venerdì 27 luglio 2018

Testimoni a Giogoli




Quanto aiutano le testimonianze nelle indagini sul caso del “Mostro di Firenze”?  Dipende, ovviamente; in primo luogo, se qualcuno ha davvero visto qualcosa; poi, dall’analisi critica cui le sottopongono gli inquirenti;  infine, nel nostro processo accusatorio, dalla vera o presunta utilità che una determinata testimonianza ha per le parti in causa.

Ci si potrebbero scrivere volumi. Per rimanere in un ambito più confacente a un blog, esaminerò qui il caso del duplice omicidio di Giogoli, stimolato anche da un ottimo articolo di Enea Oltremari, svolto in tutt'altra ottica e recentemente apparso su Insufficienza di Prove (http://insufficienzadiprove.blogspot.com/2018/07/luomo-dietro-il-mostro-8-di-e-oltremari.html ). 


Cominciamo dal luogo del delitto, praticamente a fianco del muro di cinta della Villa “La Sfacciata”, il cui ingresso principale è sulla via Volterrana (via di Giogoli porta a Scandicci, ma qui dovremmo, salvo errori, essere ancora in comune di Firenze). Il giovane studente Pier Luigi S., interrogato dai carabinieri il giorno 11 settembre, fornisce una testimonianza che di primo acchito potrebbe sembrare interessante. Riferisce infatti di aver visto, il giorno precedente, intorno alle ore 20.10, il furgone dei ragazzi tedeschi posteggiato e una coppia, uomo e donna, allontanarsi a piedi lungo via di Giogoli. Particolare curioso, è proprio Pier Luigi a indicare alla pattuglia dei carabinieri che sta sopraggiungendo dove sia via di Giogoli. Infatti
, il 10 settembre  a quell’ora i ragazzi erano morti da quasi un giorno, anzi Rolf Reinecke aveva da poco avvisato il nucleo dei CC di Firenze della sua macabra scoperta. Vista la coincidenza di orari, può anche essere che il teste abbia incrociato lo stesso Reinecke e la sua compagna. La testimonianza in sé, quindi, è di nessun aiuto. Il giovane dice però qualcosa che può essere importante:  “la zona è assiduamente frequentata da coppiette”. Non ci si dovrebbe stupire oltremodo, quindi, di trovare nei pressi del furgone, addossati a un muretto, postazione ideale per guardoni, frammenti di riviste pornografiche.






Il principale testimone “locale”, abitante in una dependance della villa, è però Rolf Reinecke, colui che scoprì il delitto. Lascio la parola al giudice Ognibene: “La sera del sabato 10 settembre 1983, giorno successivo alla commissione del delitto, mentre passava di lì in auto, si era fermato avvicinandosi al furgone: si era allora accorto che vi era un finestrino forato da una pallottola ed all'interno aveva scorto il corpo del ragazzo biondo macchiato di sangue. Il Rolf aveva raccontato che la sera prima, passando dallo stesso luogo, verso le 19/19,30, non aveva visto il furgone, la cui presenza aveva notato invece la mattina dopo: era anche sceso per parlare con i connazionali, anche perché dalla targa del mezzo gli erano sembrati della sua città, ma mentre si avvicinava, e stava per rivolgersi al ragazzo biondo che aveva visto appoggiato all'interno del furgone nella parte posteriore sinistra, era stato richiamato dal clacson dell'auto di un vicino che aveva trovato la stretta strada di Giogoli ostruita dalla sua auto lasciata in sosta (…)”

Quindi, sembrerebbe che i ragazzi si siano posteggiati nella piazzola di Giogoli non prima della sera del venerdì, dopo le 19; altrimenti, il Reinecke, come ne notò la presenza per due volte il sabato, l’avrebbe notata anche il venerdì e negli eventuali giorni precedenti.  Questo si accorda in parte con le dichiarazioni di un altro testimone, il metronotte Gian Pietro Salvadori, che – leggiamo in un articolo della Città del 12 settembre 1983 -  il mercoledì o il giovedì sera aveva visto il pulmino con i due ragazzi in via degli Scopeti, di fronte alle cantine Serristori, e li aveva fatti sloggiare perché in quel luogo vi era divieto di campeggio. E’ quindi una conferma della presenza, almeno da giovedì sera, dei tedeschi in zona San Casciano – Scandicci.  Ancora più importante, aggiunge il cronista, il teste "ha detto di aver inizialmente creduto che i due fossero in realtà un uomo e una donna, dal momento che uno dei due giovani aveva dei lunghi capelli biondi”.  Ci torneremo su.

