sabato 30 dicembre 2017

Le arringhe dell’avvocato Mazzeo (era Giancarlo Lotti collaboratore di giustizia- Parte prima [revisione dicembre 2017])



Mentre sono in attesa della revisione dal punto di vista giuridico di un nuovo articolo, ripubblico, con qualche modifica, aggiunta e miglioramento,  un vecchio post sullo stesso tema, vedi titolo, nella speranza che possa avere qualche nuovo lettore. 

Immagione tratta dal canale Youtube Mostro di Firenze


Ora che sono state rese disponibili le trascrizioni di quasi tutte le udienze del processo ai Compagni di Merende (1997-98) su Insufficienza di Prove e tutto l’audio dello stesso processo è ascoltabile in audio su Radio Radicale, possiamo renderci meglio conto di quale fu l’approccio critico da parte dei difensori del Vanni alla prova regina contro il loro assistito, ossia la confessione di Giancarlo Lotti e la contemporanea chiamata in correità dello stesso Vanni, Pacciani e altri. Nelle sue conclusioni  (udienze del 3-4 marzo 1998) l’avvocato Mazzeo affronta, in maniera a mio giudizio molto chiara ed efficace, alcune problematiche centrali in quel processo, inerenti la valutazione della confessione, della chiamata in correità, degli indizi o riscontri esterni. Si tratta di argomentazioni prettamente giuridiche che hanno però, come si renderà conto chiunque avrà la pazienza di leggerle o ascoltarle, un enorme riflesso sul piano concreto delle prove valutate in quel processo per decidere la colpevolezza degli imputati.
Vale la pena riportarne qui alcuni punti.

Questa di seguito è la parte introduttiva, in cui Mazzeo cita ampiamente la fondamentale Sentenza di Cassazione 1653/93 (caso Sofri-Marino). Per maggior chiarezza metto in corsivo le citazioni dalla sentenza e tra parentesi i commenti estemporanei dell'avvocato.
<<La Corte di Cassazione su questo argomento così delicato, così infido come la chiamata di correo ha ritenuto opportuno pronunciarsi a Sezioni Unite e ha formulato una regola di giudizio (…) è il caso Sofri, sentenza Marino + altri (…) dove la Suprema Corte dice:
"I problemi relativi all'interpretazione dell'art. 192 comma 3 del C.P.P. vigente, per la parte concernente la corretta valutazione della chiamata in correità, unitamente agli elementi di prova che ne confermano l'attendibilità, presuppone nell'ordine logico la risoluzione degli interrogativi che la stessa chiamata in correità in sé considerata pone, sotto un duplice aspetto (…): in primo luogo occorre sciogliere il problema della credibilità del dichiarante (il problema della credibilità del Lotti, confidente e accusatore, ha confessato e accusato) in relazione alla sua personalità, alle sue condizioni socio-economiche e familiari , al suo passato, ai rapporti con i chiamati in correità (rapporti Lotti-Vanni, per esempio), e alla genesi remota e prossima della sua risoluzione alla confessione e all'accusa dei coautori e complici  (il catartico sentimento di autoliberazione ... Quindi allora, primo esame che deve fare il giudice: la credibilità; … In secondo luogo, dice la Cassazione), il problema della verifica della intrinseca consistenza e delle caratteristiche delle sue dichiarazioni (Allora: intanto vediamo la persona, poi vediamo cosa ci dice…) alla luce dei criteri che l'esperienza giurisprudenziale ha individuato (e quali sono i criteri per stabilire se il racconto del Lotti ha l'apparenza della verità, è incredibile o credibile? I criteri sono): precisione, coerenza, costanza, spontaneità ( e così via. Avete notato che non mette più disinteresse…) Ovviamente i problemi ora accennati e quelli relativi ai riscontri cosiddetti esterni o oggettivi, concettualmente distinti, possono concretamente intrecciarsi e tuttavia il giudice deve compiere l'esame seguendo l'ordine logico sopra indicato (personalità, attendibilità, credibilità, veridicità delle sue narrazioni, riscontri oggettivi) perché non si può procedere ad una valutazione unitaria della chiamata in correità unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità se prima non si chiariscono gli eventuali dubbi che si addensano sulla chiamata in sé, (…) indipendentemente dagli elementi di verifica esterni ad essa  (quindi: credibilità, attendibilità intrinseca, attendibilità estrinseca).
A questo punto, l'avvocato Mazzeo passa ad esaminare il caso concreto in applicazione della  sentenza della Cassazione.
"I dubbi che si addensano sulla chiamata in sé con riferimento al Lotti. Allora andiamo ad esaminare ad esempio la personalità. Prima di tutto che bisogna fare? La verifica del dichiarante in relazione alla sua personalità. E' assolutamente condivisibile il rappresentante della pubblica accusa laddove vi ha illustrato la personalità del Lotti. Cito testualmente la requisitoria del Pubblico Ministero. Dobbiamo esaminare la sua personalità. Dice così (Ndr: citazioni dalla requisitoria del PM in corsivo; grassetto mio, a sottolineare un passaggio che ritengo importante per il seguito del discorso). E' un emarginato, una personalità debole e sottomettibile, cede alle personalità più forti, è portato a subire qualunque minaccia, anzi, la ingigantisce; è uno che non riesce ad elaborare nessuna difesa, subisce; è una persona che non ha valori (che non ha valori; quanto può essere credibile una persona che non ha valori? Un uomo in vendita, commenterei io; ma andiamo avanti, sentiamo quello che dice il Pubblico Ministero), il mondo intorno a lui è inesistente (quindi problemi di coscienza se deve mettere nei guai qualcuno non se ne porrà; lo dice il Pubblico Ministero e il Pubblico Ministero, direbbe Marco Antonio, è un uomo d'onore, bisogna credergli). L'unica cosa che gli interessa è la soddisfazione di bisogni elementari, primari: un tetto, una macchina seppure usata, le 50.000 lire per andare con le prostitute (mamma mia che personalità); non coltiva sentimenti religiosi (non vi fate fuorviare dal fatto che fosse lì in  quella comunità gestita da un prete); sta in comunità soltanto perché ha bisogno di un tetto  (che cosa si può aggiungere, quale commento bisogna fare? Uno solo, questo lo faccio io, non è del Pubblico Ministero: tipo ideale di calunniatore per proprio tornaconto).
Se il giudice deve prima di tutto, nell'ordine logico dettato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, esaminare la personalità per evidentemente fugare i dubbi, chiarire gli eventuali dubbi che si addensano sulla chiamata in sé, quindi prima di tutto la personalità, lasciamo perdere quello che ha dichiarato, che elemento è questo? E qui c'è da allargare le braccia, signori. Questo è il peggior tipo di chiamante in correità che si può trovare sulla sua strada un giudice (…) che deve decidere sul destino delle persone con uno che non ha valori, il mondo intorno a lui è inesistente, l'unica cosa che gli interessa son le cinquantamila lire per andare con le prostitute, non coltiva sentimenti religiosi (…) Qui si parte da un materiale, signori, che (…) qui abbiamo raschiato il fondo del barile con un uomo così, si parla di attendibile, inattendibile, questo è la quintessenza dell'inattendibilità."
Sentiamo ora cosa dice l'avvocato Mazzeo sulla valenza giudiziaria della confessione.
"Se c'è una prova, un mezzo di prova che è veramente delicatissimo, e queste sono parole della suprema Corte di Cassazione, è proprio la confessione. (…) E quindi, la confessione non è quella specie di meccanismo automatico o semiautomatico che vi ha descritto il Pubblico Ministero, è un mezzo di prova delicatissimo perché le motivazioni che possono indurre una persona, in un giudizio penale, ad andare in qualche modo contro natura accusandosi, perché l'istinto naturale, primordiale dell'uomo è quello di difendersi, non di accusarsi, quello di negare le proprie responsabilità, non di ammetterle, quindi ci troviamo già di fronte ad una situazione in cui il giudizio deve essere particolarmente sveglio, ecco, c'è uno che confessa, la prima regola, la prima regola vorrei dire pratica, di buon senso comune, non di giudizio positivo, è di dire: ma perché confessa costui? Chiediamoci perché? Se lo chiede molto bene, dai tempi dei tempi, il legislatore che ha previsto infatti nel codice penale il reato di autocalunnia. L'autocalunnia è la fattispecie in cui c'è un soggetto il quale falsamente confessa di essere colpevole di qualche reato. Il legislatore l'ha previsto questo come figura autonoma di reato contro l'amministrazione della giustizia, perché chi confessa falsamente di aver commesso un reato in pratica intralcia il libero corso della giustizia, perché magari distoglie l'attenzione degli inquirenti e dei giudici dal vero colpevole. Quali sono le motivazioni che possono spingere una persona a confessarsi colpevole? Esemplificazioni di (false) confessioni dovute ad infermità di mente, altro squilibrio psichico, a fanatismo, ad auto- ed etero-suggestione, a ragioni di lucro, a spirito di omertà. (…) Noi siamo qui per stabilire se la confessione che riguarda questo processo è vera o falsa. (…) Dice la Cassazione in quella sentenza 26 settembre 1996 n. 8724: <<La valutazione delle dichiarazioni confessorie dell'imputato ai fini del giudizio di responsabilità a suo carico deve essere condotta e motivata in base ai criteri elencati nel I comma dell'art. 192>> quando si dice appunto  << il giudice valuta la prova dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati>> niente riscontri oggettivi, non necessariamente, una confessione può essere ritenuta valida, vera, al di là dei riscontri oggettivi, semplicemente alla base di una valutazione congrua, evidentemente, e logicamente corretta della credibilità intrinseca e della attendibilità intrinseca, non estrinseca, senza riscontri, di colui che si confessa (colpevole). Per esempio una confessione evidentemente frutto di un catartico sentimento di espiazione – e questo certamente non è il caso del Lotti – quella potrebbe essere considerata sufficiente, di per sé, senza bisogno di riscontri, una prova sufficiente a fondare la condanna di chi? Di colui che si confessa colpevole, cioè a dire del Lotti, per tornare a noi. (…) Dice la Cassazione (…): <<Ne consegue che la confessione può essere posta a base del giudizio di colpevolezza nell'ipotesi in cui il giudice ne abbia favorevolmente apprezzato la veridicità, la genuinità, l'attendibilità, fornendo le ragioni per cui deve respingersi ogni intento autocalunniatorio o di intervenuta costrizione del soggetto.>>”

