giovedì 21 maggio 2015

Paolo Cochi riapre i giochi (3)


Avendo ora visto tutto il programma di Italia 7 su Youtube, lo commento brevemente, augurandomi di non commettere inconsapevolmente qualche reato, visto che è stata pubblicata la notizia che una copia della registrazione è stata acquisita dai ROS (vorranno riaprire le indagini o il motivo è un altro?).

Temo che il panorama che è uscito fuori dalla trasmissione sia abbastanza desolante per quanto riguarda gli ex addetti ai lavori: cocciutaggine abbinata a preconcetti e crassa ignoranza. L'unico che è sembrato padroneggiare la materia è stato Paolo Cochi; peccato abbia detto così poco, aspettiamo il documentario integrale, nella speranza che qualche escamotage giudiziario non intervenga a bloccarne l'uscita. 

Per adesso, abbiamo dovuto sentirci riproporre la testimonianza fondamentale di Ivo Longo, negoziante di articoli ottici, che depose al processo contro Pacciani il 13 luglio 1994. Questo signore si era presentato una settimana prima alla SAM dichiarando di aver visto Pacciani alla mezzanotte della domenica 8 settembre 1985 (forse) viaggiare in un'auto del tutto diversa da quella di Pacciani sulla superstrada Siena –Firenze. Quindi, ciò significa che per inquirenti e giudicanti un guidatore può mantenere nella memoria le fattezze di un perfetto sconosciuto intravisto per qualche secondo in auto al buio (ma la luce interna era accesa, a onor del vero) per nove anni, ricordando particolari come le braccia pelose, l'abbondante sudore e gli occhiali senza lenti. La sentenza vide nel racconto del Longo la prova (!) che Pacciani subito dopo il delitto, avendo prontamente confezionato la macabra missiva alla Della Monica, si stava recando a impostarla a San Piero a Sieve (chissà poi perché). Non solo, ma poiché indubbiamente si trattava di Pacciani e viaggiava su una macchina che non era la sua, ciò significava che l'omicida aveva dei complici e bisognava ricercarli. Quindi la testimonianza Longo è stata uno dei motori che, indirettamente, hanno portato all'ipotesi investigativa dei Compagni di Merende, anche se poi un'autovettura come quella descritta dal Longo non fu mai identificata. E' triste che testimonianze di questo genere siano state ritenute degne di fede nel processo; meno grave, ma ugualmente triste, che vengano riproposte dopo vent'anni, ignorando tutto un filone di studi scientifici sulla psicologia della testimonianza; ulteriormente triste giacché testi come Longo e simili vengono contrapposti alla valutazione scientifica e sperimentale del ciclo vitale delle larve di mosca per "riscontrare" (mai termine fu più usato a sproposito) la confessione del Lotti sulla datazione del duplice omicidio alla domenica. Secondo l'avvocato Bertini, dodici testimoni riscontrano la confessione di Lotti su Scopeti; ma non mi risulta che nessuno a parte il Pucci abbia visto il Lotti sul luogo del delitto quella domenica sera; semmai fu vista, nella migliore delle ipotesi, un'auto che assomigliava all'auto che Lotti possedeva in precedenza o ad altra auto che Lotti avrebbe posseduto successivamente. Come viene giustamente detto in trasmissione, l'ipotesi scientifica dovrebbe essere contrastata sullo stesso piano scientifico non con testimonianze di valore quanto meno dubbio.

Tutto questo mi fa pensare che trenta anni dal delitto, venti dal processo siano veramente passati invano e mette grande tristezza. Auguro a Paolo Cochi di poter portare avanti il suo lavoro con serenità e passione per la verità.

martedì 19 maggio 2015

Paolo Cochi riapre i giochi (2)

Al posto della Punto, immaginatevi una macchina rossa, scolorita, scodata; magari una Fiat 128 coupé


Le prime reazioni all'articolo su La Nazione di cui ho parlato nell'ultimo post sono state a mio avviso molto deludenti (parlo naturalmente di quello che viene scritto sul web in forum e gruppi, perché in altri ambienti più ufficiali, dei quali nulla so, magari sta succedendo il finimondo). 

A parte alcuni – abbastanza pochi - che hanno condiviso il mio entusiasmo, il pubblico si è diviso in: quelli che già si sapeva (e anche da una vita!) e non c'è niente di nuovo e tanto ai Compagni di Merende chi ci crede; quelli che mica si può capovolgere il risultato di una perizia legale guardando delle foto e bisognava esaminare le larve, sezionarle aspettare che sfarfallassero eccetera; infine, quelli che allora adesso ne sappiamo meno di prima quindi non è un elemento di conoscenza, anzi è negativo.