Del resto, da un'annotazione della SAM alla Procura della Repubblica datata 12 giugno 1992, risulta che "il giovane Rüsch [NOTA: scrivo Rüsch anziché Rusch, come a verbale, perché il console tedesco, nel richiedere la restituzione degli oggetti delle vittime, usa questa grafia, che ritengo perciò più esatta], la sera del mercoledì antecedente la sua uccisione verso le 20 - 20,30 telefonò ai suoi familiari dalla città di SPESSART per riferire loro che erano arrivati lì e che il viaggio era andato bene. Va detto che i giovani erano partiti la mattina da Munster, dove entrambi avevano un appartamento in affitto ciascuno, città che dista circa quattro ore di viaggio da Spessart." In realtà, non esistono città di SPESSART in Germania, bensì portano questo nome due minuscoli paesini, il primo nella Valle del Reno, il secondo ai margini della Foresta Nera, e una regione turistica a sudest di Francoforte; in nessun caso quindi si potrebbe usare, per Spessart, il termine "città". Sono informazioni non di prima mano, fornite dalla polizia tedesca, perché il viaggio di Perugini in Germania risale all'ultima settimana di quel mese; inoltre, non avendo a disposizione il testo originale, penso si debba correggere la località di partenza da Munster (cittadina della Bassa Sassonia, nota solo per essere un centro di acquartieramento dell’esercito tedesco) a Münster, relativamente grande città universitaria del Nordrhein-Westfalen. Se prendiamo per buono il ricordo dei familiari, raccolto dopo quasi 9 anni dai fatti, ma in realtà disponibile già nel settembre 1983 tramite il console onorario tedesco a Firenze, i ragazzi erano partiti da Münster  il mercoledì mattina, ma avevano fatto ben poca strada (secondo il sito ViaMichelin Münster dista da Spessart  - quello sul Reno-  da 229 a 247 km, a seconda dei percorsi scelti). Se invece il riferimento fosse alla regione, ben più nota, saremmo intorno ai 340 km e circa quattro ore di viaggio. Ora, se si ricorda che, pochi giorni prima dell'informativa, a Pacciani era stato sequestrato un set di dodici cartoline illustrate dal titolo "Der Rhein", risulta chiaro perché gli investigatori optarono per un percorso lungo la valle del Reno e attraverso la Svizzera; ma non è sicuro che Meyer e Rüsch abbiano effettivamente fatto questo tragitto. Sia come sia, qualsiasi strada i due abbiano scelto, la sera di mercoledì erano ancora ben in mezzo alla Germania. Ora, da Spessart (il paesino sul Reno) a Firenze ci sono ben 1057 km; che si riducono a 915 partendo invece, ad esempio, da Miltenberg (nello Spessart) passando per l'Austria anziché per la Svizzera. Si può essere certi che il pulmino (non un mezzo particolarmente veloce anche in autostrada) non sia arrivato nei dintorni di Firenze prima della sera di giovedì 8; forse in quell'occasione i ragazzi furono intercettati dal metronotte Salvadori, che li fece sloggiare; via di Giogoli 4 dista circa 7 km da Villa Machiavelli, che dovrebbe essere il luogo di primo avvistamento del pulmino. 

La Città - 12 Settembre 1983



Che le vittime siano arrivate a Firenze solo verso la sera del giorno 8 sembra potersi dedurre anche  dall’unico tagliando ritrovato nel furgone, che attesta che nel pomeriggio di venerdì 9 il mezzo  venne posteggiato per un paio d’ore (16, 25 – 18,25) nel parcheggio di via Valfonda, a fianco della stazione di Santa Maria Novella.
 Allora, ci si dovrebbe chiedere chi e quando abbia visto la signora Teresina Buzzichini, testimone al processo Vanni + altri (udienza del 8 luglio 1997), la quale racconta che i ragazzi tedeschi uccisi in via di Giogoli pernottavano lì da circa una settimana. Citiamo alcuni passi, come sempre da Insufficienza di prove:

T. B.: E vedevamo questi ragazzi già da una settimana, che avevano questo pulmino. Non un camper, un pulmino qualsiasi insomma. La mattina, si vedeva la radio... si sentiva perlomeno la radio, presto e...

P.M.: Cioè, quando passavate dalla strada loro...

T.B.: Erano a pochi metri dalla strada.

(…)

P.M.: Ho capito. Andiamo un attimo a quando voi li sentivate nei giorni precedenti. Dice lei: 'era una settimana che li vedevamo'. Li vedevate la mattina, poi?

T.B.: Sì, la mattina, poi nel mezzo del giorno non c'erano e si rivedevano la sera, verso le otto, così. Lì, che stavano mangiando, insomma stavano... uno era normale, uno aveva i capelli lunghi e c'aveva un ciuffo di dietro, come li portano tutti i giovani ora. Logicamente era dell'83, comunque. Però l'aveva il pizzo, si vedeva che era un maschio. Magari di dietro...

P.M.: Si vedeva che era maschio anche se aveva i capelli lunghi, è questo che vuole...

T.B.: Anche i capelli lunghi. Perché aveva la barba, una donna credo...

P.M.: Ma lei li vedeva perché passavate di lì davanti, non è che vi fermavate?

T.B.: No, si sono fermati anche giù alla mia attività, hanno portato della roba a lavare [NOTA: la signora era proprietaria di una lavanderia al Galluzzo]. Però io non... erano normali clienti e basta.

P.M.: E ha riconosciuto che erano gli stessi per le figure, o per il pulmino?

T.B.: Sì, sì. Per il pulmino e per quello che portavano insomma me...

P.M.: Sì, ma come, mai è sicura che fossero loro, per la figura?

T.B.: Son sicura che fossero loro, sì, sì.

(…)

P.M.: Lei ricorda di questa macchina rossa qualcosa, o l'ha vista solo suo marito?

T.B.: No, l'ho vista anch'io, però lui ci stava più attento perché l'era più preso sulle macchine. A me le macchine non mi interessavano...

P.M.: Ecco. Suo marito all'epoca si presentò ai Carabinieri e disse addirittura...