Questo volume contiene un articolo di Pier Luigi Vigna sulla gestione giudiziaria dei pentiti


Il quadro è abbastanza chiaro. Di mio, aggiungo una citazione da un articolo dell’illustre giurista Franco Cordero (da F. CORDERO, La confessione nel quadro decisorio, in La giustizia penale e la fluidità del sapere: ragionamento sul metodo, Padova, a cura di L. De Cataldo Neuburger, 1988,): <<In quanto atto narrativo dell'imputato la confessione è una prova: nessun dubbio che sia una prova. Può darsi che sia una prova che non vale niente, da cui un giudice attento non si lascia persuadere, ma è una prova. E' una prova, ma una prova sospetta; sospetta perché, a differenza del testimone l'imputato non è obbligato a rispondere in modo veridico, non rischia niente qualunque cosa dica. (…) quindi è molto importante studiare i motivi, puri o impuri, che lo inducono a parlare in quel senso>>.
Mazzeo parla poi dei riscontri necessari  per validare la chiamata in correità; ossia, dando anche per ammessa la credibilità intrinseca delle dichiarazioni autoaccusatorie del Lotti, di quanto necessario per provare la partecipazione ai delitti di Mario Vanni (come è ben noto, Pacciani non è parte di questo processo e comunque al momento della sua conclusione è già defunto).
"I riscontri… (Ndr: per validare la chiamata in correità) occorrono quindi altri elementi di prova che ne confermino l'attendibilità. Gli altri elementi di prova, la suprema Corte ha avuto modo di spiegare in più occasioni che non c'è limite qui…; altri elementi di prova può essere prova diretta, prova indiretta, prova provata, indizi – indizi, uso sempre il plurale perché lo usa il legislatore, indizi, certi, numerosi, gravi precisi, concordanti, i requisiti degli indizi – anche gli indizi possono rappresentare riscontri, siete stati voi sommersi da una raffica di cosiddetti indizi nella prima settimana di discussione, da una raffica di cosiddetti riscontri oggettivi, io molto sommessamente dico che non ho mai sentito usare la parola indizio o riscontro oggettivo così a sproposito come in questo processo (…); qui si è parlato soprattutto di riscontri che, nelle parole di coloro che hanno parlato sarebbero indizi, ad esempio questo carosello di macchine in prossimità dei luoghi dei delitti di Vicchio e di Scopeti, questa girandola di macchine, una, due, bianca, nera, rossa, chiara, scura in ore prossime a quelle degli omicidi in luoghi prossimi a quelli degli omicidi, questo è l'indizio; non è un indizio, lo vedremo. (…) Quindi, la differenza che passa tra l'indizio e il sospetto, tra ciò che è e ciò che si vuol vedere. Cosa sono gli indizi. Allora Cassazione 4 aprile 1968: <<Gli indizi si differenziano profondamente dalle congetture perché, mentre queste sono costituite da intuizioni, apprezzamenti, opinioni, gli indizi consistono in fatti ontologicamente certi collegati tra loro in guisa che per forza logica sono suscettibili di una sola e ben determinata interpretazione>>. Cassazione 25 marzo 1976 caso Milena Sutter: <<Gli indizi devono portare ad un convincimento che non deve avere contro di sé alcun dubbio ragionevole>>. Cassazione 25 maggio 1995: <<La circostanza assumibile come indizio deve, perché da essa possa essere desunta l'esistenza di un fatto, essere certa: tale requisito, benché non espressamente indicato nell'art. 192 del C.P.P. – [infatti l'art.192 usa questi aggettivi: gravi, precisi, concordanti ]– è da ritenersi insito nella precisione di tale precetto. Con la certezza dell'indizio infatti viene postulata la verifica processuale circa la reale sussistenza dell'indizio stesso, posto che non potrebbe essere consentito fondare la prova critica – [cioè la prova indiretta] –su di un fatto solo verosimilmente accaduto, supposto od intuìto, inammissibilmente valorizzando, contro indiscutibili postulati di civiltà giuridica, personali impressioni o immaginazioni del decidente>>. Guardate quante parole: impressioni, suggestioni, immaginazioni, sospetti, ipotesi di lavoro, desideri; hanno desiderato che in quelle macchine che giravano intorno a Vicchio quella sera ci fosse il Vanni, ma nessuno l'ha detto che c'era Vanni. Il Vanni non lo nomina nessuno: quello sarebbe stato un indizio, perbacco, dice: <<Ha visto Vanni in una di quelle due macchine che giravano là intorno>>. Cassazione (ndr: non cita gli estremi): <<La correlazione tra circostanza indiziante e il fatto da provare deve essere tale da escludere la possibilità di una diversa soluzione>>. Questi (ndr: intende il fatto che i testimoni descrivono delle macchine - vedi sopra) non sono neanche indizi, sono sospetti."
Sulla base di queste massime di Cassazione citate dall'avvocato Mazzeo possiamo per conto nostro valutare la forza degli indizi che furono raccolti non solo nel processo ai Compagni di merende (dove in realtà i riscontri oggettivi mancano totalmente, essendo il Vanni stato condannato unicamente sulla base delle accuse del Lotti riscontrate, abbiamo visto altrove come, da Pucci, in tre  casi su quattro solo de relato), ma anche nel corso delle indagini precedenti (e successive).
Ad esempio: Salvatore Vinci: per la morte della prima moglie, nessuno; per i delitti seriali uno straccio con macchie di sangue e residui di polvere da sparo; sangue  che però non poté essere direttamente collegato alle vittime, polvere che non poté essere collegata all'arma dei delitti.
Ad esempio: Pietro Pacciani: un album da disegno che non è certo appartenesse alle vittime tedesche, un proiettile cal. 22 che non è certo fosse stato incamerato nell'arma dei delitti.
Ad esempio Francesco Calamandrei: il nulla più assoluto, a parte le dichiarazioni di una moglie mentalmente disturbata.
Un ben misero raccolto, dal quale ancor più risalta il valore di prova diretta e definitiva della confessione, che però andrebbe molto attentamente vagliata dal giudice per quanto riguarda la propria intrinseca credibilità. E non è un caso che in tutta la storia gli unici processi che si concludano con la condanna dei presunti colpevoli sono quelli fondati sulla confessione: il processo Mele del 1970, il processo ai Compagni di Merende 1997-98. 



