Posto qui un articolo di compilazione di fonti sull'incipit della "pista sarda. Vorrei poi fare alcune considerazioni personali, ma mi riservo di verificare se ci saranno commenti o interventi utili allo sviluppo della discussione. Capisco che un articolo così lungo non è di agevole lettura sul monitor e in formato blog, se preferite copiate, incollate e stampate. Sarò grato a chi segnalerà errori o fornirà integrazioni.
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La Città, 3 dicembre 1982 |
Raccolta delle fonti relative alla nascita della “pista sarda”
Il collegamento tra il primo duplice omicidio (Signa 1968) e
i successivi è da sempre uno dei misteri più controversi tra i molti che
costellano il caso criminale del Mostro di Firenze: cittadino amico sì vs
cittadino amico no; messaggio anonimo sì vs messaggio anonimo no; depistaggio
sì vs depistaggio no. Nel mio libro ho dedicato un’appendice al maresciallo
Fiori e al suo apporto alle indagini, prendendo posizione abbastanza netta per
depistaggio certamente no, anonimo probabilmente no. Una discussione in corso
su un forum dedicato mi induce a ripercorrere la vicenda vagliando nuovamente
le fonti in mio possesso; chissà che una rinnovata analisi a qualche anno di
distanza e con qualche nuovo elemento a disposizione non possa portare a una
conclusione diversa.
Quella che segue è in sostanza una raccolta commentata delle
fonti sull’argomento. Nello scorrerle occorrerà tener ben presente che il
termine “fonti” è qui usato nel senso più generale e improprio; si tratta in
massima parte di testimonianze secondarie (giornalistiche e letterarie)
inframezzate da qualche fonte primaria, senza peraltro dimenticare che anche la
fonte primaria (es. una sentenza) rappresenta comunque non il fatto in sé bensì
un’interpretazione dei fatti. Richiamo qui quanto già scritto su questo blog,
disponibile anche su academia.edu (https://www.academia.edu/10202449/Gerarchia_delle_fonti_per_lo_studio_del_caso_del_Mostro_di_Firenze).
Avevo tentato di mettere insieme i pezzi in ordine più o
meno cronologico, ma testi e fatti si incrociano in maniera troppo complessa
per una raccolta di questo tipo: ad esempio, una sentenza del 2010 ci parla di
avvenimenti del 1974. Seguiremo pertanto un ordine logico.
Iniziamo dal 30 giugno 1982, quando, sull’onda dell’emozione
per il delitto di Baccaiano, gli inquirenti decidono di far pubblicare sugli organi
di stampa l’identikit dell’uomo visto da testimoni sull’Alfa rossa in fuga da
via dei Prati a Calenzano, pubblicazione che darà la stura a una miriade di
segnalazioni, molte delle quali anonime. Il 3 luglio 1982 abbiamo da parte
della Procura della Repubblica di
Firenze la richiesta al Nucleo
Operativo dei CC e alla squadra Mobile di accertare “se si siano verificati,
nel territorio dello Stato o all’estero, episodi delittuosi che per modus
operandi siano analoghi a quelli verificatisi in Borgo San Lorenzo, Scandicci,
Calenzano, Montespertoli (…) Il periodo che interessa è quello che va dal 1970 ad oggi”. Per ora su
questa iniziativa investigativa, a firma di Pier Luigi Vigna e Silvia Della
Monica, limitiamoci a osservare solo quella data “dal 1970 a oggi”: ossia gli inquirenti spostano all’indietro il
lasso temporale da mettere sotto esame.
Intorno a metà del mese di luglio apprendiamo da Articoli di Mario Spezi apparsi su La
Nazione che: 14 luglio 1982: Carabinieri
e magistrati si sono recati a Borgo San Lorenzo. Frenetica attività degli
inquirenti. 15 luglio. Frenetico lavoro svolto martedì sera a Borgo San Lorenzo
dal giudice Pier Luigi Vigna e da alcuni ufficiali dei carabinieri. 16 luglio
1982:Il caso del mostro diventa “top secret”. Il lavoro frenetico delle ultime settantadue ore sembra in parte
essersi calmato e si sarebbe incanalato in una ricerca che richiede tempi
abbastanza lunghi e metodicità. Questa “frenetica attività” rimasta
indefinita potrebbe essere collegata alla ricerca di una pistola apparentemente
scomparsa, a leggere il recente volume “Al di là di ogni ragionevole dubbio”
(2.a ed.): “I primi di luglio del 1982,
ad esempio, le indagini sull’arma da fuoco portarono a Borgo San Lorenzo il Dr.
