lunedì 5 febbraio 2018

Memorie di un ottantenne


Foto di Vincenzo Trìcomi, dalla copertina del volume "Memorie di un ottantenne"



Grazie alla cortesia di una partecipante al gruppo Facebook “Mostro di Firenze”, la quale si firma Antonella Keller, ho potuto consultare un testo relativamente poco noto tra gli addetti ai lavori, ossia le Memorie di un ottantenne, titolo dietro al quale si nasconde l'autobiografia del giudice istruttore Vincenzo Trìcomi (è stata anche l'occasione per chiarirmi definitivamente dove cadesse l'accento, anche se probabilmente continuerò, per abitudine invalsa, a chiamarlo Tricòmi).
Il volumetto venne pubblicato nel dicembre del 2012 dalla piccola casa editrice fiorentina Edizioni Agemina e contiene appunto le memorie del giudice che ebbe una breve, ma decisiva parte nell'indagine sui delitti attribuiti al Mostro di Firenze. Il libro non ha pregio letterario e non vi si trova, in realtà, nulla di particolarmente nuovo;  non metterebbe neppure conto di parlarne se non fosse che in un forum dedicato (credo oramai l'unico sopravvissuto: I Mostri di Firenze su forumfree) si è recentemente riaperta la polemica su un presunto ruolo ambiguo di Tricomi nelle indagini, attribuendogli, solo sulla base di una citazione sbagliata da parte dell'avvocato Fioravanti nel corso del processo Pacciani, anche una diretta partecipazione alle prime indagini su Signa, in particolare agli interrogatori di Natale Mele bambino avvenuti nella primavera del 1969.
Per quello che può valere, riporto qui alcuni passi del libro che possono fornire un quadro dell'intervento del giudice Tricomi nelle indagini sul caso criminale del Mostro di Firenze; a patto, ovviamente, che si sia disposti a credergli.

Cominciamo col dire che il libro, da evidenze interne, risulta scritto in quello stesso anno 2012 nel quale fu pubblicato, poiché il giudice riferisce inizialmente di essere nato, a Catania, nel 1931 e di aver compiuto 80 anni all’atto della stesura dell’opera. Racconta poi brevemente episodi personali dell’infanzia e dell’età studentesca, fino all’ingresso in magistratura quale uditore giudiziario a Roma nel maggio 1957. Dopo un periodo di lavoro alla pretura e poi al tribunale di Modica, nel 1966 ottenne il trasferimento alla prima sezione penale del tribunale di Firenze, potendo così vivere direttamente la catastrofica esperienza dell’alluvione. Intorno alla fine del 1970 divenne giudice istruttore di quel tribunale. In queste pagine, il giudice Tricomi nomina diverse inchieste da lui condotte, senza fare alcun accenno ai delitti del mostro del 1968 e 1974; e ricorda anche, in numerose pagine, la tragedia di Ustica, dalla quale era fortunosamente scampato, e il suo controverso seguito.

Ma veniamo alla prima menzione diretta del caso che qui ci occupa [Nota: abbrevio le citazioni in più punti solo per comodità; e correggo alcuni errori presenti nell’edizione]. “Fu in quel periodo di relativa calma, verso la fine di giugno [1981], che mi fu assegnato il procedimento contro certo Spalletti, detenuto per duplice omicidio. Il pubblico ministero si limitò ad arrestare l'imputato e lo trasmise in giornata all'ufficio istruzione. Mi resi subito conto che non si trattava del solito omicidio. Si trattava di due giovani che si erano appartati in macchina nella campagna. L'assassino aveva sparato attraverso il finestrino uccidendo i due giovani. Il corpo della ragazza era stato trascinato fuori, completamente denudato e orrendamente mutilato con l'asportazione del pube. L'unico elemento a carico dello Spalletti era costituito dal fatto che ne era informato e ne aveva parlato anche al bar, prima che venissero scoperti i corpi dei due giovani da parte dei carabinieri, circostanza che l'imputato pervicacemente si ostinava a negare. A questo punto era arrivato il momento delle vacanze... " 
Dopo aver descritto le meritate vacanze dell’estate 1981, Tricomi così continua: ”I primi di settembre riprese il lavoro. Per prima cosa mi occupai del processo per il duplice omicidio e di individuare un medico, segnalato dai carabinieri come guardone, che era in rapporti con lo Spalletti. Trovai sul mio tavolo anche un voluminoso fascicolo, di cui si era occupato un collega che non era più all'ufficio istruzione, con la richiesta di archiviazione perché rimasti ignoti gli autori del fatto, che attirò la mia attenzione. Si trattava del duplice omicidio di due giovani, avvenuto nel settembre del 1974, nei dintorni di Borgo San Lorenzo. (…) Ovviamente non accolsi la richiesta del P.M., ordinai proseguirsi nell'istruttoria e l'unione al fascicolo di cui mi stavo già occupando”. [Nota: sappiamo invece che il collegamento tra Borgo San Lorenzo e Scandicci fu fatto dopo un paio di giorni sulla stampa; quindi Tricomi o ricorda male  - anche in funzione autoelogiativa - o si riferisce alla riunione formale del fascicolo presso il suo ufficio, che può essere avvenuta con ritardo.] 

