Lotti:"...ma lui mi disse, l'avvocato,
se tu vai lì qualcosa in più bisogna tu
dica,
l'83, l'82, l'81...
o come fo' a sapere tutte queste cose?"
(stralcio di
intercettazione telefonica – senza fonte - tratto dal blog “Pacciani, i
Compagni di merende, ed altro ancora”)
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La Nazione 11 dicembre 1996 |
Rivediamo, prima di procedere oltre, la cronologia del caso. Il 23
gennaio Mario Vanni riceve un avviso di garanzia; con grande immediatezza, potremmo
dire, giacché il secondo verbale di SIT di Pucci, il primo nel
quale si faccia il nome di Vanni in relazione all’omicidio di Scopeti, porta la
stessa data del 23 gennaio ed è redatto alle ore 17. Il 6 febbraio il
procuratore Tony chiede l’assoluzione di Pietro Pacciani, innescando una
polemica con Vigna, alimentata dalla stampa. Il 9 febbraio Pucci conferma, pur
in maniera tentennante, di aver visto Vanni tagliare con il coltello la tenda
delle vittime francesi. Nella giornata dell’11 febbraio abbiamo un primo
interrogatorio di Lotti, il confronto Lotti – Pucci e un secondo interrogatorio
di Lotti, che, come detto, è verbalizzato per sommi capi. La sera stessa, come
racconta Giuttari, il procuratore Vigna richiede al Ministero dell’Interno
l’applicazione di speciali misure di protezione in favore del teste Beta, Giancarlo Lotti. Il giorno successivo (12
febbraio) viene richiesta e ottenuta dal GIP la custodia cautelare in carcere
di Mario Vanni; mentre il 13, in seguito
alla sentenza di assoluzione, viene scarcerato Pacciani.
In questa tumultuosa serie di eventi, è ben difficile capire
da chi dovesse essere protetto Lotti, se da Vanni che sarebbe andato in carcere
il giorno dopo o da Pacciani, del quale si poteva prevedere (ma solo qualora,
come in effetti avvenne, la Corte
d’Appello non avesse ammesso i testi algebrici) un prossimo ritorno in libertà
e che sarebbe stato attentamente vigilato. Possiamo ben concordare dunque con l’opinione
di Giuttari del 2006, secondo cui il vero fine della protezione sarebbe stato
non la tutela da inesistenti pericoli, ma il controllo completo del testimone.
Di contro, poiché vi è sempre un contraltare, occorre chiarire che, una volta
avviato il programma speciale di protezione, probabilmente in coincidenza del
passaggio di Lotti dalla posizione di teste a quella di indagato, il
collaboratore passa dalla gestione dell’autorità giudiziaria e di polizia
locale alla tutela del Servizio Centrale di Protezione; diventa quindi, almeno
in teoria, più difficilmente accessibile e influenzabile.
L’argomento venne trattato poco in corso di processo.
Rileggiamo un breve passaggio e scambio di battute tra l’avv. Pepi e il teste
Michele Giuttari dall’udienza del 27 giugno 1997 (come sempre, da Insufficienza di Prove).
Avvocato Pepi: (…)
Veniamo proprio ora a Lotti. Lei chiaramente è a conoscenza della attuale
situazione giuridica del Lotti? Nel senso, il Lotti come lo si può definire,
persona sottoposta a regime di protezione?
M.G.: Ma guardi, dalle
notizie che posso darle io su questo aspetto molto generico, perché sono
notizie anche di una certa riservatezza. Comunque le posso dire che è curato
dal Servizio di Protezione, per i collaboratori di giustizia. Ecco, questo è
quello che io so e le posso dire. I dettagli poi del servizio, sono cose
riservate che non le posso riferire perché anche non le so, non è che non
glielo voglia riferire.
Avvocato Pepi: Ecco,
quindi lei per esempio non sa se il Lotti... come sappiamo benissimo i collaboratori
di giustizia, sappiamo alcuni svolgono delle attività lavorative, hanno una
retribuzione...
