Quanto
aiutano le testimonianze nelle indagini sul caso del “Mostro di Firenze”? Dipende, ovviamente; in primo luogo, se
qualcuno ha davvero visto qualcosa; poi, dall’analisi critica cui le
sottopongono gli inquirenti; infine, nel
nostro processo accusatorio, dalla vera o presunta utilità che una determinata
testimonianza ha per le parti in causa.
Ci si
potrebbero scrivere volumi. Per rimanere in un ambito più confacente a un blog,
esaminerò qui il caso del duplice omicidio di Giogoli, stimolato anche da un
ottimo articolo di Enea Oltremari, svolto in tutt'altra ottica e recentemente
apparso su Insufficienza di Prove (http://insufficienzadiprove.blogspot.com/2018/07/luomo-dietro-il-mostro-8-di-e-oltremari.html
).
Cominciamo
dal luogo del delitto, praticamente a fianco del muro di cinta della Villa “La
Sfacciata”, il cui ingresso principale è sulla via Volterrana (via di Giogoli
porta a Scandicci, ma qui dovremmo, salvo errori, essere ancora in comune di
Firenze). Il giovane studente Pier Luigi S., interrogato dai carabinieri il
giorno 11 settembre, fornisce una testimonianza che di primo acchito potrebbe
sembrare interessante. Riferisce infatti di aver visto, il giorno precedente,
intorno alle ore 20.10, il furgone dei ragazzi tedeschi posteggiato e una
coppia, uomo e donna, allontanarsi a piedi lungo via di Giogoli. Particolare
curioso, è proprio Pier Luigi a indicare alla pattuglia dei carabinieri che sta
sopraggiungendo dove sia via di Giogoli. Infatti
, il 10 settembre a quell’ora i ragazzi erano morti da quasi un
giorno, anzi Rolf Reinecke aveva da poco avvisato il nucleo dei CC di Firenze
della sua macabra scoperta. Vista la coincidenza di orari, può anche essere che
il teste abbia incrociato lo stesso Reinecke e la sua compagna. La
testimonianza in sé, quindi, è di nessun aiuto. Il giovane dice però qualcosa
che può essere importante: “la zona è
assiduamente frequentata da coppiette”. Non ci si dovrebbe stupire oltremodo,
quindi, di trovare nei pressi del furgone, addossati a un muretto, postazione
ideale per guardoni, frammenti di riviste pornografiche.
Il principale testimone “locale”, abitante in una dependance della villa, è però Rolf Reinecke, colui che scoprì il delitto. Lascio la parola al giudice Ognibene: “La sera del sabato 10 settembre 1983, giorno successivo alla commissione del delitto, mentre passava di lì in auto, si era fermato avvicinandosi al furgone: si era allora accorto che vi era un finestrino forato da una pallottola ed all'interno aveva scorto il corpo del ragazzo biondo macchiato di sangue. Il Rolf aveva raccontato che la sera prima, passando dallo stesso luogo, verso le 19/19,30, non aveva visto il furgone, la cui presenza aveva notato invece la mattina dopo: era anche sceso per parlare con i connazionali, anche perché dalla targa del mezzo gli erano sembrati della sua città, ma mentre si avvicinava, e stava per rivolgersi al ragazzo biondo che aveva visto appoggiato all'interno del furgone nella parte posteriore sinistra, era stato richiamato dal clacson dell'auto di un vicino che aveva trovato la stretta strada di Giogoli ostruita dalla sua auto lasciata in sosta (…)”
Quindi,
sembrerebbe che i ragazzi si siano posteggiati nella piazzola di Giogoli non
prima della sera del venerdì, dopo le 19; altrimenti, il Reinecke, come ne notò
la presenza per due volte il sabato, l’avrebbe notata anche il venerdì e negli
eventuali giorni precedenti. Questo si
accorda in parte con le dichiarazioni di un altro testimone, il metronotte Gian
Pietro Salvadori, che – leggiamo in un articolo della Città del 12 settembre
1983 - il mercoledì o il giovedì sera
aveva visto il pulmino con i due ragazzi in via degli Scopeti, di fronte alle
cantine Serristori, e li aveva fatti sloggiare perché in quel luogo vi era
divieto di campeggio. E’ quindi una conferma della presenza, almeno da giovedì
sera, dei tedeschi in zona San Casciano – Scandicci. Ancora più importante, aggiunge il cronista,
il teste "ha detto di aver inizialmente creduto che i due fossero in realtà
un uomo e una donna, dal momento che uno dei due giovani aveva dei lunghi
capelli biondi”. Ci torneremo su.
