Il testo che segue è la bozza del primo Capitolo del nuovo volume dell'opera "Storia del Mostro di Firenze", che mi sono finalmente accinto a scrivere. Auguri, "in bocca al lupo", ma anche critiche motivate sono bene accetti.
Blogger non mantiene il link tra testo e note, quindi dovete fare un po' di bel su e giù.
Non si può parlare del caso dei Compagni di merende senza prima accennare a ciò che avvenne nel corso del processo di I grado a Pietro Pacciani: l’ipotesi investigativa che andiamo a trattare è infatti una superfetazione quasi involontaria della prima posizione adottata dalla Procura, di portare sul banco degli accusati, per tutti gli otto duplici omicidi attribuiti al Mostro di Firenze, il solo Pietro Pacciani. Del resto, per tutti i lunghi anni delle indagini, nel mentre avvenivano i delitti, vi era stata quasi unanimità di pareri, salvo qualche sporadica boutade giornalistica, sulla necessità di ricercare un serial killer unico, un lust murderer psicopatico affetto da una qualche perversione sessuale; e l’unico dubbio fondato poteva essere quello se attribuirgli o meno il duplice omicidio di Signa 1968, una valutazione che teneva anche conto di dover ammettere, in caso positivo, la commissione di un grave errore giudiziario nel processo contro Stefano Mele. La “pista sarda” testardamente seguita negli anni Ottanta derivava, d’altronde, anche dalla volontà di attenuazione del possibile errore: Mele era pur sempre colpevole, o quanto meno partecipe, ma in concorso con altri che poi per qualche motivo avevano continuato ad uccidere [1].
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Non si può parlare del caso dei Compagni di merende senza prima accennare a ciò che avvenne nel corso del processo di I grado a Pietro Pacciani: l’ipotesi investigativa che andiamo a trattare è infatti una superfetazione quasi involontaria della prima posizione adottata dalla Procura, di portare sul banco degli accusati, per tutti gli otto duplici omicidi attribuiti al Mostro di Firenze, il solo Pietro Pacciani. Del resto, per tutti i lunghi anni delle indagini, nel mentre avvenivano i delitti, vi era stata quasi unanimità di pareri, salvo qualche sporadica boutade giornalistica, sulla necessità di ricercare un serial killer unico, un lust murderer psicopatico affetto da una qualche perversione sessuale; e l’unico dubbio fondato poteva essere quello se attribuirgli o meno il duplice omicidio di Signa 1968, una valutazione che teneva anche conto di dover ammettere, in caso positivo, la commissione di un grave errore giudiziario nel processo contro Stefano Mele. La “pista sarda” testardamente seguita negli anni Ottanta derivava, d’altronde, anche dalla volontà di attenuazione del possibile errore: Mele era pur sempre colpevole, o quanto meno partecipe, ma in concorso con altri che poi per qualche motivo avevano continuato ad uccidere [1].
Pacciani, contadino di Mercatale Val di Pesa (in
comune di San Casciano), originario di Vicchio del Mugello, con gravi
precedenti (omicidio di un rivale in amore nel 1951, violenza carnale continuata
nei confronti delle due figlie) era stato individuato come sospetto nel 1989,
mentre si trovava in carcere. Dopo lunghe indagini condotte con grande impegno
e spiegamento di mezzi dalla SAM (Squadra Anti Mostro) diretta dal commissario
Ruggero Perugini, Pacciani, scarcerato nel dicembre 1991 per aver scontato la condanna
per la violenza alle figlie, era stato nuovamente arrestato e sottoposto a
custodia cautelare nel gennaio 1993, questa volta sospettato di quattordici
omicidi [2]. Le
indagini erano continuate e esattamente
un anno dopo (15 gennaio 1994), Pacciani era stato rinviato a giudizio,
imputato ora anche per il delitto di Signa. Il processo in Corte d'Assise,
presieduto dal giudice Enrico Ognibene [3],
iniziò, nella massima attenzione degli organi di informazione locali e
nazionali, il 19 aprile 1994. Bruna Bonini, madre di una delle prime vittime
del Mostro (Stefania Pettini, uccisa a Borgo San Lorenzo nel 1974), aveva detto
di non credere che venisse fatta giustizia, perché l’assassino non poteva aver
fatto tutto da sé [4]. All’apertura
del processo, invece, il rappresentante della Procura, il PM Canessa, che si
occupava del caso ormai da dieci anni, era perfettamente convinto che Pacciani
avesse fatto tutto da solo [5],
in perfetta consonanze con l’ex capo della SAM Perugini [6].