Vigna in persona, a caccia di una pistola presa in carico da una armeria del
luogo e poi scomparsa nel nulla della burocrazia. Quella pista si sgretolò con
l’arrivo del filone sardo, poiché la pistola sparita risultava costruita nel
‘67 ma registrata in carico al grossista solo nel ‘69 e quindi dopo il delitto
di Signa”. Può sembrare strano che in cerca di una pistola si muova, per
più giorni, il Sostituto Procuratore, ma naturalmente mi inchino a chi ne sa
più di me. Se questo è vero, le indagini svolte a Borgo San Lorenzo non avevano
nulla a che fare con la “pista sarda” che stava nascendo proprio in quei
giorni.
Infatti il 17 luglio 1982 il Giudice Istruttore di Firenze–(ossia Vincenzo Tricomi) faceva richiesta alla Cancelleria della
Corte d’Appello di Perugia di ricevere il fascicolo del processo di appello a
Stefano Mele, completo del corpo di reato (bossoli per comparazione). E’
questa la prima fonte sulla “pista sarda”; quindi o qualcuno (diciamo subito il
nome, tanto lo sappiamo tutti: il maresciallo Fiori) si era ricordato o aveva
ricevuto una soffiata nei giorni immediatamente precedenti. C’è da interrogarsi
sull’eventuale rapporto tra il ricordo del maresciallo e la richiesta della
Procura del 3 luglio, rammentando che la stessa riguardava fatti avvenuti dal
1970 in poi, mentre il delitto di Signa era antecedente. Oggi sappiamo che la
richiesta a Perugia andò inevasa perché il fascicolo era stato restituito a
Firenze.
In effetti nella Sentenza
del GUP di Perugia del 20 aprile 2010 leggiamo che (nota: il giudice sta citando
la requisitoria del P.M. Mignini) – “dall’informativa
che il Responsabile del G.I.De.S. Dr. MICHELE GIUTTARI ha inviato alle due
Procure di Firenze e di Perugia in data 2 marzo 2005 emerge che il G.I. Dr.
TRICOMI il 20.07.1982 ha
effettivamente richiesto gli atti alla
Cancelleria della Corte d’Assise di Firenze ma non è stata rinvenuta
traccia documentale dei successivi passaggi e, quindi, del rinvenimento dei
bossoli”. Gli atti processuali erano in realtà stati restituiti a Firenze
il 1 aprile 1974. Si evince chiaramente dalla lettura, pur mediata, che nel 2005 gli investigatori del GIDES
che indagavano sull’esistenza di presunti mandanti dei duplici omicidi
ritenevano che il collegamento del delitto del 1968 avesse rappresentato un clamoroso depistaggio. Infatti così
procede la requisitoria del P.M., sempre citata in sentenza: “Va ancora aggiunto che le risultanze della
perizia sui proiettili del ’68 sono state non univoche almeno per quanto
riguarda il proiettile estratto dal corpo di ANTONIO LO BIANCO, perché, mentre
il Colonnello ZUNTINI ha colto sul proiettile in questione n. 6 rigature
destrorse, gli altri periti hanno individuato sempre nello stesso proiettile,
solo n. due frammenti di impronta di rigature con andamento destrorso”. Se
ne deve concludere, tralasciando la mancanza di tracce documentali del
passaggio dalla Cancelleria all’Ufficio Istruzione, che : 1. Tricomi chiese il
fascicolo (e i reperti) a Perugia; 2. ebbe risposta negativa; 3. chiese il
fascicolo a Firenze; 4. ottenne il fascicolo, probabilmente lo stesso 20
luglio.
Per una di quelle coincidenze straordinarie e forse
diaboliche di cui è ricolmo il caso che ci occupa, quello stesso 20 luglio 1982
La Nazione pubblicava “Un appello dei carabinieri per il mostro, Un
appello è rivolto dal comando del nucleo investigativo dei carabinieri di Borgo
Ognissanti a una persona che ha dato più volte il suo contributo anonimo
all’indagine sui delitti del maniaco perché si rimetta in contatto con loro.
L’uomo, che nella sua ultima lettera si è firmato “un cittadino amico” e che ha
scritto tre volte (…) dovrebbe fornire di nuovo la sua collaborazione,
magari anche solo telefonando al nucleo investigativo”. Da questo
trafiletto, molti anni dopo, il sommo esperto mostrologo che si nascondeva
sotto lo pseudonimo di De Gothia ha tratto un breve (e famoso) scritto sul
caso, dal titolo “La notte del cittadino
amico”, nel quale sostiene la tesi del depistaggio e ritiene di trovare la
fonte del collegamento nelle lettere anonime inviate ai carabinieri di Borgo
Ognissanti nel 1982 dall’ignoto che si firmava “Un cittadino amico” o “Colui
che capisce il mostro”.