Del resto,
da un'annotazione della SAM alla Procura della Repubblica datata 12 giugno
1992, risulta che "il giovane Rüsch [NOTA: scrivo Rüsch anziché Rusch,
come a verbale, perché il console tedesco, nel richiedere la restituzione degli
oggetti delle vittime, usa questa grafia, che ritengo perciò più esatta], la
sera del mercoledì antecedente la sua uccisione verso le 20 - 20,30 telefonò ai
suoi familiari dalla città di SPESSART per riferire loro che erano arrivati lì
e che il viaggio era andato bene. Va detto che i giovani erano partiti la
mattina da Munster, dove entrambi avevano un appartamento in affitto ciascuno,
città che dista circa quattro ore di viaggio da Spessart." In realtà, non
esistono città di SPESSART in Germania, bensì portano questo nome due minuscoli
paesini, il primo nella Valle del Reno, il secondo ai margini della Foresta
Nera, e una regione turistica a sudest di Francoforte; in nessun caso quindi si
potrebbe usare, per Spessart, il termine "città". Sono informazioni
non di prima mano, fornite dalla polizia tedesca, perché il viaggio di Perugini
in Germania risale all'ultima settimana di quel mese; inoltre, non avendo a
disposizione il testo originale, penso si debba correggere la località di
partenza da Munster (cittadina della Bassa Sassonia, nota solo per essere un
centro di acquartieramento dell’esercito tedesco) a Münster, relativamente
grande città universitaria del Nordrhein-Westfalen. Se prendiamo per buono il
ricordo dei familiari, raccolto dopo quasi 9 anni dai fatti, ma in realtà
disponibile già nel settembre 1983 tramite il console onorario tedesco a
Firenze, i ragazzi erano partiti da Münster il mercoledì mattina, ma avevano fatto ben
poca strada (secondo il sito ViaMichelin Münster dista da Spessart - quello sul Reno- da 229 a 247 km, a seconda dei percorsi scelti).
Se invece il riferimento fosse alla regione, ben più nota, saremmo intorno ai
340 km e circa quattro ore di viaggio. Ora, se si ricorda che, pochi giorni
prima dell'informativa, a Pacciani era stato sequestrato un set di dodici
cartoline illustrate dal titolo "Der Rhein", risulta chiaro perché
gli investigatori optarono per un percorso lungo la valle del Reno e attraverso
la Svizzera; ma non è sicuro che Meyer e Rüsch abbiano effettivamente fatto
questo tragitto. Sia come sia, qualsiasi strada i due abbiano scelto, la sera
di mercoledì erano ancora ben in mezzo alla Germania. Ora, da Spessart (il
paesino sul Reno) a Firenze ci sono ben 1057 km; che si riducono a 915 partendo
invece, ad esempio, da Miltenberg (nello Spessart) passando per l'Austria
anziché per la Svizzera. Si può essere certi che il pulmino (non un mezzo
particolarmente veloce anche in autostrada) non sia arrivato nei dintorni di
Firenze prima della sera di giovedì 8; forse in quell'occasione i ragazzi
furono intercettati dal metronotte Salvadori, che li fece sloggiare; via di
Giogoli 4 dista circa 7 km da Villa Machiavelli, che dovrebbe essere il luogo
di primo avvistamento del pulmino.
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La Città - 12 Settembre 1983 |
Che le
vittime siano arrivate a Firenze solo verso la sera del giorno 8 sembra potersi
dedurre anche dall’unico tagliando
ritrovato nel furgone, che attesta che nel pomeriggio di venerdì 9 il mezzo venne posteggiato per un paio d’ore (16, 25 –
18,25) nel parcheggio di via Valfonda, a fianco della stazione di Santa Maria
Novella.
