mercoledì 21 agosto 2019

Quella notte a Signa (1)



Alle due di notte del 22 agosto 1968, il piccolo Natalino Mele si alza in punta di piedi sullo scalino dinanzi al portone della casa di via Vingone 154 a Sant’Angelo a Lecore e suona il campanello più in basso, l’unico cui riesce ad arrivare. Quando l’inquilino dell’interno 1, Francesco De Felice, casualmente sveglio, si affaccia alla finestra del suo appartamento, il bambino gli dice: “Aprimi la porta che ho sonno e il babbo è a letto malato…  la mi’ mamma e lo zio sono morti in macchina”.
Con queste parole inizia il caso criminale più misterioso e complesso nella storia dell’Italia contemporanea.
[NOTA: si direbbe che l’interno 1 debba indicare un appartamento al piano terra, essendo anche il campanello posto più in basso, come vedremo in seguito.  Stranamente, la moglie di De Felice, Maria Sorrentino, interrogata dal giudice istruttore, dirà che il marito andò a chiamare un vicino abitante al piano di sotto.  Il maresciallo primo intervenuto, invece, più credibilmente scriverà che il vicino abitava al piano superiore. Già questo piccolo, insignificante dettaglio ci dà l’idea della cura con cui vennero svolte le indagini e compilati gli atti giudiziari.]


Foto scattata dall'autore nel 2013. E' visibile, sopra il portone, il lampione che già all'epoca doveva illuminare la facciata e che guidò Natalino nell'ultima parte del suo percorso notturno


Il brigadiere dei carabinieri Matassino, in servizio al Nucleo Investigativo di Firenze, nel suo rapporto giudiziario del 21 settembre 1968, prosegue il racconto, narrando come De Felice, il vicino Manetti  e il carabiniere di piantone alla vicina Stazione di San Piero a Ponti, in base alle indicazioni di Natalino, giungono,  dopo qualche giro vizioso e facendo riferimento al cimitero, da cui il piccolo ricorda di essere passato, alla stradina interpoderale che da via di Castelletti si inoltra nei campi in direzione della via Pistoiese, dove essa attraversa Sant’Angelo a Lecore in comune di Campi Bisenzio. La stradina, come verrà accertato in seguito, porta dritta di fronte all’abitazione del signore De Felice, al n. 154 di via Vingone, dopo un percorso di circa 2 chilometri e 300 metri quasi interamente costeggiando il corso dell’omonimo torrente (in realtà più un fosso che corre tra i comuni di Campi Bisenzio e Signa, fino a gettarsi nell’Ombrone). 






