sabato 24 gennaio 2015

Morti per amore



 Questa mia foto è dell'estate 2013. Leggo ora su FB che la croce sarebbe stata portata via, non so se è vero. Qualcuno può confermare?

Tra l'altro, a quel che so, già l'iscrizione era stata danneggiata eliminando la parte in basso, dove ci sarebbe stato scritto "Morti per amore". Non ho trovato però alcuna foto con l'iscrizione originale, ma i segni di una scritta asportata sono evidenti dalla foto.

A marzo 1984 andò in onda sulla RAI uno speciale di Maurizio Costanzo dal titolo, appunto "Morti per amore".

Avendo già chiesto una volta l'accesso a un programma RAI (Telefono Giallo) senza essere minimamente preso in considerazione (eufemismo), mi astengo dal rovinarmi ulteriormente il fegato.

martedì 20 gennaio 2015

Il rasoio di Occam e il Mostro di Firenze

E’ già qualche anno che Occam e il suo rasoio sono tornati di moda e vengono citati a proposito e anche a sproposito; evidentemente siamo tutti diventati filosofi nominalisti (me compreso, appunto).

Tuttavia, ho l’impressione che nello studio del caso del Mostro di Firenze il rasoio di Occam non sempre funzioni a dovere.

Immaginiamo una storia. Una donna che ha una vita sessuale vivace e turbolenta viene uccisa durante un convegno amoroso con un amante più o meno occasionale. La donna era stata seguita e minacciata. Quel giorno il marito si è dato malato al lavoro (forse) per crearsi un alibi. Un cognato (forse) ha scambiato il turno di riposo con un collega. Successivamente, un altro cognato dirà che la donna “doveva morire”. L’amante ufficiale, violento ed armato, ha un alibi sostenuto unicamente dalla di lui moglie. Un altro amante ha un alibi che molti anni dopo si rivelerà (forse) falso. Un testimone, figlio della vittima, dirà (tra le altre cose) di aver visto sul posto il padre e uno zio. Formuliamo due ipotesi principali: la donna e l’amante sono stati uccisi da qualcuno dei parenti o amanti della donna, da solo o in combutta con altri, o si tratta del primo delitto di un ignoto serial killer psicopatico che uccide giovani coppie che amoreggiano in auto e del tutto casualmente sceglie proprio “quella” coppia di vittime? Applicando il rasoio di Occam la scelta per la prima ipotesi sembra naturale.

Immaginiamo ora una seconda storia. Nel corso degli anni, otto duplici omicidi di coppie in auto (o in tenda) vengono eseguiti utilizzando la stessa arma e con modalità del tutto simili, compreso, in più di un caso, lo sfregio del cadavere della vittima femminile. Quante possibilità ci sono che il primo delitto, quello di cui al punto precedente, sia da ascrivere ad un autore diverso dai successivi sette? Il rasoio di Occam ci direbbe: praticamente nessuna. Eppure, nessuno degli indiziati per il primo delitto (a parte uno, per il quale esistono comunque indicazioni contrarie) può materialmente aver commesso gli altri sette. Ecco che il rasoio di Occam ci ha portato a due conclusioni contrastanti e non conciliabili: omicidio per gelosia/onore/interesse nel primo caso, serial killer per libidine nel secondo. Rimarrebbe la scappatoia di quell’unico indiziato che era libero in occasione di tutti i delitti ed è poi scomparso dalla circolazione…

sabato 17 gennaio 2015

Gerarchia delle fonti per lo studio del caso del Mostro di Firenze (5)


