che i due francesi erano stati alla Fiera della calzatura di Bologna; ciò in quanto tra gli effetti personali della Mauriot erano stati rinvenuti biglietti da visita e talloncini intestati a ditte espositrici che avevano partecipato all’edizione corrente della Fiera. Vi era poi il riscontro di tale Biancalani, del “Calzaturificio 2001” di Pistoia, che aveva affermato di aver ricevuto un ordine di calzature da una coppia francese di Montbéliard; nello stesso capoverso del rapporto vi era però un
disclaimer : visionate le 17 diapositive repertate (sic! Qui si apre, come sappiamo, un altro buco nero dell’indagine) il testimone “affermava senza ombra di dubbio che la donna che aveva visitato il suo stand non era la Mauriot Nadine”

 


 

Dalla pura e semplice lettura del rapporto (e sto parlando qui delle mie conoscenze circa anno 2013) si sarebbe dovuto evincere, quindi, che il Calzaturificio 2001 avesse venduto i propri prodotti nella stessa occasione a due diverse (e tra loro somiglianti) coppie francesi gerenti due diversi negozi di scarpe a Montbéliard. Per quanto io sia portato a credere alle coincidenze, questa configurazione astrale pareva troppo ardita per essere reale. Interpellato in merito Flanz Vinci, ero venuto a sapere che in quel passaggio del rapporto l’estensore aveva confuso la cittadina di Montbéliard con la ben più importante e nota Montpellier, sita in tutt’altra regione della Francia (a più di 600 km di distanza) e sede del vero e unico negozio (o distributore) francese che aveva, nel pomeriggio della domenica 8 settembre, ordinato i prodotti del Calzaturificio 2001 (una ditta denominata Chapital Sarl, sempre che la dicitura sul buono d’ordine sia affidabile). Questa notizia è poi divenuta patrimonio comune dei mostrologi più attenti.

Risolto parzialmente il busillis, non avevo però ancora preso visione dell’Allegato 5 al rapporto, ove viene esaminato il materiale cartaceo rinvenuto nel borsello di Nadine; e non potevo capire il motivo dell’errore. Avendo ora potuto leggere i documenti, emerge qualcosa in più. Al numero 8 di tale elenco figura infatti un’annotazione che merita di essere citata letteralmente e per intero. “Cartoncino e autoadesivo del Calzaturificio 2001 di Pistoia. E’ stato interpellato telefonicamente il Sig. Biancalani Raffaele dipendente della citata ditta il quale ha affermato di aver visto le foto su i giornali delle persone assassinate e di riconoscerle per quelle che verso le ore 16 di domenica 8 c.m. si sono recate presso lo stand allestito presso la fiera di Bologna. La donna, come risulta da un buono di ordinazione in suo possesso, ha ordinato una partita di scarpe per il suo negozio “Chapital” di Montbéliard”.

 



 

Quindi, fino a questo punto possiamo ricostruire che: la prima indagine è stata fatta per telefono (cosa peraltro già evidenziata nel seminale “Scopeti – Giustizia mancata” di Adriani – Cappelletti – Maugeri); al telefono ci si capisce male, soprattutto quando si tratta di nomi stranieri, Biancalani ha detto Montpellier e il carabiniere ha sentito Montbéliard; inoltre, Biancalani ha riconosciuto le vittime dalle foto sul giornale. 

Ora, non sappiamo quando precisamente sia stata condotta questa indagine telefonica, ma evidentemente deve aver avuto luogo tra il 9 e il 10 settembre, poiché, avendo avuto un primo riscontro positivo, i CC si presentano, questa volta di persona, alle 18 del giorno 11 presso la sede del Calzaturificio 2001, ove il Biancalani chiarisce l’equivoco e, viste le diapositive raffiguranti Nadine (sic come sopra) afferma di NON aver visto la vittima, ma una donna bionda dai capelli cortissimi (corrispondente quindi in parte alla foto della patente di guida di Nadine), in compagnia di un uomo coi baffi. Il Biancalani consegna anche la copia del buono d’ordine, da cui i CC dovrebbero capire di aver preso un granchio, ma non lo fanno e nel rapporto del 14 settembre continuano a sostenere che Biancalani ha ricevuto un'ordinazione da una coppia di Montbéliard, che però non erano le vittime.

Ma il punto qui non è prendere un po’ in giro i carabinieri, bensì dare conto che, fino alle 18 del giorno 11 settembre, gli inquirenti sono certi che la domenica pomeriggio Nadine e Jean-Michel avevano visitato la Fiera di Bologna e quindi, lapalissianamente, erano ancora in vita.

Questa notizia errata può essere stata passata al Prof. Maurri già il 10 settembre, il che potrebbe spiegare, sempre in via di ipotesi, la sua virata da uno stato di incertezza a una decisa datazione alla domenica sera ancor prima di portare a termine le autopsie come meglio descritto nell’articolo precedente. In tal senso, la successiva notizia dell’avvistamento della domenica mattina alla Locanda Ponte agli Scopeti non poteva non leggersi come ulteriore conferma di una data già acquisita.

 

Nadine Mauriot, foto ds Insufficienza di prove

 

A margine, possiamo notare come i riconoscimenti fotografici possano essere fallaci. Se il Biancalani aveva sbagliato persona, altrettanto potrebbero aver fatto Borsi e Bonciani; ai quali peraltro non risulta, a verbale,  che siano state mostrate le misteriose diapositive nel frattempo disperse nei meandri della giustizia italiana.

E questo, per adesso, è quanto.



giovedì 8 agosto 2024

La datazione del duplice omicidio degli Scopeti: un inquadramento storico.

I dubbi sulla esatta datazione dell’ultimo duplice omicidio attribuito al Mostro di Firenze (settembre 1985, piazzola di Scopeti in comune di San Casciano) iniziarono fin da subito - e a dire il vero permangono alla data odierna. Il perché l’esatta datazione del delitto sia qualcosa di più che una quisquilia da “mostrologi” topi di biblioteca verrà spiegato alla fine dell’articolo. Procediamo ora con una cronistoria dei pareri, scientifici e non.

