lunedì 26 febbraio 2024

Reimarus, l'ipotesi Lotti e altro.

PREMESSA: Pubblico in forma di post, accorpandoli, alcuni commenti del mio lettore che si firma Reimarus, che mi sembrano degni di lettura e che, se pubblicati solo come commenti a latere del blog, passerebbero del tutto inosservati. Non che la pagina principale risulti molto seguita, se non da un pugno di affezionati.
Faccio seguire, in calce, una mia breve osservazione.



(...) Passando a questioni di sostanza, debbo dire che la qualificazione ("romanzo") che l'Autore dà alla ricostruzione di Antonio Segnini mi trova del tutto d'accordo, e di essa avevo pensato proprio in questi termini. La verosimiglianza, carattere comune a molte opere romanzesche, non è indizio necessario di storicità o anche solo di probabile storicità (supposto che nella fattispecie verosimiglianza sempre vi sia); l'onere della prova "incumbit ei qui dicit", mentre è illogico richiedere la "probatio diabolica" di un'impossibilità o di un'inesistenza. Sul conto del Lotti serial killer unico osservo che la supposta corrispondenza tra la sua figura e il "profilo" che del responsabile dei duplici omicidi fu tracciato dal FBI in buona misura non esiste, perché gli esperti americani descrivono un soggetto che, per livello di scolarità e per attività lavorativa, non corrisponde con Lotti, ed è anche dubbio che l'incapacità sessuale supposta dai "profilatori" di oltreoceano si riscontrasse nel Lotti; presentare il Lotti come un "furbacchione", esaltarne l'intelligenza perché in giudizio avrebbe "resistito" ai controesami da parte della difesa di Vanni non tiene conto del fatto che le sue sono state per così dire "audizioni protette", e se fosse stato, come avrebbe potuto e a mio avviso dovuto, essere incalzato dal Presidente del collegio giudicante, sarebbe probabilmente crollato, e come lui Pucci, e comunque appare di immediata evidenza che egli si rende ridicolo in plurimi passaggi delle sue dichiarazioni ("ex plurimis", tra i tanti esempi che potrebbero addursi, si consideri il ruolo di "pistolero forzato" che si attribuisce per Giogoli, dove gli sarebbe stato ingiunto addirittura di aprire la sequenza degli spari, pur non sapendosi, da chi l'avrebbe forzato, se Lotti avesse confidenza con armi da fuoco), che, esternate in una mescita anziché in un'aula di giustizia, avrebbero probabilmente destato scetticismo e finanche ilarità.