Foto scattata nell'estate 2013




A una distanza che verrà variamente descritta, ma che dovrebbe trovarsi a circa 100 metri dall’incrocio, vi è un’auto Giulietta Alfa Romeo, con accesa la luce di direzione destra; all’interno due cadaveri, la madre del bimbo e l’amante, che lui chiama “zio”.  Il carabiniere Giacomini, riconosciuto che l’auto si trova in territorio di Signa, avverte il comandante di quella tenenza, maresciallo maggiore Gaetano Ferrero, il quale si reca immediatamente sul posto e compie un primo sopralluogo, identificando le vittime senza del resto toccare nulla. E’ lui a darci la descrizione dell’auto per quanto riguarda finestrini e portiere, che risultano tutti chiusi, ad eccezione della portiera posteriore destra semiaperta e dei finestrini di sinistra, aperto per tre centimetri quello anteriore, a metà quello posteriore. La vittima maschile è Antonio Lo Bianco, muratore siciliano residente a Lastra a Signa, identificato grazie a uno stato di famiglia rinvenuto nel cruscotto dell’auto; non si dice, invece, come viene identificata la donna, Barbara Locci, madre di Natalino, moglie di Stefano Mele, anch’ella abitante a Lastra a Signa. Poiché all’apertura della portiera anteriore  destra viene notato un borsellino da donna, appoggiato sul pavimento tra sedile e portiera e aperto, è probabile che vi si sia trovato un documento di identità. Un particolare forse importante è che il Lo Bianco, semisdraiato sul sedile di destra, calza solo la scarpa destra; la sinistra, infatti, si trova appoggiata in bilico alla portiera anteriore sinistra, tanto che, quando il maresciallo apre la portiera per controllare l’interno dell’auto, la scarpa rotola a terra.
Riprendiamo la lettura di Matassino. Viene avvisato il magistrato di turno: si tratta di Antonino Caponnetto, il futuro fondatore del pool antimafia, all’epoca sostituto procuratore a Firenze; Caponnetto giunge sul luogo del delitto intorno alle 6.30 in compagnia del tenente dei Carabinieri Olinto dell’Amico. Il magistrato stende sul posto, con carta e penna, un primo verbale di sopralluogo (documento pubblicato da Antonio Segnini e scaricabile qui); si tratta di due paginette scritte a mano, apparentemente insignificanti, ma che per lo storico hanno un’importanza rilevante, in quanto costituiscono il primo atto giudiziario ufficiale della “indagine infinita” sui delitti del Mostro di Firenze. Caponnetto dispone che vengano eseguiti innanzitutto, a cura dei carabinieri, rilievi fotografici a documentare la scena del crimine, rinunciando a descriverla lui stesso, evidentemente per brevità. Ciò purtroppo ci priva di una descrizione immediata, poiché Ferrero scriverà il suo rapporto soltanto il 25 agosto; dobbiamo constatare che le foto a noi oggi disponibili, pur essendo chiaramente scattate subito dopo l’intervento del P.M., come dimostra il fatto che i cadaveri sono ancora all’interno dell’auto, non coincidono con la descrizione fornita dal maresciallo. Mentre non abbiamo foto del lato sinistro dell’autovettura, su quello destro il finestrino anteriore sembra abbassato e quello posteriore alzato solo a  metà; e non si vede perché i carabinieri dovrebbero avere operato sui finestrini  prima dello scatto delle fotografie. Non siamo quindi del tutto certi dei ricordi del maresciallo Ferrero [Nota: questa discrasia venne rilevata dal P.M. Canessa in udienza – nel corso dell’esame del colonnello –allora tenente – Dell’Amico, il 22 aprile 1994]; fortunatamente, i bossoli ritrovati sono sulla fiancata sinistra dell’autovettura, ma questo non ci tranquillizza del tutto, poiché lo stato dei finestrini di destra potrebbe avere un impatto sui tentativi di ricostruzione.





Viene chiamato il medico condotto di Signa, dott. Ugo Pratelli, per i primi rilievi medico-legali; fattogli prestare il giuramento di rito, i cadaveri vengono deposti su due barelle e si procede a un esame sommario dello stato dei corpi. Il testo è interessantissimo perché abbiamo, per fortunata coincidenza, due foto della vittima maschile distesa sulla barella, in posizione supina e poi prona. E’ esattamente la prospettiva e la visione che ebbe, quella mattina, il medico Pratelli, il primo a esaminare i cadaveri. Vale la pena di trascriverlo: “Il cadavere della donna (…) presenta anteriormente due fori; uno sopra la mammella destra sul margine esternale (sic) e uno a metà della linea xifo-ombelicale. Posteriormente si notano tre fori: uno in corrispondenza della scapola sinistra e due nella regione lombare sinistra. Il cadavere dell’uomo (…) presenta un foro nella regione ascellare sinistra; uno nel III superiore posteriore del braccio sinistro; uno nella regione arascapolare (sic) sinistra. Anteriormente presenta un foro al III medio del braccio sinistro; uno al III superiore del braccio sinistro; uno al III superiore dell’avambraccio sinistro. L’epoca della morte risale a circa 8 ore fa.” Le forme errate (esternale invece di sternale, arascapolare invece che parascapolare) sono verosimilmente da imputare a cattiva comprensione da parte di Caponnetto; pare di poter visivamente immaginare Pratelli che detta, mentre esamina i corpi, e il magistrato che scrive, di getto, come testimoniano le correzioni, e interpretando male i termini tecnici, il verbalino [Edit: A un migliore esame, la scrittura sembra quella del tenente Dell'Amico, che firma il verbale insieme al magistrato. Ci fu quindi, nell'esame dei corpi, una sorta di telefono senza fili da Pratelli a Dell'Amico a Caponnetto che giustifica gli errori di scrittura].