Su La Nazione del 10 settembre, ossia il giorno dopo il ritrovamento dei cadaveri, il titolo dell’articolo di Mario Spezi era già: “Trovati 20 ore dopo il delitto” [Nota 1. Il calcolo non è comunque corretto, poiché i cadaveri furono rinvenuti intorno alle ore 14 del lunedì 9 settembre e andando all’indietro di 20 ore si arriva all’improbabile orario delle 18 di domenica]; mentre nella stessa data, nella pagina precedente, il prof. Maurri, che aveva eseguito le autopsie in tutti i casi precedenti a partire dal 1974, dichiarava al giornalista Giovanni Morandi, che gli chiedeva quando i giovani fossero stati uccisi: “Non possiamo dirlo con certezza. La temperatura esterna e quella interna alla tenda sono diverse. Sbagliare di 12-20 ore su 60 è facile in queste condizioni. Forse sono stati uccisi nella notte tra il sabato e la domenica, forse nella notte tra domenica e lunedì” [Nota 2. Analoga la dichiarazione riportata dal corrispondente de “La Città”, il secondo quotidiano fiorentino]. Il giorno successivo, 11 settembre, Morandi doveva aver ricevuto altri e diversi input dagli inquirenti; infatti, in una ricostruzione generale del viaggio di Jean-Michel e Nadine fino alla notte dell’omicidio situava il delitto alla notte della domenica; e aggiungeva significativamente: “prima di mezzanotte, forse verso le 23”. In pari data, “La Città” attribuiva la sicura datazione allo stesso Maurri, che al giornalista Maurizio Di Mauro aveva detto: “Sono morti la notte tra domenica e lunedì. Su questo non vi sono dubbi”. L’assonanza tra queste dichiarazioni alla stampa e l’esito definitivo delle autopsia potrebbe far pensare che la decisione fosse stata già presa. Cosa fosse intervenuto tra il 9 e il 10 settembre per far propendere l’illustre luminare della medicina legale fiorentina per la data più tarda non è ben chiaro; tanto più che la perizia della vittima maschile doveva ancora essere eseguita [Nota 3. L’autopsia su Jean-Michel sarà eseguita nella mattina del giorno 11 settembre; e il cadavere della donna, l’unico in quel momento già sottoposto ad autopsia, era quello che mostrava i più avanzati segni di decomposizione e che non sarà utilizzato per stabilire il momento del decesso!].

Discordante il parere del prof. De Fazio e della sua equipe di criminologi, che nella sua relazione sul delitto di Scopeti [Nota 4. La copia in mio possesso non è datata] scriveva alla committente Procura di Firenze: “(...) sulla base dei riscontri tanatologici, l’epoca della morte è risultata collocabile nella notte tra il 7 e l’8 settembre (sabato/domenica)” purtroppo in modo apodittico, già dall’intitolazione del documento, senza motivare il suo dissenso dalla data stabilita dall’équipe Maurri. A quanto si legge sui giornali dell’epoca, De Fazio, medico legale, era arrivato in ritardo sulla scena del crimine, ma aveva comunque potuto esaminare i cadaveri, insieme al prof. Maurri, prima della rimozione e aveva, almeno in parte, assistito alle operazioni necroscopiche [Nota 5. Come da lui stesso dichiarato in aula, ad esempio nell’udienza del 11 gennaio 1998 al processo “Compagni di Merende”. Il lettore interessato al tema potrà farsi un’idea del grottesco e paradossale voltafaccia dei periti, che nel corso dei due processi (Pacciani e Compagni di Merende) avvenne su questo e altro, compulsando con attenzione la trascrizione dell’intera udienza, reperibile sul sito “Insufficienza di Prove”; a giudizio di chi scrive, uno spettacolo riprovevole. Ma si veda anche infra].


 

Vediamo allora in breve, senza scendere in questa sede in tecnicismi superflui, l’esito delle perizie autoptiche sulle vittime. I periti premettevano alle loro conclusioni che “un parere circa l’epoca della morte non può avere valore apodittico né di assoluta precisione e che anzi, pur nella corretta considerazione di tutti gli elementi a disposizione, errori in difetto o in eccesso sono sempre possibili e tanto maggiori quanto più lungo è il tempo trascorso dal momento presuntivo della morte a quello dell’esame del cadavere”. Successivamente, spiegavano di essersi basati per la valutazione tanatologica sulle condizioni del cadavere dell’uomo, in quanto la vittima femminile, rimasta nell’ambiente surriscaldato della tenda ed esposta all’azione della fauna cadaverica, presentava un’evoluzione anomala (nel senso di “sicuramente più rapida”) della putrefazione; il che è un argomento che sembra di buon senso, se non che, ai giornali fiorentini, Maurri aveva già genericamente parlato di “cadaveri (plurale) quasi illeggibili perché in avanzato stato di decomposizione”, ovvero senza distinguere tra vittima femminile e vittima maschile (e si veda anche la precedente Nota 3). In conclusione, forti del rilievo di un mancato intervento della fauna cadaverica sul corpo di Jean-Michel, [Nota 6: Lascia allora perplessi, in altra parte della perizia, l’annotazione che alla mezzanotte, all’Istituto di Medicina Legale, si osserva “un’iniziale deposizione e schiusura di larve di mosca”, come se le mosche carnarie fossero libere di svolazzare all’interno dei locali deputati alla conservazione dei cadaveri. Sembrerebbe più probabile che le uova fossero state deposte in loco e non rilevate nel primo sopralluogo] concludevano che “è probabile che il decesso dei due francesi sia da collocarsi nettamente prima della mezzanotte fra domenica e lunedì. In altre parole, al momento del primo sopralluogo medico-legale si ritiene che fossero passate 16-18 ore dalla morte di entrambe le persone”; considerando come orario del primo sopralluogo le ore 17 di lunedì 9, si risale quindi, con grande precisione, al periodo tra le 23 di domenica all’una di notte del lunedì. Questa perizia medico-legale, a firma Maurri, Bonelli e Cafaro, è tuttora nota ai non addetti ai lavori solo parzialmente e ha dato adito, in tempi recenti e sui social, a numerose polemiche che hanno segnalato apparenti incongruenze, con riguardo all’interpretazione discordante di dati tanatologici, quali il momento della risoluzione del rigor mortis sulla vittima maschile [Nota 7. Polemiche in cui non entriamo per ignoranza della materia. Per un’analisi nel dettaglio, si vedano “Delitto degli Scopeti. Giustizia mancata”, di Adriani, Cappelletti, Maugeri, ed. Ibiskos-Ulivieri e per la documentazione disponibile online il sito “Mostro di Firenze. Un caso ancora aperto” alla pagina https://www.mostrodifirenze.com/1985/09/11/10-11-settembre-1985-perizia-autoptica-di-nadine-mauriot-e-jean-michel-kraveichvili/]. Questa datazione, peraltro, era anche una conferma scientifica di quanto risultato dalle indagini, poiché la vittima femminile era stata riconosciuta dal suocero del gestore della pensione “Ponte degli Scopeti” per aver consumato un’acqua brillante al bar la mattina di domenica 8 settembre; il che, presumendo la certezza del riconoscimento, poneva con sicurezza il termine post quem del delitto in un momento successivo alle ore 11 di quella giornata. E’ pur vero che le, invero vaghe, dichiarazioni dei gestori erano state raccolte ufficialmente solo il 12 settembre dai CC della Stazione di Impruneta. E a tal proposito, ponendosi nella situazione di dubbio sistematico nella quale sempre deve situarsi, per principio, lo storico, si potrebbero ipotizzare due scenari. Il primo, che vi sia stata un’anticipazione informale che possa aver indebitamente influenzato l’esito della perizia: sapendo che le vittime erano al bar la domenica mattina, non potevano essere state uccise prima della domenica sera. Il secondo, che la previa diffusione giornalistica del parere di Maurri orientato sulla domenica sera come data del delitto, abbia convinto i testimoni, inizialmente dubbiosi, di veramente aver visto la coppia francese. Si tratta di illazioni qui formulate senza nessuna pretesa di verità. La terza ipotesi, che non si può per ora scartare, è ovviamente che sia Maurri che i testimoni ci abbiano visto giusto, i ragazzi erano vivi la domenica mattina e tutto è andato secondo quanto emerso dai processi.