Sulle ricostruzioni romanzate non ci sono molte parole da spendere, se non che il lettore "ingenuo" corre il rischio di prendere per "cronaca vera" anche le parti che sono frutto della fantasia dell'autore. D'altra parte, occorre far notare che anche libri che sarebbero di ricostruzione storico-giudiziaria (es. Alessandri, Segnini) indulgono a narrazioni romanzate quando cercano di descrivere i pensieri e le azioni dell'assassino nella preparazione e nell'esecuzione delle azioni omicidiarie. Si tratta di un espediente narrativo senz'altro lecito, ma che personalmente mi lascia alquanto freddo. I romanzi liberamente ispirati al caso vanno giudicati unicamente per il loro valore letterario, in genere abbastanza basso. Non hanno alcun valore di fonte, né si vede perché mai dovrebbero averne, se non nella fantasia più accesa di alcuni lettori, che vi ricercano indizi nascosti, come se un romanziere potesse conoscere la verità. Vale qui lo stesso discorso fatto per i film. Indubbiamente, ci sono casi singolari, quali il noto (ma ben poco letto) Coniglio il martedì di Aurelio Mattei, psicologo e consulente del SISDE, che, chissà mai perché, dedicò ad una vicenda ispirata al Mostro di Firenze quella che sembra essere la sua unica fatica letteraria. Erroneamente la si considera aderente alla pista settario-esoterica, della quale nel libro non c'è alcuna traccia, mentre è vero che nella narrazione è descritta la sostituzione dei bossoli del primo delitto a scopo depistaggio che alcuni ritengono realmente avvenuta.

Ultima categoria, le fandonie o panzane diffuse a piene mani su carta stampata, in programmi televisivi, su blog, forum e altri interventi virtuali (ormai si "legge" Youtube, un'abitudine che personalmente spero di non prendere mai). Queste (false) informazioni vengono poi prese per oro colato e propalate in buona fede da chi non ha sufficiente senso critico per verificarne, se non l'esattezza, almeno la verosimiglianza. Bisogna purtroppo dire che di fandonie e panzane abbonda già la storia all'epoca delle indagini e dei processi – e spesso messe in giro proprio da chi avrebbe dovuto occuparsene in maniera scientifica e scevra da suggestioni; ma su alcuni aspetti non è il caso di scendere nel dettaglio qui. Simili stupidaggini sono tanto difficilmente smascherabili quanto più è difficile trovarne la sorgente primigenia, secondo il classico dialoghetto tra appassionati, da immaginare su FB o forum: X: E' assodato che la moglie di Tizio accusava il marito di essere il Mostro di Firenze. Lo riportano fonti affidabili. Y: Quali? X: Mi sembra di averlo letto da qualche parte. E' chiaro che affermazioni del genere non si possono smentire – e forse non vale neanche la pena di provarci.

A titolo esemplificativo, propongo qui un breve florilegio, del tutto arbitrario, di fandonie, non supportate da alcuna evidenza se non, semmai, contraria, che si sono ormai diffuse nella coscienza collettiva:

Natalino deve per forza essere stato accompagnato perché non arrivava a suonare il campanello di De Felice.

I calzini di Natalino erano candidi.

Vanni non poteva entrare nella tenda dal retro perché il secondo telo era intatto.

La Cambi e la Ciabani erano sicuramente amiche.

Il giudice Tricomi è sospetto perché si trovava in vacanza in Sicilia in una determinata circostanza. E comunque, chiunque si è interessato della vicenda (giornalista, scrittore, psicologo, medico legale [!]) diventa per ciò stesso sospetto.

Il francobollo della lettera alla Della Monica richiama la "pista sarda".

Il tralcio di vite a Rabatta è un simbolo esoterico; le 96 coltellate inflitte alla Pettini sono un numero magico.

Il Reinecke scrisse un memoriale in cui svelava l'identità del Mostro, ma un settimanale tedesco lo imboscò.

I film sul Mostro di Firenze contengono importanti indizi nascosti (oppure, al contrario, costituiscono loschi depistaggi).

Il Mostro cantava La Tramontana, la quale canzone era il suo progetto omicidiario in nuce. 

Salvatore Vinci è stato avvistato in Francia, no in Spagna, no è tornato a Villacidro, no è in Sudamerica, è vivo, ma anche morto (per un tumore).

Ecc.ecc.

Lo storico non è interessato alle fandonie se non per cercare di riconoscerle ed evitarle come la peste.