Allora, ci
si dovrebbe chiedere chi e quando abbia visto la signora Teresina Buzzichini,
testimone al processo Vanni + altri (udienza del 8 luglio 1997), la quale
racconta che i ragazzi tedeschi uccisi in via di Giogoli pernottavano lì da
circa una settimana. Citiamo alcuni passi, come sempre da Insufficienza di
prove:
T. B.: E
vedevamo questi ragazzi già da una settimana, che avevano questo pulmino. Non
un camper, un pulmino qualsiasi insomma. La mattina, si vedeva la radio... si
sentiva perlomeno la radio, presto e...
P.M.: Cioè,
quando passavate dalla strada loro...
T.B.: Erano
a pochi metri dalla strada.
(…)
P.M.: Ho
capito. Andiamo un attimo a quando voi li sentivate nei giorni precedenti. Dice
lei: 'era una settimana che li vedevamo'. Li vedevate la mattina, poi?
T.B.: Sì,
la mattina, poi nel mezzo del giorno non c'erano e si rivedevano la sera, verso
le otto, così. Lì, che stavano mangiando, insomma stavano... uno era normale,
uno aveva i capelli lunghi e c'aveva un ciuffo di dietro, come li portano tutti
i giovani ora. Logicamente era dell'83, comunque. Però l'aveva il pizzo, si
vedeva che era un maschio. Magari di dietro...
P.M.: Si
vedeva che era maschio anche se aveva i capelli lunghi, è questo che vuole...
T.B.: Anche
i capelli lunghi. Perché aveva la barba, una donna credo...
P.M.: Ma
lei li vedeva perché passavate di lì davanti, non è che vi fermavate?
T.B.: No,
si sono fermati anche giù alla mia attività, hanno portato della roba a lavare [NOTA: la signora era proprietaria di una
lavanderia al Galluzzo]. Però io non... erano normali clienti e basta.
P.M.: E ha
riconosciuto che erano gli stessi per le figure, o per il pulmino?
T.B.: Sì,
sì. Per il pulmino e per quello che portavano insomma me...
P.M.: Sì,
ma come, mai è sicura che fossero loro, per la figura?
T.B.: Son
sicura che fossero loro, sì, sì.
(…)
P.M.: Lei
ricorda di questa macchina rossa qualcosa, o l'ha vista solo suo marito?
T.B.: No,
l'ho vista anch'io, però lui ci stava più attento perché l'era più preso sulle
macchine. A me le macchine non mi interessavano...
P.M.: Ecco.
Suo marito all'epoca si presentò ai Carabinieri e disse addirittura...
T.B.: Il
lunedì, sì.
P.M.: Sì.
Disse addirittura che era una macchina di color rosso ma disse anche che
macchina era.
T.B.:
Era... Sì, disse anche che macchina era e che era anche targata Firenze. Che
allora, se si stava un pochino attenti, praticamente non ce n'era centinaia di
quelle macchine, si trovava subito. Se la cosa... l'è venuta fuori dopo... Io
quando lo lessi sul giornali dissi, ma... Insomma, lasciamo perdere.
P.M.: Senta
signora, a parte questa considerazione, lei
T.B.: No
guardi, io le macchine proprio, gliel'ho detto prima.
P.M.: Fu
suo marito a dirlo, l'ha riferito.
T.B.: Sì.
P.M.: Lei
invece ha detto di aver visto un altro tipo di ma...
T.B.:
Dopo... Il giorno dopo, una macchina chiara. Però poteva essere una Ford
Fiesta, poteva essere una 127. Io lo dissi al mi' marito: 'guarda, un'altra
macchina lì, Gianni, vicino a quel pulmino'. C'era una macchina che veniva in
su da via Volterrana, lì, c'è pochi metri. E allora c'era una macchina, un
operaio che veniva in su e dava, guardava quella macchina. Si girò così:
'davvero guarda, c'è un'altra macchina lì'. Proprio accanto al pulmino.
P.M.: Lei
ricorda in che orario potesse essere?
T.B.: La
mattina, l'ho detto, dalle sette alle sette e mezzo, che noi si andava via
presto perché il mi' marito all'otto doveva essere sul lavoro.
P.M.:
Quindi la macchina rossa fu vista di sera e la macchina bianca...
T.B.: No,
di mattina.
P.M.: Tutte
e due?
T.B.: Tutte
e due di mattina.
(…)
T.B.: Lei ricorda
se questi giovani... Ha detto di averli visti nella lavanderia da lei. Li ha
visti anche per caso alla Coop giù al Galluzzo?