Dal nostro punto di vista di osservatori non specialisti, può essere interessante notare che il risultato della perizia non fu forse del tutto condiviso già all’epoca nell’ambito dell’istituto di Medicina Legale. Infatti, su “La Nazione” (28 dicembre 1985) un articolo di Mario Del Gamba, nel dare la notizia del deposito della perizia autoptica, dopo aver ricostruito quella che sarebbe poi diventata la versione ufficiale del delitto, riferiva: “Un unico dubbio da parte dei periti riguarda il giorno del delitto. Si ritiene che sia avvenuto nella notte tra l’8 e il 9 settembre, probabilmente prima della mezzanotte, ma non è esclusa, anche se giudicata meno probabile, la possibilità che sia stato compiuto la notte tra il 7 e l’8”. [Nota 8. Questa incertezza di fondo è stata confermata, molti anni dopo, dal prof Marello, dell’istituto di medicina legale di Firenze, non firmatario della perizia autoptica, il quale riferisce che “ci fu una grande discussione non soltanto tra i periti, ma anche tra noi della medicina legale. L’aver attribuito la morte alla domenica fu una spinta del prof. Maurri, che era il più esperto tra di noi e ha avuto l’ultima parola in proposito …”; si veda Mostro di Firenze – Al di là di ogni ragionevole dubbio di Cochi – Bruno – Cappelletti, pag. 259].


 

Un altro parere discordante venne dato qualche mese dopo dal colonnello dei Carabinieri Nunziato Torrisi, all’interno del suo Rapporto Giudiziario del 22 aprile 1986, con il quale individuava Salvatore Vinci come autore di tutti i delitti dal 1968 al 1985. Nel Rapporto il colonnello osservava, pur ammettendo di non essersi trovato sul posto e di basarsi solo su rilievi fotografici, che lo stato dei cadaveri indicava piuttosto come data del delitto la notte del sabato senza neppure escludere quella del venerdì. E’ da tener presente, in tutti i casi, che la spinosa questione dei controversi alibi di Salvatore Vinci potrebbe aver indirizzato l’investigatore verso questa valutazione critica della versione ufficiale. Ispirato dal lavoro investigativo di Torrisi, il giudice Rotella nella sua sentenza del 1989, scriveva che dell’alibi di Salvatore Vinci “non mette conto di parlarne, per la ragione semplicissima che non si è in grado di stabilire con certezza l'ora e nemmeno il giorno esatto della consumazione (sabato o domenica) (scil. del delitto di Scopeti)”. E’ peraltro sorprendente che Torrisi, nel formulare le sue ipotesi, non tenesse in alcun conto le testimonianze dei gestori del bar sopra accennate e che dovevano essergli ben note.

La questione tornò a essere di attualità nel corso del processo in Corte di Assise contro Pietro Pacciani; ma il prof. Maurri non poté che confermare le conclusioni raggiunte a suo tempo. Una possibile disamina più accurata in aula venne di fatto impedita dalle discussioni tra il Presidente Ognibene, l’avvocato Bevacqua e il P.M. Canessa. Anche se Pietro Pacciani non aveva alcun alibi valido neppure per le notti del 6 e 7 settembre [Nota 9. Come risultava dalle SIT del 19 settembre 1985, contrariamente a leggende diffuse su mezzi di informazione e social molto tempo dopo], all’accusa faceva gioco confermare la data di domenica 8, in quanto il teste Lorenzo Nesi affermava di aver visto l’imputato passare in auto su via degli Scopeti proprio in quel torno di tempo. La difesa tentò di far sorgere nella giuria dubbi sull’effettiva data, ma in modo inefficace, senza presentare proprie consulenze a carattere scientifico, tanto che nella sentenza venne affrontato in realtà soltanto il problema del giorno di spedizione della nota lettera con il lembo di seno a Silvia Della Monica e non si mise in discussione la datazione ormai consolidata del delitto, accogliendo in toto le argomentazioni svolte nella perizia autoptica e basandosi sulle testimonianze già ricordate.

Nei motivi di appello, l’avv. Bevacqua ripropose il dubbio sulla data dell’ultimo duplice omicidio, ma sempre basandosi sulla indicazione (sabato 7 settembre) data dall’equipe De Fazio e sottolineando l’incertezza della prima testimonianza dei gestori della pensione “Ponte agli Scopeti”. La Corte, pur assolvendo Pacciani, con una sentenza poi annullata dalla Cassazione per tutt’altri motivi, confermò senza approfondimenti la data del delitto alla sera della domenica, ritenendo ragionevolmente più affidabile la valutazione di chi aveva materialmente eseguito l’autopsia e firmato la relazione autoptica rispetto a chi aveva solamente visto i cadaveri e assistito, da esterno, alla necroscopia. Quindi, riassumendo, abbiamo al momento il contrasto tra due pareri scientifici: Maurri che propende per la domenica, De Fazio e alcuni componenti della medicina legale di Firenze che propendono per il sabato; mentre l’unico dato testimoniale preciso orienta per la domenica.

