martedì 29 luglio 2014

Via di fuga a Vicchio (6)

Bivio a San Martino a Scopeto - a sinistra verso Contrada Belvedere, a destra verso La Rena

Dal nostro punto di vista di valutazione dell'attendibilità della "via di fuga" è però importante una precisazione fatta dalla signora MGF in udienza in udienza il 7 luglio 1997, di essere sicura, per esperienza diretta, che all'epoca la strada portava oltre la fattoria La Rena, fino alla chiesa. Non vi è motivo di non crederle.


Cappella di San Martino a Scopeto

Dunque, sintetizzando, è altamente probabile che il percorso ipotizzato nella tesi accusatoria e riscontrato dal Lotti nel modo, alquanto incerto, che già abbiamo visto fosse effettivamente percorribile, seppure con cautela, secondo il tragitto: Boschetta - La Rena – San Martino a Scopeto – Bricciana – incrocio per Santa Margherita – Dicomano. Rimane netta l'incongruenza, soprattutto da parte di chi, come Pietro Pacciani, ben conosceva i luoghi per avervi lavorato anni prima, di fare un giro dell'oca per poi tornare indietro lungo la Sagginalese per nascondere la pistola quando da San Martino a Scopeto si poteva discendere direttamente a Bovino.

Singolarmente, la testimonianza della Signora MGF non venne accettata dai giudici di primo grado al processo CdM, per una serie di motivi che qui sarebbe lungo riassumere. Questo porterebbe ad escludere che gli assassini abbiano utilizzato quale via di fuga il percorso attraverso La Rena (pare che la signora con i cugini avesse passato la serata sull'aia, è da presumere che si sarebbero accorti di un passaggio di auto in corsa sulla carrareccia così eccezionale da rimanere impresso ai coniugi Caini-Martelli). Su che strada dunque i CdM sarebbero saliti dalla Sagginalese a San Martino a Scopeto? Nella cartografia, anche quella dettagliatissima 1:25.000, non sono segnate altre strade oltre quella, già da me indicata, il cui imbocco è addirittura oltre Ponte a Vicchio; ma si ritornerebbe allora all'itinerario assurdo già segnalato, buoni venti minuti di strada pericolosa per ritornare praticamente al punto di partenza (ossia al Podere Schignano al fine di nascondere la pistola). Le sentenze non si preoccupano di dirimere questo dubbio, anzi la sentenza di appello sbaglia, a mio parere, ad indicare il possibile itinerario, collocando il passaggio a Bovino prima di quello alla fonte di Santa Margherita (forse per far quadrare meglio gli orari); ma allora verrebbe a mancare il movente di evitare il passaggio a livello, in quanto per andare dalla Boschetta a Bovino lungo la SP 41 il passaggio a livello si deve comunque attraversare!

Penso sia opportuno fare, in conclusione, due osservazioni a carattere generale. Anche in questo caso, come in molti altri (valga per tutti la dinamica del delitto di Baccaiano, già esaminata qui), è impossibile smentire le dichiarazioni del Lotti con dati di fatto concreti; ma ciò deriva in gran parte dalla vaghezza e indeterminatezza delle dichiarazioni stesse: la via di fuga è nelle sue parole soltanto una strada molto terrosa che lui non conosceva e quindi, abbastanza logicamente, non è in grado di identificare dodici anni dopo il fatto. Inoltre, l'ordine logico dell'indagine è l'inverso di quello che dovrebbe essere: invece di trovare prima i testi e poi riscontrarne le dichiarazioni, si individuano prima i riscontri (nel caso specifico, Caini-Martelli) e poi si ottengono le testimonianze; il percorso è in certo qual modo obbligato dall'andamento delle indagini, come tutti sappiamo, ma naturalmente non può non lasciar adito a dubbi: Caini Martelli nel 1984 vedono due auto correre sulla sterrata, Lotti nel 1994 ammette di aver percorso una strada terrosa; quale testimonianza riscontra effettivamente l'altra?

A differenza di altri, maggiormente ottimisti, a trent'anni oggi dal duplice omicidio di Vicchio, sono convinto che sia ormai impossibile giungere alla verità, né è mai stata questa la mia ambizione. Rimane il compito di riesaminare in maniera critica quanto fatto (o non fatto) e di dare una propria valutazione, esclusivamente ai fini di uno studio storico della materia.

lunedì 28 luglio 2014

Via di fuga a Vicchio (5)