 Il verbale si conclude con la nota aggiuntiva che nello spostare i corpi sulle barelle si ritrova un proiettile nella veste della Locci; “dalla parte della schiena”, aggiungerà poi Matassino, che era anch'egli presente. Un altro proiettile era stato trovato sul pavimento della vettura, dietro il sedile anteriore destro; e due bossoli calibro 22 al di fuori, a sinistra dell’auto; verrà poi trovato un terzo bossolo all’interno e ulteriori due all’interno dell’auto, “al di sotto del sedile posteriore, tra la spalliera e il sedile vero e proprio”. Di questi vi è documentazione fotografica, invero di difficile interpretazione. 
Foto dal blog "Quando sei con me il Mostro non c'è" di Antonio Segnini

In tutto, saranno solo cinque, quindi, i bossoli repertati, nonostante successive, ma inutili ricerche; bossoli che hanno sul fondello la lettera H (quindi inconfondibilmente un marchio di fabbrica della Winchester) come ci informa Matassino, che però, sbaglia clamorosamente attribuendoli alla ditta Fiocchi di Lecce, due errori in una frase. Ci vorrà la perizia balistica, stilata qualche mese dopo, per chiarire definitivamente la situazione.
Abbiamo, nel verbale steso da Caponnetto, la prima impressione che ricevettero gli inquirenti. Confrontiamo lo scritto con le fotografie, traducendo in italiano corrente il medichese di Pratelli storpiato da Caponnetto. Al Lo Bianco viene tolta la camicia e, forse, i pantaloni, che aveva già abbassati in parte al momento dell’attacco; viene steso sulla barella, in posizione supina. Pratelli individua, tutte a sinistra, una ferita nella regione ascellare, una in quella che chiama parascapolare, una sul lato posteriore del braccio, in alto. Girato il cadavere sulla schiena, si evidenziano altre tre ferite, tutte tra braccio e avambraccio. In totale, sono 4 ferite al braccio, di cui una chiaramente trapassante, e due al torace. Al cadavere non è stata tolta la canottiera, il che spiega perché il medico non abbia visto le ulteriori ferite al torace; inoltre, almeno due ferite al braccio si riveleranno doppie, due fori molto vicini che il dottor Pratelli scambia per un’unica ferita. Anche se nel verbale non è scritto, una prima logica conclusione è che i colpi di pistola diretti verso la VM siano stati tre: due che hanno trapassato il braccio (4 fori) di cui una è entrata nel torace + un colpo diretto al torace. Questa sarà la prima versione diffusa ai giornalisti da qualcuno degli inquirenti  o dallo stesso medico. 


Foto tratta dal blog già citato. Le frecce sono aggiunte da quell'autore.



Quanto alla donna, abbiamo foto solo relativamente all’autopsia (vedi infra); Pratelli comunque, oltre alle due evidenti ferite al torace anteriore, vede il colpo alla scapola e i due più bassi alla schiena e omette il colpo ricevuto alla spalla; è segno che il vestito, che era senza maniche, fu solo sollevato in alto e quella zona rimase coperta. Da qui, la conclusione, salvi i successivi rilievi autoptici,  che le vittime fossero state attinte da tre colpi di arma da fuoco ciascuna: è la versione che uscirà sui quotidiani del 23 agosto, ovviamente riferendo gli accertamenti del giorno prima. 
 