Tuttavia, vi era un particolare che, all’epoca, era sfuggito a quasi tutti. Dobbiamo a questo punto fare un breve passo indietro e introdurre nella trattazione la figura della scrittrice inglese Magdalen Nabb. Scrittrice di gialli, residente da tempo a Firenze e quasi toscana di adozione, la Nabb aveva già pubblicato, sia in inglese che in italiano, una serie di romanzi polizieschi aventi per protagonista il maresciallo dei carabinieri Guarnaccia. Per dare un quadro credibile dell’ambiente e del modo di lavorare dei carabinieri in campo investigativo, la Nabb era entrata in contatto con alti ufficiali dell’Arma, con i quali aveva poi stabilito rapporti di amicizia e confidenza [Nota 10. Il suo dodicesimo libro della serie (Some bitter taste, 2002) reca un esplicito ringraziamento “al Generale Nicolino D’Angelo, per il suo prezioso, consueto aiuto per quanto riguarda l’Arma dei Carabinieri”]. In una serie di interviste ancora reperibili in rete (si veda la pagina web http://italianmysteries.com/nabb-interview-01.html in particolare la parte 8.), la scrittrice spiega la genesi del suo interesse per il caso del Mostro di Firenze, che l’avrebbe portata poi a scrivere un romanzo, sempre con protagonista il maresciallo Guarnaccia, mai tradotto in italiano. Un brano dell’intervista merita di essere citato: “Il Sunday Times a Londra fece un grosso servizio, prima (NdA: Il riferimento è agli anni in cui era in corso l’indagine su Pietro Pacciani antecedente al processo). E la giornalista che lo stava scrivendo venne da me. Molti giornalisti lo fanno quando devono coprire casi criminali, perché sanno che io ho i contatti giusti. La portai a Borgo Ognissanti e la presentai a varie persone. Fece un grosso servizio e tornò di nuovo mentre Pacciani era sotto giudizio per quei crimini, tornò e rivedemmo i detective che avevamo incontrato nella visita precedente; ci furono discussioni sulla data della morte di due vittime. Il fatto che le uova delle mosche si erano schiuse e le larve si nutrivano dei cadaveri suggeriva che l’epoca della morte fosse da situare 24 ore prima di quella ufficiale. (...) Una persona era a giudizio come serial killer e io ero in possesso di informazioni che potevano essere utili alla difesa. Le portai ai suoi avvocati, ma sfortunatamente dissero che conoscevano poco il caso poiché andava così indietro nel tempo [Nota 11. Qui la Nabb si riferisce alla preistoria dell’indagine relativa a Salvatore Vinci, ossia il suicidio - o presunto omicidio - della di lui moglie Barbarina Steri (1960)] e non potevano studiarlo nel poco tempo disponibile. (...) Decisi di fare uso della stampa; diedi le informazioni a un giornalista che seguiva il caso dall’inizio [Nota 12. Si tratta dell’onnipresente Mario Spezi, che a sua volta diede una concordante versione die fatti nel suo romanzo Dolci colline di sangue, dove il personaggio di Ethel nasconde appunto la Nabb] e lui pubblicò una serie di articoli giornalieri durante il processo di appello.” In sostanza, la Nabb, scettica in merito alla colpevolezza di Pacciani, aveva condotto una contro-inchiesta, utilizzando documentazione che le era stata fornita dai carabinieri, l’aveva proposta alla difesa Pacciani e, giacché non era stata utilizzata, l’aveva passata a Mario Spezi, che ne fece un’inchiesta giornalistica, pubblicata sul quotidiano “La Nazione”. 


 

Abbiamo conferma di questa versione da una lettera di Magdalen Nabb, inviata all’avv. Bevacqua in data 6 settembre 1995, nella quale si legge testualmente: “Durante le mie ricerche, svolte con l’aiuto dei carabinieri, sono emersi fatti e documenti che potrebbero risultare molto utili al suo cliente quando il caso va in appello e sono stata consigliata di mettermi in contatto con Lei”. Segue l’indicazione, come referenza, di un ufficiale superiore dei carabinieri di stanza a Borgo Ognissanti. Di più specifico interesse per il tema che stiamo trattando è un fax inviato sempre all’avv. Bevacqua il 29 gennaio 1996. Vi erano allegate 8 pagine tratte dalla “Rivista italiana di medicina legale”, nelle quali si presentava una metodologia di determinazione dell’epoca della morte basata sullo sviluppo medio delle larve di calliphora erithrocephala, avuto riguardo alla temperatura media di esposizione [Nota 13. Erano pagine estratte dall’articolo di Introna  F  Jr., Candeloro  D, Stasi  A M. Determinazione dell'epoca della morte mediante analisi matematica della durata dei cicli di Calliphora erythrocephala . Riv It Med Leg 1991 pag. 567-74. Questi documenti dall’archivio privato di Magdalen Nabb mi sono stati gentilmente forniti dal di lei figlio Liam.

 




 

L’interesse tardivo di Bevacqua era certamente stato destato dalla lettura di una serie di articoli di Spezi, in particolare quello del 23 gennaio, ove il giornalista scriveva: “Basandosi sullo stato del cadavere dell’uomo i periti fanno risalire la morte alla sera precedente, ma ad almeno sedici ore prima. L’allora capo della squadra Antimostro Sandro Federico e il medico legale Mauro Maurri notano che su di lei si sono già formate le larve di mosca carnaria. (...) Siamo tornati all’Istituto di medicina legale e abbiamo posto alcune domande allo stesso dottor Maurri sul ciclo riproduttivo di questo insetto (...)” La risposta di Maurri, come riportata nell’articolo, è che “se la media è di quarantotto ore, il valore minimo, secondo la nostra esperienza, non scende sotto le 36 ore”. Con una risposta di tal tenore, Maurri non si accorgeva di stare smentendo se stesso. Infatti Spezi ne dedusse che il delitto era stato commesso la sera del sabato 7 anziché la domenica 8, per cui le testimonianze (in particolare Nesi) che situavano Pacciani nei pressi di Scopeti la sera di domenica perdevano rilevanza. Erano comunque indicazioni temporali ancora grossolane, come vedremo in seguito. Ad ogni modo, il fax della Nabb arrivò a Bevacqua troppo tardi perché l’entomologia forense potesse entrare da protagonista nel processo di appello; questo almeno sembra potersi dedurre dal fatto che non ve ne è cenno alcuno nella sentenza del giudice Ferri che assolse Pacciani, mentre le trascrizioni delle udienze del processo di appello sono rimaste, per qualche strana ragione, ignote ai più. Resta però chiaro - attraverso l’intervento di Spezi mediato dalla Nabb - che almeno una certa componente dei Carabinieri, ancora nel 1996, continuava a non credere nella colpevolezza di Pacciani [Nota 14. Negli ultimi anni, all’epoca dell’uscita del suo romanzo, Spezi ripeteva questo concetto come un mantra, in ogni intervista] e si serviva, per smontare l’ipotesi processuale portata avanti dalla Procura, degli indizi che portavano a una retrodatazione di Scopeti.



 

 


Di maggior peso fu invece la discussione sul punto nel corso del processo “Vanni più altri”, in quanto il teste Pucci e il correo Lotti avevano situato con esattezza la loro presenza / partecipazione al delitto alla domenica 8 settembre. Contestare vittoriosamente quella data avrebbe significato sconfessare praticamente in toto la loro testimonianza. A ciò si impegnarono gli avvocati incaricati della difesa di Mario Vanni, Filastò e Mazzeo, che, nell’udienza del 6 novembre 1997, controinterrogarono a lungo i medici legali Maurri e Cafaro, facendo rilevare lo stato di avanzata decomposizione dei corpi e il parere opposto dei periti di Modena. Senza alcun successo, poiché la sentenza così si espresse sul punto. “E' da escludere, invece, che l'ora della morte dei due giovani possa risalire alla notte precedente tra sabato e domenica, come hanno affermato, in un'altra perizia collegiale, i periti proff. De Fazio, (...), nell'ambito di un diverso incarico ricevuto a suo tempo (...).Tale tesi non appare infatti condivisibile per due ordini di ragioni: - in primo luogo, perché la loro affermazione e stata fatta in via del tutto incidentale e comunque senza preventive indagini dirette sui cadaveri, come ha specificatamente riconosciuto lo stesso prof. De Fazio all'udienza del 12.1.98, quando ha riferito sul punto: "...nessuno di noi ha esaminato ..il cadavere...Noi assolutamente non abbiamo svolto alcuna indagine diretta sui cadavere ..."; [Nota 15. In udienza il Prof. De Fazio rispose in modo molto evasivo, contraddicendo la sicurezza con cui aveva ipotizzato la data del delitto nella relazione di cui già si è parlato. Su “La Nazione” del 10 settembre 1985, Sandro Bennucci aveva scritto: “ Il professor De Fazio ha esaminato e riesaminato più volte i corpi martoriati, insieme al professor Maurri, il medico legale”] - in secondo luogo, perché i due giovani francesi furono visti in vita la mattina di quella domenica 8 settembre, quando si recarono verso le "ore 11" a far colazione presso un bar poco distante ed esattamente presso il bar della pensione "Ponte agli Scopeti" sito a circa due km da Tavarnuzze, dove consumarono una ricca colazione a base di panini ed affettati, come hanno appunto riferito i testi Borsi Igino e Bonciani Paolo, che li servirono e che, a delitto avvenuto, riferirono subito la circostanza ai Carabinieri, dove si recarono il successivo 12 settembre”. Insomma, prevalse anche in questo processo la prova testimoniale e la valutazione scientifica non venne adeguatamente approfondita, né nel dibattito né nelle motivazioni della sentenza.

