domenica 8 dicembre 2019

Verbali 23 agosto 1968




Ho trascritto i verbali del23 agosto del 1968, contenenti la confessione del Mele, gentilmente forniti da Flanz Vinci.

Legione territoriale carabinieri di Firenze

gruppo di Firenze – reparto operativo

nucleo investigativo


Processo verbale di interrogatorio di

Mele Stefano di Palmerio e fu Murgia Pietrino, nato a Fordongianus il 13 gennaio 1919 (...) Coniugato, manovale muratore.

L’anno 1968, addì 23 del mese di agosto, in Lastra a Signa Ufficio stazione carabinieri, alle ore 11:35.

Avanti a noi sottoscritti, ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria sottoscritti è presente Mele Stefano, il quale opportunamente interrogato, spontaneamente dichiara:

“Prima di iniziare l’interrogatorio del Mele si dà atto che allo stesso assiste il signor Mucciarini Pietro (…) Residente a Scandicci (…).

Dall’anno 1960 conosco il signor Vinci Salvatore abitante a Vaiano località La Briglia, il quale ha avuto numerosi contatti carnali con mia moglie. Ne ero a conoscenza perché sia mia moglie che lui lo avevano ammesso che sia perché io personalmente li avevo visti uscire insieme.

Durante il periodo in cui sono stato ricoverato in ospedale e questo nel febbraio di quest’anno, mio figlio mi ha riferito che il Vinci Salvatore veniva a dormire a casa mia nel letto con mia moglie e a lui lo facevano dormire nel lettino in un’altra stanza.

Nell’anno 1960 – 61 il Vinci ebbe ad acquistare una moto Lambretta facendola intestare a mio nome adducendo il pretesto che non aveva la residenza in Toscana. Dopo qualche tempo il Vinci ebbe un incidente stradale a Sesto Fiorentino per cui sono stato costretto – in giudizio – a pagare i danni provocati all’investito. Nel febbraio di quest’anno mi è occorso un incidente stradale per il quale l’assicurazione della macchina investitrice mi ha pagato un risarcimento di lire 480.000 che ho riscosso nella seconda decade del mese di giugno 68. Il Vinci Salvatore faceva l’amante geloso di mia moglie. Più di una volta ha minacciato mia moglie di morte perché non voleva che andasse con altri. La minaccia è stata fatta in mia presenza e più di una volta era stata fatta anche a mia moglie da sola e mia moglie mi aveva riferito le minacce del Vinci e mi aveva espresso la paura che il Vinci le aveva prodotta talché questa più di una volta mi disse anche che un giorno o l’altro la avrebbero ammazzata. Il Vinci Salvatore circa un mese fa venne in Lastra a Signa a casa mia e mi chiese la somma di lire 150.000 in prestito. Nello stesso periodo aveva ottenuto da mia moglie altro prestito più o meno dello stesso importo. Successivamente a questo periodo chiesi al Vinci di restituirmi i soldi che aveva ottenuto da me e mia moglie, il Vinci che evidentemente non possedeva la cifra ebbe a rispondermi: – io prima o dopo faccio fuori tua moglie e così facciamo pari del debito. Io risposi: che non ero contento e non volevo anche se mia moglie si era comportata male. Il Vinci replicò che siccome io non avevo il coraggio di ammazzare mia moglie e per questo motivo ci pensava lui e andò via.

Infatti mia moglie nei momenti di debolezza quando con me si confidava, mi ha detto che (illeggibile).

A.D. R. Il Vinci Salvatore mi ha minacciato affinché facessi  intestare a mio nome il motorino, acquistato da lui  nel 1960 – 1961.
A D. R. Io avevo paura del Vinci Salvatore. Mi disse che aveva ucciso la sua prima moglie, con la quale era sposato solo civilmente, disse infatti che aveva ammazzato la moglie lasciando di proposito la bombola del gas aperta. Il fatto si è verificato in Sardegna, a casa dei genitori del Vinci. 
Quando il Vinci era d’accordo con mia moglie e cioè quando mia moglie praticava soltanto il Vinci e lui dormiva a casa mia, ha tentato più di una volta uccidermi lasciando il gas aperto. Aggiungo che il Vinci mi ha riferito che quando ha ucciso la moglie in Sardegna in casa vi era anche il figlio, che era stato salvato dal gas. La versione fornita circa la proposta del Vinci Salvatore ad uccidere mia moglie e trattenersi le L. 300.000 è tutta la verità. Non avevo alcuna intesa con il Vinci di riferirmi sull’esito del suo proposito e cioè di farmi sapere quando aveva ucciso mia moglie. Per cui il Vinci non è più tornato a casa mia e io ho appreso la notizia dell’uccisione di mia moglie soltanto da voi.
Fatto letto, confermato e sottoscritto:

 Mucciarini Piero

 Mele Stefano

 Funari Filippo M.M.C.C.

 Giacomini Pietro C.C.

 Gerardo Matassino B.C.C.