Anche in corso di indagine, le dichiarazioni di Giancarlo Lotti in merito sono molto scarne, almeno stando a quanto finora pubblicato. Come detto, nelle dichiarazioni spontanee del 11 marzo 1996, disse soltanto di "aver seguito Pacciani e Vanni con la sua macchina su una strada sterrata molto terrosa, tanto che, a causa della polvere sollevata dall'auto di Pacciani, non riusciva a vedere nulla" (Compagni di sangue, pag. 98). L'immagine così evocata coincide perfettamente con la testimonianza Caini-Martelli (1994): "una macchina levava un polverone rispetto a quella che seguiva(…)". Portato il giorno dopo a compiere un sopralluogo a Vicchio insieme al PM Canessa ed al capo della Squadra Mobile Giuttari, Lotti riconosce (ovviamente) il luogo del delitto, ma sembra (mi baso qui sullo stralcio di verbale riportato in Uno, Qualcuno, Centomila, Sangel edizioni) che non riuscisse a collocare la strada terrosa percorsa (quanto meno la salita verso La Rena), ma individua, (del resto, vi è un'indicazione stradale) la strada che, prima di Dicomano, sale in direzione di Bricciana, dove avrebbe inconsapevolmente incrociato quella notte i coniugi Caini-Martelli intenti ad attingere acqua alla fonticina (in pratica, ricostruisce l'itinerario al contrario). Tuttavia, la scarsa dimestichezza con i luoghi non può stupire, se è vero che quella notte si limitò a seguire, nel buio totale e in mezzo alla polvere, le luci posteriori dell'auto di Pietro Pacciani; ma è anche strano, in quelle condizioni di guida, che abbia notato e ricordi dopo 13 anni l'esistenza del ponticino e della fonticina.


Colonica posta sul poggio a breve distanza dalla Boschetta

E' il momento di riassumere quanto detto fin qui. Nel 1984, i coniugi Caini-Martelli riferiscono agli inquirenti di aver incontrato, sulla stradina che da Bricciana scende alla Sagginalese in direzione Dicomano due auto sospette che si inseguivano a forte velocità (il discorso dei colori e dei volumi è troppo vago e soggetto a suggerimenti vari per parlarne, meglio ignorarlo in toto). A quanto pare la dichiarazione non venne verbalizzata e nel corso del processo Pacciani (luglio 1994) i due erano tornati in Questura per dichiarazioni spontanee, questa volta verbalizzate, ma non utilizzate (in quel momento storico nessuno aveva ancora in mente una pluralità di serial killer). E' dunque il commissario Giuttari, che nel suo lavoro di rivisitazione degli atti di indagine di cui lo ha incaricato il procuratore Vigna, rivaluta la testimonianza; et pour cause, si stanno cercando ora i complici di Pacciani. Quando alla signora MGF, la sua prima testimonianza risale al dicembre 1992 e parla di un'auto sullo scuro (diventerà poi bianca al processo CdM) incrociata sullo sterrato che dalla Sagginalese sale a San Martino a Scopeto passando per la fattoria La Rena. Probabilmente fu la discrepanza di colore (la Ford Fiesta di Pacciani era bianca) a convincere la pubblica accusa ad ignorare la teste al processo Pacciani. Solo nel 1996 (salvo errori), interrogata dal commissario Giuttari, introdurrà sulla scena una seconda auto rossa, con la coda tronca, che seguiva la prima alla distanza di 2-300 metri ma che sarebbe poi svoltata in una mulattiera laterale, tanto che avrebbe pensato essere l'auto del contadino.
(SEGUE)

domenica 27 luglio 2014

Via di fuga a Vicchio (4)







In effetti, tra San Martino a Scopeto e Bricciana, un'altra carrareccia, che sembra in condizioni migliori della prima, scende verso la Sagginalese proprio nei pressi di Bovino, dove a dire del Lotti, in un cascinale (che corrisponderebbe all'attuale agriturismo "Podere Schignano"), Pacciani avrebbe temporaneamente nascosto la pistola. Il percorso più breve, volendo assolutamente evitare il passaggio a livello, sarebbe dunque stato questo, che traggo dalla bella monografia sul delitto di Vicchio diffuso in rete dal forumista "Rover".
Quella sotto invece è la cartografia della zona 1:100.000 anni Novanta.  Per andare dal punto 1 al punto 2 non occorre passare da Bricciana – Santa Margherita, ma si può percorrere la carrareccia che scende a Bovino e ritorna alla SP 41 (Sagginalese) poco dopo il famoso passaggio a livello. Questo percorso, però, escluderebbe che le auto avvistate presso la fonticina dai coniugi Caini – Martelli fossero quelle dei Compagni di Merende.

Cosa dice Giancarlo Lotti di tutto ciò? In verità ben poco. Interrogato in udienza dall'avvocato di parte civile Curandai il 28 novembre 1997 dirà:
"Era una strada un po' sterrata, però io la strada... la conosceva solamente lui, io un...
Io sono andato dietro a lui, un so, dietro al Pacciani. (…) Io un ho guardato, perché, sai, in quei momenti lì impaurito com'ero un ho mica guardato se l'era veloce o a 40 o a 50. Quello... Lui andava un pochino più forte di me. (…) io un la conoscevo di certo. Io un la conoscevo di sicuro. ... s'è passato dove c'era una fonticina, una fonte, c'è un ponticino... poi si passa di lì. E c'è una fonticina dalla parte destra andando per questa strada. (…)
E poi si proseguì. Poi s'arrivò a questo posto in do' c'è questo casolare. Poi con la macchina proprio qui un ci siamo andati. C'è un tratto, sarà stato un 50 metri, che un si poteva entra' perché c'era delle buche grosse e allora con la macchina non si poteva entrare." 

