giovedì 23 febbraio 2017

Controstoria


La Nazione - 21 febbraio 1996



Quale errore avrebbe commesso il giudice Ferri se quel 13 febbraio 1996 avesse accolto la richiesta avanzata dal procuratore Generale Tony di rinnovazione del dibattimento per sentire i testi Alfa, Beta, Gamma e Delta temporaneamente segretati dalla Procura! Ci avrebbe infatti privato di altri anni e anni di affascinanti, pur se non sempre produttive, indagini.
Proviamo a fare una veloce controstoria.
Quello che avrebbero avuto da dire alla Corte i testi Gamma (Ghiribelli) e Delta (Galli) lo abbiamo già visto, e in maniera molto dettagliata, in questo stesso blog:
http://mostrodifirenzevolumei.blogspot.it/2016/08/la-teste-gamma.html
e
Cosa avrebbero potuto raccontare quel 13 febbraio ai giudici i testi Alfa e Beta, ossia Fernando Pucci e Giancarlo Lotti? Ovviamente, le stesse cose che si erano detti nel confronto tra i due avvenuto solo due giorni prima, 11 febbraio 1996, alla presenza del GIP Lombardo (forse) e del Procuratore Vigna. Il testo di questo confronto è ora disponibile in versione integrale nella seconda edizione del volume “Al di là di ogni ragionevole dubbio” e ogni interessato alla vicenda dovrebbe leggerlo con attenzione e meditarci su. Si tratta della trascrizione di una registrazione audio, quindi riporta le esatte parole dei protagonisti, comprese le pause e le incertezze (corrispondenti ai puntini di sospensione nello scritto) che ci possiamo facilmente immaginare. Ne riporto di seguito alcune battute. 

“Giudice: Allora mi racconti di quella sera.
Pucci: Quella sera quande ci dettan dietro?
Giudice: Eh.
Pucci: Gl’è vero, eh.
Giudice: Dica
Pucci: Allora noi si vide due, no?
Giudice: Uhm.
Pucci: Insomma ci si fermò lì con la macchina a fare un bisogno, no?
Giudice: Vero?
Pucci: A pisciare, vero.
Lotti: Ma, mica proprio dentro, lì.
Fernando Pucci: No, sulla strada s’eramo.
(…)
Lotti: Ma che giorno gl’era, domenica?
Giudice: Domenica
Pucci: Gl’era di domenica, ti ricordi, no?
Lotti: Sì…
Pucci: E andiamo a vede’ per curiosità, ha visto.
Lotti: Sì.
(…)
Pucci: Uno, gl’avea la pistola e quell’altro un curtello da cucina. (…)
Giancarlo Lotti: Ma io unn’ho visto tanto bene, se gl’aveva il coltello o no.(…) A questo punto ci toccò a anda’ via.
Giudice: E chi erano questi due?
Fernando Pucci: A me mi sembrava uno i’ Pacciani e uno il… come si chiama? Il Vanni.
Gudice. Allora?
Pucci: Mi sembrava, ma sa…
Lotti: Io un l’ho visti per bene.
Pucci: Io, tanto sicuro unn’ero nemmen io. Ma insomma…
Lotti: E io un son sicuro. Se devo dire una cosa e poi la unn’è.
Pucci: No…
Lotti: Ma…
Giudice. Ah.
(…)
Giancarlo Lotti: Si partì con la macchina senza pensarci nemmeno. Io… io un l’ho visti per bene. (…) Fra la paura, forse, un l’ho nemmen visto. Perché lui gl’era da parte di là. Forse li potea vede’ meglio. Io ero dalla parte della guida… sicché guardavo la strada. Unn’è che vidi proprio bene. Dalla parte destra … sinistra ….destra insomma (…) Ma ci avevo il 128?
Fernando Pucci: Sì, Ci avevi i’ 128.  Proprio…
Giancarlo Lotti: Quello rosso.
Fernando Pucci: Quella rossa, sì.”