Questa presunzione cominciò a vacillare quando,
nell’udienza del 26 maggio, vennero chiamati a testimoniare due amici di
Pacciani, il compaesano Mario Vanni, postino in pensione, e Giovanni Faggi, di
Calenzano. L’atteggiamento di entrambi i testi fu considerato reticente. Vanni,
subito dopo aver declinato le proprie generalità, si era premurato di chiarire
di essere soltanto stato a fare delle merende con Pacciani; poiché la domanda
del PM era tutt’altra e riguardava la sua professione, la risposta aveva creato
ilarità nel pubblico e indignato il presidente, oltre a creare la locuzione,
subito ripresa dalla stampa, “amici / compagni di merende”. Poiché tutto
l’esame del Vanni da parte del PM si era svolto su questa falsariga di risposte
evasive e non conseguenti, Canessa aveva adombrato la possibilità che il teste
non parlasse per paura (ovviamente del Pacciani, che allo stato era in carcere,
ma avrebbe pur sempre potuto uscirne alla conclusione del processo) e lo aveva
apertamente minacciato di accusarlo formalmente per falsa testimonianza [7].
Quanto a Giovanni Faggi, aveva ammesso solo una
superficiale e sporadica frequentazione del Pacciani, dovuta a motivi legati
alla sua attività di rappresentante di piastrelle. In sostanza, lo avrebbe
visto due volte in vita sua e gli aveva mandato una cartolina. Senonché,
proprio nella stessa udienza, una teste aveva confermato di aver visto Faggi a
San Casciano in compagnia di Pacciani e Vanni e anche, con qualche incertezza,
alla Sambuca, essendo vicina di una presunta amante di Pacciani e Vanni.
Cosicché anche la sua deposizione, ulteriormente incentrata sulla vicinanza
della sua abitazione a Calenzano con il luogo del delitto delle Bartoline (22
ottobre 1981), oltre che, piuttosto impropriamente, sui suoi gusti in materia
di sesso, aveva lasciato un’impressione di reticenza e di cose non dette.
Ma fino a questo punto si poteva pensare che si
trattasse di amici più o meno intimi dell’imputato, che potevano aver intuito o
saputo qualcosa dei suoi misfatti grazie alle comuni frequentazioni, ma si
rifiutavano di parlare per non avere guai con la giustizia o, più
probabilmente, nel timore di vendette. Il quadro però cambiò di botto quando
Lorenzo Nesi, commerciante di San Casciano, amico di Vanni e conoscente di
Pacciani, si presentò in tribunale a rivelare un elemento del tutto nuovo [8].
La sera dell’8 settembre 1985, tornando a San Casciano da una gita domenicale
con amici sull’Appennino tosco-emiliano, aveva incrociato l’auto del Pacciani al
crocevia tra via di Faltignano e via degli Scopeti, in orario compatibile con
la commissione dell’omicidio. Il Nesi era il primo teste che affermasse di aver
visto l’imputato in un tempo e luogo vicino a una scena del crimine; l’incrocio
tra via di Faltignano e via degli Scopeti dista dal luogo del delitto circa 2
km ;
quanto all’orario, il Nesi aveva parlato delle 23, un altro teste suo compagno
di gita, aveva leggermente anticipato tra le 22 e le 22.30 [9]. La
cosa più importante era però che il teste era sicuro di aver visto il Pacciani
in compagnia di un altro uomo, non identificato. Quindi, se il Nesi aveva visto
giusto identificando la Ford Fiesta del Pacciani, poco prima o poco dopo il
delitto l’imputato era insieme a un accompagnatore non identificato, che
nell’ipotesi accusatoria non poteva essere altri che un complice o quanto meno
un aiutante.
Un altro colpo di scena si ebbe quando nell’udienza
del 13 luglio si recò a testimoniare Ivo Longo [10],
che riferì di essersi quasi scontrato con Pacciani sulla superstrada Siena
–Firenze, poco dopo lo svincolo di San Casciano, intorno alla mezzanotte dell’8
settembre 1985. Il teste era sicuro di aver riconosciuto l’imputato per averlo
guardato a lungo attraverso il finestrino aperto, giacché le auto avevano
proceduto per un tratto affiancate e la luce dell’abitacolo dell’auto del
Pacciani era accesa. La macchina vista dal teste, però, un’auto di media
cilindrata a tre volumi di colore scuro, non poteva essere confusa con quella
di Pacciani, una Ford Fiesta bianca con modanature rosse. Ne risultava, sempre
che anche in questo caso il teste avesse avuto ragione, che, subito dopo il
delitto, Pacciani, estremamente sudato e in stato di agitazione e quasi in trance, avrebbe imboccato l’Autopalio in
direzione di Firenze, ma su un’auto che non era la sua.
