Nel suo pregevole volume “Storia delle Merende Infami” l’avvocato
Filastò scrive più volte che il delitto di Signa avvenne “accanto al cimitero”,
“dietro il cimitero” e qualifica addirittura il delitto come “i delitti al
cimitero di Signa” (pag. 145); confonde poi il cimitero di Lastra a Signa con
quello di Signa, a proposito della testimonianza Barranca (pag. 161). E’ un
errore che si perpetua da tempo, ripercuotendosi da autore ad autore.
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Il cimitero di Signa - San Miniato è in discesa, da sud a nord. L'ala più a nord (a sinistra nella foto) dovrebbe essere un ampliamento risalente agli anni Ottanta. |
La prima citazione del Cimitero di Signa come elemento
significativo nel delitto Locci – Lo Bianco compare già nella notte stessa del
duplice omicidio. Il carabiniere Giacomini dice infatti al Giudice Istruttore
Alessandri: “Strada facendo in
automobile il ragazzo disse che era stato al cinema con la madre e con lo zio e
poi era andato in automobile con loro, e ricordava
di essere passato vicino al cimitero. Non dava altre spiegazioni” (Verbale
del 7 ottobre 1968). Quindi è avendo
come riferimento il cimitero, ossia passandoci davanti percorrendo via di Castelletti, su
indicazione del bambino, che i carabinieri rintracciano l’auto, certo aiutati
dalla luce di direzione lampeggiante.
Come ho già scritto in un precedente articolo, dal cimitero di Signa (San
Miniato) all’incrocio con la stradina dove avvenne il delitto corrono più di
1.300 metri, quindi che il delitto sia avvenuto vicino al cimitero è termine
relativo da prendere cum grano salis,
in quanto il cimitero serve più che altro come punto di riferimento stradale
nella ricerca.
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Carta IGM 1:50.000, su cartografia del 1963. Si vede il cimitero, a sinistra del numero 110 e più in alto a sinistra Villa Castelletti e la stradina lungo il Vingone |
Infatti il 23 pomeriggio i carabinieri, nel portare il Mele a
fare il sopralluogo, dopo aver raccolto, ma non ancora verbalizzato, la sua
confessione, avendo constatato che dalla piazza del cinema il reo confesso non
sa orizzontarsi, lo portano fino al cimitero; dal quale lui poi procede a localizzare la scena del crimine.
A verbale,
quella sera, Mele riassume così: “Enrico (…) dopo aver percorso circa tre chilometri ed
essere passato avanti al cimitero di Signa proseguì per la strada dritta che
fiancheggia il cimitero e dopo poche centinaia di metri svoltò in una strada
bianca posta sempre sulla destra fermandosi a circa cento metri dal bivio. (…)
Una volta che Salvatore si accorse che Enrico aveva girato, fermò la macchina
tra il cimitero e una casa colonica posta quasi vicino al bivio”. Questa
versione, tra tante improbabilità, ha il merito di essere più o meno coerente
con la geografia e la viabilità: infatti “Enrico” passa davanti al cimitero (il
termine fiancheggia è impreciso), prosegue diritto e svolta a destra; Salvatore
posteggia l'auto vicino a una casa colonica posta prima del bivio. Si tratta, con
grande probabilità della casa che si vede in alcune foto d’epoca e che si può apprezzare anche con Google
earth.
Il giorno dopo, nel passare l’accusa da Salvatore a Francesco, Mele è
già meno preciso sui luoghi. Ne approfitto a questo punto per trascrivere i
verbali di Mele del 24 agosto, che mi sono stati gentilmente forniti da Flanz
Vinci di Insufficienza di prove e che comparivano solo per excerpta nel volume “Al di là di ogni ragionevole dubbio”
(Cochi – Bruno – Cappelletti).
Interrogatorio ore
14.30
Procura della Repubblica di Firenze
L’anno 1968 il giorno 24 del mese di agosto ad ore 14:30 in
Firenze, carceri delle Murate
avanti di noi dottor Antonino Caponnetto procuratore della
Repubblica di Firenze assistiti dal sottoscritto segretario è comparso
l’imputato sotto indicato il quale viene da noi invitato a dichiarare le
proprie generalità ammonendolo delle conseguenze cui si espone chi si rifiuta
di darle o l’età false.