Ce n’è abbastanza. Non è difficile notare che qui a condurre la danza è Pucci e il Lotti gli viene dietro, in un atteggiamento che si può qualificare, a seconda delle opinioni, di reticenza o di ignoranza. Questo davanti a magistrati, senza la presenza di avvocati difensori dell’imputato Pacciani. Si può pensare che questa claudicante versione potesse reggere tre o quattro giorni dopo all’assalto di Marazzita e Bevacqua, con un Procuratore che già aveva chiesto l’assoluzione e un giudice che chiaramente si era maturato una propria convinzione contraria alla tesi accusatoria? Quindi Pietro Pacciani sarebbe stato assolto e la Cassazione non avrebbe avuto la possibilità di rinviare gli imputati a nuovo giudizio per avere la Corte di Assise di Appello “omesso di prendere nella debita considerazione, per eventualmente ammetterla, la nuova prova così come prospettata dal P.G. nel corso della discussione ed in conseguenza di motivare congruamente sulla concludenza e decisività della relativa assunzione, anche alla luce della esclusiva indiziarietà del materiale probatorio fino a quel momento acquisito, poiché è corollario del diritto alla prova il privilegio normativamente accordato ( arg. ex art. 192 co. 2 c.p.p. ) alla prova diretta rispetto a quella indiziaria. Sussiste l’obbligo del giudice di acquisire la documentazione prospettata dalle parti anche nella fase della discussione, per l’esame prodromico dell’esistenza di un «fumus» della pertinenza e dell’utilità di un «novum» e per stabilirne nel contempo la decisività.
Il risultato: Pacciani non avrebbe più potuto essere processato, i testi algebrici sarebbero stati squalificati per la pochezza delle loro dichiarazioni e noi appassionati del caso ci saremmo persi anni di avvincenti indagini sui dottori italiani e svizzeri, sui mandanti gaudenti, i depistaggi dei servizi deviati e i misteri dei doppi cadaveri. Non solo; i veri colpevoli dei delitti del Mostro di Firenze (Vanni e Lotti, più Pacciani in memoriam)  non sarebbero mai stati assicurati alla giustizia. Per nostra fortuna, Ferri errò gravemente nel non ammettere i nuovi testi, il processo fu annullato e la storia seguì il corso che doveva percorrere.
Ma in realtà questo è un esercizio retorico. Lotti e Pucci non sarebbero stati sentiti né il 13 né il 14 febbraio, poiché Tony aveva chiesto, secondo le esigenze della Procura, la sospensione del dibattimento “per qualche giorno” e la riapertura, con l’acquisizione delle nuove prove, una volta cadute le esigenze di segretezza. C’è da scommettere che “dopo qualche giorno” i due supertesti sarebbero stati più precisi, come infatti fu, almeno in parte e dopo un processo di “liberazione interiore” piuttosto tormentato. Di lì a poco (18 febbraio) Lotti avrebbe non solo confermato di aver visto Pacciani e Vanni uccidere i francesi e nascondere in una buca il misterioso involto (armi, feticci?) ma avrebbe cominciato a vuotare gradualmente il sacco anche su Vicchio; e così via. Ma sul motivo per cui i due testi, così titubanti quel 13 febbraio, avrebbero fornito in seguito e reiteratamente testimonianze tali da inchiodare gli assassini alle proprie responsabilità parleremo – forse – prossimamente.

giovedì 16 febbraio 2017

Intorno al 20 di luglio ... (2)





Proviamo ora a fare qualche considerazione e deduzione sulla base dei testi citati, giacché non ne sono emersi altri particolarmente significativi.