Infine, il giorno successivo venne sentito, chiamato
dalla difesa Pacciani, l’avvocato Giuseppe Zanetti. L’avvocato raccontò che nel
mese di settembre 1985, prima della scoperta dell’omicidio (9 settembre) si
allenava spesso con la bicicletta, dopo il lavoro, lungo via degli Scopeti e in
più occasioni aveva visto ferma sul bordo della strada un’auto che poteva
essere quella di Pacciani (Ford Fiesta chiara con sottile profilatura rossa
lungo la fiancata); l’auto di solito era vuota, ma per due volte aveva scorto e
osservato attentamente un uomo fermo accanto alla macchina, persona di cui
poteva dare una descrizione molto precisa: “oltre
il metro e settanta, presumibilmente intorno a un metro e settantacinque,
robusta, un viso largo, ma di guance strette; la bocca molto carnosa, il naso
tendente all'aquilino, ma non troppo, capelli sale e pepe, più sale che non
pepe, e vestita, entrambe le volte, con un giubbotto di stoffa azzurro, carta
da zucchero, più o meno, e un paio di pantaloni beige, beige chiari. Carnagione
tendente allo scuro, insomma, leggermente olivastra”. Ma quello che al
difensore importava di mettere in evidenza era che il teste non riconosceva
assolutamente, nell’uomo da lui visto nove anni prima, l’imputato. L’intento
della difesa, chiaramente, era di avanzare l’ipotesi che vi fosse qualcun altro
in zona in possesso di un’auto del tutto simile a quella di Pacciani e che nei
giorni precedenti il delitto aveva sorvegliato la zona della piazzola (anche se
occorre dire che il teste non aveva collocato la misteriosa auto direttamente
sotto la piazzola del delitto, ma in altre piazzole, stradine e slarghi
limitrofi, ma non meglio identificati).
Quindi, si trattava di tre nuove testimonianze, non note
all’apertura del processo, che indubbiamente complicavano il quadro indiziario
iniziale: il soggetto non identificato visto dal Nesi a fianco di Pacciani
sulla sua auto, era un complice? L’auto scura sulla quale Pacciani, sudato e
stravolto, correva verso Firenze, gli era stata fornita da qualcuno, che, magari
anche inconsapevolmente, lo aiutava ? L’uomo descritto da Zanetti accanto
all’auto di Pacciani era una sorta di basista che sorvegliava la zona in
preparazione del delitto?
Naturalmente,
un osservatore obiettivo avrebbe potuto facilmente interpretare i nuovi
elementi a favore dell’imputato. Se Pacciani poco prima del delitto era in
compagnia di un terzo e si stava, tra l’altro, allontanando dalla scena del
crimine, era difficile credere che dopo una mezz’ora avrebbe potuto compiere la
strage, atteso che i periti di Modena avevano affermato senza ombra di dubbio
l’ipotesi di un unico autore dei reati [11].
Se un uomo molto assomigliante a Pacciani era stato visto subito dopo il
delitto su un’auto di cui Pacciani mai aveva avuto la disponibilità, forse il
soggetto visto, in fondo, non era l’imputato. Se un’auto molto simile a quella
in uso a Pacciani era stata vista in prossimità del luogo del delitto, e
accanto vi era un uomo che sicuramente non era Pacciani, forse vi era in giro,
in quei giorni di settembre, una Ford Fiesta che non era quella dell’imputato.
Elementi da valutare, che avrebbero potuto risvegliare nella Corte qualche
ragionevole dubbio [12].
Come si sa, lo svolgimento del processo era
capillarmente seguito dagli organi di informazione e i corrispondenti di alcuni
grandi giornali nazionali accolsero con scetticismo e un po’ di ironia i nuovi
testimoni che si facevano vivi dopo un decennio a esporre le proprie certezze [13]. Altrettanto
naturalmente, invece, il PM Canessa fu pronto a utilizzare le testimonianze in
senso favorevole all’accusa, stando però ben attento, con grande abilità, a non
stravolgere l’impianto generale del processo che aveva puntato tutto su
Pacciani come serial killer unico.
Nella sua requisitoria finale (udienze 18-19 ottobre), Canessa prefigurava uno
scenario di sordidi vizi e perversioni (voyeurismo, falli artificiali,
violenze) messi in atto da uomini “vecchi dentro” (qualsiasi cosa questa
espressione volesse concretamente significare), consapevoli, forse minimamente
partecipi, che non parlavano per paura: “Ecco
chi è Pacciani: un contadino scaltrissimo, perverso, uno che si è contornato –
questo l’abbiamo visto – di uomini come lui, vecchi, vecchi dentro, squallidi
sicuramente, tristi, che ha dominato come ha voluto. Compagni di merende.
Compagni che ha dominato come ha voluto e che oggi lo temono, con i quali ha
diviso sicuramente perversioni. Il quale ha sicuramente primeggiato in queste
sue perversioni, il quale ha sicuramente con le sue perversioni compiuto i
delitti che sappiamo”. Non mancarono comunque allusioni più puntuali: “Perché necessariamente pensare a due Ford
Fiesta identiche con persone diverse che vanno nello stesso luogo e non pensare
a sopralluoghi di… o visite alla piazzola di più persone? Quello che era vicino
alla macchina non era Pacciani, poteva essere un altro, io non voglio spingermi
nel vedere chi era quella persona. La descrizione fatta con quel viso incavato,
fatta dall’avvocato Zanetti, io non voglio pensare a chi potesse essere [14].