Legione territoriale carabinieri di Firenze

gruppo di Firenze – reparto operativo

nucleo investigativo

Processo verbale di interrogatorio di

Mele Stefano di Palmerio e fu Murgia Pietrino, nato a Fordongianus il 13 gennaio 1919 (...) Coniugato, manovale muratore.

L’anno 1968, addì 23 del mese di agosto, in Lastra a Signa Ufficio stazione carabinieri, alle ore 21:30.

Avanti a noi sottoscritti, ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria sottoscritti è presente Mele Stefano, al quale prima di iniziare l’interrogatorio rendiamo noto:

•     Lei è imputato di duplice omicidio, reato commesso in località Castelletti di Signa in danno di Lo Bianco Antonio e LOCCI BARBARA, consumato nella notte dal 21 al 22 agosto 1968. Al momento non intendo nominare un difensore di fiducia.

•     Avvalendosi delle disposizioni vigenti lei può non rispondere alle domande che gli saranno rivolte.

A questo punto l’imputato, opportunamente interrogato, spontaneamente dichiara:

il giorno 21 agosto 1968, era mercoledì, al mattino mi recai puntualmente al mio consueto lavoro di manovale muratore in località Santa Lucia frazione di Lastra a Signa, feci ritorno a casa mia verso le 12:00 per il pranzo, dopo di che accusai disturbi allo stomaco e rimasi in casa senza tornare al lavoro. Verso le ore 15:30 dello stesso giorno venne a casa mia a tale Lo Bianco Antonio a me noto come Enrico e mentre questi si trovava nella mia abitazione giunse anche tale Cutrona Carmelo a me noto con il nome di Virgilio. Costoro si incontrarono. Però verso le ore 16:30 il Lo Bianco se ne andò e dopo circa un’ora se ne andò anche il Virgilio. Mia moglie Barbara nell’orario in cui avvennero le visite era presente in casa.

Alle 22:00 circa, sempre del giorno 21 mentre io mi trovavo a letto udii mia moglie che si trovava affacciata alla finestra della camera del bambino, finestra che dà sulla strada, parlare con qualcuno. Incuriosito mi alzai ed affacciato nella stessa finestra notai che quel qualcuno era Enrico. Poco dopo mia moglie scese per strada ed io rimasi a osservare alla finestra, quando essa ritornò in casa mi fece presente che sarebbe andata a fare una passeggiata con Enrico a bordo della sua macchina. Avrebbe portato seco anche nostro figlio. Anzi mi precisò che il bambino era in strada a giocare con altri coetanei ed era già salito sulla vettura e non voleva discendere. Io acconsentii senza muovere alcuna obiezione, considerato che ormai ero abituato a questo comportamento di mia moglie. Rimasto solo in casa, verso le ore 23:30, stanco di stare solo decisi di uscire a fare una passeggiata per prendere una boccata d’aria sperando che mi facesse star meglio. Giunto in Piazza IV Novembre incontrai casualmente Vinci Salvatore, un vecchio amico di famiglia, il quale vedendomi solo mi chiese dove si trovasse mia moglie Barbara e mio figlio Natalino al che risposi che probabilmente, dato che erano usciti in macchina con Enrico, erano andati al cinema a Signa. A questo punto Salvatore evidentemente a conoscenza della relazione esistente tra mia moglie Barbara ed Enrico (illeggibile): Perché non la fai finita? Io risposi: come faccio senza nulla in mano? Sapendo che Enrico aveva praticato la boxe. Salvatore a questo punto replicò: io ho una piccola arma, mi fece salire in macchina ed andammo a Signa, ove nella piazza del cinema di Signa alta trovammo parcata la macchina dell’Enrico. Aspettammo che uscissero dal cinema. Verso le 24 – 0.30 mia moglie con l’amico e mio figlio uscirono dal cinema e salirono in macchina, partirono e noi, io e Salvatore, preciso che Salvatore guidava la sua Fiat 600, li seguimmo. Partendo dal cinema Enrico si diresse verso la strada posta in salita che porta al castello, da qui dopo aver percorso circa 3 km ed essere passato davanti al cimitero di Signa, proseguì per la strada dritta che fiancheggia il cimitero e dopo poche centinaia di metri svoltò in una strada bianca posta sempre sulla destra fermandosi a circa 100 m dal bivio.