A questo punto abbiamo già in campo l’ipotesi segnalazione
anonima al fine di depistaggio, ma dobbiamo ancora sentire l’altra campana,
ossia la versione ufficiale dei fatti, rappresentata dal maresciallo Francesco Fiori del quale citiamo, alla
data del 28 novembre 1986, il verbale di testimonio senza giuramento dinanzi al
G.I. Rotella alla presenza dei PM Vigna e Canessa.- (già riportato da Paolo
Cochi nel sito Cronaca-Nera, , ora nel volume “Al di là di ogni ragionevole
dubbio, 2.a ed.). “Avevo seguito il caso
sul delitto di Signa, accompagnando il Maresciallo Ferreri (sic) all’Istituto
dove era ospitato il bambino Natalino Mele. Nei giorni dell’omicidio non ero
presente a Signa perché in ferie. Dopo il delitto del 1982, parlando con l’appuntato Piattelli Ugo,
che era in servizio a Signa nel 1968, venne fuori il ricordo del duplice
delitto del 1968. Più precisamente, ricordammo che in quella località fu
compiuto un duplice omicidio ai danni di un uomo e una donna insieme a colpi di
arma da fuoco. Ricordo anzi che tra me e il Piattelli nacque una discussione
intorno all’anno in cui si era consumato il delitto di Signa. Io sostenevo che
si trattasse del 1964 mentre l’appuntato lo attribuiva al 1968. Certo è che poi
io mi recai dal Colonnello Dell’Amico (…)” Inserisco qui per facilità di riferimento il
seguito dell’articolo di Cochi, che non se ne è stato e ha intervistato
l’appuntato Ugo Piattelli: “Confermo
l’episodio descritto dal Maresciallo Fiori e ricordo che avemmo una discussione
circa l’anno dell’omicidio, lui ricordava il 1964, mentre io sostenevo che si
trattava del 1968. Assieme ci recammo dal Colonnello Dell’Amico che seguiva le
indagini, il quale rinvenne un fascicolo
personale, non so a quale persona implicata nella vicenda appartenesse.
Dell’Amico informò subito il G.I. Dr.
Tricomi, che dapprima contattò il perito balistico dell’epoca e poi fece
richiesta alla Cancelleria della Corte d’Appello di Perugia e successivamente a quella di Firenze per
l’acquisizione degli atti processuali.“ Se la memoria, invero prodigiosa,
dell’appuntato non sbaglia, prima lui e Fiori ebbero il ricordo, poi andarono
dal colonnello, il quale andò dal G.I. il quale prima interpellò il perito
Zuntini (non è chiaro a quale scopo, forse per avere in anteprima copia della
perizia?), infine, il 17 luglio fece la prima richiesta del fascicolo a
Perugia. Quindi la ricerca di “vecchi casi” avviata dalla Procura il 3 luglio,
sempre posto che lo spunto del ricordo di Fiori fosse quello, aveva dato i
propri frutti in un tempo molto ristretto.
Tutta la vicenda è stata poi riassunta in questi termini dal
Giudice Istruttore di Firenze (Mario Rotella) nella Sentenza Ordinanza del
13 dicembre 1989, che è opportuno citare per esteso. “(…) ricordo del m.llo Fiori, in servizio presso il Comando Gruppo
Carabinieri di Firenze, e nel 1968 alle dipendenze della Compagnia di Signa.
Egli rammentava al comandante del Reparto Operativo, T. Col. Dell'Amico, che in
quell'anno dirigeva il Nucleo Investigativo dello stesso Gruppo, che nel 1968,
appunto, era stata uccisa una coppia in Castelletti di Signa a colpi di
pistola. L'arma non era mai stata rinvenuta. Un colpevole era stato trovato in
persona del marito della donna uccisa, per quanto se ne sapeva condannato dalla
Corte d'Assise di Firenze nel 1970. Effettuati opportuni riscontri, si
accertava che il condannato, Stefano Mele, aveva subito tutti i gradi di
giudizio ed uno di rinvio a Perugia. Il G.I. dell'epoca, avvertito, disponeva
il recupero del fascicolo processuale. Intorno
al 20 di luglio del 1982 esso si trovava sul suo tavolo. Allegati al
fascicolo erano, per fortuita e
inspiegabile combinazione, i bossoli e i proiettili rinvenuti dopo il
duplice omicidio. Disposta comparazione, già a livello informale si accertava
l'identità dell'arma adoperata nel 1968 e nel 1982. Il giudice avvertiva il
p.m. La notizia veniva tenuta segreta per necessità imprescindibili delle
indagini, che avrebbero poi condotto all'incriminazione di Francesco Vinci. Scagionato
quest'ultimo dalle sopravvenienze nel 1984, la riservatezza del 1982 avrebbe suscitato non poche diffidenze, mai
sopite, nei mass-media e perciò nell'opinione pubblica, con seguito di
anonimi consiglieri che hanno ritenuto d'indirizzare le indagini nei confronti
di taluno degli stessi membri delle stesse forze di P.G.