Interviene il Presidente: "Lei a questo casolare ci siete andati dopo essere passati dalla fonticina? O prima di passare la fonticina?
Giancarlo Lotti: Dalla fonticina e poi questo casolare. O prima, sa la strada un la conoscevo.
Presidente: Ho capito, però, siccome lei ricorda la fonticina, ha detto cose che... si ricorda anche che portava più acqua, meno acqua e tutte queste cose qui, vuol dire che la conosceva bene questa fonticina. Ora dice che ha passato la fonticina e poi ha parlato del casolare dove andava a nascondere non so che cosa. Ecco, volevo sapere io, al casolare ci siete passati prima di andare alla fonticina, passare davanti alla fonticina, o dopo?
Giancarlo Lotti: Questo come fo a giudicarlo, non lo so mica."

(SEGUE)


 

sabato 26 luglio 2014

Via di fuga a Vicchio (3)

Se si guarda la mappa che ho già postato (che però è recente) si nota bene che vi è un tratto centrale, dalla casa posta ad altitudine XXX fino ad altra casa posta poco prima (salendo) del bivio che porta a contrada Belvedere, che sulla mappa è segnato come carrareccia. Su altra mappa 1:100.000 degli anni 90 addirittura come sentiero. Questo ovviamente non esclude che nel 1984 fosse percorribile. In effetti, ho fatto due settimane fa un sopralluogo ed attualmente la strada in salita dalla Sagginalese fino alla fattoria La Rena, pur sterrata, sassosa e ripida, è ad oggi tranquillamente percorribile in auto, anche non 4x4, con un po' di cautela.


 
Più malandato, ma anch'esso percorribile quasi a passo d'uomo è il tratto superiore dalla cappella di San Martino a Scopeto, in discesa fino alla casa che ho detto prima.



Da lì, diventa un sentiero tra gli alberi, poi all'aperto, che riporta alla carrareccia per La Rena.







Ho interpellato un abitante del luogo, che mi ha detto che in passato lo stato del sentiero era migliore ( e comunque lui ci passa ancora con il pick-up; infatti i solchi delle ruote sono ben visibili).
Fatto sta che già nella carta più antica (anni Novanta) il tragitto è segnato come "mulattiera" ed è molto dubbio che fosse percorribile con auto normali – per quanto i contadini vadano normalmente nei loro campi con l'auto, sembra strano definire un tracciato del genere come "ideale via di fuga".  



















giovedì 24 luglio 2014

Via di fuga a Vicchio (2)


Un tale percorso quale via di fuga non sembra per nulla utile. Nel dicembre del 1992, però, quando Pacciani era già da tempo nel mirino della SAM (sarebbe stato arrestato nel gennaio successivo), la signora MGF contattò il PM in merito ad un curioso episodio che le era occorso nella tarda serata di quel 29 luglio 1984 mentre si trovava nelle vicinanze del luogo del delitto e interrogata dalla P.G. dichiarò (cito da Il Mostro di Michele Giuttari):
"Percorrevamo, intorno alle ore 23.55, quella strada con provenienza dalla fattoria La Rena e eravamo diretti verso la via denominata Sagginale. Tale strada ha sbocco nelle vicinanze del luogo del duplice omicidio. A circa un chilometro dal termine della strada sterrata incrociammo una macchina con alla guida una persona che non accennava a rallentare e procedeva con accesi i soli fanalini di posizione. Tale condotta mi aveva preoccupato, anche se mio marito mi tranquillizzò dicendo: vedrai che si fermerà. La persona che ho notato aveva un'età intorno ai 50 anni con capelli brizzolati, tagliati a spazzola e indossava una camicia a quadri con maniche rimboccate aperta sul collo. Il suo sguardo era deciso e determinato... In merito all'autovettura posso affermare che questa era di media cilindrata, certamente non di marca italiana. Circa il colore non voglio esprimermi con l'assoluta certezza anche se ritengo che propendesse sullo scuro. Non era dotata di poggiatesta (…)."
Nel 1992 – e anche successivamente, nell'ambito del processo ai Compagni di Merende, quando fu sentita in udienza, la teste MGF dichiarò di essere certa che alla guida dell'auto vi fosse Pietro Pacciani (la cui Ford Fiesta era però bianca, ragione per la quale, probabilmente, la testimonianza non era stata valorizzata nel processo del 1994).
Se l'auto fosse stata quella di Pietro Pacciani, ciò significherebbe che gli assassini per salire a San Martino a Scopeto non avrebbero fatto il lunghissimo giro delineato nel post precedente (prendendo la strada per Bricciana), ma avrebbero invece imboccato la ripida carrareccia che, partendo dalla Sagginalese a poca distanza dal luogo del delitto, sale fino alla fattoria La Rena (rectius L'Arena, nella cartografia) e da lì a San Martino, sboccando proprio a fianco della chiesetta. 