(FINE)
 

giovedì 15 gennaio 2015

Gerarchia delle fonti per lo studio del caso del Mostro di Firenze (4)


Passiamo ora alla letteratura vera e propria: filologicamente, si parlerebbe di letteratura secondaria, ossia basata, quanto meno si spera, su fonti primarie. Al primo posto sta ovviamente la stampa dell'epoca, che presuppone una conoscenza vicina all'evento e mediata da un unico passaggio (dalla fonte – inquirente chiacchierone, avvocato, perito, teste – al giornalista). In fase di indagine, inoltre, difficilmente il giornalista si sbilancia troppo con proprie ipotesi investigative, per evitare di essere smentito successivamente, e si limita a fare un lavoro di cronista e raccogliere voci, indicandole per quello che sono senza farle passare per verità rivelata. La cronaca contemporanea all'evento e, successivamente, all'indagine è dunque preziosa, se letta cum grano salis; se non ci avvicina alla verità, ci riporta almeno qualcosa di quello che gli inquirenti stanno facendo o pensando, il che dal punto di vista della ricostruzione storica è ugualmente fondamentale. Parimenti, hanno maggior interesse i libri di cronaca usciti in corso di indagine, che tendono a raccontare e riepilogare piuttosto che proporre verità investigative. Non per nulla, i primi due libri sul caso furono scritti, a delitti in corso, da due giornalisti che se ne occupavano quasi dall'inizio per il principale quotidiano fiorentino.

I libri scritti da protagonisti del caso, in forma di memoriale autobiografico come quelli degli investigatori Perugini e Giuttari, o di approfondimento giuridico come quello del giudice Ferri o dell'avvocato Bevacqua, presentano l'ovvio vantaggio di offrire una conoscenza di prima mano e l'altrettanto ovvio svantaggio di essere "ideologicamente schierati". Se da una parte permettono allo storico di conoscere dettagli non altrimenti noti visti attraverso gli occhi dei protagonisti, dall'altra necessitano di una modalità di lettura scrupolosamente critica. Se lo storico dell'antichità sottopone a vaglio la verosimiglianza delle affermazioni di Giulio Cesare nel De Bello Gallico e nel De Bello Civili, altrettanto occorrerà fare delle narrazioni degli investigatori-scrittori che ci raccontano delle indagini da essi stessi svolte, avendo ben presente il vecchio detto "Cicero pro domo sua".

La letteratura nel discorso corrente, parlato e da forum, è una "fonte"; per il filologo o lo storico non è affatto così; essa vale unicamente per quanto sono buone le sue fonti (e il senso critico del suo autore). Se un autore non dispone di fonti primarie sufficienti, farebbe meglio a non scrivere. Non tutti però la pensano così, come dimostra la pletora di tentativi di ricostruzione storico-giudiziaria del caso pubblicati nel corso degli anni. Anche grazie alla nuova tecnologia (ebook) che riduce o azzera i costi di pubblicazione, la saggistica in materia è notevolmente aumentata negli ultimi anni; il valore storico di questa produzione è molto discontinuo, si aggiunga che parecchie fonti primarie sono di pubblicazione recente, il che rende irrimediabilmente datati buona parte dei testi scritti in precedenza. Un criterio semplice, ma spesso efficace per distinguere il grano dal loglio è verificare se i testi citano e riportano le fonti delle proprie affermazioni; ove non sia così, il testo potrà essere precisissimo, arguto, di piacevole lettura, ma non sarà ovviamente utilizzabile per uno studio storico. All'opposto, in alcuni volumi (es. Adriani-Cappelletti-Maugeri, Bevacqua) vengono riprodotte fonti di carattere documentale mai pubblicate prima. Per ottenere una migliore conoscenza generale rimane comunque obbligatorio rivolgersi a siti specializzati: Calibro 22 – purtroppo da tempo dismesso; Insufficienza di prove – un'opera enciclopedica e in fieri e altri. In questo ambito vanno inseriti anche singoli documenti di interesse specifico diffusi in rete da appassionati; il loro valore è disomogeneo, ma alcuni risultano assai pregevoli, scrupolosamente documentati e originali, pur potendo essere superati allo stato attuale delle conoscenze. E' superfluo dire che li si utilizzerà non tanto per le teorie mostrologiche a volte astruse che sostengono, ma in quanto aggiungano conoscenze a quelle generalmente disponibili (es. riproducendo articoli di stampa, fornendo foto inedite ecc.) o costituiscano rivisitazione criticamente valida di contesti già noti.