Per trattare l'attendibilità intrinseca delle dichiarazioni auto-accusatorie del Lotti, trasferiamoci ora, sempre in compagnia dell'avvocato Mazzeo, al processo di Appello (1999), ove si argomenta ancora sulla base della Sentenza di Cassazione a Sezioni Unite già citata (quella del caso Marino – Sofri) criticando l'assunto con il quale la Corte di Assise ha giustificato le innumerevoli incoerenze ed evoluzioni del racconto di Lotti nel tempo, dai primi interrogatori in qualità di teste al dibattimento. 
"Quindi, credibilità del personaggio, dice la Suprema Corte a sezioni unite, <<problema della verifica dell'intrinseca consistenza e delle caratteristiche del racconto in base ai canoni della spontaneità>>, poi vedremo, <<della coerenza, della verosimiglianza, della puntualità>>. Il giudice di primo grado nell'incipit, si potrebbe dire, a pag. 25 ha sentito il bisogno di una premessa e io devo leggerla questa premessa perché qui si parla di sentenze di primo grado. Dice così: <<Premessa, prima di entrare in argomento giova comunque premettere ad inquadramento dell'intera vicenda quanto ha dichiarato il Lotti nella parte finale dell'istruttoria dibattimentale, quando, rispondendo alle domande che gli sono state fatte in sede di esame e di controesame, ha finalmente chiarito la sua posizione indicando il suo vero ruolo di palo e il contributo che aveva dato, così agli altri in occasione della materiale esecuzione dei duplici omicidi limitatamente però a quelli di Scopeti, Vicchio, Giogoli e Baccaiano, non avendo partecipato al duplice omicidio di Calenzano. Con tali ultime dichiarazioni il Lotti ha dunque abbandonato la linea difensiva, del tutto assurda ed inverosimile, seguita fino ad allora, linea che mirava a far credere in un primo momento, era stato soltanto un occasionale spettatore dell'accaduto -prime dichiarazioni - e successivamente che aveva invece partecipato ai vari episodi di omicidio però soltanto per costrizione del Pacciani - intermedie dichiarazioni - tale premessa appare dunque doverosa non solo ai fini di meglio capire la successione dei fatti ma anche e soprattutto al fine di meglio valutare la credibilità del Lotti, posto che le sue prime ed intermedie dichiarazioni non sono sempre in linea-  [A.M.:io direi eufemisticamente, si dice così] - non sono sempre in linea con le ultime perché allora il Lotti aveva avuto tutto l'interesse a dare una versione di comodo – [A.M.: attenzione a questa espressione] -, dalla quale risultasse la sua presenza sul posto, ma non il ruolo realmente ricoperto, si spiegano così alcune inesattezze o contraddizioni rispetto alle dichiarazioni finali.>> Ecco, l'ignaro lettore che si imbatte a pag. 25/26 della sentenza, ad avviso di questo difensore, non ha più bisogno neanche di andare avanti e di leggersi le altre 200 pagine perché ha già capito che la sentenza sarà sul punto centrale della causa che è la questione della credibilità del dichiarante, del confessore e chiamante in correità, la sentenza ha già detto la sua, ha già fornito al Lotti una patente, una patente di credibilità, ha detto:  io ti credo e anche se in certe tue affermazioni, dichiarazioni appari o sei oggettivamente, perché in contrasto con risultanze processuali con fatti accertati, non credibile, io comunque ti assolvo perché tu quelle dichiarazioni non veritiere le hai fatte , le hai rese, con riferimento a questa versione di comodo che tendeva a sminuire il tuo reale ruolo di palo che avevi concretamente assunto in queste vicende delittuose. Allora la sentenza, questa premessa, contiene una serie di errori, errori di fatto ed errori di diritto. Errori di fatto perché si riassume tutte la congerie delle dichiarazioni del Lotti, dalle indagini preliminari fino all'incidente probatorio, fino all'esame dibattimentale, distinguendolo in tre fasi o momenti successivi: dichiarazioni iniziali/intermedie/finali e si dice che il ruolo di palo, di complice istituzionale, ad ogni effetto in questo sodalizio criminale egli lo avrebbe confessato soltanto nella fase finale, quando finalmente rispondendo ha chiarito la sua posizione. Non è vero (…)".
"E allora, torniamo alla Suprema Corte, torniamo ai canoni che devono guidare con umiltà il percorso del magistrato che adopera il buon senso comune e che non intende essere offeso da queste cose. Si parlava di questo con riferimento agli aggiustamenti del racconto, alle modifiche del racconto, perché è evidente che i racconti qui bisogna dire, perché è evidente che in due anni e mezzo il Lotti ha reso vari racconti, quindi i racconti è umano che presentino, che possano presentare sfasature, incoerenze e quindi che ci possano essere anche delle contraddizioni, purché queste contraddizioni non riguardino dati decisivi- dice la Suprema Corte -, ma riguardino soltanto dati di contorno, perché siamo fatti anche noi, voglio dire, di cellule e quindi la memoria umana specie quando si parla di fatti successi 10-15 anni prima può essere fallace, ma, attenzione, qual è il criterio che deve guidare il giudicante? Qui parlano della sentenza Sofri-Marino: <<In relazione ai singoli episodi chiave del racconto del Marino è mancato nell'analisi critica dei giudici un momento essenziale del procedimento logico diretto a stabilire, con riguardo ai singoli contesti, la rilevanza e la significatività delle lacune e della contraddizioni, per saggiare l'attendibilità dell'insieme e la schiettezza dei successivi aggiustamenti e delle correzioni, onde stabilire se si trattasse di genuini ripensamenti, espressione di uno sforzo di chiarezza nell'approfondimento mnemonico ovvero>>  ed è il nostro caso <<dell'adeguamento puro e semplice della propria versione a fronte dell'emergere di contestazioni e di risultanze processuali da far quadrare con essa.>>  (…) L'aggiustamento del racconto, se è spontaneo, se è non provocato da contestazioni o da risultanze processuali insanabilmente in contrasto con il racconto è ammesso evidentemente, perché fa parte della natura umana non avere la perfezione di una macchina, ma quando questo aggiustamento avviene dopo che ci sono state le contestazioni, dopo che si è fatto presente che il racconto in questo caso contrasta insanabilmente con dati processuali e probatori acquisiti altrove, questo aggiustamento, lungi dall'essere spontaneo, è semmai un'indicazione ben precisa per il magistrato che si tratta appunto di un <<adeguamento puro e semplice della propria versione a fronte dell'emergere di contestazioni da far quadrare con essa>>".
Questi i passaggi che ritengo centrali nelle conclusioni dell’avvocato Mazzeo nei processi di I e II grado.E’ tempo di concludere con alcune considerazioni del tutto personali. La confessione del Lotti, nonostante con tutta evidenza non rispetti i canoni fissati dalle Sezioni Unite della Cassazione (precisione, costanza, coerenza, spontaneità e così via) e nonostante la personalità del reo confesso dia adito a dubbi fondati sulle sue motivazioni, viene giudicata credibile (incredibilmente credibile, mi si perdoni il calembour). Il fatto si è che la Pubblica Accusa, in mancanza di riscontri oggettivi quali potrebbero essere la pistola o i feticci, si presenta al processo con un'arma imbattibile, un testimone oculare (Fernando Pucci) che conferma (da testimone e non da imputato, quindi obbligato a dire la verità) la scena narrata dal Lotti riguardo all'ultimo delitto. Accertato che due testi (di cui è uno è anche imputato e quindi assumerà su di sé le conseguenze penali del suo dire) hanno visto Pacciani e Vanni uccidere a Scopeti, tutto il resto viene da sé, andando a ritroso nel tempo. Senza il riscontro di Pucci, la testimonianza di Lotti non varrebbe niente, perché unus testis nullus testis, come insegnava già Mosé: “Un solo testimone non avrà valore contro alcuno, per qualsiasi colpa e per qualsiasi peccato; qualunque peccato uno abbia commesso, il fatto dovrà essere stabilito sulla parola di due o tre testimoni.”(Deut. 19,15) Ma di quanto valga veramente il riscontro di Pucci abbiamo già parlato.
La scelta fatta dalla Procura di non indagare il Pucci per concorso o quanto meno favoreggiamento, permettendogli così di testimoniare e fungere da riscontro, quel riscontro che era necessitato dall’art. 192 C.P.P.), si rivela quindi assai azzeccata dal punto di vista accusatorio. Lotti e Pucci, pur in posizioni processuali del tutto diverse e dicendo spesso anche cose diverse, salvo poi correggersi in corsa, stanno in piedi insieme (simul stabunt vel simul cadent). A conclusione della vicenda, la Cassazione sentenzierà: <<Il Pucci offre il riscontro, a volte diretto, altre volte indiretto, alle dichiarazioni, auto ed eteroaccusatorie del Lotti. Egli non è solo il testimone oculare dell'omicidio dei due francesi in contrada Scopeti di San Casciano Val di Pesa, ma è anche il teste "de relato" dell'omicidio di Vicchio di Mugello, di Giogoli, di Baccaiano, avendo raccolto di volta in volta le confidenze dell'amico sulle loro modalità di svolgimento e sulle persone che vi prendevano parte.>> Ciò comporta che i difensori del Vanni, nei cui confronti si leggono spesso accuse dure e a mio parere immotivate, dovevano seguire una tattica obbligata; non potendo dimostrare che Vanni non aveva partecipato agli omicidi (poiché due testi affermavano di averlo visto; né si poteva sperare di rinvenire, a tanti anni di distanza alibi o testimoni contrari) potevano soltanto minare la credibilità dei testi stessi, dimostrare che stavano dicendo il falso; e quale modo migliore se non quello di negare che i due fossero sul posto, che avessero davvero visto qualcosa? L'ansia di smentire la veridicità del racconto portò però ad appuntarsi troppo spesso e troppo a lungo su dettagli e particolari; argomentazioni che entrambi i tribunali ebbero poi agio di rigettare adducendo difetti della memoria, il lungo tempo passato, difficoltà di comprensione ed esposizione dei testi. Forse ci si poteva concentrare di più sull’incredibilità generale del racconto, sui cambi di versione, sulle dichiarazioni “a rate” di entrambi. Il risultato è quello che conosciamo, ma forse non si poteva fare di più.