Preciso che noi seguivamo la macchina a una certa distanza. Una volta che Salvatore si accorse che Enrico aveva girato, fermò la macchina tra il cimitero e una casa colonica posta quasi vicino al bivio. Una volta fermata la macchina Salvatore aprì una borsa e mi diede una pistola dicendomi: –guarda che ci sono otto colpi –. Io presi la pistola, percorsi a piedi il tratto di strada fino al posto ove era ferma l’autovettura di Enrico e giunto a pochi metri mi abbassai e camminando carponi raggiunsi la macchina dal lato sinistro, preciso che l’autovettura era ferma con direzione di marcia opposta all’incrocio; e poiché il vetro dello sportello posteriore sinistro era abbassato, visto che mia moglie era in atteggiamento intimo con Enrico; preciso: – Enrico era sdraiato sul sedile anteriore destro, che aveva la spalliera abbassata e mia moglie si trovava sopra di lui, presi la mira e feci fuoco esplodendo tutti i colpi che conteneva il caricatore in direzione dei due amanti. I due non dissero neanche una parola , evidentemente morirono sul colpo. Preciso che mio figlio Natalino nel frattempo si trovava coricato sul sedile posteriore dell’autovettura e stava dormendo. Il ragazzo non si svegliò quando sparai bensì subito dopo. Immediatamente dopo aver sparato aprì lo sportello anteriore sinistro della macchina e mentre mi sostenevo con la mano sinistra sul volante dell’autovettura con la destra afferrai mia moglie per le vesti e la tirai verso di me e la feci ritornare in posizione di seduta. Poiché era scomposta nell’abbigliamento, aveva le mutandine abbassate fino al ginocchio, provvidi a tirargliele su e cercai di coprirle le gambe con la veste, queste però rimasero parzialmente scoperte. La stessa operazione feci con Enrico. Dopo avere aperto lo sportello, nel poggiare la mano sul volante ebbi a toccare qualche cosa perché si accese una luce che poi rimase accesa. Dopo avere sistemato parzialmente i corpi dei due amanti mio figlio si svegliò e vedendomi mi disse: – babbo.  Non aggiunse nessun’altra parola o se lo fece non ebbi modo di sentire perché  

(perché aprì lo sportello posteriore destro ed uscì dalla macchina cancellato a verbale quando mi accorsi che mi aveva conosciuto ed ebbe a chiamarmi babbo, scappai subito via raggiungendo la macchina di Salvatore. Preciso che Salvatore non scese dalla macchina e lo ritrovai dove l’avevo lasciato. Girò la macchina e mi accompagnò fino al ponte di Signa, precisamente nei pressi del ponte e seguendo l’argine del fiume arrivai a casa. Non appena salii in macchina dissi a Salvatore le seguenti parole: – sono belli e sistemati. Salvatore mi chiese del bambino al che io risposi che era salvo.


In relazione alla pistola preciso che non appena ebbi sparato la buttai via. Non posso precisare il posto preciso però sicuramente nei pressi della macchina. Preciso che buttai via l’arma di iniziativa. Vinci Salvatore mi chiese della pistola e quando gli dissi che l’avevo buttata via ebbe a rispondermi: – pazienza.

D. Dopo aver ricomposto il corpo di Barbara lei dice che ha ricomposto il corpo di Enrico, ci dica come ha fatto.

R. Dopo aver chiuso lo sportello anteriore sinistro, preciso che avevo già sistemato il corpo di Barbara, ho girato attorno alla macchina, ho aperto lo sportello anteriore destro e poiché Enrico aveva la gamba sinistra posta di traverso sulla parte anteriore destra del sedile anteriore sinistra tirai la gamba per mettergliela distesa vicino all’altro. Preciso che mentre effettuavo quest’operazione si sfilò la scarpa di Enrico e terminò vicino allo sportello sinistro anteriore sempre rispetto a chi guida.

D. Ci dica se quando sua moglie uscì dal cinema aveva con sé il bambino oppure lo stesso era con Enrico?

R. Quando i tre uscirono dal cinema mio figlio Natalino era in braccio alla madre, penso che fosse già mezzo addormentato tanto che lo mise sul sedile di dietro e durante il percorso non riuscì a vedere mai il capo del bambino. Quando giunsi sul posto per uccidere i due il bambino dormiva regolarmente nella seguente posizione: il capo rivolto verso lo sportello posteriore sinistro e le estremità inferiori verso quello destro sempre rispetto a chi guida.

D. Conosce il tipo di pistola che il Vinci gli diede per uccidere sua moglie ed Enrico?

R. Non conosco il tipo di pistola che Vinci mi diede, però in relazione a quella che oggi mi avete mostrato e che mi dite essere una Beretta calibro nove preciso che quella del Vinci aveva la canna molto più lunga tanto che penso si tratti di una pistola per tiro a segno. Preciso anche che la pistola che il Vinci mi diede era pronta per sparare perché io non feci altro che tirare il grilletto.

Confermo ancora una volta che ad accompagnarmi con la macchina fu il Vinci Salvatore. Mi dichiaro colpevole del duplice omicidio commesso in persona di Lo Bianco Antonio e LOCCI Barbara consumato in località Castelletti di Signa nella notte dal 21 al 22 agosto 1968.

Ho ammazzato mia moglie e l’amante perché ero stanco di vedermi continuamente umiliato. Mia moglie mi tradiva da diversi anni però è da qualche mese che avevo deciso di eliminarla.

A.D.R. non ho niente altro da dichiarare ed in fede di quanto sopra previa lettura mi sottoscrivo.

Fatto, letto, chiuso, confermato e sottoscritto in data e luogo di cui sopra.

MELE Stefano

Funari Filippo

Gerardo Matassino

(illeggibile

illeggibile)

Olinto dell’Amico tenente C.C.