T.B.: Sì,
sono stati anche alla Coop perché venivano con delle borse della Coop, sì.
P.M.: Ecco,
lei... Ah, ecco, ha visto...
T.B.: Sì.
Quindi
addirittura la teste ha visto le vittime tornare dalla spesa e venire nella sua
lavanderia; ha visto un giovane con il pizzo, ma dalle foto disponibili non
sono visibili segni di barba; il metronotte aveva invece scambiato Jens-Uwe per
una ragazza. Si tratta molto probabilmente quindi di un falso ricordo; eppure,
come è suggestivo quell’accenno alla rarità del tipo di auto (non ce n'era centinaia di quelle macchine),
che ben si attaglierebbe a una 128 coupé, molto meno a una 128 berlina, un
modello estremamente diffuso. I difensori, stranamente, non
controinterrogarono; è anche vero che la testimonianza della signora non venne
utilizzata in sentenza. Ma per rimanere ai fatti concreti, andiamo a leggere la
dichiarazione, più modesta ma ben più circostanziata del marito della signora
Teresina, Giovanni Nenci, rilasciata già il 13 settembre 1983 ai CC della Stazione del Galluzzo.
“Giovedì
sera 8 c.m. nel rientrare a casa notai nello spiazzo di cui sopra il furgone
straniero regolarmente parcheggiato nello spiazzo. Erano circa le ore 20,30 ed
accanto al furgone non notai movimento di sorta. Il mattino transitai
nuovamente in via di Giogoli verso le ore 7,30 e notai accanto al furgone in
parola un’auto Fiat 128 di color rosso, targata FIRENZE. Non vidi movimento di
sorta intorno e pensai a persone che provavano i cani per la caccia. Anche venerdì 9 c.m, nel transitare verso le
ore 20,30 in via di Giogoli, notai nuovamente il furgone in sosta nel prato
adiacente alla via stessa, senza notare intorno nessun movimento di persone. Il
giorno successivo passai ancora in via di Gíogoli a bordo della mia auto ed in
compagnia di mia moglie. Notai sempre lo stesso furgone, con le portiere
chiuse, fermo nel luogo visto la sera precedente. Erano circa le ore 7-7,30 e
mia moglie mi ha riferito che accanto vi era una auto bianca di media
cilindrata di cui però non ricorda né la marca e né tantomeno rilevò
particolare, e targa".
La FIAT 128
rossa vista dal teste era la 128 coupé di Lotti? Quella macchina, quando fu
acquistata (16 febbraio 1983), era targata Gorizia, non sono riuscito ad
appurare in quale data fu ritargata FI D56735.
Leggiamo
allora, a proposito di auto (il grimaldello dell’inchiesta Compagni di Merende)
uno stralcio dell’intercettazione telefonica Lotti – Nicoletti 24 marzo 1996
(pubblicata in Al di là di ogni ragionevole dubbio, pag. 171 e segg.).
Giancarlo
Lotti: ‘Poi mi vogliano domanda’ le cose dell’83, dell’82 . . . come fo
a sapere queste cose?” (…)
Giancarlo
Lotti: “Ma poi gli hanno visto una macchina, dice, a Scandicci, a Giogoli.
E io che ne so? Per l’appunto la mi’
macchina l’è da tutte le partì. Io se vo a trovare una cugina, io un lo so.
Loro dice.. . lì a Giogoli c’era un
furgone, dice, quei du’ tedeschi... ”
Filippa
Nicoletti: “Ah. ”
Giancarlo
Lotti: “Ma come fo a dire una cosa che un n’ho vista?”
Filippa
Nicoletti: “Eh ma tu . .. gli dici che non l ’hai visto. ”
Giancarlo
Lotti: “Dice: ‘ma te tu vai dalla tu cugina.’ E
questo i ’ che vuol dire? Perché dalla mi’ cugina un ci posso andare?”