T.B.: Il lunedì, sì.

P.M.: Sì. Disse addirittura che era una macchina di color rosso ma disse anche che macchina era.

T.B.: Era... Sì, disse anche che macchina era e che era anche targata Firenze. Che allora, se si stava un pochino attenti, praticamente non ce n'era centinaia di quelle macchine, si trovava subito. Se la cosa... l'è venuta fuori dopo... Io quando lo lessi sul giornali dissi, ma... Insomma, lasciamo perdere.

P.M.: Senta signora, a parte questa considerazione, lei

T.B.: No guardi, io le macchine proprio, gliel'ho detto prima.

P.M.: Fu suo marito a dirlo, l'ha riferito.

T.B.: Sì.

P.M.: Lei invece ha detto di aver visto un altro tipo di ma...

T.B.: Dopo... Il giorno dopo, una macchina chiara. Però poteva essere una Ford Fiesta, poteva essere una 127. Io lo dissi al mi' marito: 'guarda, un'altra macchina lì, Gianni, vicino a quel pulmino'. C'era una macchina che veniva in su da via Volterrana, lì, c'è pochi metri. E allora c'era una macchina, un operaio che veniva in su e dava, guardava quella macchina. Si girò così: 'davvero guarda, c'è un'altra macchina lì'. Proprio accanto al pulmino.

P.M.: Lei ricorda in che orario potesse essere?

T.B.: La mattina, l'ho detto, dalle sette alle sette e mezzo, che noi si andava via presto perché il mi' marito all'otto doveva essere sul lavoro.

P.M.: Quindi la macchina rossa fu vista di sera e la macchina bianca...

T.B.: No, di mattina.

P.M.: Tutte e due?

T.B.: Tutte e due di mattina.

(…)

T.B.: Lei ricorda se questi giovani... Ha detto di averli visti nella lavanderia da lei. Li ha visti anche per caso alla Coop giù al Galluzzo?

T.B.: Sì, sono stati anche alla Coop perché venivano con delle borse della Coop, sì.

P.M.: Ecco, lei... Ah, ecco, ha visto...

T.B.: Sì.

Quindi addirittura la teste ha visto le vittime tornare dalla spesa e venire nella sua lavanderia; ha visto un giovane con il pizzo, ma dalle foto disponibili non sono visibili segni di barba; il metronotte aveva invece scambiato Jens-Uwe per una ragazza. Si tratta molto probabilmente quindi di un falso ricordo; eppure, come è suggestivo quell’accenno alla rarità del tipo di auto (non ce n'era centinaia di quelle macchine), che ben si attaglierebbe a una 128 coupé, molto meno a una 128 berlina, un modello estremamente diffuso. I difensori, stranamente, non controinterrogarono; è anche vero che la testimonianza della signora non venne utilizzata in sentenza. Ma per rimanere ai fatti concreti, andiamo a leggere la dichiarazione, più modesta ma ben più circostanziata del marito della signora Teresina, Giovanni Nenci, rilasciata già il 13 settembre  1983 ai CC della Stazione del Galluzzo.

Giovedì sera 8 c.m. nel rientrare a casa notai nello spiazzo di cui sopra il furgone straniero regolarmente parcheggiato nello spiazzo. Erano circa le ore 20,30 ed accanto al furgone non notai movimento di sorta. Il mattino transitai nuovamente in via di Giogoli verso le ore 7,30 e notai accanto al furgone in parola un’auto Fiat 128 di color rosso, targata FIRENZE. Non vidi movimento di sorta intorno e pensai a persone che provavano i cani per la caccia. Anche venerdì 9 c.m, nel transitare verso le ore 20,30 in via di Giogoli, notai nuovamente il furgone in sosta nel prato adiacente alla via stessa, senza notare intorno nessun movimento di persone. Il giorno successivo passai ancora in via di Gíogoli a bordo della mia auto ed in compagnia di mia moglie. Notai sempre lo stesso furgone, con le portiere chiuse, fermo nel luogo visto la sera precedente. Erano circa le ore 7-7,30 e mia moglie mi ha riferito che accanto vi era una auto bianca di media cilindrata di cui però non ricorda né la marca e né tantomeno rilevò particolare, e targa".

La FIAT 128 rossa vista dal teste era la 128 coupé di Lotti? Quella macchina, quando fu acquistata (16 febbraio 1983), era targata Gorizia, non sono riuscito ad appurare in quale data fu ritargata FI D56735.



Leggiamo allora, a proposito di auto (il grimaldello dell’inchiesta Compagni di Merende) uno stralcio dell’intercettazione telefonica Lotti – Nicoletti 24 marzo 1996 (pubblicata in Al di là di ogni ragionevole dubbio, pag. 171 e segg.).

Giancarlo Lotti: ‘Poi mi vogliano domanda’ le cose dell’83, dell’82 . . .  come fo  a sapere queste cose?” (…)

Giancarlo Lotti: “Ma poi gli hanno visto una macchina, dice, a Scandicci, a Giogoli. E  io che ne so? Per l’appunto la mi’ macchina l’è da tutte le partì. Io se vo a trovare una cugina, io un lo so. Loro dice.. .  lì a Giogoli c’era un furgone, dice,  quei du’ tedeschi...  ”

Filippa Nicoletti: “Ah. ”

Giancarlo Lotti: “Ma come fo a dire una cosa che un n’ho vista?”

