Riassumiamo. Abbiamo scoperto (non certo una grande e nuova
scoperta, ma comunque una verità ignorata da molti) che Alfa / Pucci sta
all’origine della pista investigativa dei compagni di merende, alla cui fine
(non Beta, ma Omega) sta Giancarlo Lotti.
E’ Pucci che per primo (2 gennaio 1996 – ma chissà poi chi
era quel misterioso teste che venne sentito in questura il 28 dicembre 1995?)
afferma di essere stato a Scopeti la presunta notte dell’omicidio.
E’ Pucci che per primo (9 febbraio 1996) fa il nome (quanto
atteso dagli inquirenti!) di Pacciani e Vanni.
E’ Pucci che (stessa data) colloca se stesso e Lotti a
Vicchio (non in coincidenza temporale con l’omicidio, ma tanto basta per
dimostrare una conoscenza e frequentazione della piazzola da parte dei due
compari).
E’ Pucci che (18 aprile 1996) afferma la compartecipazione
del Lotti ai delitti di Giogoli e Baccaiano (e forse Calenzano).
Qui la serie si arresta, poiché, avendo Pucci chiarito che,
per quanto riguarda i duplici omicidi precedenti a Scopeti, la sua conoscenza è
solo de relato, a questo punto si
inserisce a pieno titolo nella girandola di rivelazioni l’astro nascente di
Lotti e brillerà fino alla sentenza di Cassazione, relegando – ma molto
utilmente per la giustizia – il Pucci a ruolo di riscontro.
Allora, bisognerebbe capire perché il teste Alfa parla a
rate, visto che è solo testimone e in nessun modo, come sostengono le diverse
sentenze, coinvolto nei delitti. Per le confessioni (anch’esse a rate e spesso discordanti tra loro) di Lotti, la
sentenza di primo grado cerca di definire un
iter che spieghi le diverse e contraddittorie dichiarazioni rese dal teste
rispetto a quelle rese nello stato di indagato e poi di imputato, scegliendo di
sposare esclusivamente l’ultima versione, ossia le dichiarazioni fatte in aula
in sede di esame e controesame. Ci dice il giudice (pag. 26 della sentenza):
“Tale premessa appare dunque doverosa, non solo ai fini di meglio capire la
successione dei fatti, ma anche e soprattutto al fine di meglio valutare la
credibilità del Lotti, posto che le sue prime
ed intermedie dichiarazioni non sono sempre in linea con le ultime,
perché allora il Lotti aveva avuto tutto l’interesse a dare una versione di
comodo, dal quale risultasse la sua presenza sul posto ma non il ruolo
realmente ricoperto: si spiegano così alcune inesattezze o contraddizioni
rispetto alle dichiarazioni finali.” Se dovessimo applicare lo stesso metro
alla testimonianza Pucci, otterremmo il risultato contrario, poiché, come già
si è detto, in aula Pucci non ricorda nulla di quanto ha dichiarato in fase di
indagine e, cosa più grave, ammette che “non se ne ricordava neanche prima”. Ma
soprattutto, anche omettendo di cercare di capire perché Pucci, essendo
perfettamente a conoscenza di chi fossero gli autori degli efferati delitti che
avevano sconvolto l’Italia per più anni, abbia deciso di tacere perlomeno dal
settembre 1985 al 2 gennaio 1996, rimane a mio parere inevasa la domanda:
perché non dice tutto quanto sa già quel 2 gennaio in cui viene “incastrato”
dal sapiente interrogatorio di Giuttari? Giacché non ha, affermerà il PM e
confermeranno i giudici, alcune responsabilità penale personale nella vicenda,
quindi nulla da temere?