Il commissario-scrittore Giuttari verificò (nel 1995) "che quella strada sterrata è un'ideale via di fuga, l'unica per potersi allontanare percorrendo i primi chilometri lontano dalla strada principale, dove sarebbe stato più facile incontrare altre auto, ed evitando un passaggio a livello sulla Sagginalese, non lontano dal luogo del delitto, che avrebbe potuto ostacolare la fuga rallentandola" (Il Mostro cit;ma, per chi fosse interessato a un approfondimento, molto maggiore spazio alle testimonianze è dato nel precedente volume "Compagni di sangue" scritto con Carlo Lucarelli).


In sostanza, il percorso dalla Sagginalese a San Martino a Scopeto è quello che congiunge i punti da 1 a 4 sulla mappa qui sopra.

(SEGUE)

martedì 22 luglio 2014

Via di fuga a Vicchio (1)



Le dichiarazioni, invero scarse e confuse, di Giancarlo Lotti sul percorso seguito dalle auto dei Compagni di Merende per allontanarsi dal luogo del delitto di Vicchio costituiscono uno dei "riscontri oggettivi" alla confessione / chiamata in correità accolti (parzialmente) nelle sentenze. Vale la pena di esaminarle in dettaglio, mettendole a confronto con quanto dichiarato dai testimoni.

 Il primo apparire della strada polverosa percorsa per fuggire (in luogo, come sarebbe stato naturale, della Sagginalese, in un senso – verso Dicomano- o nell'altro – verso Vicchio /Borgo San Lorenzo) si ha a quanto sembra nella deposizione di Lotti del 11 marzo 1996. Cito da Insufficienza di Prove:
"Quindi partirono ed io andai dietro loro. Dopo pochi minuti presero una strada sterrata che Pietro mi disse bisognava fare per evitare il passaggio a livello ed io andai dietro di loro seguendoli a breve distanza e ricordo che riuscivo a vedere poco perché la macchina di Pacciani alzava parecchia polvere. Dopo questo tragitto in terra battuta, che sarà durato 5/10 minuti, abbiamo ripreso la strada normale verso Dicomano per tornare a casa e li seguii sino a San Casciano dove arrivammo tardi sicuramente dopo la mezzanotte."
Ne "Il Mostro", il commissario-scrittore Giuttari così riassume: "Avevano percorso una strada sterrata, molto terrosa, tanto che per la polvere sollevata dalla Ford lui non riusciva a vedere quasi nulla. Dopo circa dieci minuti avevano ripreso la strada asfaltata per Dicomano ed erano giunti a casa intorno alla mezzanotte. La dichiarazione coincide con le testimonianze(…)"
 Quali sono queste testimonianze? Nel volume già citato, Giuttari così descrive la testimonianza Caini-Martelli: "I coniugi la notte del delitto stavano tornando nella loro abitazione di Fiesole, in auto. Erano reduci da una festa a casa di loro parenti che abitavano in località "Santa Margherita", a pochi chilometri dal luogo del delitto. A mezzanotte si fermarono a una fonte che si trovava lungo la strada sterrata che dalla provinciale Sagginalese conduceva a San Martino a Scopeto e Bricciana, località a ridosso della piazzola teatro del delitto. A un certo punto videro passare a forte velocità -tenuto conto del fondo stradale sterrato e dell'andamento particolarmente tortuoso della strada - due macchine, una scura e un'altra più chiara, guidate da conducenti robusti e adulti, in direzione San Martino a Scopeti-Dicomano. (…) Ambedue i conducenti avevano una sagoma robusta e non erano giovani... Costoro andavano in direzione opposta alla nostra; quindi da San Martino a Scopeto verso Dicomano."
Ora, per uscire sopra Santa Margherita partendo dal luogo del delitto su strada normalmente carrozzabile, pur non asfaltata, occorreva tornare oltre Ponte a Vicchio, girare a sinistra, farsi tutta la salita stretta e tortuosa fino a San Martino a Scopeto per poi ridiscendere sulla Sagginalese poco prima di Dicomano, come si vede dalla mappa qui sopra.  Dopo di che gli assassini sarebbero tornati verso Vicchio per nascondere la pistola in un casolare presso Bovino e infine avrebbero ripreso la strada per Dicomano, poi Firenze e San Casciano; e tutto per evitare una possibile sosta ad un passaggio a livello (più avanti sul tragitto ve ne sono almeno altri due).
(Segue)

sabato 19 luglio 2014

Viaggio 2014 (2)


Nel mio libro ho dato per quasi certo (diciamo al 99,99% di probabilità) l'accompagnamento di Natalino dal luogo del delitto alle vicinanze di casa De Felice. Trovandomi nei giorni scorsi in loco, ho voluto fare una prova pratica delle condizioni di visibilità notturne, per quanto permesso dalla trasformazione dei luoghi. La strada sterrata è oggi una sorta di tratturo erboso che costeggia il Vingone, ma il tracciato si distingue in maniera chiara. Secondo il calendario lunare, il 15 luglio scorso era una notte di luna piena calante, ma io luna non ne ho vista, non so se era già tramontata o era nascosta dalle nuvole, non sono assolutamente addentro le questioni astronomiche. Secondo il sito "Calibro 22" il 21 agosto 1968 la luna invece era quasi nuova ossia invisibile (lo scrive anche il giudice Rotella: "non vi è nessuna luce intorno e nemmeno quella della luna"). Tanto premesso, spenta la torcia elettrica si vede ben poco, ma lentamente gli occhi si abituano all'oscurità e si comincia a percepire il terreno intorno. L'illuminazione dalla parte di via di Castelletti, quella da cui proveniva l'auto, è però totalmente moderna e sembra proprio che all'epoca la zona fosse assolutamente buia, compresa la villa sul poggio.