(illeggibile)

[Nota: firmano anche tre agenti o ufficiali di P.S. dei quali non conosco i nomi]

Sarebbe interessante leggere anche i successivi verbali stesi nella notte tra il 23 e 24 agosto nei confronti di Salvatore Vinci e Nicola Antenucci, ma  non sono ancora riuscito a ottenerli. Non dispero. Nel frattempo, ne troviamo il sunto in Torrisi:
"Il 24 agosto 1968, alle ore 01,20, VINCI Salvatore, sentito in merito alle accuse mossegli poco prima dal  MELE,  nel  negare ogni addebito,  sostiene che la sera di quel  mercoledì
21.8.68,  uscito di casa,  sita in località "La Briglia " di Vaiano, verso  le ore 20,30, si  è intrattenuto presso il locale bar Sport, sino alle ore 22,15, in compagnia di VARGIU Silvano
e di un certo Nicola (ANTENUCCI). suo dipendente, di essersi recati successivamente con i due amici a Prato, presso il Circolo dei preti, ove sarebbero rimasti a giocare fino alle ore
24, facendo rientro a casa. Egli conclude affermando di aver saputo dell'omicidio il mattino del giorno successivo, perché un suo operaio aveva il giornale e lo stava leggendo.
Il  24  agosto  1968,  alle  ore  02,00,  a  meno  di  un'ora  dall'interrogatorio  del  suddetto, ANTENUCCI  Nicola,  sentito  in  merito,  conferma  la  circostanza  richiamata  dall'altro,
precisando che dalle ore 22:15 alle ore 00,30, ora in cui si erano divisi, prima di dirigersi a casa,  il  VINCI Salvatore  non si  è  allontanato  da lui".  

Non faccio commenti. Dalla lettura degli atti risulta non vero che Mucciarini fu presente alla confessione del Mele e addirittura la controfirmò. Chissà se qualcuno ne prenderà atto, personalmente ne dubito. [EDIT: Vedi Postilla di seguito]