Il funerale di Mario Vanni



Chiudo l’articolo riportando un breve testo tratto dal “Corriere fiorentino” (15 aprile 2009) in occasione del funerale di Mario Vanni:
L'ultimo saluto a «Torsolo»
I parenti: «Era innocente»
Mario Vanni è stato sepolto stamani nel cimitero di San Casciano Val di Pesa, dove è nato e ha vissuto. I funerali si sono svolti in maniera molto semplice: presenti nove parenti e due compaesani
Condannato dalle aule di giustizia, ma innocente per i parenti. Mario Vanni, l’ex postino di San Casciano Val di Pesa, condannato per quattro degli otto duplici omicidi del Mostro di Firenze, è stato così difeso dai parenti nel giorno del suo funerale. Vanni è stato sepolto stamani nel cimitero di San Casciano Val di Pesa, dove è nato e ha vissuto. funerali si sono svolti in maniera molto semplice: presenti nove parenti e due compaesani. Ad accompagnare la bara dell’uomo che coniò la frase «Compagni di merende», e si è sempre dichiarato estraneo agli omicidi, c’erano la sorella Grazia con il marito, le nipoti Alessandra, Stefanella e Francesca, il nipote Paolo con la moglie, due cugini e due conoscenti del paese. Con loro il vicario emerito di San Casciano, monsignor Renzo Pulidori, che ha benedetto la bara e pronunciato una preghiera. Dopo alcuni minuti di raccoglimento del piccolo gruppo si è proceduto alle esequie, la bara, in legno chiaro, è stata calata nella tomba. Un cespuglio di fiori, tra cui rose rosse e bianche, hanno quindi ricoperto la sepoltura.