Non abbiamo elementi, se ce li avete voi sfruttateli: io non li ho, fra gli
amici di Pacciani se c’è qualcuno non mi interessa”. Mentre per il Faggi
adombrava un ruolo di basista a Calenzano, in forza della vicinanza della sua
abitazione al luogo del delitto, e di prestatore di auto dopo Scopeti, per
permettere all’assassino il viaggio fino a San Piero a Sieve, dove fu imbucata
la famosa missiva, diretta alla PM Della Monica e contenente il lembo di seno
della Mauriot: “Quindi che il racconto
del Longo sia vero, e quindi lo dobbiamo credere nel suo riconoscimento, è
pacifico. È un Longo che non costruisce un discorso che può aver sentito perché
nato in questo processo, da far collimare con ciò che diceva il Nesi. No: “Aveva
un’auto metallizzata tre volumi.” Cosa vi hanno detto i testi che sono stati
sentiti qua, i carabinieri? C’era, in questo processo, è emersa un’auto tre
volumi che lui ci aveva indicato come un modello tipo 131-132. Un’auto
metallizzata, un’Argenta. C’è un personaggio, un grande amico di Pacciani che
ha un’auto simile. È proprio il Faggi che ha un’auto di quelle esatte
caratteristiche in quel periodo, scura. Voi provate, io l’ho provato a vedere
com’è un’auto metallizzata la notte, come si vede illuminata dai fari, si vede
scuro. È un’auto che qualcuno ci vuol… ci dice che era lì. Allora noi senza
grosse difficoltà possiamo pensare, ipotizzare che si era fatto prestare la
macchina da qualcuno. (…) – il Faggi ne aveva una simile” .
Se il PM fu in fondo piuttosto cauto, il giudice
Ognibene nella sua sentenza si spinse molto più avanti nell’avallare l’ipotesi di
uno o più complici coadiutori e subalterni (“con
funzioni di appoggio e di ausilio”), non si sa bene con quali motivazioni,
dell’imputato. La prova certa dell’esistenza di complici non sarebbe derivata
dall’analisi delle scene del crimine, che mai permettevano di supporre
l’intervento di più assassini [15],
bensì dalla inequivoca testimonianza del Nesi Lorenzo; mentre si poteva pensare
che proprio quel complice sconosciuto intravisto nella Ford Fiesta avesse poi
affidato la sua auto a Pacciani per recarsi in tutta fretta a San Piero a Sieve
a imbucare il sanguinoso messaggio alla Della Monica, essendo così scorto e
identificato, su una vettura non sua, dal teste Longo. Infine, “in termini di certezza”, l’uomo visto
dal teste Zanetti in attesa appoggiato alla Ford Fiesta non poteva essere “altri se non
il complice, o
uno dei complici
del Pacciani nella organizzazione dei duplice delitto che
stava attendendo il rientro di costui,
e forse non
di lui solo”. Stabilito dunque, con passaggi
logici quanto meno arditi e un apparente rovesciamento di testimonianze che in
realtà, come abbiamo accennato, potevano più facilmente essere interpretate in
chiave innocentista, che Pacciani avesse goduto di complicità e aiuti nel
commettere, essendo comunque lui l’unico autore materiale, i duplici omicidi,
Ognibene affidava al PM il prosieguo delle indagini in tal senso [16],
non senza aver prima indicato come estremamente sospetti i due soggetti che
meno gli erano andati a genio nel corso del dibattimento, per lo “sfacciato mendacio” delle deposizioni, ovvero
Giovanni Faggi (del quale descriveva il “tipo di
rapporto, torbido, equivoco, circondato da un altissimo alone di
sospetto, che lo lega da tempo all'odierno imputato”) e Mario Vanni, legato
a Pacciani “da stretti vincoli di
frequentazione e di vizio.”
Se quindi l’ipotesi investigativa dei “Compagni di
merende”, alla fine parzialmente concretizzatasi in verità giudiziaria [17],
è quella che vede Pacciani agire e uccidere in concorso con altri suoi sodali
in posizione a lui subordinata, possiamo ben dire che essa nasce, un po’ per
caso, nel corso del processo del 94 e che la vera paternità di questa ipotesi è
da attribuire alla Corte d’Assise di Firenze presieduta dal giudice Enrico
Ognibene [18].
[1] Ne
abbiamo parlato ampiamente nel I volume dell’opera.
[2]
Per il periodo delle indagini su Pacciani ci si può riferire a Perugini,
Alessandri e soprattutto Cochi-Bruno-Cappelletti in bibliografia.
[3] Già
giudice a latere nel processo per violenza del 1988.
[4] La
Nazione 17 gennaio 1993.
[5]
Relazione introduttiva del PM – Udienza del 21 aprile 1994.
[6]
Udienza 13 giugno 1994: “non è un delitto
caratteristico di una cooperativa di mostri, (…) Il dato assolutamente
suggestivo del gruppo della setta satanica è stato ripetuto fino
all’estenuazione ma è un fatto sostanziale che questi sono delitti consumati da
una persona che ha in mente una particolare cosa, una certa fantasia e
difficilmente condivisibile da più persone”.
[7]
Per apprezzare appieno il clima in cui si svolse l’audizione di un Vanni
evidentemente confuso, poco lucido e intimorito, è utile, oltre alla lettura
dei verbali d’udienza, la visione del relativo filmato, registrato da RAITRE e
disponibile su alcuni canali Youtube.
[8]
Udienza dell’8 giugno. Il Nesi era già stato sentito in aula il 23 maggio,
senza però fare cenno dell’episodio.