POSTILLA
Volevo riservare gli interventi per le novità, ma devo precisare alcune cose perché sono stato accusato di travisare o tacere fatti ben noti.
Faccio riferimento alla precedente constatazione che Mucciarini non risulta, dagli atti in nostro possesso, essere stato presente alla confessione del Mele. Questa osservazione è la semplice presa d’atto che Mucciarini firma il verbale delle 11.30 (accusa contro Salvatore Vinci), ma non quello delle 21.30 (confessione di Mele di aver agito in prima persona, su istigazione dello stesso Salvatore). Ma – mi si dice – sei un pirla perché Rotella aveva già spiegato tutto in sentenza, l’interrogatorio procede fuori verbale, poi Mucciarini nel pomeriggio va a dormire quindi è ovvio che alle 21.30 non c’è; inoltre lo sanno anche i sassi che prima Mele confessa poi gli fanno fare il giretto cimitero – via di Castelletti infine tornano in caserma a verbalizzare. Potrei ribattere che è buona norma indicare e dare atto  della presenza di terzi, anche non firmatari, nei verbali di P.G.; ma che non sia stato fatto non è purtroppo prova di assenza. E comunque, se lo dice Rotella deve essere vero per forza.
Abbiamo però dovuto amaramente constatare che Rotella alcune cose, anche molto più vicine nel tempo, le ignora o preferisce ignorarle (sia chiaro che io sono per la prima ipotesi). Occorre contestualizzare. Rotella non partecipò alle indagini del 1968-70, anzi, prese in mano il caso MdF nel 1983, quando la pista sarda era in piena corsa, tirò fuori di galera Francesco Vinci e vi rinchiuse Piero Mucciarini e Giovanni Mele. Quindi la sua conoscenza degli accadimenti del 1968 non è di prima mano, bensì basata su atti di indagine verbalizzati e sui racconti dei carabinieri che sentì e che ancora con lui collaboravano (probabilmente Matassino, certamente Dell’Amico). In altre parole Rotella è nella nostra stessa situazione, deve ricostruire le indagini, naturalmente ha tutto il materiale a disposizione, cosa che noi non abbiamo. Siccome però ha la buona abitudine di citare le fonti nella sua sentenza, andiamo a leggere quali sono; premettendo che Mucciarini nel rapporto Matassino non compare proprio. Intanto Rotella scrive: “[I CC] Intuiscono che Mele è implicato nell'omicidio più di quanto abbiano supposto. Insistono nell'inquisirlo (fuori verbale e con l'ausilio di Mucciarini), ma è difficile stabilire in qual misura lo stimino ancora un teste o già un indiziato”. Il fuori verbale è per forza di cose una fonte orale, può derivare dai ricordi dei sottufficiali o ufficiali che condussero l’interrogatorio. Prosegue il G.I.: “Nell'istruttoria attuale si è appreso anche che Mele, prima dell'interrogatorio, era fortemente preoccupato di venire arrestato, già da prima perché i carabinieri, che l'avevano lasciato andare con il figlio la sera innanzi, lo attendevano di primo mattino quel giorno. Tanto si desume già dalle dichiarazioni di uno degl'investigatori al G.I., nel 1969 (cfr.: fasc. testi) brig. Matassino, che è colui che ha steso il rapporto di P.G.. Ed è stato confermato da Funari ed altri in questa istruttoria.” Quindi qui si sta parlando, sulla base di osservazioni di Matassino e Funari, della preoccupazione del Mele. Arriviamo al passaggio più significativo: “Per questa ragione hanno coinvolto anche Mucciarini, apparso disponibile ad adoprarsi a questo fine (cfr.: Ferrero in corte d'Assise). Finalmente Mele confessa di esser lui stesso l'assassino, aiutato da Salvatore Vinci, che lo ha accompagnato sul luogo e gli ha fornito l'arma del delitto. Gl'inquirenti non verbalizzano subito. Mucciarini non è oltre disponibile, perché deve dormire e poi recarsi al suo lavoro notturno di fornaio. Hanno bisogno essi stessi di credere e perciò conducono Mele sul luogo del delitto e si fanno rappresentare da lui i fatti, come narreranno nel rapporto”.
Quindi la collaborazione di Mucciarini (alla confessione da parte del cognato) trova il suo fondamento nella deposizione del mar.llo Ferrero in Corte d’Assise. Fortunatamente l’abbiamo a disposizione e possiamo leggerla. "(…) Fu il giorno dopo – in seguito ad altri interrogatori – che il Mele confessò indicando con particolari le modalità  e le circostanze del delitto. Alla confessione si giunse attraverso l'opera di persuasione fatta da un cognato del Mele, Mucciarini Piero. Il Mucciarini si presentò spontaneamente in caserma, anzi era il Mele che ci chiedeva di affidare il bambino alla sorella, moglie del Mucciarini e costui pertanto fu presente all'interrogatorio del Mele e firmò il relativo verbale”. Ma ora sappiamo che il verbale controfirmato da Mucciarini fu soltanto quello delle 11.30, in cui veniva formulata l’accusa a Salvatore Vinci; quindi Ferrero in giudizio ricorda male e confonde gli atti. Per cui la base documentale della collaborazione di Mucciarini rimane alquanto traballante.
Questo non significa che il cognato non fosse effettivamente presente quando Mele infine decise di confessare; in effetti non lo sappiamo. Siccome però lo storico, come il giudice, deve tenere conto di tutte le circostanze, che gli piacciano o meno, citerò anche un passaggio che sembra confermare la presenza di Mucciarini.  Facciamo un salto temporale in avanti all’agosto del 1982, quando sono riprese le indagini, condotte in quel momento dal G.I. Tricomi, e leggiamo ancora Rotella: “L'ultimo ad essere escusso, della famiglia di Stefano Mele, è Piero Mucciarini (26 agosto 82, 37 ss. loc. cit.), il marito di Antonietta Mele. (…) Ricorda di essersi recato con il cognato Marcello (Chiaramonti, marito di Teresa Mele, che ora vive a Piombino) a casa del Mele la mattina in cui questi apprese dal giornale del duplice omicidio (è la visita di cui ha parlato anche Teresa). Quando Mele li vide arrivare scoppiò a piangere, dicendo che gli avrebbero dato l'ergastolo. [Nota: Teresa dirà un po’ differentemente: “(Stefano) le aveva detto di essere innocente e che tuttavia sarebbe finito alle Murate]. "Io gli chiesi cosa aveva fatto e lui rispose: «non ce la facevo più» e piangeva". Condotto in caserma il Mele, egli aveva parlato con lui, per invitarlo a dire la verità, ma Stefano rispondeva: "Mi ammazzano il figlio". Alla domanda 'chi?', taceva. Il Mele non gli dava risposta neanche alla domanda: "la pistola dove l'hai comprata e dove l'hai messa?".
Questa domanda sulla pistola si giustifica soltanto dopo che Mele ha ammesso di aver sparato. In mancanza del verbale del 1982, è arrischiato fare altre considerazioni.
Ne approfitto per chiarire ancora una volta – e spero definitivamente – che ritenere le confessioni di Stefano Mele e Giancarlo Lotti false non significa ipotizzare alcun complotto di investigatori, avvocati, magistrati ecc., ma più semplicemente accettare l’eventualità che indagini carenti ebbero come risultato, nell’uno e nell’altro caso, un molto probabile errore giudiziario.

domenica 24 novembre 2019

Al cimitero di Signa


Nel suo pregevole volume “Storia delle Merende Infami” l’avvocato Filastò scrive più volte che il delitto di Signa avvenne “accanto al cimitero”, “dietro il cimitero” e qualifica addirittura il delitto come “i delitti al cimitero di Signa” (pag. 145); confonde poi il cimitero di Lastra a Signa con quello di Signa, a proposito della testimonianza Barranca (pag. 161). E’ un errore che si perpetua da tempo, ripercuotendosi da autore ad autore. 
 