Nel 1983 tutti coloro che, tra i carabinieri del gruppo di Firenze,
avevano contribuito alla scoperta del precedente sono stati escussi e taluni,
nuovamente, negli anni successivi. Da ultimo, in questo 1989, si è ritornati
incidentalmente sull'argomento, in rapporto (…) alla possibilità, smentita in
maniera assoluta dagli accertamenti, che la notizia del precedente del 1968
fosse stata ottenuta diversamente, per esempio attraverso una confidenza. Analogamente non ha nessun fondamento che sia pervenuto al G.I. dell'epoca (1982) un
anonimo, nel quale fosse menzionato in relazione agli omicidi delle coppie, il
precedente di Signa”.
Il resoconto di Rotella sembra esaustivo e in effetti
potremmo fermarci qui.
Ma proseguiamo alla ricerca di quelle diffidenze nei
mass media di cui parlava Rotella e grazie all’emeroteca di Insufficienza di
Prove ne troviamo tre (ma ce ne saranno altre):
L’Unità 7
novembre 1982 (articolo di Giorgio Sgherri, che brucia i colleghi e pubblica la
notizia) affermando: “L’inchiesta su
questo duplice omicidio è stata riaperta nella base di alcune lettere anonime giunte agli inquirenti, le stesse lettere anonime,
a quanto pare, facevano riferimento a 5 e non a 4 duplici omicidi. È così
che i magistrati sono andati a rispolverare il fascicolo sulla tragica fine di
Barbara Locci e Antonio Lo Bianco”.
La Città 9
novembre 1982 (articolo di Franca Selvatici). “Dopo l’ultimo delitto cominciarono ad arrivare lettere di denuncia e
di sospetto. Un autore anonimo ricordò
agli inquirenti un delitto avvenuto sei anni prima di quello di Borgo San
Lorenzo” e successivamente La Città
9 settembre 1983 (articolo di Franca Selvatici). “Ai primi di luglio (del 1982) alcune
lettere anonime suggerirono di riconsiderare il lontano e dimenticato
delitto del '68 a Lastra a Signa. E fu così che si giunse alla sconvolgente
scoperta che l'arma del delitto era sempre stata la stessa.” Stessa formulazione in un articolo del 27 gennaio 1984, non firmato,
probabilmente dalla penna della stessa giornalista.
E’ pacifico che il cronista di nera dell’Unità, essendo il
primo a dare la notizia, si assume la paternità, nell’ambito della stampa, di
propagare la versione delle lettere anonime. Undici anni dopo, nella
pubblicazione collettiva L’ultimo mostro
(Supplemento al n. 293 dell'Unità del 15-12-93) Sgherri attribuirà il merito
del collegamento al solo Francesco Fiore (sic), ma manterrà in gioco le lettere
anonime scrivendo: “Ma alla fine del '82 il candidato più quotato
era Francesco Vinci. A mettere gli investigatori sulle sue tracce ci sono anche
delle lettere anonime inviate ai carabinieri”; segno che qualcosa gli è
rimasto a frullare in testa. Notiamo che il contenuto della presunta
segnalazione (nella versione primigenia del novembre 1982) non coincide con
quanto ricostruito da De Gothia (indirizzamento diretto su Signa) né con la
successiva versione di Spezi, che ora andiamo a leggere.
Detto questo, risulta che all’epoca vi erano già versioni
autorevoli che ripetevano la storia ufficiale. Ad esempio, Mario Spezi nel suo primo libro sul caso, Il
Mostro di Firenze (1983): “A metà
luglio (1982) gli inquirenti decidono di tentare una nuova strada. Si tratta di
fare un’indagine su tutti i reati commessi prima del 1974 in cui è comparsa una
Beretta cal. 22. E un’idea che sembra pazzesca attraversa la mente di un
sottufficiale dei carabinieri la mattina di uno dei primi giorni di agosto. Il
maresciallo Francesco Fiore (sic) ricorda che nel 1968 a Signa, non lontano da
Firenze una coppia di amanti vennero uccisi mentre erano in macchina in
campagna. (…) i due amanti furono uccisi
con una pistola calibro 22 e l’arma non fu mai ritrovata. Perché non
confrontare i bossoli del delitto del ’68 con quelli degli omicidi del Mostro?”
A questo punto, possiamo aggiungere che nesso stesso libro Spezi fa riferimento
al “cittadino amico”, lo stesso di De Gothia, che avrebbe scritto tre lettere
in quel lasso di tempo e sarebbe stato oggetto di una richiesta di
collaborazione da parte del Comando Carabinieri di Borgo Ognissanti apparsa sui
giornali (come si vede tutto coincide), ma ne spiega dettagliatamente il
contenuto in maniera del tutto diversa e le attribuisce, per farla breve, a un
mitomane.
