Travalle |
Il 10 luglio 1997 Rossella Parisi e Giampaolo Tozzini resero testimonianza al processo “Compagni di merende”, indotti dal P.M. La loro testimonianza integrale si può leggere, come sempre, su “Insufficienza di prove”. Dall’udienza risulta che i due – o quanto meno la donna - erano già stati sentiti il 23 giugno 1994, ossia nel pieno del primo processo contro Piero Pacciani. Giovanni Faggi, futuro presunto “compagno di merende”, poi assolto, aveva deposto il precedente 26 maggio, venendo tartassato (termine che non uso a caso) dal PM Canessa in merito alla cartolina da lui spedita a Pacciani nel 1979 come pure sul suo uso di falli artificiali. La vicinanza delle date fa pensare che la testimonianza di Faggi, ritenuta reticente, abbia riportato l’attenzione sull’avvistamento di Calenzano, in quella fase storica piuttosto trascurato per un motivo molto chiaro: l’identikit stilato nell’occasione non assomigliava per nulla a Pacciani, né l’imputato risultava essere mai stato proprietario di un Alfa GT rossa. Non tutti sanno che in corso di processo le indagini andavano infatti avanti, concentrandosi soprattutto sui conoscenti di Pacciani; non si era ancora arrivati all’ipotesi “complici”, che spunterà fuori, piuttosto inopinatamente, nella sentenza di I grado, ma si cercava chi sapesse qualcosa e non avesse parlato (nonostante la taglia non indifferente del 1985, vabbè).
Quello che appare fondamentale nella testimonianza Parisi – Tozzini, oltre all’identikit, è la sicura identificazione dell’auto, un modello certo non molto comune: Alfa GT rossa a 4 fari. Sono tutto meno che esperto di auto; ricorrendo a wikipedia, nella speranza che i dati riportati siano esatti, scopro che l’Alfa Giulia Gran Turismo (GT) venne prodotta dal 1963 al 1976, in vari modelli, alcuni a due fari altri a quattro, alcuni che mantenevano il nome Giulia, altri semplicemente rinominati Alfa GT junior o veloce.
Poiché in dibattimento si dice che l’auto non era una Giulia ma una Alfa GT, il modello visto dalla coppia potrebbe essere una Alfa GT 1750 veloce (prodotta in due serie dal 1967 al 1972) o una Alfa GT 2000 (prodotta dal 1971 al 1975). En passant, si può notare una vaga somiglianza nella parte frontale con la FIAT 128 coupé.
Non sappiamo (o, detto meglio: non so) quali indagini vennero condotte nel 1981 per individuare l’auto e il suo guidatore. Certamente, quando nel giugno del 1982 l’identikit venne diffuso alla stampa non si era raggiunto alcun risultato; tanto che l’articolo di Spezi si conclude con l’invito, che sarebbe stato fatto da carabinieri e inquirenti, a segnalare eventuali riconoscimenti o anche, se qualcuno si fosse riconosciuto nell’identikit, a presentarsi sotto garanzia di anonimato (tuttavia, c’è da dire che questa opzione, vista la sorte toccata a Enzo Spalletti, poteva sembrare poco allettante). Si può sperare che si sia verificato se qualche abitante del luogo (via dei Prati, via della Marinella) fosse in possesso di un’auto oggettivamente poco diffusa; altrettanto c’è da augurarsi che siano stati controllati i clienti del Ristorante di Travalle, anche se bisogna dire che chi volesse tornare dal ristorante principale poteva prendere, ugualmente e meglio, via Macìa. Chi rimane a potersi trovare a percorrere a grande velocità quella strada intorno alla mezzanotte e con il viso stravolto e gli occhi sbarrati? Esclusa una coppia di ritorno da un appuntamento clandestino (ma perché a quella velocità? E comunque l’uomo era solo), rimangono a mio parere due ipotesi: un guardone che abbia visto la scena del crimine (durante o al massimo immediatamente dopo il fatto) o l’assassino stesso. Ora, se poteva essere rischioso presentarsi nel 1981, difficilmente lo stesso si può ritenere del 1985 e seguenti, quando anzi ci si sarebbe potuti attendere, sapendo qualcosa, un concreto vantaggio economico. Ovviamente, può benissimo darsi che l’ignoto guidatore in fuga avesse visto solo la scena a delitto compiuto e non fosse stato in grado di dare informazioni utili.
