martedì 30 aprile 2024

Risposta ad anonimo sardista salvatorvincista

 Rispondendo a un anonimo sardista (forse Hazet, forse no, nel caso, pazienza, come disse Salvatore) colgo l’occasione per chiarire il mio punto di vista su alcuni aspetti nodali della vicenda.

 

Anonimo in rosso, Powerful / Quatar in neretto.

 

Buonasera. (...) ritengo debba meglio specificare che a processo il S. Mele venne portato in complicità con persone non identificate. Questo a indicare come il "rompicapo" sulla reale dinamica dei fatti per gli inquirenti dell'epoca fosse molto meno "rompicapo" di quello che oggi a noi, a distanza di decine di anni e da fuori, possa parere. Questo era ed è un dato imprescindibile.

 

Stefano Mele fu rinviato a giudizio per aver commesso il delitto “da solo o con l’eventuale compartecipazione di persona rimasta sconosciuta”. Tale complice viene invece escluso dalla sentenza, che quindi rimane monca, poiché non sa descrivere come Mele sia entrato in possesso dell’arma, dove la stessa sia finita, con che mezzi Mele abbia raggiunto il luogo, perché abbia portato il figlio proprio lì dove lo ha portato e un sacco di altre cosarelle.In pratica, i giudici si adagiano sugli esiti investigativi raggiunti in meno di un mese da Matassino. In ogni modo, sia per chi pensa che ci fosse un complice mai individuato giudizialmente, sia per chi sospetta che Mele sia all’oscuro del fatto, la scena di Signa rimane un “rompicapo”, anche senza aggiungerci l’ulteriore e maggiore rompicapo del collegamento con i delitti seriali. Per cui eliminare con un colpo di spugna, come fa la Corte, le criticità e le inverosimiglianze, non significa aver risolto il rompicapo ma averlo nascosto sotto il tappeto.

 

Secondo punto che mi sento obbligato a precisare è che rispetto alle successive indagini, quelle in legame alle vicende delittuose proprie al MdF, va rimarcato come il "nulla" emerso dal 1968 non sia ascrivibile ad una mancanza di indizi o di logicità deduttive per quel delitto, ma semplicemente ad una mancanza di ritrovamento fattuale di elementi concreti come arma, munizioni o feticci, men che meno presso le pertinenze di alcuno sospettato del "clan dei sardi". E' un fatto che nessuno del "clan dei sardi" del resto venne mai portato a dibattimento per i delitti del MdF: alcuni nomi perché detenuti al momento di delitti del mostro e l'ultimo dei sospettati dei sardi proprio per la mancanza di quelle "cose concrete" necessarie, nel pensiero giuridico di un Giudice Istruttore, ad un processo.

 

Rotella può aver capito chi era a l’assassino, ma non si sentì di mandarlo a giudizio sulla base di fichi d’India e zucchine sul comò. L’avvocato più scalcagnato avrebbe potuto opporre in dibattimento che l’arma poteva essere benissimo passata di mano dopo il 1968 e del resto, non essendo in grado di accertare chi era stato complice del Mele, veniva a mancare proprio la base su cui fondare la costruzione accusatoria. In sostanza, già solo per iniziare a parlare del Mostro, bisognava individuare il vero assassino del 1968, cosa che non si era stati in grado di fare allora e non si fu in grado di fare neppure dopo (convinzioni personali a parte).

 

 

E' bene d'altro canto evidenziare però che arma, feticci e munizioni, mai trovate e mai allegate agli atti contro nessun altro imputato, non impedì invece a differenti soggetti istituzionali di portare a processo altri sospettati, Pacciani in primis, che comunque mai vennero ritenuti colpevoli del delitto del 1968,

 

Infatti il processo Pacciani, del tutto indiziario, finì male per l’accusa in appello, il che rese necessario reperire al volo non più indizi ma prove dirette: testimoni e un reo confesso chiamante in correità. Che poi gli indizi, talvolta, dicano di più che testimoni palesemente falsi è dato di fatto che qui non ci può occupare.

 

 né che i processi a carico del Pacciani prima e dei compagni di merende poi, mai abbiano dimostrato un qualsiasi depistaggio nel 1982 verso il 1968, né induzioni a false confessioni da parte al S. Mele e del N. Mele.

 

Questa è veramente un’obiezione ingenua. E quando mai suggerimenti, condizioni, coercizioni nei confronti degli indagati risultano documentalmente? Solo per avventura o quando esce qualcosa che non doveva uscire (vedi registrazione interrogatorio della Alletto nel caso Marta Russo). Al contrario, risulta agli occhi di chiunque dotato di senso critico che Stefano Mele è sempre condizionato da chi lo interroga e ogni sua giravolta è determinata dalla direzione in cui va in quel momento l’inquisizione.

 

Restare attaccati ai fatti aiuta alla comprensione.

 

Quali fatti? Non ci sono fatti accertati se non la morte delle vittime. Si possono fare solo congetture. A questo punto, congettura per congettura, faccio la mia riguardo a un possibile svolgimento dei fatti di quel cruciale 23 agosto. Stefano Mele, ammesso che sia estraneo al delitto, ha comunque parlato con il figlio, che essendo presente, ha potuto agevolmente dargli importanti informazioni sulla scena del crimine: principalmente, il luogo dell’agguato, la posizione dei cadaveri, la luce lampeggiante dell’auto accesa nella notte. Se Mele nulla sa, è naturale che chieda cosa è successo. Il mattino dopo, interrogato dai carabinieri, Mele indizia Salvatore Vinci, ma tradisce, per sua incapacità di giudizio, la conoscenza di elementi della scena, quelli raccontatigli dal figlio, e gli inquirenti si convincono, per questo, che egli sia direttamente coinvolto. Pressato, in modi che ovviamente non risultano nei verbali, Mele confessa l’omicidio. A quanto pare, nella prima confessione non parla affatto di complici [Zanetti pag.83]. A questo punto, però, i carabinieri devono capire come Mele si è recato sul posto, dove abbia preso e che fine abbia fatto l’arma del delitto [ E’ lo stesso Mucciarini, il cognato presente all’interrogatorio, che anni dopo, nel rinarrare il fatto, si metterà nella posizione degli inquirenti: “Il Mele non gli dava risposta neanche alla domanda: la pistola dove l'hai comprata e dove l'hai messa?". (Sentenza Rotella, pag. 73)]. Mele non trova di meglio che inserire nella storia, come fornitore di mezzo di trasporto, arma e soprattutto movente, il personaggio che aveva già indiziato quella mattina, ossia Salvatore Vinci. Da qui poi, la girandola di ritrattazioni e nuove accuse, quando man mano coloro che egli accusa presentano alibi, veri o falsi che siano.



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