In primo luogo, non è definibile con sicurezza quale sia stato lo spunto per il ricordo di Fiori: se la richiesta di allargamento temporale delle indagini avanzata dalla Procura il 3 luglio 1982; se un fonogramma inviato dal Giudice Istruttore in un tempo incerto “dopo il delitto di Baccaiano”; o se fu un ricordo spontaneo. Possiamo osservare, dal modo in cui la richiesta della Procura è scritta, con l’invito ad interessare gli organi centrali di Polizia e l’Interpol, che Vigna e Della Monica pensavano a delitti compiuti al di fuori della provincia di Firenze e della Toscana; infatti si dice “nel territorio dello Stato o all’estero (…) dal 1970 a oggi.” Se ne deduce che quelli “locali, dal 1970 a oggi” dovevano essere già stati esaminati. Dei fonogrammi inviati da Tricomi non c’è, a mia scienza, traccia documentale pubblicata, se non la sua affermazione in un’intervista molto tarda (a Cochi, 2011), quando nel 2002 aveva fatto capire di ricordare molto poco (dichiarazione a Spezi). Del resto, sia detto per inciso, la memoria del G.I. non doveva essere particolarmente brillante: in un’intervista rilasciata a La Città (28 gennaio 1984) in occasione dell’arresto di Giovanni Mele e Piero Mucciarini, Tricomi ammise di aver a suo tempo interrogato i due arrestati, ma di non ricordare le loro dichiarazioni – eppure era passato poco più di un anno, figuriamoci cosa poteva ricordare, dell’intervento di Fiori, dopo 29 anni! Ma c’è di più: Tricomi nel novembre 1981 (ossia dopo il delitto di Calenzano) disse ai giornalisti di aver inviato fonogrammi anche all’Interpol, per capire se l’assassino poteva aver colpito in altri luoghi, fuori Firenze (si veda La Nazione 26 novembre 1981). Non si può escludere che i fonogrammi del 1981 dopo Calenzano siano poi diventati, “sbiadito ogni ricordo” quelli del 1982 dopo Baccaiano. E’ anche probabile che Rotella, investigando appositamente il caso, se avesse trovato traccia di un’indagine in corso in quel periodo ne avrebbe messo in evidenza il rapporto causa –effetto con la segnalazione di Fiori, ma non lo fece; tuttavia questo è un argomento e silentio che può valere poco. Anche le versioni su chi, tra i carabinieri, andò realmente a parlare con Tricomi discordano. Rotella, basandosi evidentemente sul verbale di Fiori, ci dice Dell’Amico; Tricomi, basandosi sulla sua memoria  - con aiutino? – ci dice prima Fiore poi Fiori. In sintesi, non possiamo decidere con sicurezza come mai Fiori si ricordò del fatto del 1968 e perché proprio in quel periodo. Sappiamo però che Fiori lavorava al Comando Gruppo Carabinieri di Borgo Ognissanti, quindi molto probabilmente vide la richiesta della Procura e, anche se essa non si attagliava del tutto, né nella lettera né nello spirito, al delitto di Signa, la sua lettura può averlo indotto a spremersi le meningi.