 
Dall'altro lato, in lontananza, si apprezzano nettamente le luci lungo via Pistoiese, tra la località Le Querce e i Colli Alti di Signa. Questi lampioni stradali, forse in misura minore rispetto ad oggi, dovevano essere già presenti nel 1968. Non è impossibile che il bambino, svegliatosi nel corso della sparatoria, avendo deciso di cercare qualcuno, si sia avviato verso le luci lontane (non quella sulla facciata di casa De Felice, che da lì senz'altro non si vede, ma altre luci in direzione Le Querce – Colli Alti – San Pietro a Ponti) finendo poi per sboccare sulla via Pistoiese.  (Quest'immagine però è presa da molto più avanti sul percorso, all'altezza del secondo ponte).
 


 

D'altra parte, sembra evidente che se vi era luce sufficiente per un accompagnatore, poteva esserci luce sufficiente anche per il bambino da solo (continuo ad escludere un MdF provvisto di torcia elettrica che si carica Natalino sulle spalle, lo porta per più di due chilometri e poi se ne torna tranquillamente indietro). I calzini erano impolverati e bucati; la campagna notturna è piena di fruscii, come riferì Natalino…mah…

Naturalmente questo prescinde dalle valutazioni psicologiche, che ho svolto nel volume insieme ad una psicologa infantile, le quali restano valide.
Insomma, se prima davo l'accompagnamento certo al 99,99%, dopo questo recente sopralluogo sono sceso ad un 99% di probabilità; ma quell'l% residuo permetterebbe di escludere del tutto i sardi e tornare all'ipotesi (Perugini, Filastò) di un assassino seriale unico ed estraneo alle vittime.

venerdì 18 luglio 2014

Viaggio 2014 (1)

Di ritorno dal consueto pellegrinaggio di studio sui luoghi del "Mostro di Firenze", ho riportato alcune informazioni e impressioni nuove, che condivido qui.
La prima, abbastanza marginale, riguarda le "Cascine di Lastra a Signa", sulla cui esistenza o meno si è discusso in altro luogo. Il dato è rilevante per la testimonianza fornita da Francesco Vinci, il quale, interrogato in tribunale nel processo del 1970 dai difensori di Stefano Mele, dichiarò:
"Non ho mai seguito la Locci quando costei era in compagnia di altri uomini. Mi trovai solo per caso a passare dalle Cascine di Lastra a Signa, quando si è verificato l'episodio che ho riferito circa gli atti compiuti sulla Barbara da un individuo che io conoscevo con il nome di Francesco.
Io mi avvicinai per ragionare un poco con quello individuo, meglio con il marito e la Locci per quanto era avvenuto (...)"
 Non avevo mai capito a quale luogo ci si potesse riferire con l'indicazione "Cascine di Lastra a Signa", finché girando per il paese non ho visto il cartello indicatore:


Richieste informazioni a un vigile intento a multare auto in divieto di sosta nel centro storico, mi ha chiarito che non esiste una "via delle Cascine", ma una "zona delle Cascine" alla quale si accede costeggiando il tracciato esterno delle mura percorrendo via del Prato. 
Infatti, dopo duecento metri circa, eccoci qua:

e qua; l'area è occupata da un parcheggio e un giardino pubblico:




E ritengo ben credibile che sia la stessa che fu teatro nel 1967-68 delle performance erotiche dell'ape regina. Si trova del resto a breve distanza, circa 500 metri, dall'abitazione della famiglia Mele – segnata sulla mappa con il numero 1, mentre il parcheggio delle Cascine è contrassegnato dal numero 2:

Il cartello non mente, le Cascine di Lastra a Signa esistono eccome.

martedì 8 luglio 2014

Coincidenze (7)