Il cimitero di Signa  - San Miniato è in discesa, da sud a nord. L'ala più a nord (a sinistra nella foto) dovrebbe essere un ampliamento risalente agli anni Ottanta.
La prima citazione del Cimitero di Signa come elemento significativo nel delitto Locci – Lo Bianco compare già nella notte stessa del duplice omicidio. Il carabiniere Giacomini dice infatti al Giudice Istruttore Alessandri:  “Strada facendo in automobile il ragazzo disse che era stato al cinema con la madre e con lo zio e poi era andato in automobile con loro, e ricordava di essere passato vicino al cimitero. Non dava altre spiegazioni” (Verbale del 7 ottobre 1968).  Quindi è avendo come riferimento il cimitero, ossia passandoci davanti percorrendo via di Castelletti, su indicazione del bambino, che i carabinieri rintracciano l’auto, certo aiutati dalla luce di direzione lampeggiante.  Come ho già scritto in un precedente articolo, dal cimitero di Signa (San Miniato) all’incrocio con la stradina dove avvenne il delitto corrono più di 1.300 metri, quindi che il delitto sia avvenuto vicino al cimitero è termine relativo da prendere cum grano salis, in quanto il cimitero serve più che altro come punto di riferimento stradale nella ricerca. 

 
La facciata del cimitero, all'incrocio tra via di Castelletti e via Sorelle Gramatica

Carta IGM 1:50.000, su cartografia del 1963. Si vede il cimitero, a sinistra del numero 110 e più in alto a sinistra Villa Castelletti e la stradina lungo il Vingone


Infatti il 23 pomeriggio i carabinieri, nel portare il Mele a fare il sopralluogo, dopo aver raccolto, ma non ancora verbalizzato, la sua confessione, avendo constatato che dalla piazza del cinema il reo confesso non sa orizzontarsi, lo portano fino al cimitero; dal quale lui poi procede  a localizzare la scena del crimine. 
A verbale, quella sera, Mele riassume così: “Enrico (…) dopo aver percorso circa tre chilometri ed essere passato avanti al cimitero di Signa proseguì per la strada dritta che fiancheggia il cimitero e dopo poche centinaia di metri svoltò in una strada bianca posta sempre sulla destra fermandosi a circa cento metri dal bivio. (…) Una volta che Salvatore si accorse che Enrico aveva girato, fermò la macchina tra il cimitero e una casa colonica posta quasi vicino al bivio”. Questa versione, tra tante improbabilità, ha il merito di essere più o meno coerente con la geografia e la viabilità: infatti “Enrico” passa davanti al cimitero (il termine fiancheggia è impreciso), prosegue diritto e svolta a destra; Salvatore posteggia l'auto vicino a una casa colonica posta prima del bivio. Si tratta, con grande probabilità della casa che si vede in alcune foto d’epoca  e che si può apprezzare anche con Google earth




Il giorno dopo, nel passare l’accusa da Salvatore a Francesco, Mele è già meno preciso sui luoghi. Ne approfitto a questo punto per trascrivere i verbali di Mele del 24 agosto, che mi sono stati gentilmente forniti da Flanz Vinci di Insufficienza di prove e che comparivano solo per excerpta nel volume “Al di là di ogni ragionevole dubbio” (Cochi – Bruno – Cappelletti).

Interrogatorio ore 14.30
Procura della Repubblica di Firenze
L’anno 1968 il giorno 24 del mese di agosto ad ore 14:30 in Firenze, carceri delle Murate
avanti di noi dottor Antonino Caponnetto procuratore della Repubblica di Firenze assistiti dal sottoscritto segretario è comparso l’imputato sotto indicato il quale viene da noi invitato a dichiarare le proprie generalità ammonendolo delle conseguenze cui si espone chi si rifiuta di darle o l’età false.
L’imputato risponde:
Sono e mi chiamo Mele Stefano, già qualificato. Vengo informato delle dichiarazioni rese poco fa da VINCI Salvatore, e invitato ancora una volta a dichiarare la verità nell’interesse superiore della giustizia.
Si dà atto che l’imputato rimane per alcuni istanti assorto e pensieroso; a nuove sollecitazioni infine risponde: 
“La verità è che quella sera io ero con Francesco Vinci. Non ho fatto prima il nome del Vinci Francesco poiché ne avevo paura. Quando ci lasciammo quella notte dopo il delitto, Francesco mi disse: “fa il nome di chi ti pare, ma non il mio”. Un po’ per queste parole di Francesco, un po’ perché nella mattinata di ieri [cancellato nel verbale] avevo avuto per casa il Salvatore, per tanto tempo, un po’ perché anche con lui avevo avuto qualche discussione e anche lui era stato amante di mia moglie, mi decisi ieri sera, nel corso dell’interrogatorio messo a verbale, di fare il suo nome come istigatore e complice. Ma il Salvatore per la verità non c’entra.
Negli ultimi tempi avevo più volte parlato con Francesco della possibilità di “far fuori” mia moglie e l’uomo che avessimo scoperto assieme a lei; a tale scopo avremmo usato l’arma di cui Francesco era in possesso. Sapevo fin dal novembre scorso, anzi sapevo già ancor prima che Francesco entrasse in carcere, che egli aveva una pistola. Egli mi disse che la teneva nascosta in casa sua in un posto che non sapeva neanche sua moglie; però in precedenza, e cioè prima che entrasse in carcere, egli la teneva nel porta-attrezzi della lambretta chiuso con un lucchetto, sempre per quel che Francesco mi diceva. La sera del 21, dopo che mia moglie se ne andò al cinema con Lo Bianco e col ragazzo, cominciai a rimuginare nella mente l’idea di ucciderla. Conoscendo le abitudini di Francesco andai ad attenderlo all’uscita del bar in via IV novembre a Lastra a Signa di fronte alla farmacia. Francesco uscì in strada fra le 23:30 e le 23:45 e mi chiese subito dov’era Barbara; io gli risposi che “era andata fuori con un altro”, senza fare il nome di nessuno. Francesco si limitò ad invitarmi a salire sul suo motorino e si diresse verso Calcinaia, lasciandomi lungo la salita prima del paese ad attenderlo sulla strada mentre egli proseguiva in motorino verso l’abitato. Egli ritornò dopo 10 – 15 minuti. 