L’imputato risponde:
Sono e mi chiamo Mele Stefano, già qualificato. Vengo
informato delle dichiarazioni rese poco fa da VINCI Salvatore, e invitato
ancora una volta a dichiarare la verità nell’interesse superiore della
giustizia.
Si dà atto che l’imputato rimane per alcuni istanti assorto
e pensieroso; a nuove sollecitazioni infine risponde:
“La verità è che quella
sera io ero con Francesco Vinci. Non ho fatto prima il nome del Vinci Francesco
poiché ne avevo paura. Quando ci lasciammo quella notte dopo il delitto,
Francesco mi disse: “fa il nome di chi ti pare, ma non il mio”. Un po’ per
queste parole di Francesco, un po’ perché nella
mattinata di ieri [cancellato nel verbale] avevo avuto per casa il Salvatore,
per tanto tempo, un po’ perché anche con lui avevo avuto qualche discussione e
anche lui era stato amante di mia moglie, mi decisi ieri sera, nel corso
dell’interrogatorio messo a verbale, di fare il suo nome come istigatore e
complice. Ma il Salvatore per la verità non c’entra.
Negli ultimi tempi avevo più volte parlato con Francesco della
possibilità di “far fuori” mia moglie e l’uomo che avessimo scoperto assieme a
lei; a tale scopo avremmo usato l’arma di cui Francesco era in possesso. Sapevo
fin dal novembre scorso, anzi sapevo già ancor prima che Francesco entrasse in
carcere, che egli aveva una pistola. Egli mi disse che la teneva nascosta in
casa sua in un posto che non sapeva neanche sua moglie; però in precedenza, e
cioè prima che entrasse in carcere, egli la teneva nel porta-attrezzi della lambretta
chiuso con un lucchetto, sempre per quel che Francesco mi diceva. La sera del
21, dopo che mia moglie se ne andò al cinema con Lo Bianco e col ragazzo,
cominciai a rimuginare nella mente l’idea di ucciderla. Conoscendo le abitudini
di Francesco andai ad attenderlo all’uscita del bar in via IV novembre a Lastra
a Signa di fronte alla farmacia. Francesco uscì in strada fra le 23:30 e le
23:45 e mi chiese subito dov’era Barbara; io gli risposi che “era andata fuori
con un altro”, senza fare il nome di nessuno. Francesco si limitò ad invitarmi
a salire sul suo motorino e si diresse verso Calcinaia, lasciandomi lungo la
salita prima del paese ad attenderlo sulla strada mentre egli proseguiva in
motorino verso l’abitato. Egli ritornò dopo 10 – 15 minuti.
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La strada in salita che da Lastra a Signa porta alla località Calcinaia, dove abitava Francesco Vinci |
Non mi disse dove
era stato, né cosa aveva fatto (solo successivamente egli mi disse che era
andato a prendere l’arma, senza precisare dove) e mi fece subito risalire
dicendomi così: “andiamo a Signa”. A dimostrazione del fatto che il Francesco
pensava già da tanto tempo ad uccidere mia moglie, preciso che più volte egli
aveva seguito mia moglie nei suoi appuntamenti con altri uomini e ciò mi era
stato riferito da mia moglie e può essere confermato anche da Salvatore. Appena
giunti a Signa quella notte passammo prima dal cinema Centrale [Nota: leggo in wikipedia che il cinema Centrale, poi demolito, si trovava nell'attuale piazza Ugo Pratelli] all’esterno del
quale però non c’era alcuna macchina con le caratteristiche di quella di Enrico
(io non avevo fatto a Francesco il nome del Lo Bianco ma gli avevo descritto le
caratteristiche della sua macchina) e proseguimmo verso il cinema all’aperto
nei cui pressi avvistammo la macchina di Enrico. Aspettammo una mezza oretta
che uscissero i tre dal cinema: nell’attesa non scambiammo molte parole ma
comunque ognuno dei due conosceva bene i pensieri e le intenzioni dell’altro. Ricordo
che ad un certo momento chiesi a Francesco: “ed ora che si fa?” ed egli mi
rispose: “ci penso io”, con tono deciso. Sul significato di queste parole io
non ebbi alcun dubbio. All’uscita del cinema i tre stettero un po’ fermi in
macchina per mettersi a posto e poi si avviarono verso Signa [cancellato nel verbale] Castelletti. Io e Francesco li
seguivamo a una certa distanza col motorino di lui.