Un altro personaggio della vicenda al centro di numerose coincidenze negative fu Salvatore Vinci; la prima, ovviamente, è che dopo il suo arresto i delitti cessarono; una seconda che due donne a lui legate (la prima moglie Barbarina Steri, l'amante Barbara Locci) morirono in circostanze misteriose. Una coincidenza singolare, ma che potrebbe essere innocente, è invece la sua presunta frequentazione di Luisa Meoni, una delle prostitute uccise a Firenze in coincidenza con gli "anni del Mostro". La Meoni, assassinata nel proprio appartamento il 13 ottobre 1984, quando Salvatore Vinci, dopo Vicchio e la scarcerazione dei due cognati, era divenuto ormai il principale sospetto nell'ambito della "pista sarda", abitava in via della Chiesa 42. Proprio in quello stabile Salvatore Vinci, aveva detto di essersi recato per un intervento nel pomeriggio del giorno 9 settembre 1983, il giorno in cui venivano uccisi a Giogoli i due ragazzi tedeschi (interrogatorio del 11 settembre). Non mi è noto se l'alibi (se di alibi si può parlare, essendo riferito al pomeriggio e non alla tarda sera) venne verificato all'epoca, ma sembra di no; probabilmente si procedette successivamente, accertando che le altre famiglie abitanti in via della Chiesa non avevano richiesto l'intervento della ditta di Salvatore e deducendo dunque e contrario che l'uomo si era recato dalla Meoni. Il fatto sembrerebbe comprovato dalla testimonianza di un dipendente del Vinci, S.C., che interrogato dai CC dirà "di ricordarsi perfettamente, che in una circostanza, al rientro di un intervento in via della Chiesa, egli ha riferito di aver avuto un incontro con una prostituta" (vedi rapporto Torrisi). D'altronde, nell'abitazione della Meoni venne rinvenuta una ricevuta emessa dalla Pronto Intervento Casa, ma risalente al 1982, segno evidente che la conoscenza tra i due era precedente; sul pianerottolo venne inoltre trovato un adesivo pubblicitario della ditta. E' chiaro che il fatto in sé può essere letto e interpretato in diversi modi: il colonnello Torrisi ipotizza che il Vinci sia il responsabile (anche) dell'omicidio della donna, ravvisando una somiglianza con la morte di Barbarina Steri; ma non sa e non può dire quale mai possa essere il movente dell'omicidio. Il fatto di essersi recato o meno in via della Chiesa 42 alle ore 16 del giorno del delitto di Giogoli, vero o meno che fosse, sembra totalmente ininfluente dal punto di vista investigativo; bisognerebbe immaginare che la Meoni fosse divenuta depositaria di chissà quale segreto inerente il caso del Mostro di Firenze e sia stata eliminata per non farla parlare, essendo lei dedita all'alcol. E sembra strano che un soggetto che viene descritto come molto controllato e riservato come Salvatore sia andato a confidarsi – o in altro modo tradirsi – con una prostituta. 

In sostanza, il rapporto tra i due è reale ed accertato, ma l'interpretazione malevola è, a mio modo di vedere, forzata e priva della necessaria coerenza logica. Rimane dunque, come dicevo prima, una delle tante "sfortunate coincidenze"; ma anche uno dei tanti segni di un modo sciagurato di condurre le indagini, sempre troppo superficiali, sempre troppo in ritardo; e con la pretesa, poi, di supplire con la fantasia alle carenze investigative.

lunedì 7 luglio 2014

Off Topic

Aggiornato l'elenco degli ebooks non mostrologici (scorrere in basso a sinistra, poi armarsi di pazienza e fare una ricerca, non so mettere i link).

domenica 6 luglio 2014

Coincidenze (6)


Altre coincidenze locali e temporali, più o meno forzate, riguardano un altro personaggio che per qualche tempo fu centrale nella vicenda, Francesco Vinci. Come si sa, questi, accusato di duplice omicidio da Stefano Mele, era stato del tutto scagionato nel processo del '70, in parte grazie alla intrinseca inattendibilità della confessione del presunto correo, in parte per l'alibi fornitogli dalla moglie. Quando si tornò ad indagare su di lui, nel 1982, dopo la riscoperta, quale ne sia stata la reale dinamica, del delitto Locci-Lo Bianco come primo ad opera della famigerata Beretta 22 LR, si appurò che nel settembre 1974, un paio di giorni prima del delitto di Rabatta, appena uscito di prigione ove era detenuto per altri reati, questi si era recato a casa di un'amante a Borgo San Lorenzo inscenando una baruffa; che nel giugno del 1982, immediatamente dopo il delitto di Baccaiano, si era dato alla latitanza e la sua auto era stata nascosta (forse da terzi) nel grossetano; che nel giugno del 1982, e anche in coincidenza con la data del delitto, il Vinci lavorava a Montespertoli, effettuando riparazioni nella casa del genero, il quale a sua volta risultava imparentato con la vittima femminile Antonella Migliorini. La sua conoscenza dei luoghi dei delitti di Scandicci-Mosciano e Calenzano-Bartoline poteva essere desunta dalla vicinanza ai luoghi abituali di domicilio ed alla sua frequentazione della zona di Prato.
Dopo aver abitato a Calcinaia di Lastra a Signa all'epoca del delitto del 1968, Vinci si era, tra un periodo di galera e l'altro (ma era sempre libero in coincidenza con i delitti del 1974, 1981_1, 1981_2 e 1982), trasferito a Montelupo Fiorentino, il medesimo paese in cui vivevano sia Enzo Spalletti, possibile teste del delitto di Scandicci e per breve tempo arrestato con l'accusa di essere l'omicida, sia il misterioso Dott. B.
di cui parla questo articolo di Oggi, pubblicato in coincidenza con l'uscita del primo libro di Mario Spezi dedicato al Mostro di Firenze (aprile 1983):