Mi pare che la sequenza logico-temporale sia chiara a chi
voglia vederla in maniera obiettiva. Riportiamoci alle frenetiche giornate
d’investigazione di quella fine dicembre 1995. La Ghiribelli ha visto sotto la
piazzola una macchina rossa, Lotti aveva una macchina rossa, ergo Lotti è un
possibile testimone del delitto (l’ipotesi che ne sia l’autore non sfiora la
mente degli inquirenti, che il nome del colpevole già lo sanno e stanno solo
cercando complici o, al peggio, persone informate sui fatti). Ma nel pomeriggio
vicino alla macchina rossa c’erano due uomini (così Chiarappa – De Faveri),
ergo ci deve essere un altro testimone, un testimone che non può essere altri
che lo storico compagno di girate Pucci. Infatti Pucci conferma di essere stato
presente e di aver visto qualcuno. E’ quello che in questa fase si aspettano
gli inquirenti, il presunto testimone c’era
(anzi, ce ne sono due) e ha visto qualcosa, ma ben poco, giacché è stato
mandato via da due uomini. Questi due uomini non possono essere altri che
Pacciani e il suo complice. Che poi il complice sia Mario Vanni è nell’ordine
naturale delle cose, da quel famoso 26 maggio 1994 in cui lo sfortunato ex
postino ebbe la cattiva idea di pronunciare la fatidica frase: “Io sono stato a
fa’ delle merende co’ i’ Pacciani…” Al secondo interrogatorio, il 23 gennaio,
Pucci, pur tra molte incertezze (“io vidi due persone; se poi uno dei due fosse
proprio il Vanni, non sono sicuro”) conferma (e con questa conferma, almeno per
quanto riguarda Scopeti, il gioco è fatto).
A quel punto, agli investigatori sarà montata la curiosità.
Dato che anche a Vicchio erano state notate due macchine, di cui una rossa, non
sarà mai che Lotti e Pucci fossero anche da quelle parti? Tanto più che già il 6 febbraio, la Nicoletti aveva detto
di essere stata a fare l’amore a Vicchio (non con Lotti, però; una coincidenza
inquietante e difficile da spiegare), proprio nel posto dove era stata
ammazzata la Rontini. Prontamente, interrogato tre giorni dopo, Pucci ammette;
ha visto, in un giro con Lotti, la coppia che è stata ammazzata alla Boschetta.
Dopo una pausa di qualche tempo, in cui Lotti parla ampiamente di Scopeti e
Vicchio, ma non dei precedenti omicidi (e diventa, da persona informata sui
fatti, indagato), gli inquirenti fanno due più due: hanno avuto la prova –testimoniale
– che Pacciani e Vanni, con la partecipazione - in un ruolo ancora poco chiaro
- di Lotti, sono stati gli autori degli due ultimi duplici omicidi. Che il
deus ex machina Pucci non riservi
altre sorprese “ricordando “ fatti più remoti? E’ così. Pucci coinvolge Lotti
a ritroso fino all’omicidio di Calenzano
(18 aprile) e il 26 aprile Lotti fa una cosa un po’ strana: prima, alla
presenza di Vigna nega tutto, fa mostra di non saper nulla di cosa parli il suo
compare. Al che Vigna si alza e se ne va
e, al cospetto dei soli ufficiali di P.G. (e, beninteso dell’avvocato
d’ufficio, o, per essere più precisi, del sostituto dell’avvocato d’ufficio),
Lotti finalmente la canta giusta, ovviamente dopo che gli son state lette le
affermazioni di Pucci di qualche giorno prima. A proposito dell’attività del
primo avvocato d’ufficio, traggo dal vecchio blog di Master una frase, colta in
una intercettazione Lotti – Nicoletti del
24.03.1996, che appare molto significativa: : "...ma lui mi disse, l'avvocato, se tu vai lì, qualcosa in più
bisogna tu dica, l'83, l'82, l'81... o come fo’ a sapere tutte queste cose?"
Analogo concetto nella stessa telefonata, che traggo da “Al di là di ogni
ragionevole dubbio” (ma, caveat lector,
senza indicazione di fonte):
- Giancarlo Lotti:
“Poi m’hanno interrogato dell’84.”
- Filippa Nicoletti:
‘Eh. ”
Giancarlo Lotti: “Se
ero andato. Gl’hanno visto la mi’ macchina a coso, là (Nota: si intende
Vicchio).
E i’ che gli dico?”
- Filippa Nicoletti:
‘Eh se hanno visto la tu’ macchina...”
- Giancarlo Lotti: ‘No, m’hanno imbrogliato su questo fatto
qui. Sennò io... sapevo su uno solo, solo e basta.” (Nota: grassetto
mio)
- Filippa Nicoletti:
“Di uno solo, sapevi?”
- Giancarlo Lotti:
‘Eh, oh. Quando mi fermai lì, veddi la tenda, c’era la tenda. ”
- Filippa Nicoletti:
“Ah. ”
- Giancarlo Lotti: ‘E
c’era du’ persone. ”
- Filippa Nicoletti:
‘Eh. ”
- Giancarlo Lotti:
“Quell’altro l’ha riconosciute subito. Io non l’ho riconosciute.