( . . . )
Il verbale
dell’interrogatorio subito da Lotti il giorno precedente, al quale è
riferimento nella telefonata, si può consultare tra i materiali pubblicati da
Antonio Segnini ( http://quattrocosesulmostro.blogspot.com/p/contenuti-scaricabili.html ). Purtroppo la trascrizione non è completa;
in quello che si legge, non si parla mai di Giogoli, di auto o di cugine; molto
probabilmente si tratta di “sondaggi” del teste fatti fuori verbale (non
sarebbe l’unico caso). Ma il fatto che Lotti stava per essere nuovamente
“incastrato” a causa della sua auto (meglio: un’auto simile alla sua) vista nei
paraggi (come a Scopeti, come a Vicchio) risulta chiaramente dal dialogo
telefonico con la Nicoletti.
Nell’interrogatorio
del successivo 26 aprile, infatti, Lotti
ammetterà per la prima volta (ma era stato anticipato da Pucci il 18 aprile) la
sua partecipazione al delitto di Giogoli, anche se, in questa versione, solo in
veste di spettatore invitato.
Nel corso
del sopralluogo del 23 dicembre 1996, poi, Lotti dirà che sia Pacciani sia lui
stesso parcheggiarono lungo via di Giogoli, a una ventina di metri l'uno
dall'altro. Tutto è possibile, certo è che le auto avrebbero bloccato la
strada, in quel punto assai stretta, e un eventuale automobilista di passaggio
si sarebbe trovato impossibilitato a proseguire e sarebbe stato involontario
testimone di tutta la sparatoria. Ma questa è solo una delle tante
inverosimiglianze dei racconti di Lotti.
E Pacciani?
Poteva essere sua l'auto bianca (la famosa Fiesta con le modanature laterali
rosse) vista la mattina dopo l'omicidio da Teresina Buzzichini? Certamente,
anche se non si capisce cosa ci stesse a fare. Più probabilmente si trattava
invece della 126 bianca, vista tra le 9 - 9,30 del sabato dalla guardia giurata
Menichetti e che fu poi attribuita a Mario Robert Parker (si veda sentenza
Calamandrei). Quanto a Pacciani, nell'ipotesi accusatoria, si era recato sul
posto in motorino, appoggiandolo all'interno del viale d'ingresso della villa
(testi Amelia De Giorgio, udienza del 1 giugno 1994, e Adriana Sbraci, udienza
del 7 giugno 1994) o proprio contro il muretto della piazzola (teste Attilio Pratesi,
udienza 13 luglio 1994). Dobbiamo quindi immaginarci il Vampa che per più volte,
in pieno giorno, si reca sul posto a osservare… il nulla, poiché le vittime erano
ancora in Germania. Ma non solo; il proprio motorino Pacciani lo avrebbe
lasciato lì per giorni anche dopo aver commesso il delitto (teste Orlando
Celli, udienza del 1 giugno 1994). Sembra che solo la polizia scientifica in
sede di sopralluogo non si sia accorta della presenza del motorino … Il teste Celli
vide anche un uomo che si avvicinava al pulmino e a fianco un’auto che poteva
essere una Mini (come quella in uso al Reinecke), verso le ore 8 del sabato
mattina. Fu interrogato due volte (nel 1983 e poi nel 1992), ma non ho i
verbali e la deposizione a processo è, more
solito, confusa e inconcludente.
Un'altra
testimonianza che fu valutata in sede di indagine fu quella di Laura S.
(verbale dell’11 settembre reso ai CC della Stazione di Scandicci), la quale
riferì che, “verso le ore 21,00-21,15 del 9 settembre 1983, percorrendo in
autovettura la parallela
e sottostante via del
Vingone, ha potuto
distinguere sotto i
fari un individuo
scendere, proveniente
verosimilmente dalla zona
del delitto, un
uomo dall'età di
40-45 anni, dall'altezza di circa mt. 1,70, indossante una maglietta
celeste con delle strisce rosso orizzontali, pantaloni scuri, capelli folti,
lisci e tirati indietro” (vedi “Rapporto Torrisi”). Prosegue la teste dicendo
che l’uomo aveva: “faccia grossa, espressione regolare, senza avere nulla nelle
mani. Quello che mi è rimasto impresso maggiormente sono stati i capelli lisci
e tirati indietro, scuri, sembravano come fossero stati trattati con
brillantina, cioè molto lucidi. (…) Preciso di non aver notato nessuna auto in
sosta nei pressi del punto ove si trovava fermo l’uomo a mio avviso sospetto, e
cioè scendere (sic) da un piccolo viottolino della campagna o dai cespugli,
sulla sinistra. (…) Vestiva come una persona normale di città, con pantaloni e
maglietta. I pantaloni regolari, non sportivi, con cintura”. Questa
testimonianza sembra più interessante, quanto meno perché riferita a un orario
vagamente compatibile con l’omicidio. Non vale neppure la pena di aggiungere
che per Torrisi l’uomo con la maglietta a strisce e i capelli brillantinati
tirati indietro era senza dubbio Salvatore Vinci. Ma a parte questo, per chi,
come chi scrive, si permette di trovare piuttosto inverosimili le ricostruzioni
fornite dal Lotti di tutti gli omicidi ai quali avrebbe partecipato (gli
assassini arrivano direttamente sul posto con due auto, parcheggiano
tranquillamente di fronte alle vittime e danno inizio alla mattanza), l’ipotesi
di un colpevole che si allontana di nascosto percorrendo un tratto a piedi nel
bosco o per i campi appare senza dubbio più credibile; e in effetti, dal retro
della piazzola si arriva facilmente, attraverso un campo in discesa non troppo
forte, alla via sottostante.