Di documentari televisivi ne sono stati prodotti molti, alcuni molto buoni, altri meno buoni, alcuni pessimi e fantasiosi. Il loro valore quali fonti sta nella riproposizione di fotogrammi, filmati, articoli di giornale contemporanei agli eventi e non più reperibili e nelle interviste ai protagonisti del caso, sui limiti delle quali si veda sopra. Quanto alla fiction (film e serial) per definizione non ha alcun valore di fonte, essendo opera di fantasia. A questo proposito mi piace ricordare il tentativo di scovare misteriose tracce e verità nascoste nei due (men che mediocri) film usciti nel 1986. In quello di Ferrario (Il Mostro di Firenze) perché vi aveva collaborato Mario Spezi, il che lo rendeva sospetto a prescindere; in quello di Teti (L'assassino è ancora tra noi) per un dialogo finale in sottofondo dove si accenna all'uccisione di un guardiano (di un museo) e del furto di reperti archeologici, elementi che sarebbero riferibili all'uccisione del medico di Perugia, custode dei feticci. Ancora nel film di Teti, prima dei titoli di coda venne inserito un'ambigua scritta, che recita più o meno così: "Questo film è stato realizzato nella speranza che sia di aiuto alle forze dell'ordine per assicurare alla giustizia questi feroci assassini" (al plurale, nel 1986!). Vi è inoltre un film rarissimo, 28° minuto, che, a quanto sembra dalla consultazione di IMDb, risulta essere l'unica opera del regista Paolo Frajoli (ma forse era di Gianni Siragusa); non sembra che all'epoca molti siano riusciti a vederlo, forse perché vi si nascondono misteriosi messaggi in codice (per i più curiosi si trova comunque su Youtube nel canale di Paolo Cochi; qui  la recensione).

(SEGUE)

lunedì 12 gennaio 2015

Gerarchia delle fonti per lo studio del caso del Mostro di Firenze (3)


Secondo il C.P.P. (art. 544 e 546 ) la sentenza deve contenere "la concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata, con l'indicazione delle prove poste a base della decisione stessa e l'enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie", in altre parole, la propria motivazione. Stendiamo un velo pietoso sulla caratteristica della concisione: quasi tutte le sentenze sul caso del Mostro di Firenze (non ho potuto vedere quelle dei processi a Stefano Mele, dal 1970 al 1973) sono dotate di una cospicua parte narrativa nella quale, volta per volta, viene ripercorsa l'intera vicenda. Tuttavia, la prolissità dei magistrati può rivelarsi utile per lo storico, sia per capire meglio il processo logico-deduttivo che ha condotto il giudice a pronunciarsi in un determinato modo, sia perché, soprattutto, l'estensore scrupoloso riporta, a supporto del proprio ragionamento, brani più o meno ampi di atti giudiziari precedenti che altrimenti non sarebbero noti - o quanto meno li riassume. Ad esempio, la sentenza di appello al processo "Compagni di merende" (31.05.1999) riporta un significativo stralcio del confronto tra Lotti e Pucci del febbraio 1996 e riassume molto utilmente le dichiarazioni rese in diversi momenti dai testimoni intervenuti subito dopo l'agguato di Baccaiano. Paradigmatica la sentenza del GIP Micheli nel procedimento sul "caso Narducci" (aprile 2010, ma depositata due anni dopo), che nella sua abnorme mole ha il merito di riproporre testualmente lunghi excerpta tratti dalla requisitoria del PM Mignini, cosicché il lettore accorto può rendersi conto direttamente della fondatezza o meno dell'impianto accusatorio, al di là di quanto deciso dal giudice di merito. La lettura delle sentenze costituisce dunque sia un'utile integrazione alla ricerca delle fonti primarie, sia, per il suo carattere narrativo, uno strumento indispensabile a delineare la storia delle indagini, senza il quale si rimarrebbe limitati a quanto riportato dalle fonti di stampa. In tal senso, ad esempio, la sentenza Rotella è sia "fonte" (secondaria) sia narrazione (ma di prima mano, in quanto basata direttamente sugli atti di indagine) necessaria a documentare la "pista sarda".