Non capisco nulla né di scienza né di filosofia, ma mi sembra che la falsificazione di una teoria sia altrettanto importante che la sua proposizione; ci permette infatti di scartarla definitivamente e passare alla prossima. Quindi, i sostenitori della "verità giudiziaria" come fu proclamata nelle sentenze, faranno meglio a elaborare il lutto, se ci riescono; chi pensa che il Lotti fosse comunque coinvolto, dovrà trovare spiegazioni alternative ai suoi racconti, una volta che sono dimostrati come bugie. I miei amici Antonio Segnini e Hazet saranno contenti, ognuno per la sua parte. Gli altri seriamente interessati al caso avranno una certezza in più, pur negativa che sia; e uno stimolo in più per cercare di capire non solo quello che è veramente successo (sulla riuscita di questa ricerca sono purtroppo scettico), ma il perché quello che sappiamo è successo nel modo che sappiamo. 

Questa sera su Italia 7 è annunciato un programma con Paolo Cochi, giornalisti, scrittori e avvocati; mi auguro di sentire anche gli esperti di cui si parlava nel giornale, così che ognuno possa formarsi un proprio giudizio. Mantenere desta l'attenzione su questo capitolo di storia contemporanea mi sembra opera meritoria.

sabato 16 maggio 2015

Paolo Cochi riapre i giochi



Ispirando un articolo su La Nazione del 14 maggio scorso e poi in un'intervista sulla TV locale RTV38, Paolo Cochi ha riaperto i giochi con un bel botto sulla datazione del duplice delitto di Scopeti. A quanto è dato per ora di capire, dall'esame di fotografie, non analizzate in precedenza da entomologi forensi (cd. Consulenza Introna), si confermerebbe l'impossibilità di datare gli omicidi alla giornata di domenica 8 settembre, come aveva affermato la perizia necroscopica dell'epoca e (di conseguenza?) il pentito Giancarlo Lotti.

Scrivo "si conferma" perché, come ben sappiamo, l'opinione era già ampiamente diffusa tra gli appassionati e necessita soltanto, per affermarsi definitivamente, di un deciso riscontro scientifico. Probabilmente, per saperne di più dovremo aspettare il nuovo prodotto cinematografico di Cochi, che immagino avrà carte pesanti da mettere sul tavolo. Ma un primo giudizio su questa svolta si può già dare.

Ammettiamo che la questione della data venga finalmente risolta in maniera definitiva. In quale misura la verità conclamata dalle sentenze CdM verrebbe intaccata da una sicura retrodatazione del delitto?

Ho parlato qui spesso della fallacia dei ricordi e della conseguente scarsa affidabilità di testimonianze rese a distanza di anni dai fatti che i testi devono ricostruire. Il punto non è questo: solo gli ingenui possono pensare che si possa ricordare il giorno della settimana in cui ha avuto luogo un determinato evento se non collegandolo ad un altro evento di data certa. Il punto è che il Lotti (e il Pucci con lui) non è incerto, anzi fornisce riscontri esterni (visita alla Ghiribelli) che fissano l'evento ad una data precisa, che coincide con quella ufficiale, quindi riscontra, conferma e rinforza una impossibilità. Nel far ciò, il teste rinuncia alla possibile scappatoia della nebulosità dei ricordi e si autoproclama "falso", per aver volutamente sostenuto - e si sa bene quanto strenuamente fino al dibattimento in appello – una data "falsa". Ma se il teste ha mentito sull'inizio della storia, che è rappresentato dalla sua presenza a Scopeti al momento dell'omicidio, presenza dalla quale discende tutta la successiva indagine, può aver mentito su tutto. Il castello di carte più elaborato crolla se si sottrae una qualsiasi delle carte che stanno alla base.

Bisogna dunque rispondere alla domanda: perché Lotti situa volontariamente il delitto in una data sbagliata? Offro, per cominciare, la mia risposta, che nel mio stile è la più semplice e banale, certo che molti ne avranno da proporre diverse e più fantasiose (absit iniuria verbis). Lotti non sa quando è avvenuto il delitto per il semplice motivo che non vi ha assistito. 