[9]
Secondo la perizia medico-legale le vittime erano state uccise nettamente prima
della mezzanotte di domenica.
[10]
Aveva un negozio di foto-ottica e da lui si sarebbe servito il commissario
Perugini; questo secondo il difensore di Pacciani, avvocato Bevacqua; si veda
udienza del 14 luglio.
[11]
De Fazio – Galliani – Luberto, Indagine peritale sugli omicidi 1968-1984, nella
quale si esclude la possibilità che si tratti di delitti di gruppo o di coppia;
idea ampiamente confermata in dibattimento nell’udienza del 15 luglio 1994.
[12]
Il principio della colpevolezza “al di là di ogni ragionevole dubbio” è stato
inserito expressis verbis nel CPP
solo nel 2006, ma era di fatto già sussistente. Sull’interpretazione a senso
unico delle nuove emergenze dibattimentali, si veda il pamphlet di Francesco
Ferri “Il caso Pacciani”, del quale si parlerà nel Capitolo XX.
[13] Si
vedano gli articoli di Vittorio Monti sul Corriere della Sera.
[14]
Canessa stava probabilmente pensando a Mario Vanni. Senza ricordare però che la
fotografia di Vanni era apparsa su tutti i giornali dopo la sua deposizione,
quindi il teste Zanetti (che non aveva parlato di “viso incavato”, ma di un
“viso largo, ma di guance strette”) avrebbe potuto riconoscerlo senza troppa
difficoltà (come fecero, in effetti, i coniugi Rontini, vedi infra),
[15] “Se allora sulla scena dei delitti non
risalta in maniera obbiettiva l'intervento di eventuali complici, ciò, di per
sé solo, non implica affatto che essi,
uno o più,
non possano essere
stati presenti al momento
della commissione di
uno o di
più episodi criminosi. Se, infatti, come si è visto,
l'analisi della dinamica
materiale dei delitti non affatto incompatibile con la presenza e
l'agire della sola persona dell'assassino, bisogna
pur dire che,
inversamente, neppure sono emersi
elementi che possano
far escludere in via di principio la presenza, sul luogo dei
delitto o in luoghi viciniori, di possibili
complici del Pacciani,
con funzioni di
appoggio e di ausilio”. Anche se, in realtà, nella sentenza vengono
fatte alcune ipotesi sulla presenza attiva di un complice sia a Vicchio
(impronte di ginocchio sulla Panda) che a Scopeti (possibile utilizzo di due
diverse armi bianche).
[16] “Su tutto ciò non è la Corte ma il Pubblico
Ministero, al quale sono stati trasmessi i relativi atti, a potere e dovere
indagare ed inquisire al di fuori del presente processo”.
[17] Come è
noto, tre duplici omicidi sono a oggi rimasti senza colpevole.
[18]
Commenta Ferri amaramente, nel pamphlet succitato: “E questo palese errore si sta ancora scontando”.
Per il problema delle note ti suggerisco di suggerire una soluzione semplice, almeno per la versione desktop: aprire due volte la pagina in due schede differenti, e nella seconda posizionarsi sulla zona note.
RispondiEliminaGrazie, da parte degli altri lettori
EliminaSono d'accordo sulla conclusione (Ognibene ispiratore della ricerca di complici), ma come le avevo già detto, non credo che la sentenza di primo grado abbia anche ispirato la ricerca dei mandanti.
RispondiEliminaLa descrizione fornita da Zanetti a me non è mai sembrata del tutto incompatibile con Pacciani, anche se il teste era certo che si trattasse di un altro uomo.
Confesso che non ricordavo, nella requisitoria di Canessa (molto articolata e con repliche alla difesa), la presunta e supposta identificazione dell'auto vista da Longo con quella posseduta dal Faggi.
Consiglio, per le citazioni dalla sentenza di primo grado, di servirsi di questa versione (https://www.scribd.com/document/259823610/Processo-Pacciani-Sentenza-Ognibene-completa), quasi del tutto priva di refusi (come "dei" al posto di "del", frequente nelle altre versioni che si trovano online).
Certamente. Ai mandanti ci arriveremo a tempo debito, seguento con calma lo sviluppo della storia per quanto possibile.
EliminaHo la versione che mi indica, che è buona da leggere, ma non per il copia e incolla, perché la formattazione purtroppo è sballata.
Grandissimo! Un applauso di incoraggiamento e soprattutto di apprezzamento!
RispondiEliminaBeh intanto in bocca al lupo, è di grande conforto vederLa di nuovo alle prese col mostro... anche con i post precedenti.
RispondiEliminaIn realtà più di Canessa fu proprio Ognibene ad accusare apertamente Vanni. "Io l'ammonisco, guardi che lei è singolarmente reticente, a dire poco... Quindi se lei va avanti così lei rischia un'incriminazione per falsa testimonianza con tutti i guai relativi". Per quanto riguarda le testimonianze, non è possibile che gli avvistamenti della domenica riguardassero non l'esecuzione dell'omicidio, che probabilmente era già avvenuto il sabato o addirittura il venerdì, ma proprio la spedizione del macabro reperto? Le contraddizioni negli orari a me non sembrano così importanti. Quello che rimane impresso dopo tanti anni, soprattutto se l'avvistamento è legato ad un omicidio, è proprio il riconoscimento di una persona. Sull'orario è impossibile essere esatti dopo un decennio. Nel caso di Pacciani, le persone che lo riconobbero in circostanze di luogo e di tempo assai vicine all'esecuzione dell'ultimo omicidio sono veramente tante.