Il Giorno 23 agosto 1968

Compiuti questi primi atti, i corpi vengono caricati su due autofurgoni funebri e portati all’istituto di medicina legale dell’ospedale di Careggi, per l’esecuzione, all’indomani, delle autopsie. Nel frattempo, il maresciallo Funari, di Lastra a Signa, ha iniziato le indagini vere e proprie, cercando il marito di Barbara, il suo amante ufficiale, Francesco Vinci, e i parenti di Lo Bianco. Dell’attività investigativa svolta il giorno 22 chi scrive non ha purtroppo che il riassunto contenuto nel rapporto Matassino e il riassunto del riassunto, nella sentenza stesa dal giudice istruttore Rotella 21 anni dopo; tanto sarà il tempo necessario perché alcuni dei sospettati (si tratta di Giovanni Mele, Piero Mucciarini, Marcello Chiaramonti, Salvatore Vinci) vengano definitivamente prosciolti in sede di giustizia. Sappiamo che hanno luogo i primi interrogatori, prima del marito di Barbara, Stefano Mele, poi di due suoi amanti, Francesco Vinci e Carmelo Cutrona, indicati dal Mele stesso. Tutti e tre sono sottoposti alla prova del guanto di paraffina, che risulta negativa  solo per il Vinci.
La mattina dopo hanno luogo le autopsie delle vittime e più o meno contemporaneamente viene incaricato di eseguire la perizia balistica il col. Innocenzo Zuntini, in servizio al Comando di artiglieria di Firenze. Per sfortunata coincidenza, le autopsie vengono assegnate a due medici diversi: il dott. Massimo Graziuso esamina il corpo della vittima maschile, il dott. Biagio Montalto quello della vittima femminile [Nota: entrambi verranno sentiti nel corso del processo Pacciani, fornendo ricostruzioni assai poco chiare. Fortunatamente, grazie all’avv. Adriani che li ha forniti e ad Antonio Segnini che li ha pubblicati, possiamo leggere direttamente i verbali di autopsia]. Le autopsie sono eseguite alla presenza della P.G. e del perito balistico, come lui stesso riferisce nel suo scritto;secondo notizie giornalistiche (Corriere della Sera del 24 agosto) vi assiste lo stesso Dott. Caponnetto.



