![]() |
Corriere della Sera, 13 novembre 1991 |
C’è da immaginare (ufficialmente se ne sa ben poco) che il personaggio del Vampa sia stato analizzato insieme e contemporaneamente a molti altri. Di questo periodo parla, ma in termini troppo vaghi per essere utili, il capo della SAM Ruggero Perugini nel suo libro “Un uomo quasi normale”. Sta di fatto che sulla base di una varietà di elementi sospetti gli inquirenti si convincono, più che altro sulla base di considerazioni di ordine psicologico (tendenza alla violenza, disordine sessuale) e locale (territorio) di aver individuato la persona giusta; nel giugno del 1990 Pacciani, all’epoca in carcere, riceve un avviso di garanzia, anche se solo per detenzione illegale di armi da fuoco; ma le indagini su di lui sono già in corso. A proposito di armi, nel 1987, in occasione dell'inchiesta per la violenza alle figlie, gli era stata sequestrata la pistola a salve Mari che teneva in macchina, ma il reato si risolse in una mancanza del tappo rosso che segnala le armi giocattoli e Pacciani era stato assolto perché, alla fine, la pistola giocattolo non era neppure funzionante.
Una volta imboccata con decisione la pista Pacciani, la strada è segnata e tutti gli sviluppi successivi funzionano come un meccanismo a orologeria – mi si permetta di accennarne solo per sommi capi, nella convinzione che siano cose ben note a quanti si sono interessati al caso. Si raccolgono le testimonianze, alcune reticenti (Vanni, Lotti) altre fin troppo volenterose (Nesi). Le perquisizioni (album Skizzen Brunnen, cartuccia nell’orto) e l’aiuto degli anonimi (asta guidamolla) aumentano il magro raccolto, a sufficienza per il rinvio a giudizio e la condanna in primo grado. E’ proprio in corso di processo, però, che accade qualcosa di nuovo e inaspettato. Alcuni testimoni affermano di aver incrociato Pacciani sul luogo di un delitto, sulla sua auto ma in compagnia di un altro uomo (Nesi 2), di averlo visto su un auto che non era la sua (Longo), di aver visto un altro uomo vicino all’auto di Pacciani (Zanetti, sempre a Scopeti). Già nella sua prima deposizione (23 maggio 1994) Nesi aveva riferito della misteriosa lettera inviata da Pacciani a Vanni durante il suo periodo di detenzione in cui si parlava di “cose bruttissime”. Messi insieme questi spunti, ne risultava che ci fosse probabilmente qualcuno che era a conoscenza delle malefatte del Pacciani o addirittura un suo complice nella preparazione ed esecuzione degli omicidi. Vanni era l’amico del cuore di Pacciani e la sua testimonianza era stata bollata dal presidente Ognibene come “singolarmente reticente”. La seconda tornata di indagini a carico questa volta non più di Pacciani come serial killer solitario, ma di Pacciani & C. (probabilmente si pensa all’epoca ad aiutanti in subordine soggiogati dalla straripante personalità del Vampa) parte dunque già nell’estate del 1994 (non, come comunemente si crede, con la nomina di Michele Giuttari a capo della mobile fiorentina nell’ottobre del 1995). Acquietatesi per qualche tempo dopo la condanna, le indagini riprendono però vigore con la ricerca condotta da Giuttari sui “testimoni dimenticati”, coloro che in occasione dei delitti avevano notato più auto o più persone sospette; queste testimonianze erano state considerate irrilevanti quando, ante 1994, si era convinti che gli omicidi non potessero essere compiuti altro che da un unico assassino della tipologia “lust murder”. Peraltro, l’urgenza di aggiungere legna al debole fuocherello della Procura è vieppiù sottolineata dalla possibilità tutt’altro che remota che Pacciani venga assolto in appello. Il che regolarmente succede, se non che nel frattempo Giuttari ha velocemente scoperto “I compagni di merende”, con testimoni oculari e tutto il necessario per chiudere l’inchiesta (il che non avverrà per motivi che qui non intendo approfondire).
L’unico problema è che oggi veniamo a sapere che Giancarlo Lotti, per qualche suo motivo che ciascuno è libero di immaginare, ha mentito…
Fine della storia.