Qualche anno dopo, però, Spezi cambierà opinione, se non sul
“cittadino amico” quanto meno sulla genesi della “pista sarda”, come risulta
dalla lettura del suo Delitti in Toscana
(1989). “Secondo una voce che non ha mai
trovato conferma ufficiale e che fu per la prima volta riportata da chi scrive
queste pagine (dove? abbiamo visto che il primo era stato Sgherri), arrivò nel giugno 1982 un
biglietto anonimo alla caserma dei carabinieri di Borgo Ognissanti a Firenze.
L’autore del messaggio invitava gli inquirenti ad andare a rivedere le carte
del vecchio processo d’appello per i fatti del ’68 celebrato a Perugia anziché
a Firenze. (…) La storia del biglietto anonimo non è mai stata confermata
ufficialmente, E tuttavia, per la prima volta, chi scrive può dire quale fonte
gliela rivelò: il giudice istruttore Vincenzo Tricomi (…). Mi aggiunse un
particolare grave: quando chiese di vedere il biglietto, gli fu risposto che
era irreperibile. Quel biglietto, insomma, non esiste più”. Più o meno la stessa versione verrà ribadita
in Toscana nera dello stesso autore,
pubblicato nel 1998: “Siamo in grado di
rivelare che gli investigatori furono informati da un biglietto anonimo,
probabilmente inviato dal mostro stesso. In quel biglietto – anzi un ritaglio di
giornale in cui si parlava dell’uccisione di Barbara Locci e Antonio Lo Bianco
era scritto. <<Perché non andate a rivedere il processo d’appello per i
fatti del 1968 che si svolse a Perugia?>> Incredibilmente il messaggio,
custodito nella caserma dei carabinieri di Borgo Ognissanti, si perse. La
Procura della Repubblica negò che fosse mai esistito. Ma il giudice Vincenzo Tricomi lo ebbe in mano e ci ha autorizzato a
confermarne l’esistenza”.
Considerate le teorie di Spezi, esplicitate da ultimo nel
suo “Dolci Colline di sangue” (vedi infra), il messaggio anonimo sarebbe non un
depistaggio bensì un “pistaggio”, un indirizzamento preciso; ma in questa sede
questo non ci interessa. Notiamo che Tricomi fu sostituito nel ruolo di giudice
istruttore già nella prima metà del 1983; quindi quando e per quale motivo
avrebbe avuto occasione di chiedere di vedere (o ri-vedere) il biglietto
anonimo? Quando il misterioso ritaglio sarebbe stato “smarrito”? Possibile che
nel giro di pochi mesi, pur lavorando a tempi pieno sul caso, ne avesse
dimenticato il contenuto? O che addirittura non avesse mai chiesto di prenderne
visione? Vedremo nel seguito la sua versione dei fatti.
Una conferma indiretta del racconto di Spezi, o meglio che
Spezi raccontava pubblicamente quello che aveva scritto, ci viene da Carmelo
Lavorino, autore di vari scritti sul Mostro.
Nel suo Mostro di Firenze - La
teoria finale (1991) - “Mi ha detto il
mio amico giornalista Mario Spezi: nel 1982 arrivò al maresciallo Fiori un
biglietto anonimo che indicava il collegamento … di tale biglietto non è
rimasta traccia … io lo so perché il
giudice Tricomi lo ha visto e me lo ha confermato… Cosa può essere accaduto:? L’inquirente
cattivo appartiene a una combinazione criminale che dal 1974 comincia a sparare
e sezionare per motivi che a noi non è dato conoscere, ma solo supporre. La
pistola con cui la combinazione spara non è la stessa del 1968.L’inquirente
cattivo spara con la pistola che uccide dal 1974 otto proiettili e li recupera,
congiuntamente ai bossoli, si reca a Perugia, fa sparire i reali proiettili e
bossoli della calibro 22 del clan sardo (nota: si intende, sostituendovi i
bossoli sparati dalla vera pistola del Mostro, Lavorino si dimentica di dirlo
esplicitamente). Nel 1982, dopo il delitto di Montespertoli, fa stabilire il
collegamento, avvalendosi del m.llo Fiori o strumentalizzandolo” (nota: nel
seguito l’autore chiarisce di non credere per nulla a questa ipotesi e di
averla citata, per così dire, solo per smontarla). Questa comunque è una
testimonianza de relato di secondo
livello (Tricomi lo dice a Spezi che lo dice a Lavorino) che lascia il tempo
che trova, ma che inseriamo per amore di completezza.