Quando poi la macchina del Lo Bianco si infilò nella
stradina dove poi avvenne il delitto Francesco arrestò il motorino sotto il
cimitero. Aspettammo alcuni minuti e poi ci inoltrammo anche noi nella stessa
stradina camminando lentamente e cercando di non far rumore. Per primo si avviò
Francesco ed io lo seguivo ad una decina di metri. Quando Francesco cominciò a
sparare io ero ancora ad una decina di metri da lui. Lo vidi far fuoco
attraverso il finestrino posteriore sinistro che aveva il vetro abbassato. Io
seguitai ad avvicinarmi e mi portai sul lato destro della macchina. Mi resi
subito conto che i due erano stati uccisi sul colpo senza avere il tempo di
abbozzare la minima reazione. Vidi Francesco tirare all’indietro per il vestito
il corpo di mia moglie, che era riverso su quello dell’uomo, e sistemarlo sul
sedile anteriore; indi egli sistemò il corpo dell’uomo mettendogli a posto i
pantaloni e la gamba sinistra, dalla quale si sfilò la scarpa che andò a finire
vicino allo sportello sinistro. Non mi ricordo che mia moglie avesse le
mutandine abbassate e che le siano state tirate su. Mentre Francesco metteva a
posto i due corpi mio figlio si svegliò e chiamò: “babbo”. Io colto da un
profondo senso di vergogna e di colpa, anziché rispondere a mio figlio e
prenderlo con me, scappai verso il motorino e mi avviai a piedi lungo la provinciale
senza neanche preoccuparmi di aspettare Francesco col motorino, anche per il
timore che persone mi vedessero. Dopo un paio di km di strada fatta a piedi mi
sono visto raggiungere da Francesco con il motorino; egli mi disse che aveva
preso il ragazzo e l’aveva portato, proseguendo sulla strada in cui avvenne il
delitto, presso una casa di contadini. Mi disse Francesco: “il bambino non deve
parlare”. Però sono sicuro che se l’interrogate a solo il bimbo vi dirà la
verità. Se fosse necessario sono disposto ad incontrare il ragazzo nel luogo
che riterrete più opportuno per esortarlo io stesso a dire la verità. Con
Francesco ci lasciammo quella notte a Ponte a Signa; lo rividi l’indomani
mattina presso la caserma dei carabinieri di Lastra a Signa. Questa che ho
detto ora è proprio la verità.
LC S firma
Si dà atto che a questo punto su richiesta dello stesso Mele
viene introdotto Vinci Salvatore al quale il Mele, prorompendo in singhiozzi,
chiede perdono per il male che può avergli arrecato.
Interrogatorio stessa
data alle ore 21:15
Mi è stato notificato l’ordine di cattura emesso dalla S.V.
per duplice omicidio premeditato.
Confermo il mio secondo interrogatorio, quello cioè in cui
ho accusato, come di nuovo accuso, Vinci Francesco di avere premeditato con me,
e poi materialmente eseguito in mia presenza, il duplice omicidio.