Sul tema - molto opportunamente formulato dall'Autore del blog nel suo ultimo post - della falsificabilità, che, nella prospettiva della filosofia della scienza di Popper, rappresenta la linea di demarcazione tra scienza e metafisica e, nel contesto del discorso sul Mdf, distingue l'area della ricostruzione obiettiva dei fatti, per quanto essa è possibile, e la letteratura (anch'essa, beninteso, degna di riguardo, se non altro perché può indicare vie di ulteriore ricerca), v'è da precisare che vi è un elemento che Antonio Segnini ha indicato come possibile conferma o smentita oggettiva alla sua ricostruzione: le impronte digitali trovate nella parte superiore della carrozzeria dell'automobile in cui nel 1984 Claudio Stefanacci e Pia Rontini trovarono la morte a Vicchio per mano del Mdf. Poiché, infatti, nella ricostruzione della dinamica di quel delitto Antonio Segnini (il riferimento è a uno dei video del suo corso di mostrologia su Youtube) suppone che lo sparatore abbia ad un certo punto poggiato una mano, laddove si trovano le predette impronte digitali, egli ritiene che quelle impronte siano state lasciate da Giancarlo.Lotti. E' ben vero che le impronte, o frammenti d'impronte, di cui si tratta non sono sufficienti per un'identificazione processualmente certa, ovvero valida in campo forense, ma esse consentono quantomeno di escludere (come è stato fatto comparando quei frammenti d'impronte con i reperti dattiloscopici di Pacciani, ad esempio) o di non escludere (ossia di formulare un giudizio di compatibilità). Quindi, indipendentemente da quel che si può pensare circa la reale efficacia probante delle impronte in questione ai fini dell'identificazione del responsabile o di un corresponsabile del duplice omicidio del 1984, nel contesto dell'ipotesi di Segnini. esse assumono rilievo pressoché decisivo, poiché, secondo S., se Lotti è colui che ha ucciso i due giovani a Vicchio nel 1984 e quindi il responsabile anche degli altri duplici omicidi commessi tra il 1974 e il 1985, è lui che ha lasciato quelle impronte e quindi, comparando quei frammenti con i suoi reperti dattiloscopici, dovrebbe uscirne un giudizio di compatibilità. E qui sopravviene uno dei misteri della burocrazia giudiziaria italiana: di un individuo che, come Giancarlo Lotti è stato indagato, imputato, processato, condannato e incarcerato, per una serie di gravissimi delitti, parrebbe che non siano reperibili impronte digitali (diversamente da quanto si riscontra per Pacciani e Vanni), sicché non è stato possibile effettuare la comparazione, richiesta anche per Lotti.
Segnini, nel suo video dedicato alla questione, accenna in maniera vaga e molto discreta al fatto che la cosa potrebbe non essere casuale, ossia che si sia voluto mettere al riparo la versione ufficiale da risultanze che avrebbero potuto metterla seriamente in discussione, ma la burocrazia giudiziaria italiana ci ha dato altri esempi di memorabile sciatteria, com'è il caso della distruzione (nel 2000, quando le potenzialità del DNA per le indagini erano ormai ben note), per "fare spazio", dei vetrini con le tracce biologiche dell'assassino di Lidia Macchi, studentessa universitaria ventenne uccisa in provincia di Varese nel gennaio 1987 dopo essere stata costretta ad un rapporto sessuale (delitto per il quale è stato processato Stefano Binda, condannato all'ergastolo in primo grado e assolto con formula piena in appello - sentenza assolutoria confermata poi dalla Cassazione). Ha ben ragione Segnini di lamentare il mancato reperimento delle impronte digitali che dovrebbero pur essere state prese a Lotti ma dietro lo sconcertante fatto non è dato, allo stato, vedere altro che l'ennesimo mistero doloroso della burocrazia giudiziaria italiana. com'è il caso, recentissimamente emerso, della scomparsa delle fotografie che la coppia di francesi uccisa nel 1985 a Scopeti aveva scattato nel viaggio italiano conclusosi con la loro uccisione.

Se l'Autore del blog consente un ulteriore intervento vorrei indicare un altro profilo sotto il quale la vicenda del processi a PP e quindi ai Cdm può essere vista, ed è quella della valutazione della testimonianza (e della chiamata in correità). L'adozione di criteri troppo rigidi (ossia troppo ispirati al buonsenso) nel valutare l'attendibilità di deposizioni testimoniali rischierebbe di pregiudicare il "buon esito" di giudizi nei quali la materia è anche politicamente "sensibile": si pensi al ruolo che la controversa testimonianza di Massimo Sparti ha avuto nel portare alla condanna (diventata definitiva nel 1995) di Fioravanti e Mambro per la strage di Bologna, ponendo così il primo mattone di quella costruzione che si è poi venuta completando con le condanne di Ciavardini, Cavallini e Bellini. In altri processi "politicamente" sensibili, le testimonianze non sono state ritenute sufficienti: è il caso del coinvolgimento dell'"ideologo" di estrema destra Paolo Signorelli come mandante nei processi per l'uccisione, a Roma, dei magistrati Mario Amato e Vittorio Occorsio. Per quest'ultimo delitto, fu proprio la Procura di Firenze a occuparsene e in particolare Vigna (con Chelazzi): determinante per l'incriminazione e la successiva condanna di Signorelli in primo e secondo grado per concorso morale nell'omicidio Occorsio fu la testimonianza di Aldo Tisei e per ben due volte, nel 1987 e nel 1989, la Prima Sezione Penale della Cassazione, presieduta da Corrado Carnevale (che nel 1993 fu poi sospeso dal servizio, in relazione alle indagini promosse a suo carico per concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso) annullò le condanne in appello di Signorelli emesse nel 1986 e nel 1988 dalla Corte d'Assise d'Appello di Firenze (la vicenda si è poi conclusa con il passaggio in giudicato della sentenza di assoluzione emessa nel 1993 dalla Corte d'Assise di Appello di Bologna). Una gustosa rassegna di "pentiti" dell'ambiente dell'estrema destra eversiva, di pugno probabilmente dello stesso Signorelli, è nelle pagg. 212-257 del testo "Paolo Signorelli - il Teorema, il Mostro, il Caso", a cura del Comitato di Solidarietà pro Detenuti Politici, Rovereto 1988.
Su altra sponda politica, si pensi alla rilevanza della testimonianza, ottenuta con metodi non proprio cristallini, del tassista Rolandi, alla base delle lunghe traversìe giudiziarie dell'anarchico Pietro Valpreda per la strage di piazza Fontana.