M.G.: questo aspetto
assolutamente, non è competenza mia. Io faccio le indagini, non posso sapere
queste cose no. (…) C'è un ufficio
ministeriale del Servizio Centrale di Protezione che ha competenza esclusiva su
questo aspetto, quindi che gestisce i collaboratori di giustizia in tutte le
necessità. Quindi non le posso dire completamente nulla su questo.
Avvocato Pepi: Lo
chiederemo a Lotti al momento dell'esame, non è questo... (…) Ecco, questa è una domanda, non lo so se lei
mi può rispondere perché mi sembra che su questo non abbia cognizione perché
l'ha detto prima lei. Lei... Comunque gliela faccio la domanda, semmai mi
risponde che non lo sa. Che lei sappia il Lotti, essendo oggi in regime di
protezione, può ricevere tranquillamente dall'esterno lettere?
M.G.: No, io questo
non glielo so dire.
Avvocato Pepi: Non lo
sa. Bene.
M.G.: Io non so né
dove sta né...
Avvocato Pepi: No,
no.. .
M.G.: Niente su Lotti.
Avvocato Pepi: Io ho
fatto una domanda, lei è un alto funzionario di Polizia.
M.G.: Sì, sì. Non
glielo so dire, sinceramente.
Avvocato Bertini:
Presidente, mi perdoni.
M.G.: No, questo...
Avvocato Bertini:
Avvocato Bertini. Vorrei sapere che attinenza hanno al processo queste domande?
Se può spiegarcelo.
Avvocato Pepi: Hanno
molto attinenza, basta leggere anche i...
Presidente: Va be', ma
questo non lo sa, la domanda rimane senza effetto.
M.G.: Io queste cose
non le posso sapere, signor Presidente.
Avvocato Pepi: Va be',
io gliel'ho chiesto, se non lo sa...
M.G.: Io posso sapere
l'attività investigativa. Queste cose amministrative esulano dalle mie
competenze.
Avvocato Pepi: Bene.
No, no...
Presidente: Ce lo dirà
il Lotti dopo.
Ma non mi risulta (posso sbagliare) che al Lotti vennero poi
fatte, nella sua deposizione, domande del genere. Della posizione del
coimputato come collaboratore di giustizia parlò più a lungo l’avv. Mazzeo,
nelle sue conclusioni (udienza del 3 marzo 1998), con argomentazioni molto
acute e puntuali, ma che non ebbero alcuna presa sui giudici.
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La Nazione 2 aprile 2002 |
Sarebbe interessante anche conoscere se e come siano stati
applicati, nel caso di Lotti, i commi 1, 2 e 3 dell’art. 2 DM 687/94, i quali prescrivevano
che, nella proposta di protezione, il Procuratore della Repubblica proponente
dovesse indicare i motivi per i quali le
dichiarazioni erano ritenute attendibili e importanti per le indagini, come
pure gli elementi che confermavano l’attendibilità del teste/indagato /imputato
collaborante (e qui possiamo immaginare che si sarebbe citato il riscontro
fornito dal Pucci) e che alla proposta venisse allegato un verbale di
dichiarazioni preliminari alla collaborazione (o verbale di informazioni ai
fini delle indagini per i testi estranei al fatto) dal quale dovesse risultare
la volontà di collaborare. Alla data del 12 febbraio ’96 e ancora per qualche
tempo sarebbe stato difficile formulare un simile documento con riferimento
alle scarne ed incerte dichiarazioni “a rate” che il Lotti, prima da persona
informata sui fatti e poi da indagato, stava versando. Ma la dottrina ci
insegna che questo “verbale delle dichiarazioni preliminari”, per motivi
giuridici che qui non è il caso di approfondire, venne di fatto disapplicato
fino alla legge di riforma (Rosa Anna Ruggiero, L’attendibilità delle dichiarazionidei collaboratori di giustizia,
Giappichelli 2012, pp. 174 e seguenti.), talché si può presumere che nella
vicenda che ci occupa non sia mai stato neppure redatto. La legge di riforma
interverrà radicalmente su questo aspetto, proprio per evitare il
“mercanteggiamento” tra dichiarazioni progressive del collaborante e
corrispondente concessione dei benefici,
introducendo l'obbligo di un “verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione”, da
rendere alla Procura della Repubblica nel termine massimo di sei mesi.