Nel presentare i motivi di appello, Filastò ritornò sulla questione della data, richiamando la testimonianza in Corte d’Assise di Sabrina Carmignani, (si veda l’udienza del 30 giugno 1997, sempre su Insufficienza di prove), la quale aveva affermato, essendosi fermata in auto presso la tenda il pomeriggio di domenica, di aver sentito cattivo odore “cioè, più che altro dava l'impressione se c'è qualche animale morto da giorni, ecco, più o meno quello.” Si trattava però di null’altro che dell’impressione, forse anche tardiva, di una testimone (particolare peraltro neppure fatto verbalizzare nell’immediatezza; ma si veda qui l’articolo giornalistico contemporaneo ai fatti, tratto da La Città del 10 settembre 1985) e la Corte ebbe agio di ribattere, in sentenza, che “la testimone (...) nulla ha visto e (...) contrasta in maniera nettissima con le dichiarazioni dei testi Borsi e Bonciani, i quali hanno dichiarato che la domenica mattina 8 settembre servirono un’abbondante colazione ai due turisti francesi che quindi allora erano ancora vivi e vegeti.” In sostanza, la precisa testimonianza visiva prevaleva ovviamente sull’impressione olfattiva e quanto all’analisi scientifica dei dati tanatologici la Corte si richiamava al parere dei medici legali già sentiti in primo grado.



 

Passata in giudicato, nel 2000 con la conferma delle condanne di Vanni e Lotti, la sentenza “Compagni di merende”, Spezi non si diede per vinto e fornì i materiali di cui disponeva al giornalista televisivo Pino Rinaldi, che lavorava per “Chi l’ha visto”. Concentrandosi sugli aspetti medico-legali della faccenda, i due chiesero un parere al prof. Francesco Introna, specialista di entomologia forense dell’Università di Bari [Nota 16. Uno degli autori dell’articolo scientifico che la Nabb aveva inviato a Bevacqua nel gennaio 1996]. Il parere del luminare fu che le larve visibili sulle fotografie del cadavere della donna al momento del primo sopralluogo (ore 17 del lunedì), essendo sia in I che III instar, non potevano essere state deposte sulla salma da meno di 36 ore [Nota 17. In perfetta coincidenza con quanto candidamente aveva ammesso Maurri intervistato da Spezi nel 1996], per cui si risaliva, per la ovodeposizione, alla mattina della domenica 8 e conseguentemente, per il delitto, alla notte tra sabato 7 e domenica 8. Il tutto quindi era da anticiparsi di un giorno, il che costituiva conferma, mediante l’entomologia forense, del parere sintetico dato dall’équipe de Fazio nell’immediatezza del delitto.

Della novità giornalistica approfittarono gli avvocati Filastò (già legale di Vanni) e Marazzita (che era intervenuto con successo al processo di appello contro Pietro Pacciani), i quali l’anno successivo richiesero la revisione del processo contro Vanni (Lotti era nel frattempo morto in carcere), apportando vari argomenti che, a loro dire, non erano stati presi in considerazione dalla Corte, in primo luogo l’esame del quadro cronotanatologico alla luce delle nuove acquisizioni scientifiche dell’entomologia forense, illustrate da una perizia fornita all’uopo dal prof. Introna. La Corte di Appello di Genova, funzionalmente competente, si limitò a osservare che l’istanza non presentava nuove prove, ma soltanto una diversa valutazione di prove già esaminate in dibattimento (le fotografie del cadavere della vittima femminile e la relazione autoptica Maurri- Bonelli - Cafaro) e che pertanto non vi erano gli estremi previsti dalla norma per una revisione del giudicato. E in effetti le larve di mosca erano state viste e descritte nella perizia del 1985, senza però trarne particolari deduzioni in merito all’epoca della morte, forse perché l’applicazione in Italia della particolare disciplina era agli esordi.


 

Dopo il 2003 la questione rimase dormiente per lunghi anni finché, nel 2015, il documentarista Paolo Cochi portò a termine un’inchiesta che riportava il parere di vari medici legali ed entomologi forensi, ai quali aveva sottoposto le foto di ambedue i cadaveri tratte dai fascicoli della polizia scientifica. [Nota 18. Inchiesta condensata poi in un reportage televisivo diffuso online,Scopeti -l’ultimo delitto del mostro, e in un volume, Al di là di ogni ragionevole dubbio (di più autori) Enigma Edizioni 2016, poi con autore unico e stesso titolo per Runa Edtrice 2020] Due entomologi e tre medici legali interpellati [Nota 19. Rispettivamente i medici legali Giorgio Bolino, Carlo Campobasso, Antonio Osculati e gli entomologi Carlo Vanin e Simonetta Lambiase; inoltre Giovanni Marello, già citato. Una più dettagliata analisi della questione si può leggere nel blog “Calibro 22” all’indirizzo: http://calibro22.blogspot.com/2015/06/ultima-fermata-scopeti.html. Rimando inoltre al mio articolo “Mosche a Scopeti” (http://mostrodifirenzevolumei.blogspot.com/2015/10/mosche-scopeti-1.html e pagg. seguenti, ottobre 2015, su questo blog], avendo esaminato le foto dei cadaveri mostrate dal documentarista, concordarono che era impossibile che al momento del sopralluogo fossero passate solo 18 ore dal decesso, come afferma la versione ufficiale. Di contro, diamo atto del parere avverso della entomologa Denise Gemmellaro, che in una recente intervista concessa al canale YouTube “Le notti del Mostro”, reperibile online, si è dimostrata scettica sulla possibilità di definire esattamente lo stadio evolutivo delle larve basandosi solo su reperti fotografici. Come noto a chi ha seguito la vicenda, vi sono mosche che depongono larve vive anziché uova, il che abbrevia notevolmente il ciclo di sviluppo. Ma nella stessa intervista, la Gemellaro afferma: “io magari, vedendo magari centinaia di larve al giorno, posso magari avere un’idea, perché ormai l’ho vista, la conosco, ok, questa è sicuramente una L3 (NdA: L3 è equivalente a Instar III)”. Quindi, a parere della dottoressa, sarebbe possibile a un entomologo forense fornire un parere esperto, non avente valore giudiziario, sullo sviluppo di larve viste in fotografia; ed è proprio quello che hanno fatto gli specialisti intervistati da Paolo Cochi. Insomma, sembra chiaro che nel 1985 non ci fu alcuna valutazione entomologica dei cadaveri, il che rende la situazione irrecuperabile dal punto di vista giudiziario, ma comunque suscettibile di diverse interpretazioni quando si affronta la ricostruzione storica dell’accaduto.