Infine, arriviamo alla esplicita dichiarazione dell’ipotesi
“depistaggio”. Nel romanzo Coniglio il
martedì di Aurelio Mattei (1993) Il protagonista, che è anche l’assassino,
si insinua nella Cancelleria di un Tribunale fingendosi collaboratore di un
avvocato e sostituisce i reperti di un altro fascicolo inserendovi i bossoli
sparati dalla sua pistola; dopo di che telefona in questura e suggerisce di
collegare gli omicidi. Una battuta del romanzo forse degna di nota è la
seguente: “Dove avete trovato i bossoli?»
«In tribunale», rispose Cadone, «nell'archivio reperti. È stato per puro caso;
secondo il cancelliere tra un mese sarebbe andato tutto al macero. Mi ha detto
che, dopo un certo numero di anni, se non ci sono oggetti preziosi, oppure
materiale d'interesse per il museo criminologico, viene tutto incenerito.» «Non
dovevate controllare», riprese il criminologo, «tutti gli omicidi degli anni
precedenti?» «Sì, il controllo è stato
eseguito, ma c'eravamo fermati al 1970.» Se un controllo simile e la
stessa data vi fa scattare un’associazione di idee con l’indagine avviata il 3
luglio del 1982, beh, non avete torto. Che dire? Si tratta di un romanzo
ispirato alla vicenda del Mostro; ma a volervi cercare una chiave, la si trova.
Un sostegno alla versione ufficiale, dopo queste note a dir
poco dissonanti, viene da Giuseppe Alessandri, il quale nel periodo tra
processo di primo grado e appello nei confronti di Pacciani diede alle
stampe La leggenda del Vampa (1995), che, condivisibile o meno il suo
assunto, resta un libro affascinante e frutto di una ricerca sul campo. A
quanto pare, l’autore parlò con il maresciallo Fiori, che gli confermò
direttamente (ma come avrebbe potuto non farlo?) quanto a suo tempo dichiarato
agli inquirenti. “Fu proprio in questi
giorni di inizio luglio che il colonnello Dell’Amico invitò tutti i suoi
collaboratori del Comando fiorentino dei carabinieri a fargli presente ogni
episodio delittuoso che riaffiorasse alla loro memoria e che potesse in qualche
modo essere ricollegato agli omicidi del Mostro. Fu così che il maresciallo
Fiori, anch’egli in servizio a Borgognissanti – al nucleo investigativo – si
ricordò di un duplice omicidio avvenuto nell’estate del 1968 nella campagna di
Signa (della cui stazione egli, brigadiere, faceva parte), peraltro in un
periodo in cui si trovava in licenza. Sì badi bene dunque: non fu, come è stato tendenziosamente affermato, un
biglietto anonimo a richiamare all’attenzione dei militari dell’Arma su quel
vecchio delitto di Castelletti, ma fu il maresciallo Fiori ad avere, su
sollecitazione del colonnello Dell’Amico, tale intuizione. Nacque così quella che
sarebbe divenuta tristemente famosa come la “pista sarda” delle indagini sui
misfatti del mostro di Firenze”. Tanto per essere chiari, per Alessandri la
“pista sarda” è “tristemente famosa” perché allontanò l’attenzione
dall’arcicolpevole Pacciani.
Nel 1996, Tornielli e Bruno (Analisi di un Mostro) sono sicuri che il maresciallo Francesco Fiore (sic) fu aiutato da un biglietto anonimo
(forse un’imbeccata dello stesso Mostro?) Peggio, nel suo singolare pastiche intitolato Mostro d’autore (1996-2001) Tommaso D’Altilia si schiera
apertamente per il depistaggio, sulla base, a suo dire, di un’interpretazione
storica e logica, il che in parole povere significa “facendo ampio ricorso alla
fantasia”- (nota: cito unicamente dalla
premessa programmatica del volume) “Raccolta
di elementi indicanti: depistamento doloso delle indagini, compiuto nel luglio
del 1982 mediante la creazione di una falsa “pista sarda”; che l’autore del
depistamento fu il maresciallo dei carabinieri Francesco Fiore (sic); che il depistamento fu attuato mediante
manomissione dei reperti allegati al fascicolo processuale di Stefano Mele, ciò
allo scopo di ingannare i periti balistici; che dopo il doloso depistamento
il maresciallo Fiore negò recisamente l’imbeccata di una lettera anonima” Nel seguito,
l’autore definisce il maresciallo Fiore “utile
idiota di cui si servì qualcuno che aveva già attuato la manomissione dei
reperti (bossoli)”. E’ singolare, ma forse nemmeno tanto, che D’Altilia
venga citato come fonte attendibile nella requisitoria del PM Mignini, che
riporta un brano di una sua audizione del 2002 presso la Squadra Mobile di
Perugia: “posso dire che il depistaggio è avvenuto, a mio avviso,
nella città di Perugia o meglio nel Tribunale di Perugia, allorquando il
dottor VIGNA subentrò come Capo del Pool Investigativo che si occupava dei
duplici omicidi avvenuti nella città di Firenze. (…)Nella circostanza un
Maresciallo dei Carabinieri, FRANCESCO
FIORE, affermò di ricordare che nel '68 c'era stato un delitto analogo, una
coppia uccisa forse a Lastra a Signa, LOCCI – LO BIANCO. Il maresciallo o la
magistratura ritennero di recuperare i bossoli al fine di procedere alla
comparazione degli stessi, e siccome l'iter giudiziario del procedimento a
carico di STEFANO MELE si concluse nella città di Perugia, tutti i reperti
erano presenti presso quest'ultimo Tribunale, da cui si deduce che solo presso
quegli uffici sia stato effettuato lo scambio dei bossoli affinché quelli della
serie partente dal '74 coincidessero con l'arma dell'omicidio del '68”.