Filippa Nicoletti: “Eh ma tu . .. gli dici che non l ’hai visto. ”

Giancarlo Lotti: “Dice: ‘ma te tu vai dalla tu cugina.’ E  questo i ’ che vuol dire? Perché dalla mi’ cugina un ci posso andare?”

 ( . . . )

Il verbale dell’interrogatorio subito da Lotti il giorno precedente, al quale è riferimento nella telefonata, si può consultare tra i materiali pubblicati da Antonio Segnini  ( http://quattrocosesulmostro.blogspot.com/p/contenuti-scaricabili.html  ). Purtroppo la trascrizione non è completa; in quello che si legge, non si parla mai di Giogoli, di auto o di cugine; molto probabilmente si tratta di “sondaggi” del teste fatti fuori verbale (non sarebbe l’unico caso). Ma il fatto che Lotti stava per essere nuovamente “incastrato” a causa della sua auto (meglio: un’auto simile alla sua) vista nei paraggi (come a Scopeti, come a Vicchio) risulta chiaramente dal dialogo telefonico con la Nicoletti.

Nell’interrogatorio del  successivo 26 aprile, infatti, Lotti ammetterà per la prima volta (ma era stato anticipato da Pucci il 18 aprile) la sua partecipazione al delitto di Giogoli, anche se, in questa versione, solo in veste di spettatore invitato.

Nel corso del sopralluogo del 23 dicembre 1996, poi, Lotti dirà che sia Pacciani sia lui stesso parcheggiarono lungo via di Giogoli, a una ventina di metri l'uno dall'altro. Tutto è possibile, certo è che le auto avrebbero bloccato la strada, in quel punto assai stretta, e un eventuale automobilista di passaggio si sarebbe trovato impossibilitato a proseguire e sarebbe stato involontario testimone di tutta la sparatoria. Ma questa è solo una delle tante inverosimiglianze dei racconti di Lotti. 


E Pacciani? Poteva essere sua l'auto bianca (la famosa Fiesta con le modanature laterali rosse) vista la mattina dopo l'omicidio da Teresina Buzzichini? Certamente, anche se non si capisce cosa ci stesse a fare. Più probabilmente si trattava invece della 126 bianca, vista tra le 9 - 9,30 del sabato dalla guardia giurata Menichetti e che fu poi attribuita a Mario Robert Parker (si veda sentenza Calamandrei). Quanto a Pacciani, nell'ipotesi accusatoria, si era recato sul posto in motorino, appoggiandolo all'interno del viale d'ingresso della villa (testi Amelia De Giorgio, udienza del 1 giugno 1994, e Adriana Sbraci, udienza del 7 giugno 1994) o proprio contro il muretto della piazzola (teste Attilio Pratesi, udienza 13 luglio 1994). Dobbiamo quindi immaginarci il Vampa che per più volte, in pieno giorno, si reca sul posto a osservare… il nulla, poiché le vittime erano ancora in Germania. Ma non solo; il proprio motorino Pacciani lo avrebbe lasciato lì per giorni anche dopo aver commesso il delitto (teste Orlando Celli, udienza del 1 giugno 1994). Sembra che solo la polizia scientifica in sede di sopralluogo non si sia accorta della presenza del motorino … Il teste Celli vide anche un uomo che si avvicinava al pulmino e a fianco un’auto che poteva essere una Mini (come quella in uso al Reinecke), verso le ore 8 del sabato mattina. Fu interrogato due volte (nel 1983 e poi nel 1992), ma non ho i verbali e la deposizione a processo è, more solito, confusa e inconcludente. 


Un'altra testimonianza che fu valutata in sede di indagine fu quella di Laura S. (verbale dell’11 settembre reso ai CC della Stazione di Scandicci), la quale riferì che, “verso le ore 21,00-21,15 del 9 settembre 1983, percorrendo  in  autovettura  la  parallela  e sottostante  via  del  Vingone,  ha  potuto  distinguere  sotto  i  fari  un  individuo  scendere, proveniente  verosimilmente  dalla  zona  del  delitto,  un  uomo  dall'età  di  40-45  anni, dall'altezza di  circa mt. 1,70, indossante una maglietta celeste con delle strisce rosso orizzontali, pantaloni scuri, capelli folti, lisci e tirati indietro” (vedi “Rapporto Torrisi”). Prosegue la teste dicendo che l’uomo aveva: “faccia grossa, espressione regolare, senza avere nulla nelle mani. Quello che mi è rimasto impresso maggiormente sono stati i capelli lisci e tirati indietro, scuri, sembravano come fossero stati trattati con brillantina, cioè molto lucidi. (…) Preciso di non aver notato nessuna auto in sosta nei pressi del punto ove si trovava fermo l’uomo a mio avviso sospetto, e cioè scendere (sic) da un piccolo viottolino della campagna o dai cespugli, sulla sinistra. (…) Vestiva come una persona normale di città, con pantaloni e maglietta. I pantaloni regolari, non sportivi, con cintura”. Questa testimonianza sembra più interessante, quanto meno perché riferita a un orario vagamente compatibile con l’omicidio. Non vale neppure la pena di aggiungere che per Torrisi l’uomo con la maglietta a strisce e i capelli brillantinati tirati indietro era senza dubbio Salvatore Vinci. Ma a parte questo, per chi, come chi scrive, si permette di trovare piuttosto inverosimili le ricostruzioni fornite dal Lotti di tutti gli omicidi ai quali avrebbe partecipato (gli assassini arrivano direttamente sul posto con due auto, parcheggiano tranquillamente di fronte alle vittime e danno inizio alla mattanza), l’ipotesi di un colpevole che si allontana di nascosto percorrendo un tratto a piedi nel bosco o per i campi appare senza dubbio più credibile; e in effetti, dal retro della piazzola si arriva facilmente, attraverso un campo in discesa non troppo forte, alla via sottostante.