Oltre alla valutazione scientifica, vi sono altre considerazioni di buon senso, che elenchiamo ora brevemente, seguendo fondamentalmente il seminale volume già citato di Adriani e Cappelletti, e che possono indurre a dubitare della data del delitto e, conseguentemente, della veracità della testimonianza di Lotti e Pucci.

In primo luogo, posto che un testimone vide i due giovani piantare la loro tenda nella piazzola degli Scopeti nel primo pomeriggio di venerdì 6, non sappiamo immaginare cosa li avrebbe indotti a rimanere in loco per due giorni e mezzo e per di più rimanendo chiusi in tenda o aggirandosi a piedi per la campagna sia il sabato mattina che la domenica pomeriggio. E’ singolare infatti che più testimoni abbiano visto la tenda e l’auto nella stessa posizione in due diverse occasioni e sempre senza traccia degli occupanti. O meglio, vi è un particolare inquietante: la teste Sabrina Carmignani, intervistata dal corrispondente de La Nazione il giorno 11 settembre, aveva detto di aver intravisto all’interno della tenda “la forma di una persona sdraiata, forse addormentata”; sensazione riferita anche alla P.G. nel SIT del giorno precedente. Non venne verbalizzato invece il “cattivo odore di animale morto da tempo” di cui la teste parlerà al processo ai Compagni di Merende. In compenso, è lo scopritore del delitto, Luca Santucci, che verso le due del pomeriggio, in prossimità del cadavere di Jean-Michel nota un forte ronzio di mosche e avverte un cattivo odore che gli fa pensare a un gatto morto. Ma ormai siamo al pomeriggio del 9 settembre.

Nadine Mauriot gestiva a Montbéliard un negozio di scarpe e lo scopo del viaggio, oltre una breve vacanza in Italia, era una visita alla Fiera campionaria della calzatura di Bologna, in programma da venerdì 6 a lunedì 9 settembre; ma non risulta che le due vittime vi siano mai arrivate. La donna conservava gli scontrini, forse per motivi fiscali o altro, ma gli scontrini autostradali si arrestano con l’uscita dell’auto al casello di Rapallo mercoledì 4 settembre, mentre l’ultimo scontrino commerciale ritrovato, rilasciato da una tavola calda di Pisa, risale al primissimo pomeriggio di venerdì 6. Ovviamente non si può escludere che altri scontrini o documenti cronologicamente successivi si trovassero in un qualche portaoggetti o borsa portato via dall’assassino o da terzi dopo il delitto. Per retrodatare il delitto sulla base di queste considerazioni occorre però necessariamente contestare la genuinità del riconoscimento da parte del duo di gestori della Locanda agli Scopeti risalente alla domenica mattina. In realtà il quadro non è così pacifico come sarebbe poi sembrato ai giudici; il suocero vede “molto probabilmente” (così nelle SIT di Igino Borsi del 12 settembre 1985) la donna, il genero l’auto Golf bianca, ma non vi è traccia di Jean-Michel; i particolari riferiti molti anni dopo nei processi (un’abbondante colazione) sono accrescitivi e da prendere cum grano salis. La donna viene descritta con i capelli corti, come nella foto della patente di guida riportata sul giornale, ma all’epoca della morte Nadine aveva i capelli sulle spalle; come sappiamo, in altra pagina de La Nazione vi era una foto più recente di Nadine, con capelli più lunghi, per cui la questione del riconoscimento deve restare aperta, nel senso che rimane una possibilità che vi sia stato, in perfetta buona fede, uno scambio di persona. Preferisco invece considerare non dirimenti, né in un senso né nell’altro, le testimonianze tardive e in parte contraddittorie dei collaboratori della Festa dell’Unità di Cerbaia presentate dalla difesa Vanni, ritenendo che a quella distanza di anni non si sia in grado di ricordare con precisione in che sera della settimana un evento abbia avuto luogo. Anche l’argomento che Nadine avrebbe voluto essere di ritorno a casa entro la domenica sera per accompagnare la figlia in occasione del primo giorno di scuola non è a mio parere cogente (rimando per maggiori dettagli al mio articoletto “Ancora sulla data di Scopeti” http://mostrodifirenzevolumei.blogspot.com/2015/11/ancora-sulla-data-di-scopeti.html).

Considerato tutto quanto sopra, a me rimane una domanda senza risposta. Come fece Maurri a optare per una data certa (domenica), prima di effettuare l'autopsia sulla vittima maschile, il cui esame autoptico sta alla base della data stessa, giacché le considerazioni sullo stato della vittima femminile vennero scartate a causa dell'alta temperatura della tenda, fenomeni putrefattivi accelerati eccetera?




 

Imbocco, viottola e piazzola di Scopeti allo stato del 2013

 

E’ il momento di concludere: De Fazio, trascurando successivi aggiustamenti opportunistici, fu il primo a situare decisamente la data del delitto a sabato 7; Torrisi propose una possibile datazione al venerdì 6. Vi fu poi la pista entomologica, anticipata dal duo Nabb – Spezi - ai quali va dunque riconosciuta un’importante primazia - riproposta da Filastò e infine riportata in auge da Paolo Cochi. Vi sono stati tentativi di smentirla, a mio parere poco convincenti. Anche indipendentemente dall’entomologia, il quadro indiziario, come delineato soprattutto in Adriani – Cappelletti, sembra confermare una maggiore probabilità per una retrodatazione. [Nota 20. Ma vi sarà sempre chi accetta la retrodatazione, ma ipotizza, per salvare capra e cavoli, improbabili scenari di guardianaggi ai morti e/o Lotti e Pucci e magari altri interessati allo spettacolo]

Ma cosa comporterebbe, in fine, la possibilità che i due testimoni della domenica abbiano sbagliato persona e Maurri abbia erroneamente determinato la data della morte di Nadine e Jean-Michel? Le testimonianze di Lotti e Pucci, già traballanti per molti altri motivi, verrebbero caducate, per lo meno per quanto riguarda la narrazione dell’ultimo delitto, pur non intaccando il precedente quadro indiziario acquisito dalle indagini contro Pietro Pacciani, che, come abbiamo detto, non era in grado di presentare alibi validi per nessuna delle sere dal 6 al 8 settembre. Si tornerebbe in sostanza alla situazione di dubbio precedente il processo indiziario del 1994. E’ un passo indietro che la giustizia forse non potrà più fare, ma la storiografia può comunque, per amore di verità, ancora proporre. 