- Filippa Nicoletti:
“Ah. ”
Giancarlo Lotti: ‘Poi
mi voglian domanda’ le cose dell’83, dell’82... come fo a sapere queste cose?”
(…)
Giancarlo Lotti: “Ma
poi gli hanno visto una macchina, dice, a Scandicci, a Giogoli. E io che ne so?
Per l’appunto la mi’ macchina l’è da tutte le parti. Io se vo a trovare una
cugina, io un lo so. Loro dice... lì a Giogoli c’era un furgone, dice, quei du’
tedeschi... ”
Filippa Nicoletti:
“Ah. ”
Giancarlo Lotti: “Ma
come fo a dire una cosa che un n’ho vista?”
Filippa Nicoletti: “Eh
ma tu... gli dici che non l’hai visto. ”
Giancarlo Lotti:
“Dice: ‘ma te tu vai dalla tu cugina.’ E questo i’ che vuol dire? Perché dalla
mi’ cugina un ci posso andare?”
Filippa Nicoletti: ‘Eh
.. . ”(...)
Filippa Nicoletti:
‘Eh, comunque, tu se hai delle cose... devi dire la verità. Quando hai detto la
verità pare che non si sbaglia mai. Capito?”
Giancarlo Lotti: ‘Eh
ormai... Per me ho detto più di che un
n’è. E son stato imbrogliato, guarda. ” (Nota: grassetto mio)
Torniamo ancora al fatidico 18 aprile che mette
definitivamente nei guai Lotti, già indagato. A Pucci viene chiesto il movente
degli omicidi, ma non sa dire altro che a qualcuno garbava uccidere, a qualcun
altro guardare; quanto al quarto compagno di merende, “quello di Calenzano”, ci
andava volentieri, per motivi suoi che Pucci non conosce. Gli inquirenti
avevano già chiesto a Lotti del movente, ricavandone l’affermazione che
Pacciani voleva far mangiare alle figliole il ricavato delle escissioni, una
spiegazione evidentemente ritenuta poco soddisfacente. Anche la semplice e
chiara motivazione data dal Pucci (ammazzavano perché gli garbava così, una
verità incontestabile) non accontenterà gli investigatori, tanto che
successivamente Lotti tirerà fuori la storia del “dottore” (storia invero non
nuova, era stata fatta circolare nel maggio 1983 da Mario Spezi come corollario
della sua ipotesi sul “dottor B.”), innescando in un sol colpo due nuovi filoni
di indagine, quello dei mandanti e quello esoterico-satanico.
La Nazione - 2 luglio 1996 |
Insomma, il perché delle ammissioni a rate di Pucci si spiega
facilmente e senza troppi giri di parole: il teste dice in buona fede quello
che ritiene che gli inquirenti desiderino sentire da lui. Su questo meccanismo
psicologico, che in realtà è molto più comune di quanto si pensi, non è il caso
di spendere parole qui, visto che la moderna bibliografia su suggestionabilità
e falsi ricordi è imponente.
Naturalmente, dobbiamo presumere che le SIT di Fernando
Pucci siano state condotte tutte in maniera corretta e ineccepibile, ma la
tecnica di verbalizzazione riassuntiva non permette di valutare se gli
investigatori abbiano involontariamente fatto ricorso a domande suggestive dalle
quali il teste abbia potuto desumere quali informazioni avrebbe dovuto fornire
per riuscire gradito agli interroganti. Il testo trascritto della registrazione
del confronto Lotti-Pucci – già citato – non è filtrato da redattori (in
filologia si parlerebbe di ipsissima verba) ed è prezioso per
definire il livello di conoscenza dell’episodio delittuoso di Scopeti da parte
dei due testi.