Tuttavia, lo stesso Mignini informa che il fascicolo era tornato a Firenze (si
veda Sentenza del GUP di Perugia già citata).
A questo punto, avendo già citato una varietà di fonti,
possiamo fare un’osservazione di carattere filologico. Chi, scrivendo, usa il
nome Fiore anziché Fiori molto probabilmente non conosce gli atti e ripete la
storiella “per sentito dire” oppure non ricorda bene. E’ pur vero che la stessa
Dott.ssa Della Monica, in un’intervista raccolta da Paolo Cochi per il suo
documentario (I delitti del Mostro di Firenze), chiama il maresciallo “Di
Fiore” e lo qualifica come “collaboratore di Piero Vigna”, ma parlando a
braccio ci si può sbagliare, scrivendo un libro no – o quanto meno non si
dovrebbe.
Siamo alla fine. Concludo questa raccolta di fonti con un
interscambio a distanza Tricomi – Spezi. Ecco quanto scrive Spezi in Dolci Colline di Sangue (2006) – “Parlammo del delitto di Montespertoli,
l'ultimo, e a un tratto chiesi al giudice, senza una vera ragione: 'Ma davvero
fu solo per la memoria del maresciallo Fiori che vi accorgeste che le
pallottole del 1968 erano le stesse degli altri delitti?' "Tricomi si
accese un'altra sigaretta, si guardò le punte delle scarpe e con il suo stretto
accento siciliano mi disse senza esitazioni: 'Macché! Può anche essere che quel
maresciallo si sia ricordato del delitto del '68, ma la verità è che ricevemmo
un'informazione precisa'. '"Un'informazione? E da chi? Che tipo
d'informazione?' lo incalzai, annusando una notizia clamorosa. "'Arrivò un
biglietto', riprese Tricomi per nulla agitato, 'un biglietto anonimo, scritto
in stampatello. Anzi, la scritta era su un vecchio ritaglio di giornale che
parlava dell'omicidio del '68. Si leggeva Perché non andate a rivedere il
processo di Perugia contro Stefano Mele?” in questo passaggio del romanzo
Spezi descrive un dialogo intercorso con il G.I. Tricomi, in occasione
dell’apertura di un anno giudiziario [dialogo fittizio? La scena è
intrinsecamente credibile in quanto Tricomi intorno all’aprile 1983 fu
trasferito alla Corte di Appello di Firenze, venendo sostituito all’Ufficio
Istruzione da Rotella, ma ovviamente l’abilità del romanziere sta nel costruire
situazioni fittizie ma verosimili). Temporalmente, la confidenza andrebbe
situata tra il 1983 (prima versione di Spezi) e il 1989; ma spostando la data
in avanti viene a cadere il riferimento all’ultimo delitto come quello del 1982.
L’unica apertura dell’anno giudiziario nella quale il delitto di Montespertoli
è ancora l’ultimo è quella del 1983 e all’epoca Tricomi ancora si occupava del
caso. Insomma, nel modo in cui viene narrata la scena qualcosa non quadra; il
che non implica di per sé che la sostanza del dialogo non sia veritiera.
Ma ecco il testo della dichiarazione rilasciata da Vincenzo Tricomi a Mario Spezi datata
15 gennaio 2002 - “In ordine all'episodio
di cui mi si chiede, premesso il notevole lasso di tempo sbiadito e incerto
ogni ricordo, posso dire di ricordare che presumibilmente nell'inverno 1982
venne il maresciallo Fiore (sic) con un ritaglio di giornale di cui ignoro come
e con quale modalità erano venuti in possesso i carabinieri che riferiva della
conferma della condanna in sede definitiva a Perugia. Mi chiese se era
possibile acquisire il processo e io lo ritenni del tutto possibile".