A questo punto, prima di procedere e venire al nocciolo della questione, è necessaria una precisazione.
Quasi due anni fa (ottobre 2017) pubblicai, scrivendolo a quattro mani con l’amico Claudio Ferri, Professore Ordinario di medicina Interna all’Università dell’Aquila, un articolo sul delitto di Signa (qui e qui) nel quale cercavamo di dimostrare, sulla base della documentazione allora disponibile, che in quel duplice omicidio erano stati sparati sette colpi di arma da fuoco – anziché otto secondo le risultanze peritali  accolte in sede dei vari giudizi -; con conseguente svalutazione della testimonianza (meglio, di una delle tante versioni) del condannato Stefano Mele.  Devo dire che l’articolo ha avuto meno risonanza di quanto mi aspettassi; in sostanza, si continua a sostenere da tutti e con assoluta certezza che i proiettili furono otto.
All’epoca, le fonti dell’articolo furono: le deposizioni in aula (processo Pacciani) dei due periti settori Biagio Montalto e Massimo Graziuso per quanto riguardava le ferite ricevute dalle vittime; stralci della perizia balistica Arcese – Iadevito per quanto attinente allo stato dei proiettili reperiti; la ben nota perizia riassuntiva De Fazio per la scena del crimine  in generale. La nostra ipotesi, necessitata dalla semplice e incontrovertibile constatazione che in questi documenti vi era traccia soltanto di sette proiettili,  era che il colpo che aveva trapassato l’avambraccio sinistro della VM fosse lo stesso che aveva attinto la spalla sinistra della VF, presupponendo che al momento degli spari i due fossero in stretto contatto, anche senza poter determinare con certezza la posizione reciproca e all’interno dell’abitacolo. Ciò faceva scendere il computo balistico di 4 + 4 ferite a sette colpi di arma da fuoco, giacché un proiettile poteva essere responsabile di aver attinto entrambi; con il felice risultato di riportare in parità il predetto computo balistico, equiparando i presunti colpi ai proiettili rinvenuti o comunque chiaramente individuati sulla base del conto dei fori in entrata sui cadaveri. Riassumiamo infatti che:
la Locci aveva due proiettili ritenuti e due trapassanti; 
Lo Bianco tre ferite in entrata nel torace senza corrispondente foro di uscita, quindi tre presunti proiettili, dei quali soltanto uno fu materialmente rinvenuto e due gli rimasero nel corpo; 
un proiettile era sul pavimento dell’auto e uno nelle vesti della VF (corrispondenti ai due colpi trapassanti  sulla stessa Locci); 
quindi indubitabilmente sette e un eventuale ottavo colpo (ipoteticamente quello che aveva trapassato l’avambraccio della VM) doveva essersi misteriosamente volatilizzato all’interno dell’auto, perché – a giudicare dai documenti citati – non era rimasto all’interno dei corpi né poteva essere passato attraverso i finestrini di destra entrambi chiusi, come da verbale. 
Dunque: 
2 nel corpo della VF, 
3 nel corpo della VM, 
1 tra le vesti della donna, 
1 sul pavimento dell’auto 
= 7.
Orbene, fatta questa premessa, veniamo al seguito. Circa un anno dopo (ottobre 2018), Antonio Segnini ha pubblicato sul suo blog una ricostruzione della dinamica del duplice omicidio di Signa che, come al solito, brilla per l’assoluta ingegnosità con cui l’autore incastra pezzi apparentemente discordanti; dirò subito che, pur ammirandone la meticolosità, discordo dall’amico Antonio su un punto fondamentale, come si vedrà nel seguito. Nel suo articolo Segnini criticava, probabilmente con ragione, un aspetto della ricostruzione di Ferri e mia, portando a supporto nuova documentazione: principalmente i verbali di autopsia  stilati il 23 agosto 1968, che ampiamente sostituivano, in meglio, le sparse e confuse deposizioni rese al processo [Nota: ahimè, il verbale Montalto manca di due pagine; e se la pag. 7 potrebbe essere poco rilevante, la pag. 9 contiene proprio gran parte delle risposte ai quesiti posti dal P.M.; anche  i verbali possono essere scaricati qui]. Ammetto di averli letti, allora, con poca attenzione, dopo essermi accertato che dalla descrizione dei corpi non c’era comunque traccia dell’ottavo proiettile che andavo cercando. Chiedevo, a tal fine e per ulteriore documentazione, la perizia Zuntini 68, un documento quasi leggendario tra i mostrologi, di cui si paventava addirittura la sparizione e la sostituzione a fini di depistaggio, ma che, per notizie di riporto, sapevo essere in mano di giornalisti e avvocati. Infine, molto recentemente, la cortesia di un amico mi ha permesso di prendere visione del documento, ma non di trarne copia e diffonderla ad altri, per motivi che sinceramente non comprendo bene. Sta di fatto che ho potuto leggere e appuntare quanto mi interessava, ma non sono in grado di pubblicare o riprodurre alcunché. Mi scuso con i lettori, ben sapendo che il corretto metodo di critica storica non dovrebbe funzionare così; ma tant’è, non posso fare altrimenti, quindi invito chi è appassionato del caso ad accontentarsi  di quello che andrò a scrivere. Confido comunque che prima o poi l’originale del documento sarà pubblicato integralmente, avendo ben altra importanza  soprattutto dal punto di vista balistico; preciso, a scanso di equivoci e domande,  che nella copia che ho visto non ci sono le foto dei bossoli, posto che mai ci siano state.
Sulla base di quanto finalmente letto in Zuntini, riprendevo in mano i verbali di autopsia, questa volta con maggiore interesse; rileggevo per l’ennesima volta De Fazio e rimanevo, usando un understatement, sorpreso. Vediamo perché, cominciando dalle risultanze autoptiche sulla Locci.
La perizia Montalto ci dà delle preziose indicazioni anche prima di cominciare il vero e proprio esame del cadavere. Viene infatti descritto in sufficiente dettaglio il vestiario della Locci: vestito senza maniche, sottoveste, mutandine bianche “completamente intrise di sangue”; reggiseno nero. Che le mutandine siano intrise di sangue fa pensare che le indossasse al momento dell’attacco (ossia, non le vennero rimesse dopo, come sostiene ad esempio Filastò). [Edit: non è questa l'unica soluzione possibile; si veda in proposito la discussione con il lettore Hazet nei commenti in fondo all'articolo] Il vestito ha un foro (il diametro indicato, di solo 2 mm., lascia però perplessi) nella regione posteriore-laterale sinistra; la posizione precisa è rilevata dal perito incrociando le distanze da scollo, cerniera lampo centrale e cucitura laterale. Sono dati che non siamo in grado di incrociare e comunque con grande probabilità la veste era sollevata. Infatti, sulla sottoveste troviamo tre fori anziché uno, corrispondenti senza dubbio alle tre ferite ricevute in sede dorsale; con tutta probabilità la spalla era scoperta (la foto del cadavere in auto, ancora vestito, è solo frontale, quindi non abbiamo certezze) o il proiettile è passato attraverso la spallina del vestito e il forellino non è stato rilevato. Quindi presumiamo mutandine e sottoveste  indossate in sede, mentre il vestito, posteriormente, è alzato in parte (dal braccio dell’uomo?). Atteso che due colpi sono trapassanti, dovremmo attenderci analoghi fori sulla parte anteriore delle vesti, ma non viene riferito alcunché. Uno dei proiettili, in effetti, è rimasto nelle pieghe della veste e verrà rinvenuto quando il corpo sarà spostato sulla barella, cadendo a terra stranamente dal lato della schiena anziché del ventre come dovrebbe essere. Non facciamoci però venire dubbi sulla direzione dei colpi, perché il perito autoptico è su questo molto netto: i colpi sul dorso sono in entrata, i fori sul torace anteriore in uscita; quindi in seguito ai movimenti subiti dal cadavere post mortem il proiettile deve essersi spostato. L’altro proiettile, probabilmente quello che, dopo aver leso cuore e polmoni determinando la morte pressoché istantanea, esce in regione mammaria destra, avrebbe dovuto forare la faccia anteriore di sottoveste e vestito; o il piccolo foro non è stato rilevato o è anch’esso scivolato dal corpo senza ledere il tessuto. Sembra, se la cronologia nei verbali è esatta, che il proiettile, finito, come sappiamo, nella parte posteriore della vettura, sia stato rinvenuto prima della rimozione dei cadaveri dall’auto; ciò significa - se è lo stesso proiettile, e non si vede come possa non esserlo, altrimenti non si capirebbe dove sia finito - che il proiettile è caduto già nel corso della sparatoria o a causa di uno spostamento del corpo effettuato da qualcuno prima dell’intervento delle FdO. Ma più verosimilmente e semplicemente il foro corrispondente sul davanti dell’abito non venne rilevato, è probabile che fosse al centro di un imbrattamento di sangue. 
Nonostante la cattiva qualità della foto, le macchie di sangue sono ben visibili