La strada in salita che da Lastra a Signa porta alla località Calcinaia, dove abitava Francesco Vinci

Non mi disse dove era stato, né cosa aveva fatto (solo successivamente egli mi disse che era andato a prendere l’arma, senza precisare dove) e mi fece subito risalire dicendomi così: “andiamo a Signa”. A dimostrazione del fatto che il Francesco pensava già da tanto tempo ad uccidere mia moglie, preciso che più volte egli aveva seguito mia moglie nei suoi appuntamenti con altri uomini e ciò mi era stato riferito da mia moglie e può essere confermato anche da Salvatore. Appena giunti a Signa quella notte passammo prima dal cinema Centrale [Nota: leggo in wikipedia che il cinema Centrale, poi demolito, si trovava nell'attuale piazza Ugo Pratelli] all’esterno del quale però non c’era alcuna macchina con le caratteristiche di quella di Enrico (io non avevo fatto a Francesco il nome del Lo Bianco ma gli avevo descritto le caratteristiche della sua macchina) e proseguimmo verso il cinema all’aperto nei cui pressi avvistammo la macchina di Enrico. Aspettammo una mezza oretta che uscissero i tre dal cinema: nell’attesa non scambiammo molte parole ma comunque ognuno dei due conosceva bene i pensieri e le intenzioni dell’altro. Ricordo che ad un certo momento chiesi a Francesco: “ed ora che si fa?” ed egli mi rispose: “ci penso io”, con tono deciso. Sul significato di queste parole io non ebbi alcun dubbio. All’uscita del cinema i tre stettero un po’ fermi in macchina per mettersi a posto e poi si avviarono verso Signa [cancellato nel verbale] Castelletti. Io e Francesco li seguivamo a una certa distanza col motorino di lui.
Quando poi la macchina del Lo Bianco si infilò nella stradina dove poi avvenne il delitto Francesco arrestò il motorino sotto il cimitero. Aspettammo alcuni minuti e poi ci inoltrammo anche noi nella stessa stradina camminando lentamente e cercando di non far rumore. Per primo si avviò Francesco ed io lo seguivo ad una decina di metri. Quando Francesco cominciò a sparare io ero ancora ad una decina di metri da lui. Lo vidi far fuoco attraverso il finestrino posteriore sinistro che aveva il vetro abbassato. Io seguitai ad avvicinarmi e mi portai sul lato destro della macchina. Mi resi subito conto che i due erano stati uccisi sul colpo senza avere il tempo di abbozzare la minima reazione. Vidi Francesco tirare all’indietro per il vestito il corpo di mia moglie, che era riverso su quello dell’uomo, e sistemarlo sul sedile anteriore; indi egli sistemò il corpo dell’uomo mettendogli a posto i pantaloni e la gamba sinistra, dalla quale si sfilò la scarpa che andò a finire vicino allo sportello sinistro. Non mi ricordo che mia moglie avesse le mutandine abbassate e che le siano state tirate su. Mentre Francesco metteva a posto i due corpi mio figlio si svegliò e chiamò: “babbo”. Io colto da un profondo senso di vergogna e di colpa, anziché rispondere a mio figlio e prenderlo con me, scappai verso il motorino e mi avviai a piedi lungo la provinciale senza neanche preoccuparmi di aspettare Francesco col motorino, anche per il timore che persone mi vedessero. Dopo un paio di km di strada fatta a piedi mi sono visto raggiungere da Francesco con il motorino; egli mi disse che aveva preso il ragazzo e l’aveva portato, proseguendo sulla strada in cui avvenne il delitto, presso una casa di contadini. Mi disse Francesco: “il bambino non deve parlare”. Però sono sicuro che se l’interrogate a solo il bimbo vi dirà la verità. Se fosse necessario sono disposto ad incontrare il ragazzo nel luogo che riterrete più opportuno per esortarlo io stesso a dire la verità. Con Francesco ci lasciammo quella notte a Ponte a Signa; lo rividi l’indomani mattina presso la caserma dei carabinieri di Lastra a Signa. Questa che ho detto ora è proprio la verità.
 LC S firma
Si dà atto che a questo punto su richiesta dello stesso Mele viene introdotto Vinci Salvatore al quale il Mele, prorompendo in singhiozzi, chiede perdono per il male che può avergli arrecato.