La diceria della segnalazione anonima, come abbiamo visto, nasce immediatamente e, contrariamente alla leggenda propagata da lui stesso, il primo autore non ne è Spezi, ma il giornalista Giorgio Sgherri seguito a ruota da Franca Selvatici. Quanto a Spezi, ne parlerà molto dopo e la manterrà viva fino all’ultimo (es. documentario di History Channel) ma, nel suo romanzo, fornirà un riferimento preciso: una confidenza del Giudice Istruttore Tricomi, temporalmente situata, da ultimo, in occasione di un’apertura di anno giudiziario. La leggenda continuerà poi apertamente ripetuta di scritto in scritto (anche autorevole: Filastò), finché il lavoro di documentazione di Paolo Cochi non le assesterà un colpo grave, ma non definitivo. E’ difficile dire chi avesse raccontato a Sgherri e Selvatici che l’arresto del Vinci (è questa in fondo la notizia che viene diffusa nel novembre 1982) derivava da un’indagine messa in moto da un anonimo; credo sia scienza comune che queste notizie i giornalisti le ricevono dagli stessi ambienti giudiziari, ossia magistratura e polizia o carabinieri; ma non sempre la fonte è attendibile e non sempre viene riportata con precisione. Tra l’altro, sappiamo (si veda lo sfogo presumibilmente del direttore di La Città, indignato per essere stato bruciato dall’Unità, apparso su quel giornale il 9 novembre 1982) che la notizia era in possesso della stampa “da mesi” ma tenuta nascosta al pubblico a beneficio della segretezza delle indagini; quindi vi era stato ampio tempo per rimuginarvi sopra. Nel processo a Pacciani l’avv. Santoni Franchetti richiese l’audizione di Tricomi e Spezi proprio a proposito del biglietto che avrebbe innescato la “pista sarda” e forse – ma solo forse - nell’occasione si sarebbe potuto fare chiarezza; ma il presidente Ognibene rifiutò, con motivazioni procedurali, l’ammissione dei testi. In quell’occasione, come mi è stato fatto notare da fonte autorevole, Santoni disse di aver sentito la storia anche dal PM Izzo, ma il tutto rimase senza seguito.
Di segnalazioni anonime dopo Calenzano, che segnò lo stabilirsi definitivo del concetto “Mostro di Firenze”, ce ne furono migliaia; basti leggere quello che racconta Spezi nel suo primo libro del 1983, nel quale, come è ben noto, dà tutt’altra interpretazione del contenuto delle tre lettere del “cittadino amico”; anche su questi contenuti la fonte non poteva che essere qualcuno interno all’organo ricevente, ovvero il Comando Carabinieri di Borgo Ognissanti. Mentre Sgherri parla di lettere che facevano riferimento a cinque anziché quattro duplici omicidi (ricevute dunque dopo Baccaiano) che avrebbero dato la stura a una ricerca di vecchi casi. Il che è cosa molto diversa da un biglietto con su scritto, in sostanza: l’assassino (mai individuato, giacché non può essere Stefano Mele) di Signa è il Mostro di Firenze (o quanto meno la pistola è la stessa). Alla luce di quanto sappiamo ora, possiamo verificare se il teorema di De Gothia su “Il cittadino amico” si regge bene in piedi. Il trafiletto rivolto al “cittadino amico” viene pubblicato su La Nazione del 20 luglio 1982. Il G.I. Tricomi, preventivamente allertato dai CC, ha chiesto il fascicolo del processo Mele a Perugia il 17 luglio, ma non l’ha ricevuto, perché le carte se ne sono tornate a Firenze. Se è vero, come deve essere vero, quanto scritto nella requisitoria del PM Mignini, Tricomi richiede il fascicolo a Firenze il 20 luglio e c’è da credere che lo riceva nella stessa giornata, unitamente ai reperti impropriamente spillati al fascicolo (Nota. Cadono in un colpo due cavalli di battaglia dei complottisti: che il depistaggio è avvenuto a Perugia, città massonica per eccellenza e residenza di un personaggio successivamente coinvolto nell’inchiesta; e che per forza i reperti dovevano essere distrutti, quindi non più esistenti. Tricomi chiede espressamente il corpo di reato, segno indubbio che si aspetta che fosse tuttora disponibile; semmai la sede in cui è stato conservato – spillato al fascicolo anziché nell’apposito ufficio del tribunale – non è quella corretta). Seguirebbe poi, coniugando le fonti Rotella – Fiori – Piattelli, una consultazione informale con il perito Zuntini (Piattelli la mette prima della richiesta a Perugia e può avere ragione; forse Tricomi aveva letto sul rapporto che i proiettili erano Fiocchi e la cosa non gli tornava, cosicché cercò una conferma di prima mano?) e il riconoscimento dell’identità dei bossoli. Siamo, anche a fare le cose in maniera velocissima, qualità rara negli uffici giudiziari italiani, per lo meno al 21 luglio. E come potevano i CC rivolgere un pressante appello a mezzo stampa il giorno prima, senza essere sicuri che il cittadino amico, almeno nella terza di tre lettere, l’aveva raccontata giusta? Qualcosa nella sequenza temporale non torna. Ci possono essere varie spiegazioni: ad esempio, Zuntini, interpellato preventivamente come ci dice Piattelli, poteva aver ricercato la sua perizia del 1968, confrontata con la sua perizia del 1974 e verificato dalle foto che i bossoli erano compatibili. O il segnalatore era un mitomane che si era semplicemente inventato che vi erano stati omicidi precedenti (come racconta Sgherri), senza saperlo davvero? O, più banalmente, si tratta di una mera coincidenza temporale e il cittadino amico stava raccontando la storia dell’assassino che scrive “Babbo” (Borgo San Lorenzo – via dell’Arrigo – Bartoline – Baccaiano; fonte Spezi, secondo cui questa sarebbe stata l’ultima lettera del cittadino amico, ma scritta prima e non dopo Baccaiano, per cui la B di Baccaiano come quarta lettera avrebbe allarmato gli investigatori).