Saltando un po’ in avanti, un altro segno di un possibile spostamento immediatamente post mortem (oltre alla ben nota catenina spezzata, di cui il perito non ci parla, ma soccorre Matassino) potrebbe essere costituito dalle due piccole aree ecchimotiche su faccia esterna e interna del gomito sinistro (punto 8 dell’esame esterno nel verbale di Montalto). E’ come se qualcuno avesse afferrato il gomito della vittima tirandolo con violenza (per rimetterla in posizione sul sedile sinistro?).
Passando ora all’esame esterno vero e proprio, la situazione del cadavere della VF è la più semplice, anche perché l’autopsia Montalto è resa in modo molto più chiaro e lineare rispetto a quella del collega. I tre colpi che la Locci subisce alla schiena non ci danno particolari problemi  in quanto due sono fuoriusciti, uno è rimasto sottocutaneo e in tutti i casi possiamo ricostruire i tramiti che sono leggermente dal basso verso l’alto e da sinistra verso destra: entrano sul lato sinistro della schiena ed escono al centro (linea alba) o sul lato destro del torace anteriore. Zuntini nella sua perizia dà degli angoli precisi, che riporto: il colpo più in alto sulla schiena avrebbe angolo di 15° dal basso verso l’alto e di 35° da sinistra verso destra; quello alla base dell’emitorace sinistro di 10° dal basso verso l’alto e di 25°da sinistra verso destra; quello in regione lombare sinistra di 25° dal basso verso l’alto e 30° da sinistra verso destra. Non sappiamo se a queste misure il perito giunse sulla base di propri appunti e proprie misurazioni, nel corso della stesura definitiva della perizia, o dopo aver parlato in sede di autopsia con i medici, che a dire il vero nei propri verbali non ne fanno cenno, né probabilmente era loro compito farlo.