Salvatore Vinci - Foto da Insufficienza di Prove





Ricapitolando, i ragazzi partirono da Münster la mattina di mercoledì 7 settembre, pernottarono in una località turistica della Germania meridionale, arrivarono nei dintorni di Firenze probabilmente la sera di giovedì 8. Fecero un primo tentativo di posteggio in via degli Scopeti, furono mandati via e arrivarono a Giogoli piuttosto tardi, senza essere avvistati da nessuno se non la mattina dopo quando furono notati dal teste Nenci. Andarono via (il teste Pratesi alle 11.30 non vede più il pulmino), passarono la giornata a Firenze e dintorni, tornarono a pernottare (dopo le 19.30, Reinecke tornando a casa non li vede ancora) sulla via di Giogoli e la mattina dopo erano morti. Un iter che, tutto considerato, si avvicina molto alla vicenda dei turisti francesi che saranno uccisi, quasi esattamente due anni dopo, a San Casciano proprio in via degli Scopeti. Un passaggio velocissimo che si conclude con la morte violenta. Un passaggio che lascia ben poco spazio a fantasiose ipotesi di caccia a presunti omosessuali, a preparazioni di riviste gay da sistemare a mo’ di altarino o di un assassinio premeditato “per far sortire qualcuno dal carcere” (Santoni Franchetti, si veda qui: https://appuntisulmostro.blogspot.com/2018/02/golden-gay.html ; ma anche la Notte di Golden Gay del grande De Gothia). Nessun testimone sembra essersi accorto di loro nell’orario cruciale, dalle 21 alle 24 di venerdì; solo un automobilista di passaggio poco dopo le 22.30 riferisce, ma in forma dubitativa, di aver notato il furgone in sosta, con le luci spente. Considerato che molto probabilmente il Meyer stava leggendo quando venne attinto dai primi colpi, dobbiamo presumere con la luce interna accesa, è molto probabile che a quell'ora il delitto fosse già avvenuto.


A quale conclusione possiamo arrivare, dopo questa raccolta di testimonianze sul delitto di Giogoli (ce ne sono senza dubbio altre, che ho tralasciato perché non le conosco; ogni aggiunta è naturalmente benvenuta)?

In primo luogo, dobbiamo arrivare alla constatazione che è meglio non fidarsi troppo dei testimoni oculari; è un punto sul quale, in questo blog, ho già battuto ripetutamente. Secondariamente, possiamo osservare che, individuato un possibile colpevole, una testimonianza vagamente adattabile si trova sempre. Così, abbiamo visto  comparire sulla scena l’auto di Reinecke, quella del Lotti, quella di Mario Robert Parker, Pacciani sul suo scalcagnato motorino Beta e infine anche Salvatore Vinci (testimonianza questa di Laura S. che è comunque la più cronologicamente vicina alla presunta ora del delitto, mentre le altre veramente dicono poco o nulla). Forse, allora, nessuno ha visto niente di significativo; forse davvero, come mi disse anni fa uno dei massimi mostrologi viventi, non c’è niente in quelle carte…
La Città - 14 settembre 1983





venerdì 6 luglio 2018

Intorno al 20 di luglio - Quarta puntata




Qui tutto iniziò, circa cinquant'anni fa


 A distanza di quasi un anno dall’ultimo post della serie “Intorno al 20 di luglio” (vedi qui: http://mostrodifirenzevolumei.blogspot.com/2017/09/intorno-al-20-di-luglio-aggiornamento.html )

non è successo quello che speravo: cioè, né Adriani né altri hanno effettivamente prodotto la lettera anonima della quale parlava, richiedendola indietro, la Della Monica nella sua missiva ai CC del 20 agosto. Tuttavia, può essere utile qualche piccolo ulteriore aggiornamento.