(continua, probabilmente)

venerdì 8 maggio 2015

Appendice al I volume

In alto a sinistra i link per l'Appendice al I volume.
Forse sarò in sonno per un po'; ma forse anche no.
Sono fiducioso che lo studio porterà i suoi frutti, a tempo debito.

mercoledì 6 maggio 2015

Le ragioni di queste pagine (2)


Taverna del diavolo (2013). La strada in fondo a sinistra è la fine di via dell'Arrigo, all'estremità opposta rispetto alla ex discoteca Anastasia.

Ancora una parola sulla finalità ultima, che purtroppo non è quella di scoprire – e magari catturare – l'assassino o gli assassini. A differenza di alcuni autori di scritti recenti (cito qui Segnini e Scrivo, ma ve ne saranno altri), il mio pessimismo della ragione mi impedisce di sperare che il/i colpevole/i sia/no mai individuati con certezza, ossia tramite prove giuridicamente valide; quindi, temo che il caso del Mostro di Firenze rimarrà per sempre un cold case, visto che anche il principale accusatore sembra ora convinto, a sentire le sue dichiarazioni, di aver potuto raccontare soltanto “la mezza messa”; e non si dimentichi che anche la verità giudiziaria conclamata dà conto soltanto di cinque duplici omicidi su otto (dieci vittime sulle sedici che caddero sotto i colpi della nefasta calibro 22) né è stata in grado di spiegare in qual modo un'unica arma leghi a sé il Mele assassino per onore del 1968, per passare, attraverso un Pacciani serial killer per libidine morto in attesa di nuovo giudizio, nelle mani dei Compagni di Merende assassini di coppiette per commissione, ricevuta peraltro da soggetti rimasti ignoti. Ora, se nella ricostruzione ufficiale alcuni nessi logici indubitabilmente mancano all'appello, delle due l'una: o sappiamo ancora troppo poco o la storia non è andata nel modo che ci è stato raccontato. In entrambi i casi c'è dunque motivo di ulteriore studio, foss'anche solo per raggiungere un risultato “in negativo”.

Se, a meno di un incredibile colpo di fortuna (una confessione postuma, una pistola ritrovata in una qualche soffitta della campagna fiorentina, una prova “reale” di quelle che invano inseguiva il giudice Rotella), è del tutto improbabile acquisire nuove certezze sulla verità dei fatti e ognuno dovrà accontentarsi di quelle, in genere ben radicate e poco suscettibili di essere rimesse in discussione, che già ha di suo, si può però tentare di fornire, attraverso i dettagli, un quadro d'insieme sufficientemente organico e coerente per quanto riguarda la storia delle indagini; il che significa la storia degli indagatori, dei giudici, degli imputati e anche, per quel poco che se ne può sapere, delle vittime. In questa direzione, queste pagine sono un primo abbozzo episodico, battuto sulla tastiera nella speranza di trovare il loro posto all'interno di una storia complessiva.

Terminato il bla bla bla metodologico e autocelebrativo, un paio di indicazioni concrete. Questo volumetto raccoglie gran parte degli articoli postati sul blog dal gennaio 2014 all'aprile 2015, rivisti e disposti nel corretto ordine cronologico con riguardo alla narrazione. Come si vedrà, si insiste ancora anche su Signa, più per integrare e approfondire che per correggere. Tuttavia, non voglio nascondere che qualche particolare seminascosto nelle nuove carte che si sono rese disponibili ha cambiato - leggermente – la prospettiva dei fatti come mi risultava nel 2013. Ne do conto nel testo, che comunque comprende molte altre considerazioni. Mi auguro che questa Appendice sia fruibile anche da coloro che non hanno letto il I volume; anche se non comprendo perché si vorrebbe leggere un'Appendice senza conoscere il testo principale.

Buona lettura.

lunedì 4 maggio 2015

Le ragioni di queste pagine



Quando nel dicembre del 2013, dopo più di due anni di studio, pubblicai il primo volume della "Storia del Mostro di Firenze", interamente dedicato al delitto Locci - Lo Bianco e alle indagini sulla "pista sarda", avevo fermamente in animo di continuare la narrazione con un secondo volume che avrebbe dovuto trattare i delitti seriali (1974-1985) ed un terzo che coprisse il lungo (troppo lungo e in parte inconcludente) periodo dei processi. Tanto più che quelli che avevano letto il libro – specialisti e non - lo avevano apprezzato e mi incitavano ad "andare avanti con la storia". 