Anche queste foto, che ritraggono il cadavere sul tavolo autoptico, sono tratte dal blog di Antonio Segnini


Il colpo alla spalla è invece stato al centro di diverse interpretazioni. Siamo cresciuti come mostrologi leggendo la perizia De Fazio 1984, il quale, riguardo alla VF di Signa, è molto netto: “In  complesso  si  individuano  quattro  fori  d'entrata  tutti  al  dorso, corrispondenti ad altrettanti colpi d'arma da fuoco; diverse però le traiettorie, nel senso che tre sono da sx. a dx. e una da dx. a sx.; tutti comunque dal basso verso l'alto e, ovviamente, dall'indietro in avanti. Due proiettili sono fuoriusciti sulla parete anteriore del torace e dell'addome; due proiettili sono rimasti ritenuti (uno nel torace e l'altro nella spalla).  I tre tramiti da sx. a dx. sono stati tutti intratoracici e di essi uno sicuramente mortale avendo provocato lesioni cardiovascolari. Il quarto, da dx. a sx., ha interessato solo la  spalla  sx.  (ritenuto)”.  Quindi, a dire di De Fazio, avremmo un colpo alla spalla di direzionalità, rispetto all’asse del corpo, diversa dagli altri, da dx a sx, mentre i colpi che hanno raggiunto il torace e lo hanno completamente attraversato hanno chiara direzione da sx a dx. Per questo, vari autori si sono affannati a spiegare questa discordanza. Discordanza  invero molto semplice da giustificare con un movimento della vittima, giacché solo il colpo che colpisce il cuore è quello immediatamente mortale e non è affatto detto che sia quello il primo; anzi, ci sono degli indizi che la donna ebbe una reazione al momento dell’attacco.  Da ultimo, Antonio Segnini, nell’articolo già citato, ha ipotizzato che il colpo alla spalla sia uno dei due sparati “a cose fatte” da Stefano Mele, dopo l’uccisione della moglie, insieme al misterioso e mai trovato ottavo colpo. Se leggiamo l’autopsia Montalto, però, ci accorgiamo che questo dato di una diversa direzionalità è assente. Riguardo alla ferita alla spalla, infatti, il perito autoptico ci dice soltanto che essa “ha maggior asse lievemente obliquo dal basso verso l’alto e da sinistra verso destra”; e, nella sezione dell’arto superiore sinistro, riscontra che “alla soluzione predetta fa seguito un tramite nel sottocute che si prolunga con un semicanale a doccia sulla faccia posteriore della testa dell’omero con successiva perforazione  (…) della cavità glenoidea e ritrovamento di un proiettile molto deformato situato in prossimità dell’apofisi coracoide”.  Il perito non ha inserito uno specillo nella ferita o, se lo ha fatto, non lo scrive. Il tramite nel corpo di questo colpo è molto breve, il verbale non indica esplicitamente una direzione, ma la descrizione ci aiuta. Un proiettile che scava una doccia sulla testa posteriore dell’omero, arriva nella cavità glenoidea, la perfora e viene rinvenuto  nei pressi del processo coracoideo non può che avere una traiettoria leggermente da sinistra a destra: infatti, guardando da dietro l’articolazione omero – scapola, la cavità glenoidea è a destra dell’omero e il processo (o apofisi) coracoideo leggermente in alto a destra. Quindi il medico legale documenta, senza dirlo a chiare lettere, una direzione da sinistra a destra. Il colonnello Zuntini, a sua volta, parla di un angolo di 30° da sinistra a destra e 20°da dietro verso l’avanti (espressione quest’ultima che mi riesce di difficile comprensione in questo contesto, dove ci si aspetterebbe dal basso verso l’alto o viceversa). L’angolazione calcolata è del tutto analoga a quella degli altri tre colpi.


Anatomia dell'articolazione omero-scapolare; in questo caso vista anteriore della scapola destra.

La linea tratteggiata indica il tramite sulla faccia posteriore della testa dell'omero