LA DIFESA DEI PARENTI - «Sono sempre stata convinta e ne rimango tuttora - ha commentato dopo il funerale la nipote Alessandra Bartalesi - che mio zio Mario non c’entrava nulla con i delitti del Mostro, ma c’è chi in tanti anni, ha fatto di tutto perché lui alla fine diventasse l’assassino di una storia a cui era estraneo». Anche un altro nipote, Paolo Vanni, difende lo zio: «Per me - ha detto - rimarrà sempre lo zio che in paese chiamavano Torsolo, cioè uno che valeva poco, uno che io ho sempre visto come un uomo con l’orologio rimasto fermo a 30/40 anni indietro, con problemi di ubriachezza e un’esistenza sgangherata, ma non quella di un assassino». «Si dice che - ha continuato il nipote - per alcuni è morto da condannato dei delitti del Mostro, ma noi parenti sappiamo invece che se ne è andato in pace, senza queste colpe». I parenti hanno ricordato che gli ultimi anni in casa di riposo Mario Vanni li ha trascorsi molto serenamente. Fino a pochi mesi prima di morire chiedeva notizie di loro e del paese, poi piano piano ha smesso per le condizioni di salute che si aggravavano. Circa un anno fa, tra l’altro, mandò a chiamare il vicario di San Casciano. «Andai a trovarlo - ha ricordato monsignor Renzo Pulidori - e più volte mi ripeté di essere innocente. Tuttavia alternava momenti di lucidità ad altri di minor presenza. Mi disse anche che appena avesse potuto avrebbe fatto un viaggio in America, lui che non si era mai mosso da San Casciano».

lunedì 18 dicembre 2017

L'arringa dell'avvocato Bertini



Arringa, secondo il Vocabolario Treccani online, è il “Discorso pronunciato davanti a una folla, a un’assemblea o in tribunale, con notevole impegno oratorio, volto soprattutto alla persuasione e alla mozione degli affetti. In particolare, la difesa orale, pronunciata nel dibattimento durante il processo penale”.

E’  un termine forse un po’ demodé e probabilmente lo era già il 27 febbraio 1998, circa trent’anni fa, quando l’avvocato di Giancarlo Lotti, Stefano Bertini, trasse le conclusioni a difesa del suo assistito. Poiché sto preparando un articolo sull’inquadramento legale di Lotti quale testimone protetto e (mancato) collaboratore di giustizia, ho pensato di proporre ai lettori, propedeuticamente, una trascrizione della parte finale della sua arringa. E’ stato un lavoro faticoso. Non giudico la sostanza, ma la forma. All’epoca Bertini non si poteva definire un grande oratore: è visibilmente emozionato, ha difficoltà di eloquio, fa ripetizioni, si mangia le parole, usa molti anacoluti. Vieppiù defatigante è stata la trascrizione, anche perché la registrazione audio tratta da Radio Radicale non è il massimo dell’alta fedeltà. Credo che leggere i passi che ho estratto sia comunque interessante, anche perché l’udienza non risulta trascritta su Insufficienza di Prove. Avverto che dove una frase o parola mi era incomprensibile ho inserito un punto interrogativo tra parentesi (?) e che il grassetto, a evidenziare passaggi che ritengo importanti, è ovviamente frutto del mio intervento redazionale. Buona lettura.