Personalmente, pur non disconoscendone affatto l'importanza, nutro una certa diffidenza sul valore quale fonte narrativa dell'intervista giornalistica a protagonisti diretti del caso, sia essa pubblicata a mezzo stampa, in video, o, come sempre più spesso succede oggi, in rete. Questo fondamentalmente per due motivi. Il primo, e ovvio, è che l'intervistato, al di fuori di qualsiasi vincolo giuridico, dirà solo quello che vuol dire nel modo in cui lo vuole dire, tacendo quello che ha interesse a tacere, per un qualsivoglia, anche più che legittimo, motivo; né l'intervistatore ha modo di indurlo ad una maggiore sincerità. Secondariamente, quando l'intervista viene condotta a lunga distanza dai fatti, valgono le considerazioni già fatte per le testimonianze in udienza; con l'aggravante che di norma il teste convocato in tribunale ha tutto il tempo e l'interesse a raccogliere i ricordi per fornire una testimonianza accurata, il che non è di fronte a un giornalista delle cui domande non occorre preoccuparsi più di tanto. Nelle interviste pubblicate o diffuse in rete le imprecisioni abbondano, certo non per malafede dei soggetti intervistati, ma per approssimazione, cattivo ricordo, anche solo espressioni verbali non felici e conseguentemente poco chiare. E' di tutta evidenza che un'intervista che sia in contrasto con una fonte primaria può essere tenuta in poca considerazione, a meno che il contrasto non venga adeguatamente giustificato.

(SEGUE)

sabato 10 gennaio 2015

Gerarchia delle fonti per lo studio del caso del Mostro di Firenze (2)

Qualche riflessione sul tema delle fonti. Il discorso metodologico prescinde in questo caso dall'accertamento dell'autenticità, che, come ovvio, in uno studio storico sarebbe fondamentale e preliminare; ma per condurre il discorso, riterremo autentici e validi tutti i documenti riprodotti in libri e anche quelli diffusi in altri modi, sia fotografati, fotocopiati, scannerizzati o completamente trascritti.
Cominciamo col dire che già nel primo gruppo (reperti e perizie), che dovrebbe essere del tutto esente da interpretazioni, si può insinuare l'elemento della valutazione soggettiva. Una cosa è dire che i proiettili rinvenuti sono di una determinata marca e calibro e presentano particolari segni caratteristici, altra ricostruire (ipoteticamente) lo svolgimento dell'azione criminosa. La perizia balistica Zuntini 1974 offre un buon esempio di questa problematica; non sarà lecito allo storico dubitare dei dati concreti ivi esposti (fino ovviamente a prova di falso), ma gli sarà permesso di criticare la parte argomentativa. Quanto alle perizie necroscopiche che dall'esame dei cadaveri determinano la causa ed il tempo presunto della morte, pur esse possono essere revocate in dubbio, quando i dati oggettivi esposti appaiano in contrasto con le conclusioni, ma per far questo occorrerà una specifica competenza tecnica. La discordanza sulla data di Scopeti 1985 è esemplificativa e ben nota.

I verbali di attività di P.G. sono il documento principale a valere come fonte primaria. In essi viene infatti descritto lo svolgimento completo degli accertamenti dal primo intervento ai successivi atti di indagine (rilievi tecnici e informazioni testimoniali ottenute); sono normalmente "neutri" e la loro bontà è influenzata solo dalla capacità investigativa (e, secondariamente, espositiva) degli operanti. Diverso è il caso per i rapporti giudiziari, che la P.G. sottopone all'attenzione del P.M. Essi sono una sintesi delle operazioni svolte, compilata sulla base dei verbali, e includono già per forza di cose una parte narrativa, in quanto devono dare un primo quadro d'insieme della vicenda (o rapportare sul risultato di successive indagini delegate). Nulla di male, purché essi non si avventurino ad anticipare provvedimenti di competenza del magistrato o a formulare teorie sociologiche o giudizi moralistici. Occorre quindi separare in questi documenti i dati oggettivi dal giudizio o pre-giudizio dell'estensore. Per scendere nel particolare, il "Rapporto Matassino" sulle indagini svolte nel 1968 è di importanza fondamentale (ma si preferirebbe poter leggere direttamente i verbali ad esso allegati); ma quando l'autore attribuisce al Mele "forgiato e messo a dura prova nei monti dell'Alto Nuorese, la capacità di agire con straordinaria freddezza e decisione, compiendo una tale carneficina" perde il carattere di fonte primaria per assumere quello di letteratura secondaria. Quando il Ten. Col. Torrisi nel suo rapporto definisce Salvatore Vinci, oltre che "furbo, vendicativo, aggressivo, violento, rozzo, ma intelligente, determinato" anche "perfido e diabolico" si passa dall'ambito del rapporto giudiziario a quello del romanzo d'appendice.