Per quello che può valere, notiamo che, sentito in udienza (22 aprile 1994), Montalto non parla mai di una diversa direzionalità del colpo alla spalla, ma si limita a ripetere, genericamente, che i proiettili colpiscono la metà sinistra del corpo e vengono da sinistra; segna anche le direzioni con una penna, ma non si capisce esattamente per quali colpi. A scanso di equivoci, rileggiamo una sua frase: “E sono risultati poi colpi quasi tutti con un orientamento univoco, cioè dal basso verso l'alto, leggermente, e da sinistra verso destra”. Quel “quasi” è il diavolo che ci mette la coda: quasi tutti dal basso verso l’alto o quasi tutti da sinistra verso destra? O è un “quasi” detto così, perché non li ricorda tutti a memoria?
Perché quindi De Fazio, unico specialista medico legale del terzetto che operò la prima perizia riepilogativa nel 1984, scriva che il colpo alla spalla aveva direzione opposta agli altri (destra-sinistra anziché sinistra-destra), rimane abbastanza misterioso, a meno che la spiegazione non si trovi nella pagina mancante del verbale di autopsia, nella quale il medico darebbe ipoteticamente indicazioni diverse da quelle che si possono desumere dalla descrizione della sezione dell’arto superiore sinistro. Però anche Zuntini dà un particolare diverso per questo proiettile: lo descrive “con direzione prevalente dall’alto verso il basso”, mentre gli altri tre sono descritti dal basso verso l’alto, con tanto di angoli di incidenza. Può essere che De Fazio abbia trasformato, erroneamente, la discordanza alto-basso (letta comunque solo in Zuntini e non desumibile in Montalto) in una discordanza destra – sinistra. Si tratta comunque di illazioni; guardando da dietro, il processo coracoideo, si trova al di sopra della testa dell’omero, leggermente a destra; quindi una traiettoria da sinistra a destra e dal basso in alto risulta quella più probabile sulla base dei documenti ora disponibili. Si può avere l’impressione che De Fazio non abbia studiato in maniera approfondita queste autopsie, limitandosi a leggerne le conclusioni [Nota: ciò sarà più evidente quando parleremo dell’autopsia Lo Bianco]. In questo senso, la mancanza della pagina con le conclusioni del Dott. Montalto è veramente sfortunata.


Sulla base dei dati fin qui enumerati, mi sembra impossibile proporre ricostruzioni o dinamiche di quello che veramente avvenne, se non quella, assolutamente generica, che la Locci fu colpita da quattro colpi d’arma da fuoco provenienti dal suo lato posteriore sinistro, sparati dalla fiancata sinistra dell’auto; difficile decidere se da un finestrino solo o da entrambi. Non conosciamo la posizione iniziale della donna al momento dell’attacco e di quanto e come si sia spostata nel corso della sparatoria. L’indubbia traiettoria da sinistra a destra dei colpi sparatile contro non è facile da giustificare, se non mettendo la donna nella posizione che desideriamo rispetto al punto di sparo che abbiamo soggettivamente scelto come più probabile; un esercizio di immaginazione dal quale preferiamo astenerci. Qualche ulteriore considerazione e un confronto tra le diverse ricostruzioni si potrà fare quando esamineremo l’autopsia Lo Bianco, che è completa, ma purtroppo estremamente confusa. Vi sono forti indicazioni  che al momento dell’attacco la donna ebbe una reazione di terrore e di fuga, che può spiegare le traiettorie dal basso verso l’alto (si sarebbe abbassata nel tentativo di sfuggire ai colpi). Anticipiamo qualcosa che riguarda il Lo Bianco: la manica sinistra della sua camicia, colpita da almeno tre proiettili, è totalmente staccata. Sarebbe il segno che qualcuno ci si è aggrappato con violenza; possiamo ipotizzare che sia stata la donna all’inizio della sparatoria. Se è così, si conferma che essa si trovava alla sinistra dell’uomo e che non fu la prima ad essere mortalmente colpita. E’ anche probabile che il cadavere, immediatamente dopo la morte, sia stato rimesso a forza sul sedile anteriore sinistro, abbassandole il vestito, che era sollevato sulla schiena, e strappandole la catenina. Vi fu quindi una manipolazione del corpo, ma molto ridotta, ad opera quasi certamente dell’assassino; contrariamente a quanto spesso si sente dire, il corpo non fu rivestito, in quanto era già vestito, a parte le scarpe, soltanto con gli abiti in disordine, a causa, verosimilmente, dell’inizio di un’attività erotica improvvisamente e tragicamente interrotta.
Di più non possiamo dire.

Ringrazio l’amico Prof. Claudio Ferri per avermi pazientemente spiegato termini anatomici che non avevo mai sentito nominare e per la collaborazione generale alla stesura dell’articolo; eventuali errori sono soltanto miei.

[SEGUE]