 

P.S. Importante: da qualche tempo Blogger permette di commentare solo entrando nella pagina con Google Chrome; almeno così mi sembra di capire. Quindi se qualcuno ha qualcosa da dire o correggere, ne tenga conto. Astenersi Hazet. 

venerdì 19 luglio 2024

Brevi considerazioni in risposta a Reimarus

 Mi scrive Reimarus, a proposito del recentissimo volume di Rinaldi / Torrisi dal lapalissiano titolo "Il Mostro è libero (se non è morto)" [lapalissiano in quanto non mi risulta che alcuno sia attualmente imprigionato per i delitti del MdF, quindi, se il S.I. è vivo, è libero; se il S.I. non era ignoto ed era uno dei condannati, essi sono tutti morti, quindi non sono liberi e ciò si estende anche, per l'inesorabile scorrere del tempo, alla gran parte dei sospettati].

Orbene, scrive Reimarus:

E' da poco uscito in libreria "Il mostro è libero (se non è morto)", coautori il giornalista Pino Rinaldi (che già in precedenza si era espresso sul caso, manifestando il proprio scetticismo verso la verità giudiziaria e sembrando propendere per un serial killer unico non toccato dalle indagini) e l'ufficiale dei CC in pensione Nunziato Torrisi. L'opera riprende, in modalità divulgativa, la tesi sostenuta nel "rapporto Torrisi", secondo la quale il MdF s'identifica in Salvatore Vinci. Lo schema argomentativo sembra poter riassumersi come segue:
- Stefano Mele era sicuramente presente sulla scena del delitto allorquando fu commesso nel 1968 il duplice omicidio Locci - Lo Bianco;
- le caratteristiche del personaggio (ad es. oligofrenia, mancanza di mezzi di locomozione che non siano, al più, una bicicletta, mancanza di qualsiasi confidenza con armi da fuoco) rendono tuttavia certo che lo stesso non possa ritenersi l'autore principale del delitto, ma solo un concorrente in posizione nettamente subordinata, con funzione sostanzialmente di capro espiatorio;
- l'autore principale del delitto va ricercato tra persone cui il Mele era strettamente legato, quindi nell'ambiente del "clan dei sardi" (intendendo i parenti del Mele, i parenti della Locci, gli amanti della Locci);
- da considerazioni relative alla personalità e alla storia degli appartenenti al predetto ambiente, come anche da una valutazione critica delle dichiarazioni pur contraddittorie rese nel corso del tempo dal Mele, si evince che autore principale del delitto del 1968 sia Salvatore Vinci;
- dall'identità tra la pistola con la quale furono uccisi Locci - Lo Bianco e la pistola con la quale furono commessi i duplici omicidi della sequenza 1974-1985 discende che anche di questi ultimi debba considerarsi responsabile Salvatore Vinci, il cui profilo appare compatibile con quello di un serial killer.
Il problema che emerge in relazione a questa ricostruzione, per quanto è dato riscontrare anche dall'esposizione divulgativa che ne fa il Rinaldi, è che, a parte la pistola, non è emerso alcun elemento che colleghi concretamente Salvatore Vinci alla scena di uno qualsiasi dei sette duplici omicidi del 1974-'85. Con riguardo al duplice omicidio degli Scopeti, poi, commesso quando il Vinci era già da tempo attenzionato dalle FF.OO., si è argomentato che sarebbe stato un pericoloso azzardo per il Vinci commettere un duplice omicidio in quelle condizioni e che sarebbe perciò improbabile che egli ne sia il responsabile. [fine citazione]

Ho già espresso in varie occasioni (e contro le mie iniziali convinzioni, cristallizzate nel volume del 2013) dubbi sulla presenza del Mele sulla scena del delitto; fondamentalmente perché Mele non sa chi è l'omicida; o meglio dice di saperlo, ma indica molto semplicemente i soggetti che lui sospetta o che gli vengono additati dallo sviluppo delle indagini stesse. Il modo più semplice per spiegare questo continuo indicare altri colpevoli, che continua, si badi, fin oltre la chiusura ufficiale della pista sarda, è pensare che effettivamente non sappia chi sia l'assassino; il che, ovviamente, non esclude nessuno dei noti, ma neppure degli ignoti. 

Premesso che non conosco le argomentazioni specifiche per sostenere la compatibilità di Salvatore Vinci con un profilo di serial killer, lo stesso sembra molto lontano dalla psicopatia, a meno che non ci si riferisca a qualche mania del controllo che potrebbe evincersi da alcuni episodi raccolti da Torrisi e a meno che non si voglia sostenere, in maniera sostanzialmente bigotta, che qualsiasi parafilia sessuale, di cui il nostro fa ampio sfoggio, sia equivalente a psicopatia sexualis. Ma su questi argomenti so poco, quindi non sono in grado di dire la mia  con sufficiente cognizione di causa.

Quanto all'obiezione prospettata da Reimarus, in merito all'eccessivo pericolo che Salvatore Vinci avrebbe corso uccidendo anche nel 1985 quando era (quanto strettamente?) controllato, ho già opposto tale rilievo a vari mostrologi salvatorvincisti, ricevendone la risposta che i controlli erano blandi e temporalmente limitati. Ma il retropensiero dei sostenitori di quell'ipotesi è che, essendo Salvatore Vinci un genio del male, per il quale "se non c'è errore non c'è rischio", ha in qualche modo infinocchiato i caraninieri. Rimaniamo quindi nella sfera dell'improbabile, ma non dell'impossibile.


Reimarus scrive inoltre:

L'ipotesi perorata nel testo di Rinaldi - Torrisi, ossia la pista sarda nella particolare declinazione "salvatorvincista", è oggetto di considerazione critica nel video "Mostro di Firenze - cambio di prospettiva - terza parte", sul canale Youtube di Flanz Vinci. L'oratore "senza volto" di "Cambio di prospettiva", poi ricomparso, come "Giovanni", in una trasmissione di Florence International Radio, senza intrattenersi sulla "verità giudiziaria", riduce il problema sostanzialmente all'alternativa tra serial killer unico non toccato dalle indagini (che egli e altri che hanno cooperato nella sua ricerca ritengono sia un poliziotto o un carabiniere che, espulso dal corpo di appartenentenza, ha agito con finalità "rivendicative", ossia per vendetta nei confronti un mondo che lo ha respinto) e clan dei sardi. Dando per acquisito che la pistola è sempre la stessa ("ci sono le foto": "contra" le argomentazioni di C.Palego) e dismettendo l'ipotesi di una pistola gettata via e recuperata da qualcun altro ("contra" A. Segnini), perché resta il problema dei proiettili, considerando assiomatico che la pistola con la quale è stato commesso un omicidio non possa essere passata di mano, il sostenitore del cambio di prospettiva formula, per quanto concerne la pista sarda, alcune considerazioni, prevalentemente "sociologiche" per quanto concerne le dichiarazioni, ritenute inattendibili, di S. e N. Mele, in ordine alle quali Giovanni richiama la prassi investigativa dell'epoca e la formazione "fascista" degli inquirenti di allora, (in sostanza adombrando l'ipotesi che i due siano stati imbeccati/condizionati dagli inquirenti e che le stesse verbalizzazioni non siano ineccepibili); quindi afferma, rimandando alla letteratura scientifica sull'argomento, l'inattendibilità della prova del guanto di paraffina, e, per quanto concerne le dichiarazioni di N. Mele, rileva che le stesse non furono rese con le garanzie e nelle condizioni oggi previste per testimoni di quell'età. A queste considerazioni, Giovanni aggiunge un'argomentazione che è in sostanza la seguente: poiché né Francesco, né Salvatore Vinci possono essere il MdF (essenzialmente perché attenzionati dopo il duplice omicidio del 1982), allora né F. e S. Vinci, né S. Mele possono essere responsabili del duplice omicidio del 1968. Tuttavia, egli, essenzialmente per giustificare il tragitto compiuto da N. Mele fino a casa De Felice (sul quale in verità Giovanni "sorvola") e la ricomposizione del cadavere della Locci, adombra l'ipotesi che S. Mele sia capitato sulla scena del delitto poco dopo la commissione dello stesso. [fine citazione]

 

Va bene; posso concordare in parte, ma farei alcune osservazioni. 

Che la perizia balistica Zuntini 1968 non contenga alcuna foto dei reperti mi sembra facilmente desumibile dal fatto che tali foto non vengano mai citate nel corpo della perizia; forse qualcuno si è fatto ingannare dalla nota di consegna (a P.L.Vigna), che nomina delle foto in restituzione, presumibilmente le foto scattate dalla scientifica sulla scena del crimine. Del resto, mi sembra che anche nel 1974 l'elaborato di Zuntini non sia illustrato da foto, ma da un disegnino esplicativo. Quanto al Mele sopraggiunto a posteriori, essendosi messo, magari in bicicletta, alla ricerca dei congiunti, l'ipotesi non è farina del sacco di Giovanni, ma scaturita dalla fervida immaginazione di Canessa (e/o Perugini), che doveva mettere d'accordo due per lui capisaldi: colpevolezza di Pacciani anche per Signa e presenza del Mele sul posto (perché conosceva il numero dei colpi [vabbé su questo sorvolo, per me è argomento a discarico], la freccia accesa ed altro). Ipotesi ampiamente ridicolizzata dal giudice Ferri mi sembra nel suo libro, se non addirittura in sentenza.

Passando ad altro argomenti, Reimarus scrive:

L'Autore del blog, a fronte dell'invito formulatogli da A. Segnini a segnalare le criticità della ricostruzione che della figura di Lotti ha fatto lo stesso S., rovescia a buon diritto l'invito, rivolgendo la medesima sollecitazione con riguardo alla visione che l'Autore del blog ha del Lotti (falso testimone, mosso da un insieme di timori e di allettamenti). Lo stesso espediente dialettico può essere adottato a fronte di un eventuale interrogativo sulla spiegazione delle "prime" dichiarazioni di Pucci e Lotti: la domanda da farsi dovrebbe infatti riguardare anzitutto il motivo per il quale i due, anziché negare reiteratamente e ostinatamente di sapere qualcosa dei fatti criminosi sui quali s'indagava, resero dichiarazioni che altro non potevano che creare fastidi ad entrambi, e per uno dei due ben più che meri fastidi, quando contro di loro, apparentemente, non c'erano altro che le dichiarazioni di Ghiribelli e del suo protettore, ossia un asserito avvistamento di un'automobile fatto estemporaneamente di passaggio in orario ormai notturno. [fine citazione]

 

Questa è questione per me assai spinosa. Segnini sta facendo un grande lavoro di ricostruzione e sta fornendo, con le sue approfondite analisi degli atti concernenti la vicenda dei Compagni di merende, la migliore e più evidente dimostrazione che Lotti e Pucci non erano altro che falsi testimoni sostanzialmente estranei ai delitti. La sua indubbia capacità dialettica lo sta portando a una certa notorietà, il che potrebbe avere però implicazioni negative, se mai un giorno sentisse  di dover cambiare prospettiva. Purtroppo, anche se qualche minimo dubbio sembra talvolta affiorare (ultimamente l'ho sentito dire, un paio di volte: questa è la mia interpretazione / questa è la mia ipotesi), la classica tunnel vision lo rende per ora impermeabile a una giusta valutazione delle sue stesse acquisizioni. Ho tentato di fare qualche piccola annotazione sotto i suoi video, ma l'ultima risposta mi ha francamente tagliato le gambe. Mi dice in pratica: come fai a sostenere quel ruolo di Lotti alla luce delle testimonianze di Pucci, Ghiribelli, Nicoletti? (non ritrovo la discussione, ma il succo era quello). Ora, io sono anni che dico che Pucci e Ghiribelli non sono testi affidabili e per me non lo sono mai. Invece secondo Segnini Pucci e Ghiribelli raccontano balle (lo sta documentando lui stesso, peraltro), tranne che per quello che serve a lui, e allora diventano affidabili. Mi ero anche annotato le sue "domande ai negazionisti" (Daniele Piccione li/ci chiama più propriamente "nichilisti"), ma se devo partire dall'idea che Ghiribelli e Pucci dicono il vero "a spot", davvero il gioco non vale la candela. Comunque continuo a seguirlo perché c'è sempre qualcosa da imparare. Visto che siamo tra noi due o tre, l'aspetto che non riesco a risolvere è il perché la Nicoletti, di punto in bianco, si mette a parlare di Vicchio (10 febbraio 1996). Qualche spiegazione un po' così potrebbe esserci, ma non mi convince, quindi la tengo per me. 

Ma riprendendo il tema proposto da Reimarus, ossia perché Pucci e Lotti ammisero invece che chiudersi in un assoluto diniego, la risposta non mi sembra difficile. Gli inquirenti, sulla base delle indagini pregresse, erano arrivati a una ferrea convinzione che i due fossero stati sul posto, dissero che l'auto - e forse anche loro - erano stati visti e riconosciuti e a quel punto la prospettiva era finire dietro le sbarre (Spalletti docet). Ma nessuno dei due amiconi aveva voglia di sacrificarsi per Pacciani e Vanni. Dopo di che la storia ha preso vie inizialmente imprevedibili.

 P.S. Chiudo avvertendo Hazet che è inutile che scriva, tanto per quanti nick cambi non ha nessuna possibilità di essere pubblicato.