Nel nostro ordinamento giudiziario, ispirato come è noto al "rito accusatorio" di tradizione anglo-sassone, la prova si forma in dibattimento attraverso l'audizione dei testi, sottoposti ad esame e controesame da parte dell'accusa e della difesa (e degli avvocati delle parti civili); è questo il procedimento attraverso il quale il giudice dovrebbe pervenire a stabilire la verità. Perciò, i verbali di udienza devono considerarsi a mio avviso fonti primarie, in analogia con i verbali di P.G. prima citati; dal punto di vista giudiziario, anzi, rivestono valenza superiore, potendo la Corte ricorrere agli atti di P.G. solo in caso di contestazioni o per altri motivi particolari (es. atti irripetibili). Nella ricostruzione storica, invece, occorre superare la visione "ingenua" della testimonianza secondo cui quanto dichiara il teste sotto vincolo del giuramento è vero o, se è falso, lo è per intento doloso del dichiarante. In particolare quando i processi si svolgono gran tempo dopo i fatti, molto difficilmente (ed è un eufemismo) la testimonianza potrà essere precisa; è opportuno soprattutto diffidare di un successivo affastellarsi di particolari narrativi resi in udienza a fronte di verbali originari molto scarni; o di riconoscimenti effettuati ad anni di distanza dopo che le foto di un imputato siano state pubblicamente diffuse. Ovviamente non è possibile qui generalizzare; vi possono essere svariati motivi per cui una testimonianza differisce nel corso del tempo e non è detto che quella più vicina all'evento sia obbligatoriamente la più precisa e completa, per cui conviene valutare caso per caso. Come regola, sembra però di poter dire che per lo storico prudente il verbale di SIT, anche se reso soltanto alla P.G. e non nella corretta forma processuale di esame e controesame, ha importanza spesso superiore alla testimonianza.

(SEGUE)

giovedì 8 gennaio 2015

Gerarchia delle fonti per lo studio del caso del Mostro di Firenze


Inserisco qui una "gerarchia delle fonti" che ho testé elaborato per adeguarmi al metodo storico.

 Gerarchia delle fonti per lo studio del caso del Mostro di Firenze

1. Documenti

1.11 Reperti, perizie, documentazione allegata (es. perizia Zuntini 1974)

1.12 Verbali di atti giudiziari (es. verbale di sopralluogo 22-25 agosto 1968)

1.2 Rapporti giudiziari (es. "Rapporto Torrisi")

1.3 Verbali di udienza (registrazioni audiovideo o trascrizioni) (es. Radio Radicale, Insufficienza di prove, canale Youtube)

2. Fonti narrative

2.1 Sentenze 

2.2 Interviste a soggetti in vario modo coinvolti nel caso (es. intervista all'appuntato Piattelli)

3. Letteratura sul caso

3.1 Giornali dell'epoca

3.2 Libri di cronaca del caso in itinere (es. Spezi, Catola)

3.3 Libri scritti da protagonisti del caso (es. Perugini, Ferri, Giuttari)

3.4 Libri di ricostruzione investigativa e storica

3.5 Documentari film e TV

3.6 Ricostruzioni romanzate (es. Spezi-Preston)

4. Romanzi liberamente ispirati al caso (es. Cecchi, Mattei)

5. Fandonie (esempi a volontà)

5.1 prevalentemente diffuse su Internet

5.2 ma talvolta anche a stampa


Può darsi che abbia dimenticato qualcosa. Aspetto un po' per vedere se qualcuno commenta, poi spiegherò alcune mie scelte.