Un piccolo commento dell’autore del blog.
Premesso che sulla seconda parte dell'intervento di Reimarus dichiaro la mia ignoranza e non esprimo opinioni, torno subito al tema che qui ci occupa.

 Temo che ogni studioso, di qualsiasi materia, nella sua attività, quand’anche sia convinto di operare con la massima oggettività possibile, finisca con lo sposare un’ipotesi che sia in grado di spiegare il fenomeno che è oggetto di studio. In altre parole, un’acribìa assoluta è probabilmente irraggiungibile.
Segnini si è convinto per illuminazione ricevuta vedendo un video (almeno così ho capito) che Lotti sia stato il vero Mostro di Firenze; e ha passato anni a individuare, con grande acutezza e perspicacia, ogni piccolo elemento che concordasse con questa sua ipotesi, trascurandone altri che con questa non si accordavano. Faccio solo un esempio. La strenua difesa che Lotti fa della sua colpevolezza nel finale del processo di I grado e in quello di appello, quando spunta la questione delle auto, dimostra a mio parere ad abundantiam che in quel frangente Lotti, ben lungi dall’essere un astuto che sta fregando la giustizia, non è altro che un docile strumento dell’apparato giudiario, dichiarante a suo stesso discapito.


Sposare un’ipotesi, innamorarsi di un’ipotesi di lavoro (notare la valenza affettivo /erotica dei termini che abitualmente si usano) è un fenomeno dal quale nessuno è immune. Io stesso, che predico come mantra che “del Mostro di Firenze non sappiamo niente”, involontariamente formulo un’ipotesi (quella del dubbio sistematico) di cui sono innamorato. Faccio un altro esempio concreto riferito ora alla mia modalità di pensiero. Ritengo che MdF fosse probabilmente un killer unico; tendo di conseguenza a trascurare ogni ipotesi che comporti gruppi assassini, complotti, mandanti, sette esoteriche; e quando le approfondisco, ad esempio contra “Compagni di Merende”, è per contestarle, ricadendo quindi inevitabilmente in tunnel vision, cherry picking ecc.
In tema religioso, può accadere che quando si apostata da una dottrina spesso si diventa i peggiori nemici di quella fede cui un tempo si aderiva; abbiamo esempi medievali di ebrei o eretici convertiti che divennero persecutori dei loro antichi correligionari. In altre parole, quando ci si distacca da una credenza, si tende ad estremizzare in senso opposto. Così io, che ho iniziato come mostrologo “sardista” nel 2011, affascinato dalla storia del bambino sperso di notte nei campi, avendo acquisito ora una visione d’insieme “non sardista”ho maggior difficoltà a interpretare nuovi elementi di conoscenza in maniera neutra, ma cercherò di vedervi solo i dettagli che confermano la mia credenza. Brutta cosa, ma invitabile, temo.