Dell’anonimo si parla in uno scritto apparso sul sito dello stesso avv. Adriani ( http://www.avvocatoadriani.com/wa_files/desnombreux.pdf ). Riportiamo qui il passaggio, ove si invitano gli odierni inquirenti ad accertare, tra le altre cose, se “la lettera che nel giugno 1982, dopo l’omicidio di Baccaiano, fu inviata da un anonimo agli inquirenti per invitarli ad indagare sul delitto del 1968 provenisse da una mancata vittima. L’Avv. Luca Santoni Franchetti Acerbo, già “dominus” di chi scrive,  nel 1992 riferì infatti a chi scrive una circostanza mai verificata, e però accertabile dall’A.G., ovvero  che essa fosse stata scritta da una persona la quale lamentava a sua volta di essere stata vittima di un tentativo di aggressione compiuto con le ben note modalità (tenuto sotto tiro), mentre si trovava appartato in auto con un’altra persona (un’amante?) e  che proprio per tale motivo gradiva rimanere anonima, a  tutela della  riservatezza personale propria e del partner con cui si era intrattenuto in auto”. Come avevo già scritto nel primo articolo, al processo del 1994 Santoni Franchetti richiese, invano, l’audizione di Tricomi e Spezi, ma disse di aver avuto conferma dell’anonimo dal PM Izzo; Izzo, come sappiamo, non era un magistrato che passava di là per caso, ma era incaricato dell’indagine sul mostro, dal duplice omicidio di Scandicci in poi.  Un episodio simile è riferito dai giornali (attacco a una coppia clandestina in un’auto blindata), ma sarebbe avvenuto in data 1 luglio 1984, quindi non è temporalmente compatibile con la segnalazione del giugno / luglio 1982; mentre in prossimità di quella data abbiamo l’agguato fallito di Cascine del Riccio, che però non corrisponde per caratteristiche (si trattava di due fidanzati che diedero ampia pubblicità all’accaduto).  Ci si potrebbe chiedere se questo agguato che sarebbe stato riferito in via confidenziale e avvenuto in epoca imprecisata sia l’oggetto di quell’anonimo di cui parla Rotella nella sua sentenza dicendo: “Un anonimo che riferisce di precedente esiste, bensì, negli atti generici del fascicolo del p.m. relativo al delitto di Montespertoli, ma concerne un reato a sfondo sessuale, circa il quale aveva indagato a suo tempo, e con successo, la magistratura fiorentina”. E’ pur vero che si parla della segnalazione di un precedente, ma definire un presunto agguato del Mostro come un generico “reato a sfondo sessuale” non sembra appropriato. Se Rotella non sbaglia la sua consecutio temporum, c’era stato un reato, sessuale, ed era stato risolto, già prima dell’omicidio di Baccaiano e quindi prima della segnalazione di cui si sta parlando. All’epoca, si ricorderà, si ricercava l’omicida nell’ambiente dei guardoni; allo stesso ambiente potrebbe condurre l’espressione “tenuto sotto tiro”; da qui forse l’idea dell’anonimo aggredito di aver avuto a che fare con il Mostro. Comunque, con gli elementi a disposizione, il tutto resta per forza di cose nebuloso.


Ancora l’avv. Adriani ha fornito un documento, consistente nella richiesta del G.I. Tricomi  al suo omologo di Palermo di interrogare il teste Barranca, che si sarebbe trovato prossimamente nella capitale siciliana, presumibilmente al rientro dalla Libia dove lavorava. Di tale documento, datato 29 ottobre 1982, ci interessa unicamente la frase “A seguito di segnalazione anonima che esisteva un quinto duplice omicidio commesso dal cosiddetto “mostro” si risaliva all’omicidio di Lo Bianco Antonio e Locci Barbara (…)”. Questo conferma quanto risultava già dalla lettera della Della Monica, che era stata allertata proprio da Tricomi sull’anonimo, il quale “evidenziava come i duplici omicidi commessi dal Mostro fossero cinque, non quattro, richiamando l’attenzione su un episodio analogo avvenuto in passato in altra località della provincia.” Ora, siccome Adriani al convegno di Pistoia del 18 settembre 2017  disse più o meno: “In realtà passeranno diversi mesi a quanto ho potuto verificare io, prima che questo pezzo di carta rientri nella disponibilità della Procura della Repubblica e del G.I.”  non vorrei che abbia preso questa documento come prova della restituzione a chi di dovere della lettera anonima. E’ ben possibile, invece, che Tricomi, per quanto smemorato, abbia scritto la frasetta di cui sopra a memoria, senza avere davanti l’anonimo. Può sembrare secondario, ma la restituzione, se davvero avvenuta, si scontra con quanto raccontò Spezi; mentre se la lettera fu “smarrita”, le cose comincerebbero a tornare; ma ne abbiamo già parlato.



L’ultima novità recente, che non c’entra direttamente con l’anonimo, ma la riporto ugualmente per la gioia dei miei lettori fautori di depistaggi e complotti, è che la mitica perizia Zuntini del 1968, che quasi tutti hanno letto eccetto il sottoscritto, fu consegnata a… Piero Luigi Vigna. Questo risulta infatti dal verbale di consegna, non del tutto leggibile, pubblicato su La Nazione del 23 giugno a corredo di un articolo del giornalista Stefano Brogioni. A ben vedere, dopo un entusiasmo iniziale, ho riflettuto che molto probabilmente  Zuntini consegnò al sostituto di turno, il 30 ottobre 1968, ma l’incarico fu affidato il 22 agosto, quando le indagini erano condotte da Caponnetto; quindi la mera ricezione del documento non dimostra un ruolo attivo di Vigna nel caso Mele.