Ma sentiamo di nuovo la versione dei parenti del Pucci. Come
sappiamo, nella sua prima versione (2 gennaio) Pucci non identifica i due
uomini minacciosi; eppure nel corso delle sommarie informazioni testimoniali di
quella decisiva giornata i nomi di Pacciani e Vanni sono fatti più volte in
relazione ad altri episodi: vanno a fare merende e si ubriacano con il Lotti,
vanno a prostitute, non trovano più la macchina, Lotti ha paura di loro ecc. Nell’udienza
del 4 ottobre 1997 il PM dà lettura di un breve passo delle dichiarazioni rese
il 24 gennaio 1996 da Marisa Pucci, sorella di Fernando, la quale aveva
dichiarato: “Voi mi chiedete se mio
fratello Fernando ha mai detto qualcosa circa i motivi per cui è stato
recentemente sentito in Questura dai Magistrati. Effettivamente la sera che lui
ritornò, accompagnato dal nostro fratello Valdemaro, dopo essere stato sentito
in Questura, intorno alle 21.30 io gli chiesi cosa gli era stato domandato. Lui
mi rispose genericamente che gli avevano fatto domande sul 'Vampa', che lui
aveva detto tutto quello che sapeva (Nota: grassetto mio), specificando a me di non parlare con
nessuno in paese e che anche lui sarebbe stato riservatissimo con chiunque,
perché così gli era stato raccomandato dalla Polizia”. E’ chiaro che il 24
gennaio 1996, chiedendo spiegazioni alla sorella, gli inquirenti si stanno essi
stessi chiedendo come sia possibile che Fernando Pucci abbia tenuto un completo
silenzio sui fatti di cui era stato testimone per più di dieci anni, con i suoi
stessi parenti con i quali convive e che hanno nei suoi confronti, per loro
esplicita ammissione, un ruolo accudente e genitoriale. E’ altrettanto chiaro
che, già nel primo interrogatorio, l’attenzione si era ampiamente posata su
Pacciani, giacché, nel riferirne il contenuto, Pucci dichiara solo “che gli
avevano fatto domande sul Vampa”. E il fratello Valdemaro (udienza del 6
ottobre 1997): “Io non sapevo perché lo
avevano chiamato (prima SIT, 2 gennaio 1996). Poi, quando... Perché dentro non fate entrare nessuno. Quando lo
ripresi in macchina, gli dissi: 'ma icché t'hai fatto? Che c'è qualcosa di
male?' 'Mah, io passai così dagli Scopeti, mi fermai per fare un bisogno con
Giancarlo e ho visto, ho sentito delle voci, poi degli spari, poi sono andato
via. Ma la voce la mi sembrava quella del Pacciani'”. Quindi già dopo la
prima deposizione Pucci dice, a Valdemaro, che gli sembrava la voce di
Pacciani. Poi, dirà Valdemaro, “a tavola,
me lo disse insieme alla mi' moglie. Io, quando, non me ne ricordo, avvocato.
Mi disse: 'ho visto Mario che con un coltello tagliava la tenda. E il Pacciani
a sparare'.” In sostanza, Fernando ripete ai fratelli, nella stessa
sequenza (13 febbraio e poi 24 aprile, date desunte dalla perizia), le stesse ammissioni a rate che ha già fatto alla polizia; mai
un’anticipazione, mai un elemento nuovo.
Ce n’è abbastanza per chiedersi cosa sapeva veramente – o
cosa pensava di sapere – il nostro teste.
La Nazione - 6 luglio 1996 |
La consulenza Fornari – Lagazzi conclude nel senso che “nella
fattispecie in esame, è possibile affermare, senza riserva alcuna, che Pucci
Fernando è perfettamente in grado di rendere una testimonianza attendibile, purché
lo voglia.” (Nota: i periti ebbero l’impressione che il teste non volesse
confermare le dichiarazioni già fatte; in italiano corrente questo si chiama
“mettere le mani avanti”). Si può essere d’accordo. Il problema è che, in
dibattimento, la sua testimonianza è pressoché nulla e allora si ricorre, in
modo assolutamente abnorme, alle contestazioni basate sui verbali di P.G.; e si
ricorre ai verbali perché il teste, sostanzialmente, non sa rispondere o dà
risposte incongrue – e non solo, come a volte si legge, agli avvocati difensori
perché pressato o intimidito, ma anche al P.M. e allo stesso Presidente. I file
audio sono oggi disponibili, per cui chi vuole farsi una propria opinione ha
modo per farlo.
Lascio la serie aperta, perché ho speranza di ottenere
un’intervista con uno psicologo che aiuti a capire meglio cosa si intende per
“ritardo mentale” e le sue eventuali ricadute in termni di attendibilità della
testimonianza.
Quindi, forse (CONTINUA).