Notiamo che nel 2002 Tricomi ricorda poco o nulla e sbaglia anche lui, come un
D’Altilia qualsiasi, il nome del povero maresciallo; del resto, sono passati,
dai fatti, vent’anni. Notiamo anche che, nella dichiarazione, non si parla
affatto di anonimo, ma solo di un ritaglio di giornale, che poteva benissimo
provenire dall’archivio del Nucleo di Borgo Ognissanti. Ancora, secondo Tricomi,
fu il maresciallo a venire direttamente da lui, mentre il duo Fiori – Piattelli
afferma concordemente di aver lasciato l’incombenza, per ovvi motivi
gerarchici, al colonnello Dell’Amico. Lo stesso iter informativo
proceduralmente corretto (Fiori – Dell’Amico – Tricomi) si ritrova nella
sentenza Rotella, il magistrato che all’epoca, a menti ancora relativamente
fresche, si occupò di chiarire il caso. La mia impressione è che nel 2002
Tricomi scrisse, per far piacere a Spezi (che forse si stava precostituendo le
basi per il suo prossimo romanzo e l’ipotesi “Carlo”), il massimo che si
ricordava e poteva confermare in coscienza; quindi il dettaglio dell’articolo
di giornale è (probabilmente) autentico, mentre non troviamo conferma di una
segnalazione anonima indirizzante al processo di Perugia.
Infine, Vincenzo
Tricomi rilasciò un’intervista a Paolo Cochi ( 13 agosto 2011 – ora anch’essa
nel volume “Al di là di ogni ragionevole dubbio”). “Devo precisare che dopo quel delitto
(Baccaiano di Montespertoli, giugno 1982) fui io personalmente a disporre
l’invio di fonogrammi ai vari Comandi dei CC e polizia di ricerca per eventuali
casi di duplice omicidio con modalità simili. Un giorno venne il Maresciallo
Fiori con un vecchio articolo di giornale inerente il caso del delitto del 1968
chiedendomi se sarebbe stato opportuno approfondire la questione. Ovviamente
disposi il recupero del fascicolo che stava a Perugia ed il Maresciallo se ne
occupò assieme al Colonnello Olinto Dell’Amico. (...) Rammento che intorno al 20 di Luglio 1982 il fascicolo relativo al
duplice omicidio del 1968 di Signa era a nostra disposizione. Nel
fascicolo, come è ormai noto, rinvenimmo una bustina con allegati i bossoli di quello
strano omicidio. Le perizie del
Colonnello Zuntini erano all’interno del faldone. Ci fu dunque un controllo
immediato con i bossoli esplosi dalla famigerata calibro 22 e ricollegammo
gli omicidi”. Notiamo alcune cose. Lo stesso Tricomi che nel gennaio 2002
(dichiarazione a Spezi) sbagliava il nome del maresciallo, ora lo dice giusto; quel Tricomi che sbagliava il tempo dell’indagine
(“presumibilmente nell’inverno 1982”) ora ricorda addirittura il giorno (20
luglio). Ma non solo: usa una locuzione molto simile a quella riportata nella
sentenza Rotella; “Intorno al 20 di luglio del 1982 esso si trovava sul suo
tavolo” vs ”intorno al 20 di luglio 1982 il fascicolo era a nostra disposizione”.
Un filologo che si trovasse di fronte a due testi A e B, che raccontano la
stessa storia nello stesso modo, conoscendo l’anteriorità di A, non avrebbe
problemi a stabilire che B deriva da A, soprattutto quando in un testo
antecedente l’autore di B dimostra di non conoscere (nel nostro esempio, non
ricordare) dettagli riportati da A. Sperando di essere stato chiaro, richiamo
un ulteriore dubbio su quanto detto da Tricomi a Cochi, ossia: era stato il
G.I. a far ricercare delitti simili verificatisi negli anni precedenti o era
stata la Procura (richiesta del 3 luglio) e Tricomi ricorda male? O erano stati
entrambi autonomamente? Il giudice istruttore poteva all’epoca prendere
iniziative investigative autonome; d’altra parte, se l’invito non fosse venuto direttamente da
Tricomi , perché mai Fiori (o Dell’Amico) avrebbe portato da lui il ritaglio di
giornale, anziché fare rapporto alla Procura della Repubblica? E’ impossibile
optare per una ipotesi o per l’altra, non disponendo di documentazione. Sta di
fatto, che quand’anche su alcuni particolari esposti nell’ultima intervista la
memoria dell’ex giudice sia stata probabilmente aiutata, un episodio importante
come un anonimo che scatena un’indagine durata sette anni e che manda in galera
gente innocente, non si può dimenticare; e Tricomi, a esplicita domanda di
Cochi, confermò recisamente che non gli
risultava che la notizia fosse arrivata dall’esterno e che l’identità dell’arma
era una delle poche certezze di questa storia.