La coincidenza di tempo e luogo è molto significativa. In linea d’aria - secondo Google Earth - il ponte sulla Marina dista 1200 metri dal luogo del delitto, poco di più seguendo via dei Prati; soprattutto, dal viottolo la strada di uscita è obbligata, a meno di non continuare fino a Travalle e poi girare in via Macìa, e non c’è possibilità di altro passaggio diciamo casuale. Quanto al tempo, occorrerebbe sapere l’ora precisa del delitto (la coppia uscì di casa, a brevissima distanza sulla via Mugellese, dopo le 22.40) e quando effettivamente avvenne l’avvistamento, se un po’ prima di mezzanotte come si dice in dibattimento (sarebbe una coincidenza notevole) o intorno alle 0.30, come riporta l’equipe De Fazio.
A chi pensa che questi elementi siano poco significativi, vorrei ricordare il contenuto di altri avvistamenti d’auto che vennero valutati al processo “Compagni di merende”. La signora Frigo vide le auto in un punto indeterminato a circa 1 km dalla Boschetta, ma più di due ore dopo l’omicidio; ii coniugi Caini-Martelli a circa 7 km (seguendo il confuso e del tutto incongruo percorso ipotizzato dalla sentenza; si veda qui ) e più o meno alla stessa ora della Frigo o addirittura prima – cosa palesemente impossibile. Per non parlare del riconoscimento della Ghiribelli che è, come oggi sappiamo, errato di almeno un giorno, probabilmente di due. Insomma, a parte il caso Spalletti, sul quale si sa troppo poco, quello delle Bartoline sembra essere l’avvistamento più prossimo per luogo e tempo a uno dei delitti del Mostro di Firenze.
Concludo con un apparente “fuori tema”. Nel 2009 sul forum “Il Mostro di Firenze” un utente riportò un brano di un articolo che sarebbe apparso su “Visto” nel 1994 (data imprecisata, probabilmente in coincidenza con il processo Pacciani). Riporto il breve brano:
“«Ho, paura, c’è un uomo alto, con una Alfa Romeo rossa, i capelli rossicci che mi segue continuamente», s’era confidata Susanna con Alessandra Ciaboni, sua amica e coetanea che, andata in vacanza a Ragusa l’estate successiva, fu trovata uccisa con un coltello nel petto e ferite profonde nel pube. Perché nelle trentamila pagine dell’inchiesta la verità c’è, forse è seppellita o forse troppo evidente da non essere stata vista, ma c’è. E prima o poi verrà fuori. Perché ad esempio un’Alfa Romeo rossa fu fermata dai carabinieri alle Bartoline poco prima dell’omicidio di Susanna e Stefano, che avvenne attorno alle 23,30 e i militi dell’Arma si limitarono a controllare la patente del guidatore osservando, però, che «il conducente rivelava uno stato di agitazione psicomotoria inusuale». I carabinieri non lo sanno e non parlano, ma nelle famose trentamila pagine dell’inchiesta l’ex legionario è apparso, eccome, e proprio nel 1981 e proprio dopo l’omicidio di Susanna e Stefano. Era lui l’uomo fermato alle Bartoline su un’Alfa rossa alle 22 circa del 22 ottobre, era lui l’uomo agitato e nervoso che fu lasciato andare, era lui uno dei guardoni della zona.”
Poiché: 1. Non ho potuto vedere materialmente l’articolo; 2. il pezzo contiene gravi errori di fatto 3. il suo autore (De Stefano) dovrebbe essere quello stesso “Randagio” che ha scritto uno dei libri più brutti e insulsi mai pubblicati sull’argomento “Mostro di Firenze”, ho riportato la citazione solo a titolo di curiosità, lasciando ai lettori l’onere di trarne le conclusioni che preferiscono.