Sta di fatto che Lotti viene protetto subito dopo il suo
secondo interrogatorio e rimane sotto protezione durante tutte le indagini e i
processi. Lo testimoniano i verbali disponibili; la perizia Lagazzi – Fornari
del dicembre 1996; se ne parla in varie udienze del processo di I grado; è
ancora protetto (diciamolo chiaramente: fornito di vitto, alloggio e sostegno
economico) alla data della prima sentenza, il 24 marzo 1998, e ancora quando
viene pronunciata la sentenza di Appello il 31 maggio 1999; ed è ancora e
sempre domiciliato presso il Servizio Centrale di Protezione del Ministero
degli Interni alla data della sentenza di Cassazione, il 26 settembre 2000.
Quindi quanto meno dal 12 febbraio 1996 al 27 settembre 2000, per quattro anni
e mezzo, Lotti usufruisce, grazie alla sua posizione di collaboratore di
giustizia, di vitto, alloggio e assistenza economica a spese dello Stato. La precarietà della sua situazione (in teoria,
il collaboratore dovrebbe dire tutto quello che sa e subito, pena la decadenza
dai benefici) può giustificare il contenuto di frasi tratte dalle
intercettazioni telefoniche, delle quali è difficile non sottolineare l’importanza,
come quella riportata in epigrafe o la seguente, detta al telefono a Don
Fabrizio Poli il 14 giugno 1996: “Se non rispondi alla prima, alla seconda,
sono costretti a portarti via, l’è quello il problema (…); c’è stato dei
contrasti ultimamente, m’è toccato dì qualcosa, perché se no finiva male per dì
la verità (…); e m’è toccato dì qualcosa perché se no alla fine mi mettevano
dentro”. E’ anche significativo il ricorso della Procura allo strumento
processuale dell’incidente probatorio (19 febbraio 1997), utilizzato di
consueto per acquisire le dichiarazioni dei “pentiti” di mafia; infatti in tali
situazioni il PM non ha mai la certezza che l’imputato collaborante in sede di
dibattimento non cambi versione o si rifiuti di rispondere. E’ solo, quindi,
dopo un anno di “protezione” che Lotti sarà pronto a dare la sua versione
definitiva (o quasi: ci sarà ancora qualche aggiustamento in sede di dibattimento)
dei fatti [Nota: Purtroppo il verbale
dell’incidente probatorio non è disponibile e il contenuto è conosciuto solo
attraverso brevi estratti, riportati nel “vecchio blog di Master”
(http://i-compagni-di-merende.blogspot.co.uk/2009/12/incidente-probatorio.html)].
Quando terminò il programma di protezione di Lotti (se
immediatamente alla pronuncia della sentenza di Cassazione, l’anno dopo o alla
sua morte [Nota: per la modifica e revoca
del programma, si veda art. 5 DM 687/94]), non mi è dato, allo stato delle
conoscenze, di sapere con certezza. Secondo la norma regolamentare dell’epoca,
le misure di protezione, fossero esse ordinarie o relative ad uno speciale
programma di protezione, erano rinnovabili, ma sottoposte alla condizione del
perdurare dello stato di grave pericolo derivante dalla collaborazione offerta
alla giustizia dalla persona. Pertanto, accertato il venir meno del fattore di
rischio (es. carcerazione di Vanni, morte di Pacciani), avrebbe dovuto essere
disposta l’immediata revoca o sospensione dell’attività di tutela; cosa che,
con tutta evidenza, non avvenne. Naturalmente lo stesso Lotti aveva introdotto
un ulteriore soggetto (o più di uno) nella vicenda che avrebbe potuto essere
pericoloso per la sua incolumità: il misterioso dottore mandante degli omicidi;
il che poteva garantirgli la continuità delle misure di protezione.