RispondiEliminaQuindi Lotti e Pucci avrebbero visto Pacciani e Vanni mentre tornavano alla tenda per raccogliere un ulteriore pezzetto di seno della vittima? Non so se ho capito... l'ipotesi reggerebbe se ci si fermasse alla primissima SIT di Pucci, ma è in contrasto con tutto il seguito.
EliminaQuanto alle veramente tante persone che riconobbero Pacciani in tempo e luogo assai vicino all'esecuzione del delitto (venerdì sabato? domenica?) la inviterei a fare una statistica, vediamo se concordiamo.
La mia ipotesi è un'altra. Il delitto sarebbe stato commesso venerdì o sabato ma la spedizione in Mugello per inviare il reperto in procura sarebbe stata compiuta la domenica sera. Provo a conciliare le testimonianze, perchè non riesco a liquidarle come fasulle. Le racconto un episodio. Molti anni fa ebbi un incidente con la macchina e alla guida dell'altra auto c'era una persona che mi riconobbe come fratello di un suo compagno di scuola delle medie. Io rimasi molto stupito essendo trascorsi decenni da quegli anni scolastici ma ebbi modo di appurare che quella persona non si era sbagliata. Ci sono dei fisionomisti eccezionali, glielo assicuro. Nel caso di Pacciani, gli episodi particolareggiati riferiti dai vari Pierini, Buiani, Longo Ivo, Pico della Mirandola ecc. a mio parere sono genuini. Non capisco per quale motivo un comune cittadino dovrebbe rischiare l'incriminazione per falsa testimonianza. Per quanto riguarda Lotti e Pucci, potrei pensare che abbia ragione lei. Non assistettero all'omicidio, ma forse sapevano chi erano gli assassini e passarono dagli Scopeti per vedere i cadaveri.
EliminaNe deduco che anche secondo Lei la scena raccontata da Pucci - in primis - e poi Lotti è inventata. Perché la raccontarono?
EliminaTralasciando che in tal caso viene a cadere comunque ogni testimonianza diretta dell'omicidio e il tutto crolla come un castello di carte, compresi gli omicidi precedenti. Se Lotti non era complice presente, ha mentito su tutto.
Purtroppo, vedo un grosso limite nei suoi interventi - comunque apprezzabili - e in quelli del lettore Kozincev, che è appunto la volontà di aggiustare le testimonianze adattandole all'imputato. Kozincev dice che Zanetti potrebbe aver visto Pacciani, ma il teste è decisissimo a dire che si trattava di altra persona (personalmente reputo la testimonianza Zanetti del tutto ininfluente in un senso o nell'altro). Lei mi dice che Longo può aver riconosciuto Pacciani (ma era su un'altra auto, non identificata e questo è un grosso problema).
Come lei ha riportato nell'articolo, Canessa nella lunga requisitoria aveva ipotizzato che l'auto prestata a Pacciani fosse quella di Faggi, che Lotti e Pucci successivamente avrebbero collocato (tardivamente) sulla scena dell'ultimo duplice omicidio (non si capisce a fare cosa, devo ammettere). Mi sembra un'ipotesi suggestiva, ma non saprei come verificarne la consistenza.
EliminaPer quanto riguarda Zanetti, la prima coincidenza era ovviamente rappresentata dall'auto, del tutto simile alla Fiesta di Pacciani. Anche alcune caratteristiche dell'uomo visto dal teste sono compatibili con le fattezze e la fisionomia dell'imputato: il naso aquilino; il viso abbronzato, di persona abituata a stare al sole (un contadino per esempio); il fisico robusto. Di contro, nella descrizione ci sono anche delle differenze e soprattutto, qui ha perfettamente ragione, il teste era certo che l'uomo non fosse Pacciani. C'è anche da dire che Zanetti sembrò molto più incerto sui ricordi, ben più sicuri alcuni anni prima, quando fu chiamato a deporre nel processo ai compagni di merende. Ne scaturì un diverbio piuttosto acceso con Canessa.
Probabilmente ha ragione lei sul fatto che questa testimonianza è poco o per nulla influente.
Ammetto che ho sempre ritenuto Pacciani il personaggio più interessante e inquietante fra tutti gli inquisiti e sospettati noti, e non riesco a cambiare idea. Ho l'impressione che anche lei, come molti, ritenga che l'assassino fosse uno e mai sia stato individuato.
Molto difficile leggere Ognibene come "propulsore" e PM e Procura a dovergli correre dietro.