Si passa poi alla narrazione di Calenzano e delle sue conseguenze, tra le quali il collegamento con Signa che viene qui spostato all’indietro nel tempo rispetto alla realtà:
“La sera del 22 ottobre arrivò una telefonata dei carabinieri per avvertirmi che nella campagna vicino a Prato era stato commesso un altro duplice omicidio con modalità analoghe ai precedenti. Anche in questo caso la ragazza era stata mutilata con l'asportazione del pube. A questo punto era evidente l'estraneità dello Spalletti e provvidi a ordinare la sua immediata scarcerazione. (...) Chiesi poi alle questure e ai comandi dei carabinieri in territorio italiano e all'Interpol per l'estero se si fossero mai verificati episodi simili. Non risultò che nel mondo, almeno in tempi recenti, ci fossero duplici omicidi con la particolare mutilazione della donna, ma ugualmente questa richiesta ebbe la conseguenza di imprimere una svolta al processo. Una mattina arrivò infatti un sottufficiale dell'arma dei carabinieri, credo che appartenesse al nucleo investigativo, portandomi un pezzettino di un giornale, nel quale c'era un articolo che parlava della scarcerazione di tale Stefano Mele, dopo avere scontato la pena inflittagli dalla corte d'assise di Firenze di sette anni di reclusione [Nota: sic! Mele in realtà fu condannato in via definitiva a tredici anni, di cui due condonati; fonte: La Nazione 13 aprile 1973], per avere ucciso la moglie Barbara Locci e il suo amante, Antonio lo Bianco, che aveva sorpreso mentre facevano l'amore nella vettura dello Bianco nelle campagne di Signa. Il Mele era stato condannato, con la concessione di diverse circostanze attenuanti, a solo sette anni di reclusione. Il sottufficiale mi chiese se era possibile richiedere il fascicolo ed acquisire i corpi di reato. Per il fascicolo gli dissi che l'avremmo avuto immediatamente, mentre era probabile che gli eventuali corpi di reato, per esempio l'arma con cui era stato commesso il delitto, fossero stati distrutti dato il tempo trascorso. Preparai una lettera, con la quale chiedevo all'archivio la trasmissione del fascicolo in visione e la detti al sottufficiale dei carabinieri pregandolo di farselo consegnare direttamente. Avemmo fortuna. Allegati alla perizia balistica c'erano i bossoli di una pistola calibro 22 con la H sul fondello e le caratteristiche tre incisioni, lasciate dall'estrattore difettoso per cui eravamo già sicuri, indipendentemente dalla perizia, che fu eseguita dopo e confermò il nostro convincimento. Inoltre l'arma non era stata trovata dagli inquirenti ed era indubbiamente la stessa che aveva ucciso nel 1974 nel giugno e nell'ottobre del 1981. Avevamo finalmente una pista da seguire. Cominciai a leggere il fascicolo con attenzione e mi sorprese la superficialità e incompletezza dell'istruttoria, che era stata condotta a quel tempo”. 
Ritengo che l’errata collocazione nel 1981 del collegamento con Signa abbia la funzione precipua di attribuirsi il merito di aver lui indotto la ricerca dei precedenti.  Non abbiamo traccia documentale di questa ricerca, bensì di quella, ben posteriore, della Procura, di cui abbiamo ampiamente parlato su queste pagine (si veda: qui, qui e da ultimo - ma non ultimo - qui); ma naturalmente la mancanza documentale non certifica in sé l’inesistenza di un fatto. Fortunatamente, sappiamo per certo che l’individuazione del precedente, vero o falso che fosse, avvenne nel luglio 1982. Secondo Tricomi fu comunque Fiori a occuparsi direttamente, su suo incarico, di recuperare il fascicolo (anche se non vi è cenno dell’inutile viaggio a Perugia altrimenti documentato).