L'avvocato Bertini - immagine tratta dal web, sito GoNews


[start] Io vi ho chiesto all’inizio di fare una divisione netta tra la posizione del Lotti e quella dei suoi compartecipi, esecutori materiali di questi delitti. E le conclusioni del PM in tal senso sono ineccepibili, in effetti abbiamo l’ergastolo chiesto per Vanni, 21 anni per Lotti. La richiesta della concessione delle attenuanti generiche prevalenti a Lotti attua di fatto formalmente questa diversificazione. Ma non è sufficiente. Il nostro codice vi offre elementi per rendere questa diversificazione ben più reale, effettiva, non soltanto, ma più aderente alle risultanze del processo, alla personalità del Lotti.  E voi capite quali meccanismi hanno indotto il Lotti a prendere parte a questi omicidi. (…) Quindi come vedete quello che è rappresentato è un quadro misero, che ci rappresenta una persona incapace di vivere una vita normale non soltanto per le oggettive difficoltà che può avere incontrato, ma per la consapevolezza di essere diverso, l'autoconsapevolezza di non poter essere accettato e quindi la depressione di cui parlavo prima, non un istinto violento, la depressione, i complessi, le paure, la dipendenza dagli altri e voi capite quale importanza abbia questo dato se noi andiamo poi a verificare quei meccanismi che hanno indotto il Lotti  a prendere parte a questi omicidi. A prescindere dall'occasione particolare, proprio, dalla circostanza che ha determinato il suo coinvolgimento, come fra poco vedremo, si capisce che il Lotti è credibile quando dice di essere stato costretto dai suoi complici: "mi minacciava, come facevo a dire di no? Dovevo andare, se dice così, come fo, lo dovevo fa' pe' forza". Pensate a quello che vi ha detto riguardo alla circostanza di dover andare a imbucare quella lettera a Vicchio, qui gli fu chiesto, giustamente, ma come, ha fatto tutta quella strada per andare a imbucare questa lettera a Vicchio? Non poteva dirgli imbucala da un'altra parte più vicina, tutti quei km in macchina perché? Dice: “che dovevo fare? Gliel'ho detto ma… Dovevo andare. Non potevo dirgli di no, se devo andare devo andare”. Ma signori, questo dato è importante: chi è l'interlocutore di Lotti in questi fatti? E' il Pacciani. E il Pacciani ha un carattere non soltanto autoritario, forte, ma violento, prevaricatore. Pacciani rappresenta quella realtà cui il Lotti non può uniformarsi, rappresenta una realtà a cui non può sottrarsi, non può che soggiacere, una realtà troppo forte per lui. Lotti lo sente, non gli è simpatico, lo ritiene prepotente, sa di cosa è accusato con le figlie, riguardo alle figlie, ha fatto cose brutte, dice il Lotti del Pacciani. Con Pacciani a differenza di Vanni non può parlare, tace, ecco come ha paura della realtà. (...) Sotto questo punto di vista l'elaborato dei dottori Fornari e Lagazzi, che è puntuale su questo punto, sulle paure, su ciò che il Pacciani evidenzia riguardo, su ciò che Lotti evidenzia riguardo al rapporto con Pacciani. E dice una cosa importante, importantissima, il Lotti: Pacciani ha cercato di coinvolgermi per farmi stare zitto, eccoci al punto che ci interessa, signori della Corte, punto determinante in questo processo. Si è detto che non è possibile che una persona possa determinarsi a compiere simili atti, a partecipare a questi delitti  soltanto perché minacciato psicologicamente anche se non costretto fisicamente, materialmente. Il Lotti si sa che si recò sui luoghi dei delitti di con la macchina propria, poteva anche andarsene; anche se si ragiona male avendo davanti uno con la pistola in mano, un altro con il coltello. Che ci dice il Lotti su questo riguardo? Pacciani ha cercato di coinvolgermi per farmi stare zitto, ha cominciato a minacciarmi, ormai ero dentro e dovevo andare avanti. Se guardiamo a queste dichiarazioni alla luce della personalità del Lotti, come ho evidenziato, ma quale risulta dalle carte, in questo processo, non possiamo che comprendere che una persona come il Lotti quella minaccia cui vi parla, ne parla con i periti, ne parla con voi, ne parla diffusamente, era per lui assolutamente effettiva, cogente, determinante, non poteva sottrarsi; era Pacciani che comandava, era un violento, forse poteva anche ucciderlo, a questo punto era una paura che poteva avere anche il Lotti, e comunque di fronte a questo tipo di aggressione lui non poteva fare niente. E questo ci apre anche le porte alla soluzione di un altro problema, perché il Lotti fu coinvolto, perché la prima volta fu condotto a Baccaiano nell'82?
[Nota: segue una dissertazione sul modo in cui Lotti fu costretto a partecipare ai delitti]
Dopo questo, possiamo tornare all'ultimo aspetto che concerne la posizione processuale del Lotti, anch'esso direi di importanza determinante per quanto riguarda la diversificazione tra lui e i complici, di cui più volte vi ho detto. Ho già avuto modo di dire e lo ribadisco che Lotti non può essere considerato alla stregua di chi ha materialmente ucciso, tagliato, quasi sventrato quelle giovani vittime; il ruolo che lui ha nella vicenda è ben diverso, sia per importanza, sia per determinazione sia per apporto ed efficienza causale. A questa chiara, netta ed evidente diversificazione e diversità di ruolo deve corrispondere necessariamente una diversità di pena. Ma una diversità di pena ancora più evidente di quella che vi ha richiesto, vi ha prospettato il pubblico ministero. Esaminiamo un attimo quindi l'argomento del concorso di Lotti nei reati che vengono contestati. Posso ora premettere alcune velocissime premesse alla conoscenza dei giudici popolari. Quattro sono gli elementi principali della compartecipazione criminosa: la pluralità degli agenti, la realizzazione della fattispecie obiettiva di reato, il contributo attivo del concorrente, e l'elemento soggettivo. Come potete capire chiaramente, il punto nevralgico di questa nostra indagine è dato dall'identificazione dei requisiti della condotta del singolo concorrente. Come deve essere l'apporto del soggetto alla realizzazione dell' evento perché egli possa essere dichiarato concorrente? E perché possa rispondere al pari degli altri alle conseguenze di ciò che ha commesso? Per potere affermare la responsabilità di un soggetto a tale titolo è sufficiente che lo stesso abbia apportato un contributo di ordine materiale o psicologico o morale idoneo alla realizzazione anche di una sola fattispecie delle fasi di ideazione, organizzazione o esecuzione dell'attività criminosa. Quindi può essere un contributo materiale, un contributo morale, inteso come agevolazione o rafforzamento del proposito criminoso di chi materialmente agisce. Questo contributo per essere colpevole deve essere idoneo alla realizzazione della condotta tipica. Anche la semplice presenza sul luogo del delitto può realizzare una compartecipazione criminosa a condizione però che non sia meramente casuale e che abbia costituito uno stimolo all'azione o un rafforzamento del proposito criminoso degli agenti. Quindi anche la semplice presenza (…) ha valore penale (...).  Vi è poi una norma importante, importantissima, vedete questo è l'appiglio a cui ho fatto riferimento prima nel richiedere una diversificazione netta della posizione del Lotti che è l'articolo 114 del codice penale. In base alla quale qualora si ritenga che l'opera prestata da uno dei concorrenti abbia avuto un'importanza minima nella preparazione o nell'esecuzione del delitto, la pena può essere sospesa [!!??)].
[Nota: riproduco qui l’art. 114 C.P. con le note tratte dal sito Brocardi.it.
Il giudice, qualora ritenga che l'opera prestata da taluna delle persone che sono concorse nel reato a norma degli articoli 110 e 113 abbia avuto minima importanza nella preparazione o nell'esecuzione del reato, può diminuire la pena (1).
Tale disposizione non si applica nei casi indicati nell'articolo 112.
La pena può altresì essere diminuita per chi è stato determinato a commettere il reato o a cooperare nel reato, quando concorrono le condizioni stabilite nei numeri 3 e 4 del primo comma e nel terzo comma dell'articolo 112 (2).