RispondiEliminaveramente difficile... non foss'altro per come gira il fumo in certi ambienti chiusi e sotto pressione mediatica, e soprattutto -importante- non foss'altro perchè Ognibene in aula a quel processo (a quel processo!!! per come era stato imbastito) NON è solo quella frase o quel momento (per chiarire "chi dettava il ritmo a a chi" facciamo solo un lampante esempio ...ops! che centravano le violenze sulle figlie e perchè ammetterle in aula su altra sentenza passata in giudicato e scontata? a buon intenditor, poche parole).
Estrapolare singoli frame, serve a poco guardando un film.
La stessa ammonizione di possibile reticenza, poi, è cosa che non esula minimamente da un compito standard di un giudice, quindi elevarla a qualcosa di ben maggiore, mi pare eccessivo.
tra l'altro, Vanni a quella deposizione non aveva certo brillato (con tutte le motivazioni possibili annesse e immaginabili, sia in un senso sia nel suo opposto)
Hazet
PS:
auguroni per il tuo nuovo libro
Auguri per il nuovo libro , spero che sarà anche in versione cartacea
RispondiEliminaFrancamente negli ammonimenti di Ognibene ( in questo caso non si può dire Nomen omen 😂) ho notato , e non sono il solo, un grave e preventivo pregiudizio nei confronti del teste Mario Vanni; e non è tutto, come direbbe Carlo Lucarelli. Il giudice insinua un atteggiamento reticente che al momento non era né dimostrabile né ipotizzabile. Scommettiamo che se Vanni non fosse stato amico del Pacciani, l'atteggiamento del presidente di corte d'Assise sarebbe stato differente ? Un magistrato non può farsi condizionare dalle amicizie di un testimone. Amicizie che non vanno necessariamente equiparate a complicità, connivenza , o quant'altro. Nel primo processo Pacciani, il pregiudizio di colpevolezza fu alla stregua di una storia da colonna infame, come ben evidenziato sia nel saggio del giudice Ferri, sia in quello dell'avvocato Nino Filastò . Non si può intimidire un teste in quella maniera, pena una grave turbativa ai danni del testimone stesso. Resto allibito.
RispondiEliminaIn effetti, il clima ambientale in cui si svolse l'esame di Vanni sembra essere stato piuttosto pesante. Il teste, del resto, era incapace di difendersi se non peggiorando la situazione. Dopo l'inizio catastrofico, per il povero Vanni diventa tutto in salita.
EliminaVanni fu l'unico testimone con cui Ognibene ebbe un atteggiamento piuttosto severo. Diverso il caso di Lombardi, che trattò bruscamente numerosi testi. Vi sarete però domandati come mai un giudice solitamente garbato abbia perso le staffe con Vanni. In una vicenda così mostruosa - in tutti i sensi - come quella per cui era processo, non ci si può presentare così impauriti e reticenti. E Vanni voleva dare a bere che avesse portato la lettera all'Angiolina e l'avesse poi distrutta senza nessun motivo. E non ha voluto rivelarne il contenuto. O voi pensate che Pacciani gli avesse rammentato le merende e le girate per i paesi? Anche Faggi sembrò piuttosto sfuggente ma forse era più furbo di Vanni perchè in effetti il presidente non fu altrettanto duro.
EliminaA me sembra che Vanni sia stato contemporaneamente reticente e rimbambito e forse i due aspetti sono collegati. Quanto a Faggi, nonostante fosse ben più sveglio finì anche lui ad essere sospettato; il che significa che tutti gli amici di Pacciani (veri o presunti) erano automaticamente sospettati di complicità.
EliminaIo non la butterei giù così dura, Omar. Vanni e Faggi non erano gli unici amici e conoscenti di Pacciani. I Nesi, Ricci ecc. che conoscevano bene Pacciani non furono mai sospettati di complicità. Come pure Lotti direi, che dopo il 90 fu riascoltato solo nel 94 e non fu neppure incluso nella lista dei testi dell'accusa. Evidentemente fu proprio l'atteggiamento reticente di Faggi e Vanni e quello impaurito del secondo a insospettire gli inquirenti. Lo stesso Perugini, che pure ha sempre creduto al mostro unico, trovò interessanti i rapporti di Pacciani con Vanni e Faggi. E personalmente non credo soltanto per le riviste pornografiche, i falli e i vibratori.
EliminaMa quelli cyhe lei cita sono testi contro Pacciani, come potevano essere sospettati di complicità? Lotti fu interrogato dalla PG in corso di processo solo per verificare se poteva essere sua l'auto vista dal Longo con Pacciani a bordo, il che non era.
EliminaFaggi fu messo sotto tiro principalmente perché abitava a Calenzano e per i falli di legno marmo o di cosa fossero; e una cartolina! Ma io mi chiedo, in quel clima, o si voleva raccontare più del vero (come Lotti: ho detto più che unn'è) o per forza di cose si assumeva un atteggiamento reticente, sperando di evitare guai (pervertiti! guardoni! puttanieri! complici del mostro! la strada era già segnata)...
Flanz ha appena messo online la registrazione audio di certo trancucci, la ascolti, si capiscono molte cose.