Interrogatorio stessa data alle ore 21:15
Mi è stato notificato l’ordine di cattura emesso dalla S.V. per duplice omicidio premeditato.
Confermo il mio secondo interrogatorio, quello cioè in cui ho accusato, come di nuovo accuso, Vinci Francesco di avere premeditato con me, e poi materialmente eseguito in mia presenza, il duplice omicidio.
La S.V. mi fa presente che un paio di ore fa, prima che mi venisse permesso di riabbracciare e salutare mio figlio presso il Comando Carabinieri, il ragazzo ha rivelato che quella notte fui io a condurlo, un po’ per mano e un po’ a cavalluccio, fin nei pressi della casa colonica della quale poi il ragazzo suonò il campanello. È vero, è andata proprio così; però, per la verità, io l’avevo già dichiarato ai carabinieri durante il sopralluogo del giorno 23 pomeriggio. Lasciato il ragazzo, passai attraverso i campi, finché mi sono ritrovato sulla strada asfaltata vicino al cimitero. Ho proseguito a piedi fino a casa; non è vero, cioè, che io abbia incontrato il Francesco. Francesco si allontanò di corsa, e andò a riprendere il suo motorino, mentre io mi portavo accanto al ragazzo che si stava svegliando. Gli avevo detto di aspettarmi sulla strada, ma non lo rividi più. È vero che, come la S.V. mi riferisce essere stato detto dal ragazzo, io mi misi a sedere sul sedile posteriore dell’auto, accanto al ragazzo, poco prima che egli si svegliasse. Mi rendo conto che appaiono senza senso le diverse cose che io ho detto nel precedente interrogatorio sui punti or ora contestatimi: ma non avevo mai avuto a che fare con la giustizia e non sapevo come comportarmi.
LCS Firma

Il lettore attento e perspicace saprà distinguere da solo quanto può essere farina del sacco del Mele e quali invece sono risposte indotte dallo svolgimento dell’interrogatorio, come il clamoroso voltafaccia sull’accompagnamento del bambino. Altrettanto evidente è che Caponnetto non crede a Mele, ma naturalmente non può evitare di prendere atto della sua confessione ed emette ordine di cattura. L’inchiesta sarà poi condotta da altri magistrati.

Rimangono alcune osservazioni da fare.
Sulle minacce subite dalla Locci, come sappiamo, abbiamo la conferma indiretta della Locci stessa, tramite Giuseppe Barranca, in epoca vicinissima al delitto. Mele le attribuisce a Francesco, come il giorno prima le ha attribuite a Salvatore; se si potessero abbinare con certezza minacce e uomo in motorino, il candidato principale sarebbe Francesco, ma come scrissi già parecchi anni fa, la cosa non è affatto certa. Si è sempre fatto un gran parlare che Mele disse di essere stato portato sul posto da Francesco Vinci con la Lambretta, che invece era dal meccanico. Ma, come si vede, in questo interrogatorio Mele parla di motorino, farà in seguito confusione con la Lambretta dove, a suo dire, Francesco custodiva l’arma, svalutando quindi ulteriormente le sue dichiarazioni. Inoltre, se il giorno prima è stato abbastanza preciso (ma era appena stato portato sul posto), nel verbale del 24 sembra non abbia più idea delle distanze, giacché dice di aver visto, dal cimitero, l’auto del Lo Bianco svoltare nella stradina. L’idea del cimitero e della Lambretta gli rimane in testa, tanto che il giorno 26, nel confronto con Carmelo Cutrona, dirà:  “Noi lasciammo quella sera la Lambretta vicino al cimitero”.
Vista panoramica dei luoghi


Non aggiungo altro, perché continuo comunque a leggere commenti, anche bene informati, che dicono che Mele conosceva la scena del crimine, ha simulato perfettamente l’omicidio, sapeva il numero dei colpi prima degli inquirenti, la scarpa di Lo Bianco ecc., ignorando tutti gli altri indizi che ci dicono che sapeva poco o nulla di prima mano. Quindi tutto questo lavoro di ricostruzione cominciato nel 2012 è stato pressoché vano.

SALUTO
Con questo articolo, credo interessante soprattutto per la trascrizione dei verbali, mi congedo, spero temporaneamente, dai miei soliti quattro lettori, avendo ormai scritto tutto quello che avevo da dire, su Signa, su Lotti e molte altre cose.  Speravo di ottenere una consulenza da uno psicologo forense sui verbali di Natalino Mele del 1969, ma per ora non è stato fattibile; può darsi lo diventi in futuro.
E’ anche il momento di ringraziare chi nel corso di questi anni mi ha fornito i documenti e i necessari spunti di riflessione per la scrittura di questo blog. Li nomino in rigoroso ordine alfabetico:
Ale
Nicola Blasco
Bruchetto
Francesca Calamandrei
Francesco Cappelletti
Paolo Cochi
Claudio Ferri
Martin Rush
Antonio Segnini
Maurizio Sozio
Mi scuso con chi sto involontariamente dimenticando.

Un saluto e a risentirci, in attesa di novità.

FRANK / OMAR