(SEGUE)

sabato 3 gennaio 2015

Date e orari



E' possibile narrando un fatto accaduto parecchi anni prima sbagliare in buona fede orario o addirittura giorno della settimana? E' del tutto possibile, quando manchino altri agganci mnemonici che permettano un riferimento preciso ad altri eventi la cui data è certa. Anche la storia dei processi al Mostro di Firenze è zeppa di défaillances di questo genere. Ad esempio, Lorenzo Allegranti, già nel 1984, nel presentarsi ai carabinieri di Rimini per rilasciare dichiarazioni a verbale, non è sicuro se il delitto di Baccaiano sia avvenuto nel 1981 o 1982; eppure si tratta di un'esperienza per lui importante e relativamente fresca, sono trascorsi soltanto due anni. Quello che ci permette di ricordare più precisamente una datazione è un riscontro esterno con una data altrimenti conosciuta (es: erano in corso i mondiali di calcio; era il giorno del mio compleanno, andavo al lavoro sempre alla stessa ora ecc.). Nel 2012 mi è stata sostituita una valvola cardiaca; sono certo che fosse il 7 marzo perché il giorno dopo, in terapia intensiva, sentivo le infermiere dire che era l'8 marzo, festa della donna (in realtà, quindi, non ricordo la data in sé, la deduco da un riferimento esterno); non ricordo, ovviamente, quale giorno della settimana fosse, ma sarei in grado di appurarlo facilmente cercandolo su un calendario del 2012. Esperienze come questa appartengono alla vita di tutti i giorni e ritengo siano condivise da molti. A un livello più alto, fino almeno a XVIII secolo storici e memorialisti, quando non hanno a disposizione fonti scritte, scrivono spesso "a memoria" e confondono volentieri date e periodi, a volte in buona fede, a volte per corroborare un proprio ragionamento.

Ammettiamo, per assurdo, che Giancarlo Lotti abbia effettivamente partecipato o sia stato presente al delitto degli Scopeti, in una qualsiasi delle modalità da lui in successione descritte. Può non ricordarsi quale fosse il giorno della settimana, se venerdì, sabato o domenica? Indubbiamente sì, anche se l'assistere o partecipare direttamente a un duplice omicidio non è un evento insignificante nella vita di una persona. Può adeguarsi alla vulgata accettata dagli inquirenti sulla base delle testimonianze e della perizia Maurri e dire, non ricordando bene, che il delitto è avvenuto di domenica? Indubbiamente sì. Inoltre, se il Lotti ha a disposizione un giornale, non solo dell'epoca del fatto, ma anche del 1994 (quando si svolse il processo Pacciani e i delitti vennero più volte rievocati dalla stampa), non può avere dubbi che il delitto ebbe luogo di domenica, poiché tutti lo dicono e lui non ha alcun motivo di ricordare un giorno diverso.

Dov'è allora il nocciolo del problema? A mio parere, nel riscontro esterno che Lotti -e Pucci – adducono proprio a giustificazione della ricostruzione mnemonica: tutte le domeniche o quasi si andava a prostitute a Firenze. Non si andava di venerdì o di sabato, ma solo e sempre di domenica; onde per cui, se si è assistito al delitto mentre si tornava a San Casciano dopo essere stati dalla Gabriella, il delitto può solo essere avvenuto la domenica. E' qui che probabilmente non si può più parlare di cattivo ricordo, ma bisogna parlare di falsità. E' qui, in altre parole, che casca l'asino Lotti, almeno per quelli che ritengono, sulla base delle considerazioni ben note già egregiamente svolte da altri (Adriani-Cappelletti-Maugeri), che il delitto non può materialmente risalire alla domenica.

giovedì 1 gennaio 2015

Perché è importante la 128 rossa


Vengo accusato di aver detto un'enormità per aver scritto sul forum storico la seguente frase:

 "Addirittura, anche il possesso o meno dell'auto rossa potrebbe non essere decisivo, in fin dei conti (ma allora verrebbero a mancare i riscontri esterni sui quali si basarono le sentenze). Mi ero intestardito sulla via di fuga a Vicchio, ma senza risultato concreto, purtroppo. Addirittura addirittura (!) anche la datazione del delitto alla domenica potrebbe essere un errore di memoria o suggestione indotta. Di tangibile in questo mondo ci sono solo le cose (res)."