Credo di aver sentito più o meno tutto, compreso quel Trancucci, un personaggio quasi analfabeta che potevano evitare di portare in aula. Però, attenzione, se lo scopo dell'accusa era quello di trovare più testimonianze possibili contro Pacciani, anche Vanni e Faggi potevano servire alla bisogna. Mi sembra troppo squallido lo scenario che lei immagina. Provo a seguirla fino in fondo. L'accusa voleva Pacciani autore solitario di tutti i delitti. Ognibene, insinuando la presenza di complici nell'ultimo delitto, li costringe a cercare per forza qualcuno tra gli amici di Pacciani. In questo scenario capitano a fagiolo due idioti come Lotti e Pucci che inventano dei racconti strampalati. L'auto del primo sarebbe stata però vista da alcuni testimoni, prima di scoprire che Lotti possedeva una 128 rossa con la coda tronca. Gli inquirenti avrebbero avuto una fortuna incredibile. Le dirò che a questo punto mi sembra meno inverosimile la storia dei compagni di merende. Anche perché lei sa meglio di me che Perugini con questa ricerca dei complici e poi addirittura di fantomatici mandanti non c'entrava nulla. Ma fu lui per primo a sospettare che Vanni quanto meno sapesse qualcosa. Tanto è vero che fu messo sotto controllo il suo telefono. Più o meno idem Faggi. Che, a parte falli, cartoline o agende di appunti aveva una somiglianza 'discreta' con l'identikit di Calenzano. Lo stesso Faggi per il quale Canessa chiese inizialmente l'assoluzione prima di cambiare idea. È tutto molto complicato, forse è meglio non semplificare troppo.
EliminaAnch'io preferisco l'ipotesi CdM ad altre uscite dopo, ma questo significa ben poco se non che non c'è mai fine al peggio. Quanto all'auto rossa di Lotti è, come ben sappiamo, il grimaldello della seconda inchiesta; peccato però che nessuno la veda quando viene commesso il delitto (il venerdì o al massimo il sabato) ancora più peccato che Lotti già da mesi aveva e guidava un'altra macchina del tutto diversa.
EliminaNel momento in cui Pacciani fu individuato come possibile mostro, furono ascoltate tutte le persone che nel tempo lo avevano conosciuto: a quel punto i Nesi, Ricci, Vanni, Faggi, Lotti erano sullo stesso piano; in un eventuale sviluppo processuale della vicenda potevano diventare testi dell'accusa, o della difesa, o addirittura dei possibili complici di Pacciani.
EliminaGli altri più o meno dissero quello che sapevano (e non si può escludere che qualcuno sia stato eccessivamente chiacchierone o maligno).
Faggi e Vanni diedero agli inquirenti l'impressione che avessero qualcosa da nascondere: oltre alla frequentazione di prostitute o il possesso di vibratori e altre amenità, chi li interrogò ebbe l'impressione che fossero legati a Pacciani da un vincolo di omertà.
Purtroppo il materiale che abbiamo non è sufficiente per avere un'idea precisa. Bisognerebbe avere a disposizione tutti gli atti, in particolare le trascrizioni degli interrogatori di Pacciani in carcere. Perché Vigna e Perugini si convinsero di aver individuato il colpevole? Bastavano i precedenti di Pacciani o le testimonianze dei compaesani? La loro impressione che Pacciani nascondesse qualcosa di inconfessabile su cosa si basava? Purtroppo i documenti disponibili sono scarsi, e spesso forniti dagli stessi investigatori (i libri di Perugini e Giuttari).
Omar,
RispondiEliminanel libro, non ti scordare la recente (luglio2019) perizia di Minervini :)
https://www.lanazione.it/firenze/cronaca/mostro-pacciani-pallottola-1.4692666
Hazet
ops... dimenticavo:
RispondiEliminae anche della lettera anonima
(aprile2019) https://www.youtube.com/watch?v=PcId7zqHCg0
e successivi articoli di stampa 'abbinati' alla perizia Miniervini
Hazet
Ciao Hazet, le ho presenti.
EliminaIl prossimo volume però si occuperà di Pacciani solo marginalmente, a meno di cambi di prospettiva in corso d'opera
della serie Vi.&Pe. ancora intoccabili e top degli investigators? ---facepalm---
Eliminae Pacciani lo tratterai solo "marginalmente"...
solo che Pacciani ai Compagni di Merende (e viceversa) ce l'han legato (chissà chi,eh) a guinzaglio indissolubile e cortissimo (così stretto e così corto che se li son dovuti inventare proprio per dargli addosso a quello che Minervini perizia che... e Minoriti diceva che... LOL).
Auguri di buona fortuna alla separazione siamese ;)
Hazet
Ma scusa, decidi tu su cosa devo scrivere io? Fuor di polemica, io scrivo quando e se ho a disposizione documentazione sufficiente e se l'argomento mi interessa. Tu scrivi quello che vuoi.
EliminaComunque davvero, quella frasuccia nella sentenza Ognibene e le vicende successive sono il maggior esempio IRL dell'adagio "massimo risultato con minimo sforzo".
RispondiEliminaSe non fosse tragico ci sarebbe da ridere.