Qui il Mostro rischiò di essere individuato e catturato


A questo punto, sulla base di quanto scritto qui e negli articoli precedenti, possiamo notare un’evidenza: la fonte principale per l’esistenza dell’anonimo è il giudice istruttore Tricomi (con la parziale, incerta partecipazione del PM Izzo).  E’ lui che richiama l’attenzione della collega PM sulla lettera; e sì che la Della Monica doveva averla letta in prima persona, in quanto la missiva era diretta alla Procura. Nella richiesta del 20 agosto, però, la Della Monica sembra conoscerla solo per sentito dire; possiamo pensare che fu smistata da altro PM (Izzo?) ai CC per le indagini senza dare soverchia importanza alla cosa. E’ Tricomi che scrivendo mesi dopo all’ufficio istruzione di Palermo dà per certo che l’indagine su Signa era nata in seguito all’anonimo. E’ sempre lui che racconta la cosa a Spezi;  ed è lui, che secondo la testimonianza di Spezi (pubblicata nel 1989, ma riferita al passato) ammette che il biglietto (o, nella versione di Spezi, il ritaglio di giornale) non gli venne mai restituito.  Che poi lo stesso Tricomi nella dichiarazione rilasciata a Spezi nel 2002 non abbia voluto inserire il dettaglio, beh, “sbiadito e incerto ogni ricordo”, lascia a mio parere il tempo che trova. Sembra incontrovertibile che, nel 1982, almeno Tricomi fosse convinto che la pista sarda era nata da una segnalazione anonima; e non possiamo escludere che i giornalisti Sgherri e Selvatici lo seppero da lui.

Detto questo, possiamo anche fare un’ipotesi sul contenuto dell’anonimo; che non indicava nomi di possibili colpevoli (è pur vero che le indagini del 1982 si concentrarono subito su Francesco Vinci, ma riguardando gli atti il nome balzava comunque agli occhi senza bisogno di suggerimenti espliciti), ma affermava, forse dicendo anche altro che non sappiamo,  l’esistenza di un episodio analogo e precedente avvenuto in altra località della provincia. Il fatto che si parlasse di un quinto duplice omicidio aiuta a collocare temporalmente la segnalazione dopo il quarto duplice omicidio fino ad allora noto; mentre non sappiamo se l’anonimo arrivò prima o dopo l’avvio della ricerca di precedenti richiesta dalla procura il 3 luglio 1982 (Adriani, vedi sopra, dice “giugno”, ma ha visto la lettera o no?).

Lastra a Signa Via XXIV Maggio n. 177


Purtroppo, anche se spero di essere presto smentito, come spesso mi è accaduto, dubito ormai che questa missiva anonima esca fuori e temo che saremo condannati a una penosa incertezza, che permette una miriade di ipotesi, anche le più strampalate.

Ne elenco di seguito, sommariamente e con invito ad possibili approfondimenti, alcune.

Ipotesi minimalista (Rotella). Ci fu una segnalazione anonima, ma si scoprì (dopo, investigando) che non riguardava il caso del Mostro. Quindi Tricomi prese fischi per fiaschi.

Ipotesi Fiori. In seguito alla diramazione della ricerca del 3 luglio, Fiori autonomamente si ricordò del delitto di Signa e andò da Tricomi con un ritaglio di giornale reperito in archivio, ma Tricomi capì che la segnalazione fosse arrivata dall’esterno (prese fischi per fiaschi).

Ipotesi “Cittadino amico” di De Gothia. Qui le date ci indicano, a mio parere inequivocabilmente, che, se Tricomi non ebbe a disposizione il fascicolo Mele (e i bossoli “inspiegabilmente” allegati) prima del 20 luglio, è materialmente impossibile che l’appello dei CC pubblicato lo stesso giorno su La Nazione fosse in rapporto  consequenziale con il recupero del fascicolo stesso. Se rileggiamo il primo libro di Spezi, è ben chiaro che egli ebbe modo di leggere le tre missive di cui parla o per lo meno il loro contenuto gli fu dettagliatamente riferito; inoltre fece esplicito riferimento, proprio in riguardo a queste lettere (pur non usando il termine “cittadino amico”) all’appello dei CC apparso sul giornale, che non sarebbe stato l’unico. E’ probabile che in una lettera l’anonimo si fosse firmato “l’amico che capisce il mostro” e in quella successiva (l’ultima) “un cittadino amico”; per aver fatto colpo con l’ipotesi “BABBO” l’ultima lettera doveva per forza di cose essere stata scritta prima del duplice omicidio di Baccaiano.  A questo punto, potremmo concludere che i fatti narrati da Spezi coincidono con le supposizioni di De Gothia, vi furono tre lettere anonime, ma l’autore nulla sapeva o diceva del delitto di Signa.
 Addendum. Si potrebbe però fare un’altra considerazione che riporterebbe parzialmente in gioco il “Cittadino Amico”. Immaginiamo uno scenario del genere. Poniamo che vi siano state alcune lettere anonime (che siano quelle di cui parla Spezi o no, poco importa) da parte di un volenteroso mostrologo dilettante. Nell’ultima, tra le altre cose, si afferma che vi era un omicidio precedente. In coincidenza con la ricerca avviata il 3 luglio, la lettera capita sotto gli occhi del maresciallo Fiori e gli fa scattare il ricordo. Questo avviene, ovviamente, prima del 17 luglio, data della richiesta a Perugia. Però,  a questo punto, ancor prima di avere la certezza  che a Signa sia stata usata la stessa pistola, i CC vogliono cercare di identificare il confidente che afferma di capire il mostro e che apparentemente sa tante cose; e l’appello sul giornale viene pubblicato, per mera coincidenza, proprio il giorno in cui i bossoli, dopo il viaggio a vuoto a Perugia, sono sulla scrivania di Tricomi. Insomma, il trafiletto non sarebbe dettato dalla voglia di apprendere altre cose dalla bocca del cittadino amico, ma sarebbe invece un’esca per la sua identificazione (come sosteneva Hazet in un vecchio commento agli articoli precedenti). A questo punto, spingendoci ancora oltre nelle “wild speculations” alle quali siamo costretti dalle carenze documentali, potremmo pensare che in realtà il cittadino amico, dopo un certo tempo, si rifece vivo, venne identificato e si scoprì che era un “testimone inconsapevole”, aveva sparato a caso e per caso aveva fatto centro, un po’ come Lotti a Giogoli.  Quindi, la segnalazione diventava ininfluente e venne “dimenticata”. Contra, naturalmente, rimane l’ignoranza di Rotella e la reticenza degli altri protagonisti.