Ben presto, mi scontrai con un dato di fatto ineludibile: un vuoto documentale (si intende, di documenti resi pubblici) che avvolgeva gli anni dal 1974 (delitto Pettini – Gentilcore) a quel giugno – luglio 1982 che era da considerarsi il primo dei molti punti di svolta dell'indagine, ossia il ricordo, autentico o indotto che fosse, del delitto di Signa da parte del maresciallo Fiori. E d'altra parte, dal luglio 1982 a tutto il 1985 le indagini, almeno per la parte resa nota, non avevano seguito altro che la "pista sarda" e di quella avevo già parlato a sufficienza. La mole documentale riprendeva poi con le indagini contro Pietro Pacciani e i vari processi, fino a quello contro Francesco Calamandrei e la sentenza di Perugia. Peraltro, il processo ai "Compagni di merende" del 1997-98, fondamentale nella ricostruzione dell'iter giudiziario, è tuttora in fase di trascrizione su “Insufficienza di Prove” e bisogna attendere una pubblicazione completa.

Ora, è ben chiaro che non si può fare storia senza disporre dei documenti. Se il 1968 e la pista sarda erano eccezionalmente ben documentati grazie alla triade Matassino – Torrisi - Rotella ed altre carte sparse, il nulla parallelo e successivo sugli altri filoni di indagine poteva solo essere tentativamente ricostruito attraverso la lettura dei giornali e di altri libri; libri però che, quand'anche pregevoli, erano essenzialmente autobiografici (Perugini) o romanzati (Spezi) e “a tesi” (Alessandri, Filastò). Se è abbastanza facile passare dalla storia al romanzo, è eccezionalmente difficile, se non impossibile, il percorso contrario, ossia retrocedere dal romanzo alla storia; del resto, non avevo alcun interesse a riscrivere alla mia maniera quello che già era stato scritto, e ripetutamente, da altri. E' pur vero che sono da tempo disponibili tutte le sentenze; e le sentenze, si sa, si prendono la briga di ricostruire ogni volta, nelle motivazioni, “la storia” come l'ha vista e capita il giudice estensore. Tuttavia, nel nostro sistema giudiziario, il giudice ha cognizione unicamente di quello che gli viene sottoposto in dibattimento e deve ignorare ciò che non compare nel processo; e nel processo compare solo quanto è necessario per provare l'accusa da parte del PM, per smontare la tesi accusatoria da parte della difesa. Una “storia critica” delle indagini, che è quello che alla fine mi interessa, sulla base delle sole sentenze, non si può scrivere; e bisognerebbe anche capire se ci sia un interesse a farlo o se l'attività di polizia giudiziaria in quegli anni (si intenda 1974-1982) si sia in realtà limitata a investigare i guardoni e correre dietro alle segnalazioni anonime. Ma questo si vedrà; poiché le carte delle indagini esistono tuttora in gran parte, non sono state obliterate e si può e deve sperare che alla fine in qualche forma vengano pubblicate e rese disponibili agli studiosi.

Ciò detto, terminato con soddisfazione il primo capitolo della storia, mi si proponevano fondamentalmente tre alternative (oltre a quella, semplicemente, di passare ad altro): scrivere un secondo volume (I delitti) sostanzialmente ripetitivo e inutile; saltare a piè pari i delitti e scrivere un terzo volume (I processi), ma sulla base di una documentazione in fieri e ad oggi, 1 maggio 2015, non ancora completa; seguire i fili sparsi delle innumerevoli cose che già si conoscono, ma sono proposte in maniera inorganica, parziale, spesso falsata, cercando di approfondire, sia attraverso una rivisitazione critica di “luoghi comuni” sia con una ricerca originale di argomenti poco esplorati, le tematiche che potevano sembrare meritevoli di ulteriore trattazione. Quasi involontariamente, è venuta fuori, invece che un secondo volume mediocremente originale, una serie di approfondimenti che compongono un patchwork, con tutti i limiti, ma anche la inerente libertà, insiti in questa modalità espressiva. Il blog si è rivelato a questo fine un accettabile strumento per condividere non solo pensieri e riflessioni estemporanei, ma che a giudizio dell'autore meritavano di essere fissati nella scrittura – e spesse volte anche integrazioni a quanto era stato scritto nel libro, alla luce di nuove informazioni che erano diventate nel frattempo disponibili – ma anche “tentativi di interpretazione” che potranno essere accolti e sviluppati in successivi scritti, quando ve ne saranno le condizioni; oltre a considerazioni di metodo, ad esempio sul relativo valore delle “fonti”, che considero propedeutiche a un qualsivoglia approccio di studio.

(SEGUE)