La S.V. mi fa presente che un paio di ore fa, prima che mi
venisse permesso di riabbracciare e salutare mio figlio presso il Comando Carabinieri,
il ragazzo ha rivelato che quella notte fui io a condurlo, un po’ per mano e un
po’ a cavalluccio, fin nei pressi della casa colonica della quale poi il
ragazzo suonò il campanello. È vero, è andata proprio così; però, per la
verità, io l’avevo già dichiarato ai carabinieri durante il sopralluogo del
giorno 23 pomeriggio. Lasciato il ragazzo, passai attraverso i campi, finché mi
sono ritrovato sulla strada asfaltata vicino al cimitero. Ho proseguito a piedi
fino a casa; non è vero, cioè, che io abbia incontrato il Francesco. Francesco
si allontanò di corsa, e andò a riprendere il suo motorino, mentre io mi
portavo accanto al ragazzo che si stava svegliando. Gli avevo detto di
aspettarmi sulla strada, ma non lo rividi più. È vero che, come la S.V. mi
riferisce essere stato detto dal ragazzo, io mi misi a sedere sul sedile
posteriore dell’auto, accanto al ragazzo, poco prima che egli si svegliasse. Mi
rendo conto che appaiono senza senso le diverse cose che io ho detto nel
precedente interrogatorio sui punti or ora contestatimi: ma non avevo mai avuto
a che fare con la giustizia e non sapevo come comportarmi.
LCS Firma
Il lettore attento e perspicace saprà distinguere da solo quanto
può essere farina del sacco del Mele e quali invece sono risposte indotte dallo
svolgimento dell’interrogatorio, come il clamoroso voltafaccia sull’accompagnamento
del bambino. Altrettanto evidente è che Caponnetto non crede a Mele, ma
naturalmente non può evitare di prendere atto della sua confessione ed emette ordine di
cattura. L’inchiesta sarà poi condotta da altri magistrati.
Rimangono alcune osservazioni da fare.
Sulle minacce subite dalla Locci, come sappiamo, abbiamo la
conferma indiretta della Locci stessa, tramite Giuseppe Barranca, in epoca
vicinissima al delitto. Mele le attribuisce a Francesco, come il giorno prima
le ha attribuite a Salvatore; se si potessero abbinare con certezza minacce e
uomo in motorino, il candidato principale sarebbe Francesco, ma come scrissi
già parecchi anni fa, la cosa non è affatto certa. Si è sempre fatto un gran
parlare che Mele disse di essere stato portato sul posto da Francesco Vinci con
la Lambretta, che invece era dal meccanico. Ma, come si vede, in questo
interrogatorio Mele parla di motorino, farà in seguito confusione con la
Lambretta dove, a suo dire, Francesco custodiva l’arma, svalutando quindi
ulteriormente le sue dichiarazioni. Inoltre, se il giorno prima è stato
abbastanza preciso (ma era appena stato portato sul posto), nel verbale del 24
sembra non abbia più idea delle distanze, giacché dice di aver visto, dal
cimitero, l’auto del Lo Bianco svoltare nella stradina. L’idea del cimitero e della
Lambretta gli rimane in testa, tanto che il giorno 26, nel confronto con
Carmelo Cutrona, dirà: “Noi lasciammo
quella sera la Lambretta vicino al cimitero”.
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Vista panoramica dei luoghi |
Non aggiungo altro, perché continuo comunque a leggere
commenti, anche bene informati, che dicono che Mele conosceva la scena del
crimine, ha simulato perfettamente l’omicidio, sapeva il numero dei colpi prima
degli inquirenti, la scarpa di Lo Bianco ecc., ignorando tutti gli altri indizi
che ci dicono che sapeva poco o nulla di prima mano. Quindi tutto questo lavoro
di ricostruzione cominciato nel 2012 è stato pressoché vano.
SALUTO
Con questo articolo, credo interessante soprattutto per la
trascrizione dei verbali, mi congedo, spero temporaneamente, dai miei soliti
quattro lettori, avendo ormai scritto tutto quello che avevo da dire, su Signa,
su Lotti e molte altre cose. Speravo di
ottenere una consulenza da uno psicologo forense sui verbali di Natalino Mele
del 1969, ma per ora non è stato fattibile; può darsi lo diventi in futuro.
E’ anche il momento di ringraziare chi nel corso di questi
anni mi ha fornito i documenti e i necessari spunti di riflessione per la
scrittura di questo blog. Li nomino in rigoroso ordine alfabetico:
Ale
Nicola Blasco
Bruchetto
Francesca Calamandrei
Francesco Cappelletti
Paolo Cochi
Claudio Ferri
Martin Rush
Antonio Segnini
Maurizio Sozio
Mi scuso con chi sto involontariamente dimenticando.
Un saluto e a risentirci, in attesa di novità.
FRANK / OMAR