Note
(1) La dottrina e la giurisprudenza sono concordi nell'affermare che la disposizione in esame deve essere interpretata con valenza oggettiva, ovvero, per la sua applicazione, è necessario che sia riscontrato dal giudice come minimo il contributo dal soggetto fornito. Deve questo esser del tutto marginale e di così lieve efficienza causale da risultare quasi trascurabile rispetto all'evento. Viene quindi ad interpretarsi rigorosamente il disposto in esame e ciò fa si che si restringano i casi che posson beneficiare di tale attenuante. Per chiarire non vi rientrano, ad esempio, la condotta del cd palo, o di chi trasporta la refurtiva o di chi fornisce informazioni per facilitare la commissione di un reato.
(2) Il secondo comma configura una diversa possibilità di applicazione della circostanza attenuante in esame, rinvenibile nel caso in cui il soggetto si sia trovato in condizioni tali da ridurre le capacità di resistenza psicologica alle altrui pressioni.]
E quindi bisogna capire questo concetto;  è importante. Più persone che agiscono insieme, ciascuno con il proprio ruolo, la propria capacità,  la propria competenza, con la propria personalità, la propria volontà, per commettere un reato. Più o meno consapevolmente, più o meno coscientemente. Se una di queste persone apporta all'opera degli altri un contributo minimo, marginale, secondario, egli ha diritto a una riduzione di pena, una riduzione anche evidente, rilevante. Questo perché? Perché in questi casi (...) L'apporto del singolo concorrente non è determinante ai fini della realizzazione dell'evento. Cerchiamo ora di vedere appunto, di verificare come si realizza l'apporto del Lotti alla realizzazione dei delitti di cui è processo.
[Nota: Segue una dissertazione del ruolo di Lotti sulla scena dei delitti, che contesta la causalità della sua partecipazione sulla scena dei delitti e la funzione di “palo”]
È questo un apporto determinante? Possiamo concludere che Vanni e Pacciani si sono determinati a commettere i reati proprio perché Lotti ha fatto questo? Senza questo non potevano farli? Vi è poi Giogoli. Come sappiamo qui per la prima volta,  è l'unica volta in cui Lotti spara, gli viene posta la pistola in mano, spara e colpisce i ragazzi tedeschi. Non vi è dubbio che questo di per sé sarebbe un comportamento che sarebbe idoneo alla fattispecie tipica di cui si è visto. Ma questa circostanza, come si è visto anche, è molto particolare. Lotti non aveva alcuna intenzione di sparare, il gesto era stato preordinato da altri, dai suoi complici, a sua insaputa, è Pacciani che gli mette la pistola in mano, che lo costringe dall'alto della sua minaccia immanente, subdola, a sparare. Lotti spara, rimane impietrito, dice “io non sapevo nemmeno cosa fare”, tant'è che Pacciani gli strappa la pistola di mano e va a sparare lui stesso, “ero imbambolato”; tutto questo poi avviene, anzi Lotti poi spara contro il vetro, a tutta prima non sa nemmeno dire se ha rotto il vetro, se ha colpito al vetro, tanta è la paura che lo attanaglia in quel momento: “ho visto delle ombre, ho sparato così, poi il Pacciani mi ha tolto la pistola di mano”. Tutto questo avviene in un tempo brevissimo, nella concitazione di un momento particolare sotto la minaccia del Pacciani con la consapevolezza che il Vanni comunque sia aveva il coltello in mano. Rileggete le indicazioni del Lotti sotto questo punto di vista, a pagina 47 dell'incidente probatorio. “Non so nemmeno dire se ho rotto il vetro, sono rimasto impietrito, immobile, finché il Pacciani mi ha preso la pistola di mano e ha terminato l'opera.” A prescindere da queste ultime osservazioni, non vi è dubbio che l'apporto di Lotti alla commissione dei delitti vada valutato complessivamente, attraverso un esame complessivo di tutta la sua compartecipazione o presunta tale, a tutti i delitti, attraverso un esame di tutte le istanze processuali (?). Da un siffatto esame complessivo, completo, non può che emergere un dato oggettivo, determinante, tranquillo: la condotta di Lotti non ha espletato efficacia causale o ha espletato efficacia causale minima, marginale rispetto alla produzione dell'evento. In altri termini, quello che voglio dire è questo e vorrei che ci pensiate attentamente: gli omicidi sarebbero stati commessi ugualmente da parte dei complici, con diverse o con le stesse modalità, ma ugualmente, la presenza del Lotti, l'apporto, assolutamente fungibile, marginale, insignificante non ha potuto determinare i complici a commetterli, i complici che hanno commesso anche altri delitti prima di questi, prima che Lotti fosse chiamato a parteciparvi, prima che Lotti fosse costretto a prendervi parte perché si voleva coinvolgerlo. Il Lotti prima non c'era, a Scandicci non c'era, a Calenzano non c'era, non faceva il palo, eppure li hanno commessi lo stesso; ricordate quindi che il Lotti non soltanto non era presente in questi delitti, ricordate anche che il Lotti fu chiamato dai complici non soltanto per aiutarli, qual è stato lo scopo per cui il Lotti è stato portato la prima volta a Baccaiano? Per coinvolgerlo, per farlo stare zitto. Lotti aveva avuto una rivelazione involontaria da parte del Vanni, lo chiamano per questo, non per un aiuto che poi aiuto non dà. Ricordate poi che la volontà di farlo sparare a Giogoli nasce in virtù di questo, perché doveva coinvolgerlo maggiormente, in modo che si sentisse ormai legato a quel carro. Forse i complici non avrebbero ucciso i tedeschi se lui non avesse sparato in quell'occasione? Oppure il Pacciani sparava come ha sempre fatto? Forse non avrebbero ucciso le altre coppie senza la presenza passiva ininfluente fastidiosa e curiosa del Lotti? Lotti che si permette di portare un amico a Scopeti. (?) Ma qual è l'apporto causale, qual è il contributo effettivo che lui dà all'opera dei compartecipi? Pure attraverso la valutazione profonda e rigorosa che è dovuta per verificare se è possibile applicare al Lotti questa attenuante trattandosi di norma che deroga al principio di equiparazione delle varie forme di concorso di persone, la minima efficacia causale del contributo di Lotti emerge chiaramente, di modo che si impone, a mio parere, l'applicazione al medesimo di questa attenuante specifica. Il Lotti quindi ha diritto alla diminuzione di pena prevista in questa norma perché non ha portato all'opera dei compartecipi alcun valido e concreto contributo, tangibile o meglio così tangibile, così concreto, così determinante da costituire un uno stimolo alla condotta medesima. (…) La concessione di questa attenuante con conseguente irrogazione di una pena sensibilmente più bassa rispetto a quella richiesta dal pubblico ministero potrebbe ricondurre la sanzione entro schemi e limiti più consoni alla personalità dell'imputato, al suo comportamento, a un imputato che, comunque sia, nella vicenda ha dimostrato tutti quei meriti che vanno evidenziati:  la collaborazione, la spontaneità delle dichiarazioni, (?)  pur in una situazione di colpevolezza, non lo metto in dubbio. Vi ricordo ancora che 21 anni di carcere equivalgono per il Lotti a un ergastolo; ma anche se così non fosse il suo ruolo, la sua personalità, il suo comportamento processuale, l'aiuto determinante che ha offerto agli inquirenti, tutto questo reclama una pena inferiore nel pieno rispetto della legge. Io nella mia veste di difensore vi ho indicato una strada per giungere a questo, strada che ritengo in coscienza percorribile, che vi chiedo sommessamente di esaminarla nell'intimo delle vostre coscienze perché anche noi come ha detto Rontini siamo qui per chiedere giustizia e anzi abbiamo offerto a questa Corte tutti gli strumenti necessari per poter perseguirla, ma chiediamo anche che la condanna che andrete a decidere per il Lotti non sia emotiva, non sia suggestionata dall'orrore che quei crimini hanno determinato, ma che lui non ha materialmente commesso. 
Lotti che se la ride al processo, tra il suo avvocato e un probabile agente della scorta - Immagine tratta da Insufficienza di Prove