Tratto da Oggi dell’8 giugno 1983 (trascritto dal sito mostrodifirenze.forumup)

Articolo di Vittorio Lojacono 

Un giornalista dice di avere identificato l’autore degli otto delitti commessi nel capoluogo toscano 

CONOSCO NOME E VOLTO DEL MOSTRO DI FIRENZE 

“E’ un medico che agisce sotto l’effetto di un farmaco, facendosi aiutare da due complici”, spiega M. S., le cui rivelazioni pubblicate in un volume hanno convinto il magistrato ad approfondire le indagini.
“Io so tutto di lui e mi aspettavo di vederlo alla presentazione del libro” – “Forse gli telefonerò per intervistarlo” – “Lo hanno tradito la perizia con cui infierisce col bisturi sulle vittime e l’amore per la madre” 

Firenze, maggio 

Il “mostro”, l’assassino delle quattro coppiette di Firenze, forse non è mai stato solo al momento dei suoi otto delitti. I “mostri” potrebbero essere addirittura tre: tre “uomini della notte”, che sono legati l’uno all’altro da un inconfessabile vizio. E che uccidono insieme. Il primo spara, il secondo squarta, il terzo “protegge” la zona. E uno dei tre, il “capo”, è un medico, un ginecologo.
L’ipotesi che i “mostri dietro la siepe” siano più d’uno è in un libro-verità di un cronista fiorentino, M. S.. E su queste rivelazioni il magistrato di Firenze ha riaperto le indagini sugli otto morti. 

(Nota: il riferimento ai farmaci è probabilmente dovuto al ritrovamento sulla piazzuola di Baccaiano della famosa scatola di Norzetam).

sabato 5 luglio 2014

Coincidenze (5)


Come sappiamo, però, la coincidenza "locale" più sfortunata Pietro Pacciani la ebbe con le diverse residenze della ex fidanzata, quella Miranda Bugli che nel 1951 era stata parte attiva – o passiva, secondo i più, - dell'omicidio di Severino Bonini. Condannata per concorso in omicidio a sei anni e otto mesi di carcere, la donna uscì di prigione con un anno di anticipo, nel settembre 1957 ( si veda Insufficienza di prove), si sposò e tornò ad abitare nel natio Mugello. Nel 1960-61 la famiglia si trasferì a San Martino alla Palma, frazione di Scandicci (vicinissimo, aggiungo io, alla frazione Casellina in cui all'epoca abitava Palmerio Mele con i familiari) e l'anno dopo a Lastra a Signa, dove all'inizio del 1967 arriveranno anche Stefano Mele e Barbara Locci, in una via distante circa 200 metri dall'abitazione della Bugli. L'anno successivo al delitto, Miranda Bugli tornò nel Mugello, in comune di Londa, rimanendovi però solo sedici mesi (periodo nel quale si situa l'unica visita certificata di Pietro Pacciani alla ex-fidanzata), dopo di che si trasferì per un lungo tempo a Scandicci e infine a Montelupo Fiorentino. Quindi, a leggere la deposizione della Bugli al processo Pacciani (7 giugno 94), la donna girò almeno sette domicili tra la scarcerazione ed il processo e tutti sull'asse Mugello-Signa-Scandicci-Montelupo (le classiche zone d'attività del Mostro di Firenze). Il domicilio della Miranda Bugli a Lastra a Signa in epoca contemporanea al delitto del 1968 (ma nell'agosto di quell'anno la donna era, a quanto racconta, al mare con i figli) è l'unico elemento che nella tesi accusatoria Perugini-Canessa colleghi Pietro Pacciani al duplice omicidio di Signa; abbastanza secondo gli inquirenti per imputare a Pacciani anche il primo delitto, non abbastanza per la corte, che, con somma incoerenza, - incoerenza che il PM giustamente rileverà nei propri motivi di appello - nella motivazione della sentenza segue pari pari la versione "paccianista", ma conclude poi per un'assoluzione. Ma vanno lette anche, per la loro acutezza e concisione, le 3-4 pagine che il giudice Ferri dedica all'episodio di Signa nel proprio libro "Il caso Pacciani".

Resta il fatto che, tra gli inquisiti noti, Pietro Pacciani (che pure non sembrerebbe essere stato di suo un gran viaggiatore) è l'unico che si può bene o male mettere in collegamento con tutte le località in cui avvennero gli omicidi. Non abbastanza per sostenere un processo, ma certamente una bella serie di "sfortunate coincidenze".

venerdì 4 luglio 2014

Coincidenze (4)