Riprende il giudice, passando appunto al cruciale anno 1982: “Il 1982 fu denso di avvenimenti. (...) La sera del 19 giugno (...) una telefonata della collega Silvia della Monica, che mi annunciava che il mostro aveva colpito ancora e che un'autovettura dei carabinieri stava arrivando per portarmi sul posto. (...) Io e la collega della Monica ci sentivamo frustrati e depressi. L'unico dato certo era l'uso sempre della stessa pistola, che era evidente dai bossoli raccolti. Fu a questo punto che invitai i  numerosi giornalisti presenti in disparte e chiesi loro di aiutarci con una falsa notizia; giacché il giovane non era morto subito e l'assassino non poteva sapere quanto tempo fosse vissuto, dovevano pubblicare che questi aveva parlato con me all'ospedale prima di morire. I giornalisti accolsero la richiesta e la notizia apparve l'indomani sul quotidiano La Nazione [Nota: anche questo passaggio è sospetto di autocelebrazione, considerata l’analoga rivendicazione dell’iniziativa fatta dalla Della Monica].
Inizialmente sembrò che questa non avesse raggiunto un qualche risultato, solo dopo una decina di giorni fu scoperta in un fosso nel mezzo di un bosco della Maremma l'autovettura di Francesco Vinci, occultata sotto un mucchio di frasche. (...) Poiché in quel torno di tempo la moglie di Francesco Vinci era stata medicata in ospedale per numerose ferite causate dalle percosse inflitte dal marito, la collega ne approfittò per ordinarne l'arresto per maltrattamenti e lesioni ai danni della donna. Io presi 10 giorni di ferie (...) era l'anniversario del nostro matrimonio e festeggiavamo le nozze d'argento e così per un po' potei liberarmi del pensiero del serial killer. Rientrammo a Firenze il giorno che a Madrid si giocava la finale del campionato del mondo di Germania Italia.[Nota: la partita venne giocata il giorno 11 luglio, ben prima che si rinvenisse materialmente il fascicolo su Signa!] (...) In agosto trascorremmo le vacanze a Camaldoli, con le sue bellezze e visitando i dintorni, Poppi, Bibbiena, la Verna, la riserva naturale della foresta del Casentino (...)” [Nota: e questo è il periodo in cui Tricomi sarebbe invece stato tra Scicli, Sampieri e Modica a occuparsi del delitto Ciabani, un caso che nel libro viene del tutto ignorato].
Prima delle vacanze Tricomi narra di aver presentato richiesta di trasferimento alla Corte di Appello di Firenze, trasferimento che aprì un nuovo capitolo della sua carriera il giorno 11 aprile 1983. Carriera che a questo punto, peraltro, non ci interessa più. Nel volume non si fa più menzione del caso del Mostro di Firenze se non per ricordare la contestazione degli otto duplici omicidi (1974-1982) a Francesco Vinci (“fatta a malincuore” per mancanza di prove; sarà poi decostruita dal nuovo giudice istruttore Rotella) e il delitto di Giogoli, per il quale Tricomi ritiene che fosse un tentativo di scagionamento a opera di un nipote affettivamente legato a Francesco Vinci, un soggetto ben noto ai lettori di Mario Spezi.

La Città - Settembre 1983


Che commento possiamo fare, a parte quello, ovvio, che le autobiografie vanno sempre prese cum grano salis e che il giudice denuncia scarsa memoria rispetto ai tempi degli accadimenti che descrive? In particolare abbiamo una terza versione di Tricomi sulla nascita della pista sarda, dopo il biglietto consegnato a Spezi nel 2001 e l’intervista a Paolo Cochi, che è del 2011,  l’anno precedente a quello di redazione del libro. Salvo l’errore temporale, che si ritrova già nella dichiarazione del 2002, le versioni sono sostanzialmente coincidenti. Il discorso, apparentemente, fila. Tricomi o chi per lui ordina di cercare i precedenti, Fiori – da solo con un aiutino – individua il duplice omicidio di Signa e il resto lo sappiamo. Resta fuori da questo schema la segnalazione anonima di cui alla richiesta della Della Monica, che vi era stata spinta proprio da Tricomi (vedi articolo precedente già citato). Per inserire l’anonimo nel contesto c’è bisogno di un nuovo (o vecchio) paradigma, che però rimarrà del tutto ipotetico finché qualcuno non pubblichi il testo stesso dell’anonimo, qualora ancora esistente. In merito  spero di riuscire a formulare, con la dovuta calma, un’ipotesi di lavoro.