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Salvatore Vinci - Foto da Insufficienza di Prove |
Ricapitolando,
i ragazzi partirono da Münster la mattina di mercoledì 7 settembre,
pernottarono in una località turistica della Germania meridionale, arrivarono
nei dintorni di Firenze probabilmente la sera di giovedì 8. Fecero un primo
tentativo di posteggio in via degli Scopeti, furono mandati via e arrivarono a
Giogoli piuttosto tardi, senza essere avvistati da nessuno se non la mattina
dopo quando furono notati dal teste Nenci. Andarono via (il teste Pratesi alle
11.30 non vede più il pulmino), passarono la giornata a Firenze e dintorni, tornarono a
pernottare (dopo le 19.30, Reinecke tornando a casa non li vede ancora) sulla
via di Giogoli e la mattina dopo erano morti. Un iter che, tutto considerato, si avvicina molto alla vicenda dei
turisti francesi che saranno uccisi, quasi esattamente due anni dopo, a San
Casciano proprio in via degli Scopeti. Un passaggio velocissimo che si conclude
con la morte violenta. Un passaggio che lascia ben poco spazio a fantasiose
ipotesi di caccia a presunti omosessuali, a preparazioni di riviste gay da
sistemare a mo’ di altarino o di un assassinio premeditato “per far sortire
qualcuno dal carcere” (Santoni Franchetti, si veda qui: https://appuntisulmostro.blogspot.com/2018/02/golden-gay.html
; ma anche la Notte di Golden Gay del
grande De Gothia). Nessun testimone sembra essersi accorto di loro nell’orario
cruciale, dalle 21 alle 24 di venerdì; solo un automobilista di passaggio poco
dopo le 22.30 riferisce, ma in forma dubitativa, di aver notato il furgone in
sosta, con le luci spente. Considerato che molto probabilmente il Meyer stava
leggendo quando venne attinto dai primi colpi, dobbiamo presumere con la luce
interna accesa, è molto probabile che a quell'ora il delitto fosse già avvenuto.
A quale
conclusione possiamo arrivare, dopo questa raccolta di testimonianze sul
delitto di Giogoli (ce ne sono senza dubbio altre, che ho tralasciato perché
non le conosco; ogni aggiunta è naturalmente benvenuta)?
In primo
luogo, dobbiamo arrivare alla constatazione che è meglio non fidarsi troppo dei
testimoni oculari; è un punto sul quale, in questo blog, ho già battuto
ripetutamente. Secondariamente, possiamo osservare che, individuato un
possibile colpevole, una testimonianza vagamente adattabile si trova sempre.
Così, abbiamo visto comparire sulla
scena l’auto di Reinecke, quella del Lotti, quella di Mario Robert Parker,
Pacciani sul suo scalcagnato motorino Beta e infine anche Salvatore Vinci
(testimonianza questa di Laura S. che è comunque la più cronologicamente vicina
alla presunta ora del delitto, mentre le altre veramente dicono poco o nulla). Forse,
allora, nessuno ha visto niente di significativo; forse davvero, come mi disse anni fa
uno dei massimi mostrologi viventi, non c’è niente in quelle carte…
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La Città - 14 settembre 1983 |