Ipotesi Fiori con aiutino. Arrivò alla Procura  una segnalazione che vi era un (probabile?) quinto duplice omicidio precedente. Questo coinciderebbe con quanto uscito sui giornali (Sgherri: alcune lettere anonime giunte agli inquirenti facevano riferimento a 5 e non a 4 duplici omicidi).  Un PM la passò ai CC per verifica. Fiori e Piattelli si ricordarono di Signa. I CC andarono da Tricomi dicendogli che essendoci stata una segnalazione anonima volevano prendere visione di un vecchio fascicolo che doveva trovarsi a Perugia (si ricorderà che la ricerca originariamente doveva partire dal 1970). A Tricomi rimase in mente che c’era un anonimo (che forse non aveva visto direttamente) e lo segnalò alla Della Monica, perché poteva essere importante. A questo punto subentra però la nebbia; la lettera non uscì mai fuori, ma Tricomi per un certo tempo (ai colleghi, a Spezi, ad altri giornalisti) continuò a dire che lo spunto era venuto da un anonimo; poi col tempo se ne dimenticò anche lui.  Trovo questa spiegazione abbastanza plausibile e ha il pregio di coincidere (non nei dettagli, ma nella sostanza) con la fonte Spezi, che non è trascurabile; ho verificato in passato che dietro al fumo di Spezi c’era il più delle volte un succoso arrosto.

Ipotesi rivendicazione (Filastò). L’assassino manda un messaggio ben preciso: ho ucciso prima di quello che crediate, andate a vedere il processo Mele e ve ne renderete conto. In questo caso non si comprende perché non si investigò per scoprire il mittente, che è proprio il fine della richiesta della Della Monica: “Questo Ufficio ritiene indispensabile al fine delle ulteriori indagini concernenti l’identificazione dell’autore dell’anonimo rientrare in possesso dello scritto potendosi ritenere plausibile che esso sia attribuibile a persone a conoscenza dell’identità del vero assassino”.  Anzi, dopo le prime pacifiche ammissioni, se ne negò poi sempre l’esistenza, traendo in inganno anche il G.I. Rotella che era subentrato nelle indagini.

Ipotesi massimalista (depistaggio). Qualcuno ben addentro al tribunale di Firenze e alla storia giudiziaria della provincia, oltre che in possesso di bossoli sparati dalla Beretta cal. 22 dell’assassino (in altre parole, l’assassino stesso o un suo complice), si rese conto, dopo Baccaiano e in contemporanea con la ricerca dei precedenti, dell’opportunità di sviare le indagini sfruttando un lontano caso in cui una coppia di amanti clandestini era stata uccisa con una semiautomatica cal. 22 armata con proiettili Winchester serie H. A questo punto ottenne accesso all’archivio, sostituì i bossoli spillandoli al faldone, indi mandò la lettera anonima, creando dal nulla la pista sarda. Oltre all’incredibile fortuna di aver trovato un duplice omicidio molto simile, per essere sicuro della riuscita del piano avrebbe dovuto anche sostituire, se non il testo della perizia, le macrofotografie.   A me, questa ipotesi continua a sembrare un’incredibile combinazione di eventi, molto più incredibile dell’aver ritrovato in archivio bossoli che per buona prassi forse non sarebbero dovuti stare lì.
San Casciano Val di Pesa Località Ponte Rotto - il covo del Mostro?


In tutte le ipotesi in cui si ammette l’esistenza dell’anonimo, inoltre, occorre segnalare un’altra incredibile combinazione, questa volta a carattere temporale: il 3 luglio viene emanato l’ordine di ricercare precedenti (ma non oltre il 1970), prima del 17 luglio arriva un anonimo che riporta al 1968; il lasso temporale è di meno di due settimane. La domanda è se il mittente potesse sapere che la ricerca era in corso, ma con parametri sbagliati. E’ pur vero che di segnalazioni anonime ce ne saranno state centinaia, ma guarda caso quella giusta (o che almeno venne ritenuta giusta all'epoca) arrivò proprio quando doveva arrivare.


A questo punto, mi sembra onesto dichiarare per quale ipotesi attualmente propenda; per carità di patria, opterò per l’incertezza tra l’ipotesi Rotella e l’ipotesi Fiori con aiutino, anche se trovo entrambe non del tutto soddisfacenti e con ampie zone di oscurità. Inutile aggiungere che non ritengo sensato fare ipotesi sull’identità dell’autore dell’anonimo senza conoscere il testo. Vista la capitale importanza di interpretare correttamente questo passaggio nodale della storia delle indagini, speriamo di saperne di più in futuro. Ogni contributo e integrazione è bene accetto. 

Una via a caso in località Spedaletto, comune di san Casciano




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