Secondo il sito ViaMichelin, la piazza di Montefiridolfi dista oggi 39 km da via dei Prati a Calenzano. Nel 1981 la distanza doveva essere più o meno la stessa, essendoci già l'uscita autostradale di Calenzano, a mezzo tra Firenze Nord e Barberino del Mugello. Una distanza non eccessiva, ma che di per sé renderebbe improbabile una frequentazione della località da parte di Pacciani a puro scopo di voyeurismo o altri divertimenti, a meno di altre indicazioni; inoltre, a differenza di altre scene dell'omicidio, via dei Prati non è una strada di scorrimento e non porta altro che a Travalle, prediletto luogo di gite (girate, per gli indigeni) e merende dei calenzanesi. Il PM Canessa nel processo del 1994 ritenne di trovare questi altri elementi che giustificassero una conoscenza del luogo da parte dell'imputato in una permanenza per lavoro, quando il Vampa (dal 1981) era al servizio di Afro Gaziero. Il Gaziero, oltre ad avere un terreno a San Casciano, possedeva una ditta a Calenzano, in via Garibaldi 70. Tra l'ottobre e il novembre 1982 la fabbrica si incendiò e il Pacciani fu mandato lì a ripulirla, facendo incetta, secondo il suo costume, di quanto poteva raccogliere (sarebbe questa l'origine, secondo il suo racconto, anche del famoso quadro "Sogno di Fatascienza"). Bene fa l'avvocato Bevacqua a chiarire che l'incendio avviene nel 1982, quindi l'anno successivo al duplice delitto di Calenzano (udienza del 1 giugno 1994). (Nota: e su questo particolare l'Alessandri sembra non contarla giusta e lavorare abbondantemente di fantasia).

Ma poi c'è Giovanni Faggi, il rappresentante di piastrelle di Calenzano che scrive una cartolina a Pacciani chiamandolo "Caro Pietro" e gli regala una tuta; uno che alcuni testimoni, già nel 94, giurano di aver visto insieme a Vanni e Pacciani intorno a casa di Antonietta Sperduto; e che poi sulla base di altre testimonianze, tra cui quella, de relato, di Giancarlo Lotti, diverrà imputato nel processo ai "Compagni di Merende". Una figura rimasta piuttosto enigmatica, Giovanni Faggi sarà alla fine assolto; rimane la curiosa coincidenza che Pietro Pacciani, del tutto fuori delle sue tradizionali zone di appartenenza, avesse un conoscente che abitava, secondo Canessa, a meno di 1000 metri dal campo delle Bartoline dove vennero uccisi Susanna Cambi e Stefano Baldi. Tralascio qui la questione dell'identikit e dell'Alfa GT rossa perché le due cose, a mio parere, non stanno insieme.

Coincidenze (3)

 Riprendo per ora saltuariamente a scrivere, dopo un periodo non facile - e non ancora concluso - sotto molti punti di vista.

Come ben si sa, la vicenda Pacciani è costellata di altre coincidenze, oltre a quella già descritta relativa all'album di fabbricazione tedesca. Non voglio qui parlare della cartuccia trovata nell'orto o dell'asta guidamolla fatta pervenire da un anonimo, perché l'origine di questi "elementi di prova" è sconosciuta e fu messa in dubbio nella sentenza di assoluzione in appello.

Ma guardiamo le coincidenze locali, il territorio segnato dagli omicidi attribuiti al Mostro di Firenze. Pacciani nasce e vive, tranne gli anni passati in carcere dopo il delitto del 1951, nel comune, assai vasto per estensione, di Vicchio del Mugello. Dal 1973, licenziato e in cerca di nuovo lavoro, Pacciani si trasferisce in comune di San Casciano, prima a Montefiridolfi, poi a Mercatale.

Quattro su otto duplici omicidi (Scandicci, Baccaiano, Giogoli, Scopeti) furono commessi in località vicine a San Casciano val di Pesa, l'ultima nello stesso comune; in ciascun caso la distanza chilometrica non supera i 20 - 22 km. Nel 1981 e seguenti, Pietro Pacciani del resto è abbondantemente motorizzato. Ovviamente, il discorso potrebbe essere rovesciato, sostenendo che Pacciani entrò nelle indagini proprio in forza della località dell'ultimo omicidio, senza il quale probabilmente non sarebbe stato neppure sospettato: è da dubitare infatti che se, poniamo, il delitto del 1985 fosse stato compiuto in comune di Pontassieve, sarebbe mai partita la lettera anonima inviata dal vicino di casa sancascianese che probabilmente funse da primo innesco dell'indagine (avendo per risultato la perquisizione del 19 settembre 1985).

Vediamo gli altri. Il mostro di Firenze uccide nel 1974 a Rabatta, al confine tra Vicchio e Borgo San Lorenzo lungo la strada Sagginalese; e dieci anni dopo in località Boschetta, di nuovo lungo la Sagginalese ma più oltre, in comune di Vicchio, non distante da un podere (Particchi a Bovino), nel quale aveva lavorato Pietro Pacciani quando risiedeva nel Mugello. Non vi è dubbio che Pietro Pacciani potesse conoscere bene quei posti, che, d'altra parte, sono a ridosso della via di Sagginale e, contrariamente a quel che spesso si dice, ben poco nascosti.

Rimangono apparentemente fuori della diretta conoscenza e frequentazione di Pacciani i luoghi in cui avvennero i delitti dell'ottobre 1981 alle Bartoline di Calenzano e, soprattutto, il primo, l'inizio di tutto, Signa 1968, i quali meritano un discorso a parte.