Cerco di spiegarmi meglio, la mia predilezione per la sintesi tacitiana può forse dare adito ad equivoci. Cominciamo dall'auto. Lotti inizialmente è incerto su quale auto "mandasse" (nel particolare linguaggio tosco-lottiano) quella famosa sera (quale? Per la data rimando ad un prossimo post) in cui si fermò a fare pipì sotto la piazzola di Scopeti. Nel confronto con il Pucci del 11 febbraio 1996, è il secondo a ricordargli e confermargli quale auto usasse ("Avevo il 128?" "Il 128, sì" "Ma quella rossa?" "Quella rossa, proprio…"; sinteticamente, in Giuttari, Il Mostro, pag. 171). Lotti può fingere di non ricordarsi, non ricordarsi veramente; o, terza ipotesi, non essere proprio stato quella sera a Scopeti, né con la macchina rossa, né con quella celeste. E' facile osservare che gli inquirenti stanno cercando la conferma della presenza di una macchina rossa ferma sotto la piazzola la domenica sera 8 settembre 1985.

 Ora, cosa accadrebbe se venisse dimostrato (è allo stato pura ipotesi accademica) che Lotti non disponeva più a quella data della 128 rossa? E' possibile che Lotti ricordi male, venendo indotto in errore dal Pucci, a sua volta indotto in errore da chissà cosa? In teoria sì. Provo a ricordare quale auto guidassi, ad esempio in un determinato giorno – o anche mese – di dodici anni fa, magari proprio l'anno nel corso del quale rottamai un'auto vecchia e ne acquistai una nuova. Non ci riesco, senza l'ausilio delle carte (assicurazione, ricevute del bollo ecc). Per fare ancora un esempio personale: molti anni fa feci un viaggio in Irlanda, avevo una Ford Fiesta blu. Perché ne sono certo? Perché sulla via del ritorno l'auto mi diede dei problemi. Anni dopo (quindi il ricordo dovrebbe essere più recente) feci un viaggio in Normandia. Con quale macchina? Non lo ricordo assolutamente. Perché non lo ricordo? Perché il mezzo non mi diede alcun problema. Ricordo che vidi l'arazzo di Bayeux, questo mi è rimasto impresso. Perché mai dovrei ricordare con quale auto arrivai fin lì? Se ora mia moglie mi dicesse: "Avevamo la Uno rossa all'epoca", non potrei non concordare con lei. Se poi mi dicesse: "No, ora ricordo meglio, avevamo già la Uno bianca" non potrei smentirla (se non, ripeto, controllando le carte).

Allora, torniamo alla domanda iniziale. Se si scoprisse che la Fiat 128 rossa era già stata ritirata dallo sfattino prima del 6-8 settembre 1985, si potrebbe concludere che Lotti ha sicuramente mentito, svalutando così in toto il resto della sua testimonianza? No; ma l'effetto sarebbe ugualmente catastrofico per il processo, poiché verrebbe a cadere il riscontro esterno principale, ossia la testimonianza Ghiribelli, che dice di aver riconosciuto quella sera un'auto simile a quella del Lotti (sul modo in cui tale "riconoscimento" avvenne, ho già discusso ad abundantiam). Questo per quanto riguarda la fase dell'indagine; ovviamente, poi, visto come andò il dibattimento e la pervicacia con cui il Lotti difese con le unghie e con i denti la sua presenza a bordo della 128 rossa, il poter caducare questo elemento sarebbe stato, dal punto di vista giudiziario, comunque decisivo.


Su come si possa sbagliare data, un prossimo post. Auguri a tutti per il nuovo anno.