E, signori, un'ultima annotazione, molto importante, io a questo scopo preciso che vi ho adesso illustrato ho da proporre una questione alla Corte, che è una questione che ritengo importante anche questa attinente agli esiti delle indagini, una questione che ha un'importanza fondamentale anche nel nostro ordinamento storico (?). Il Lotti ci ha detto di essere stato sfortunato in vita sua, certamente lo è stato, per me lo è anche da questo punto di vista, lo è anche dal punto di vista della pena che in concreto gli può essere comminata. Perché se Lotti, invece che a un paio di balordi ubriaconi di provincia si fosse accompagnato a due mafiosi, due camorristi e avesse tenuto il suo comportamento, quello che ha tenuto in questo dibattimento, confessando, collaborando, offrendo agli inquirenti elementi cardini per scoprire la verità, avrebbe diritto a un trattamento di favore assoluto da parte della legge, avrebbe diritto a quelle attenuanti specifiche previste dalla legge, legge 203 del 91 per coloro che collaborano, per i pentiti di mafia, terrorismo, di camorra. Io a questo riguardo, signori della Corte, giunto a conclusione di questo mio intervento, eccepisco una questione di legittimità costituzionale dell'articolo 8 legge 12 luglio 91 numero 203 in relazione all'articolo tre della Costituzione nella parte in cui non consente l'applicabilità delle attenuazioni di pena previste per i collaboratori di giustizia anche nei processi  concernenti  la criminalità comune oltre a quella organizzata e di mafia. Quello che propongo, poi presenterò alla Corte uno scritto, è un problema grave, reale che è stato oggetto di un ampio dibattito teorico, dottrinale prima anche della promulgazione della legge 203 del 91. Il presupposto di questa normativa, che consente consistenti riduzioni di pena per chi decide di dissociarsi, collaborare, aiutare la giustizia è quella della difficoltà oggettiva di raggiungere una prova in questi processi, difficoltà connessa al tipo di rapporti esistenti tra i soggetti mafiosi, all'omertà che è in questi ambienti, alle difficoltà obiettive di indagine in processi in cui sono coinvolti soggetti tra loro legati da un forte vincolo solidale. Nel caso che ci occupa, che abbiamo vissuto, vi sono fondamentali, significative concordanze: anzitutto è un processo in cui si contesta agli imputati il reato associativo seppure non di tipo mafioso, il che rende la fattispecie relativamente simile a quella cui si riferisce la normativa che io vi ho indicato, in secondo luogo si discute di atti gravissimi commessi da un gruppo di persone che, ancorché non legati da vincoli di affiliazione a cosche, sono comunque legati tra loro dal vincolo immanente di violenza, di perversione e anche questo è un processo in cui la prova è difficile, questo è un dato io penso su cui nessuno potrà obiettarmi niente, è un processo che ha vissuto fasi alterne per 20 anni fino a che il Lotti non è arrivato e ha dato quel contributo effettivo, reale che ha poi costituito lo stimolo per le indagini, per l'accertamento della verità. Quindi anche questo è un processo in cui la prova per il motivo dei legami che legavano queste persone, per l'oggetto terribile dei reati, era difficile. Quarta attinenza il comportamento del Lotti è perfettamente assimilabile, completamente a quello del collaboratore di giustizia mafioso e ciò non perché egli come questo ha goduto della protezione, perché la sua condotta, il significato della sua condotta è sostanzialmente identico. Queste in sintesi sono le attinenze che fanno della questione che vi sottopongo una questione reale, effettiva, da prendere in considerazione, oggettivamente rilevante, che dimostra anche, cosa che è dimostrata anche dall'ampio dibattito che si è svolto su questo aspetto. Vi sono due correnti dottrinali, importanti, che contrastano questo orientamento legislativo perché non è giusto che si attui una disparità di trattamento qual è quella che si evidenzia. Ciò che occorre evidenziare, signori della Corte, è questo: ogni cittadino deve essere uguale di fronte alla legge con gli stessi diritti e gli stessi doveri. Di fronte alla stessa fattispecie ci può e ci deve essere soltanto un modo di intervento dell'autorità giudiziaria e di applicazione della legge appunto per il rispetto del principio di legalità e di uguaglianza. Tale ovvio principio non verrebbe rispettato se noi ponessimo  il collaboratore di mafia o comunque sia di criminalità organizzata su un piano diverso rispetto al collaboratore comune, chiamiamolo così, in una situazione cioè di ingiusto e immotivato privilegio. Perché questi soltanto perché mafioso e camorrista può ottenere dalla legge un trattamento di favore con rilevantissime riduzioni di pena che ne facilitano il reinserimento e il recupero nella vita sociale e invece il collaboratore che ha deciso di collaborare, di fornire gli stessi elementi, di avere lo stesso contributo che ha il mafioso non è ammesso a tali benefici? La pena richiesta nei confronti di Lotti Giancarlo è veramente rilevante rispetto a quella che potrebbe di fatto essere irrogata, applicata, se egli invece che a due balordi si fosse affiancato un mafioso pur commettendo gli stessi delitti. A quel punto soltanto per il vincolo esistente con un mafioso o un camorrista avrebbe goduto in virtù della sua collaborazione (?)  di uno sconto di pena consistente, invece di 21 anni ne avrebbe presi 8,10 al massimo. Quindi si badi bene non si potrà obiettare a questa impostazione che il Lotti non è un collaboratore sia per ciò che abbiamo detto in precedenza che è  palese  e oggettivo, ma perché la qualifica identifica chi, leggo testualmente, "dissociandosi dagli altri si adopera per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori anche aiutando concretamente l'autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e l'identificazione della cattura degli autori dei delitti". Insomma, secondo me non è chi non veda come ciascuna di queste caratteristiche sia rivestita dal Lotti, dal suo comportamento. Lotti che con le sue ampie circostanziate ammissioni, confessioni ha fornito un contributo determinante, tangibile all'esito delle indagini, ammettendo fatti che allora erano, s’è detto, non conosciuti, arrivando ad ammettere le sue responsabilità, questo sì,  contribuendo a scoprire la verità.  Pensate a quello che ha detto sui delitti 82-83, alle circostanze che ha riferito, che hanno incontrato (?) ampi riscontri, l’aiuto si è detto che non è il solo perno di questo processo, ma l’aiuto è determinante, se non c’era il Lotti tante cose non venivano scoperte;  basta vedere la giurisprudenza sul punto per vedere quanto la determinatezza di questo aiuto sia effettiva. Qual è la prova più evidente di questa legislazione (?), di quella, la volontà di liberarsi di questo peso andando anche ad ammettere circostanze, fatti che ne presuppongono la sua responsabilità e non ci sarà nemmeno da obiettare a questa impostazione che la norma in esame è una norma speciale nata per rispondere a esigenze particolari e urgenti, in quanto la questione che vi ho prospettato risponde a un principio generale dell'ordinamento tendente a favorire la repressione dei reati attraverso la collaborazione e ciò a maggior ragione vale oggi in cui il fenomeno del collaborazionismo, del pentitismo è quanto mai in voga, quanto mai impellente, da affrontare. Ricordiamoci che la legge è del 91, quella che recepisce questa novità, la realtà ora è diversa, oggi il fenomeno è un fenomeno molto ampio quindi c'è un interesse effettivo, certo dello Stato alla repressione dei reati attraverso la collaborazione, questo risponde a un principio generale dell'ordinamento. Lotti è un collaboratore perché ha contribuito personalmente in modo rilevante alla conoscenza e alla repressione dell'attività criminosa, che avrebbe diritto a quella riduzione di pena prevista dalla legge, articolo otto della legge 12 luglio 91 numero 203. (...) Pertanto , (?) la legittimità costituzionale di tale norma in relazione all'articolo tre della Costituzione chiedendo conseguentemente che la Corte d'assise di Firenze voglia previa sospensione del procedimento rimettere gli atti alla Corte Costituzionale per le decisioni di sua competenza. Arrivo alle conclusioni. La difesa di Lotti Giancarlo conclude pertanto in primis per l'accoglimento di questa eccezione formulata sulla legittimità costituzionale dell'articolo 8 legge 12 luglio 91 numero 203 e comunque voglia, ritenuti i reati sotto il vincolo della continuazione, concedere al Lotti Giancarlo le attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti contestate in ragione della incensuratezza dell'imputato, e del suo corretto e leale comportamento processuale nonché per l'alta collaborazione prestata nello svolgimento delle indagini (...)
[end]