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La Nazione 13 aprile 2002 |
Da una
notizia di agenzia del 3 ottobre 2000 (purtroppo dispongo solo della
trascrizione), apprendiamo che <<Il "pentito" dell'inchiesta
bis sui delitti del "mostro" di Firenze, Giancarlo Lotti, è stato
arrestato. A quanto si è appreso l'arresto sarebbe avvenuto in una zona del
nord Italia dove l'uomo era soggetto a programma di protezione. Il
provvedimento è scattato dopo la conferma della sentenza sui cosiddetti
"compagni di merende" da parte della Corte di Cassazione, che ha
ribadito in via definitiva la condanna di Lotti a 26 anni di carcere. Egli fu
il pentito-accusatore del processo bis che portò alla condanna all'ergastolo di
Mario Vanni. Secondo il difensore del Lotti, avv. Stefano Bertini, il programma
di protezione sarebbe decaduto al momento in cui la sentenza è diventata
definitiva>>. Dopo di ciò, sappiamo solo, da scarne notizie
giornalistiche (alcuni numeri de La
Nazione del mese di aprile 2002), che, al momento del manifestarsi della malattia
che lo portò alla morte (15 marzo), Lotti si trovava recluso nel carcere di
Monza e che spirò 15 giorni dopo in un ospedale di Milano; non si sa –
probabilmente non si può sapere - se godesse ancora di qualche beneficio
penitenziario in conseguenza della sua passata collaborazione.
A conclusione di questo esame, poiché questo blog ha per
destinatari utenti che già conoscono la vicenda e sono presumibilmente alla
ricerca di approfondimenti più che nozioni di base (nei termini in uso da un
noto settimanale enigmistico, direi “dedicato ai solutori più che esperti”), non
starò certo a ripercorrere per l’ennesima volta la storia delle ondivaghe dichiarazioni
di Lotti, nella considerazione di averlo fatto già su queste pagine e che ci
sono testi che comunque lo fanno egregiamente e ai quali rimando. Una nota
soltanto: dalla lettura delle trascrizioni dei verbali di interrogatorio che
l’amico Antonio Segnini mi ha gentilmente anticipato (ora consultabili dal suo blog: http://quattrocosesulmostro.blogspot.it/p/contenuti-scaricabili.html ), risulta che molte delle
dichiarazioni di Lotti furono spontanee, su impulso dell’indagato stesso e non
necessitate da interrogatori, come invece accadde prima del 12 febbraio. In
parole molto semplici, è solo dopo l’ammissione allo speciale programma di
protezione che Lotti spontaneamente e progressivamente confessa la sua diretta
partecipazione ai delitti. Reputo che a questo punto si possa lasciare ai
lettori il giudizio se e in quale misura lo status di collaboratore di
giustizia di Giancarlo Lotti abbia potuto influenzare il suo comportamento in
corso di indagini e nei vari processi in cui comparve in qualità di coimputato
chiamante altri in correità.
Ringrazio l’amico Maurizio Sozio per avermi usato la
cortesia di rivedere il testo dal punto di vista strettamente giuridico,
evitandomi qualche strafalcione; senza naturalmente che questo comporti una sua
adesione alla mia interpretazione dei fatti.
Piccola bibliografia
Loris D’Ambrosio, Testimoni e Collaboratori di giustizia,
CEDAM 2002
Silvio D’Amico, Il collaboratore della giustizia, Robuffo
1995
Luisella De Cataldo Neuburger, Psicologia della testimonianza
e prova testimoniale, Giuffré 1988
Rosa Anna Ruggiero, L’attendibilità delle dichiarazioni dei
collaboratori di giustizia nella chiamata in correità, Giappichelli 2012
Pierluigi Vigna, La gestione giudiziaria del pentito:
problemi deontologici, tecnici e psicologici
(sta in Chiamata in correità e psicologia del pentitismo nel nuovo
processo penale a cura di Luisella de Cataldo Neuburger, CEDAM 1992)
Fabio Fiorentin, I benefici penitenziari per i collaboratori
di giustizia (da Diritto e Diritti, rivista online)
Anacleto Fiori, Invisibili. Alla scoperta del Servizio
centrale di protezione testimoni e collaboratori di giustizia (articolo online
da Polizia Moderna).