Ciò detto, ammettiamo, per amore di ipotesi, che ci sia davvero stata una segnalazione anonima, magari nella forma esplicita descritta da Spezi: perché non andate a vedere il processo di Perugia ecc.?  Qual è lo scopo di un messaggio del genere? Può essere una rivendicazione (dell’assassino che vuole che anche quel delitto gli sia riconosciuto); un indirizzamento (qualcuno che sa che l’assassino ha ucciso per la prima volta nel 1968; o che la pistola ha sparato per la prima volta in quell’occasione); un depistaggio (il delitto di Signa non c’entra nulla con la serie del MdF, ma i bossoli originali sono stati sostituiti ). Continuo a non credere al depistaggio, soprattutto dopo aver letto che venne interessato al riconoscimento il perito balistico dell’epoca; oltre alle difficoltà materiali, forse risolvibili, dovrebbero esserci troppe superficialità, incompetenze e complicità; inoltre, il depistatore doveva conoscere perfettamente la storia e l’ambiente del delitto, per immaginarsi di poter innescare una vicenda quale fu quella che si sviluppò poi per più di sette anni: infatti senza un personaggio come il Mele (ma eccolo, il vero depistatore più o meno involontario!) il depistaggio sarebbe servito a ben poco. Cosa poi era accaduto di talmente grave da rendere necessario un rischioso depistaggio? La pubblicazione dell’identikit di Calenzano e la favola, peraltro mal riuscita, che Mainardi avesse detto qualcosa. Ma la pubblicazione dell’identikit sarebbe comunque rimasta e quanto al Mainardi, se, come alcuni pensano, l’assassino era nell’ambiente delle FF.OO., avrebbe dovuto sapere che non c’era nulla di vero. E perché si sarebbe fatto cenno a Perugia, quando gli atti erano tornati da tempo a Firenze e il depistatore doveva pur saperlo, avendo sostituito / inserito i bossoli?
L’indirizzamento (“pistaggio” in buona fede) è una possibilità; ma perché, come già acutamente scritto da De Gothia, non dire semplicemente anche il nome dell’assassino? Non sembra infatti possibile che chi sa che la stessa pistola di Signa viene usata negli omicidi del Mostro non sappia anche chi la stia usando. La rivendicazione è, volendo ammettere l’esistenza dell’anonimo, la possibilità più logica; ma questo assassino si dimostrerà nel seguito poco propenso a stabilire un contatto con gli inquirenti e quando lo farà, a fine carriera, non sarà per niente loquace. Insomma, nessuna delle tre ipotesi mi sembra del tutto soddisfacente.

La considerazione logica più cogente a mio parere contro l’anonimo è che nessuno all’epoca ci investigò su, ossia si prese la briga di cercare chi fosse stato a inviarla e perché; a meno che non si voglia far passare per indagine il patetico trafiletto del 20 luglio, ammesso e non concesso che si riferisse davvero al segnalatore di Signa. Eppure, è del tutto palese l’importanza che capire chi fosse l’autore della segnalazione avrebbe rivestito: infatti, o era l’assassino o era qualcuno che ben lo conosceva; invece, nessuno se ne occupa, nessuno ipotizza un bel nulla. Tendo ad escludere che i CC (e chi? Il maresciallo o la gerarchia?) abbiano tenuto un tale segreto di fronte al magistrato inquirente. Dell’Amico avrebbe categoricamente dovuto informare Tricomi, la cosa sarebbe rimasta agli atti e Tricomi avrebbe dovuto informarne Rotella all’atto del passaggio di consegne. Il quale Rotella, invece, conduce un’indagine, nel 1986, non per cercare l’anonimo, ma per capire se possa essere vero che anonimo ci fu e fu tenuto nascosto; con i risultati che abbiamo letto in sentenza. Ma se Tricomi, come sosteneva Spezi, sapeva che c’era stato l’anonimo, anzi lo aveva addirittura cercato senza trovarlo perché sparito, perché non ne informò il suo successore?

Posso a questo punto proporre una mia scenetta a scopo ricostruttivo, avvertendo che è del tutto di fantasia.
Prima scena
Maresciallo F. “Ehi Ugo, hai visto questo fonogramma della Procura? Cercano omicidi come quelli del Mostro, nel resto d’Italia o all’estero.”
Appuntato P. “ Buona idea. Però, perché fermarsi al 1970?”
Maresciallo F. “Eh, quando vuoi che abbia cominciato, nell’antica Roma?”
Appuntato P. “Beh, ma dal 1974 al 1981 non abbiamo trovato niente. Quindi è stato fermo 7 anni. Se conti altri sette anni prima del 1974… fa 1967, non 1970. Tanto per dire…”
Maresciallo F. “Ora che mi ci fai pensare… sai che a Signa tanti anni fa ammazzarono quella coppia in macchina… no, ma è una cosa troppo vecchia, addirittura del 1964, mi sembra.”
Appuntato P. “Ma no, guarda che era il 1968; coi tempi ci saremmo ancora. Ma l’assassino, non l’avevate preso?”
Maresciallo F. “Preso e condannato, quindi…”
Appuntato P. “E la pistola, che modello era?”
Maresciallo F. “Quella non l’abbiamo trovata.”
Appuntato P. “Ah, però…”
Maresciallo F. “Strano, vero? Quasi quasi lo dico al colonnello, se n’era occupato lui.”
Seconda scena
Maresciallo F. “Signor colonnello, si ricorda del delitto di Signa del 1968? Quella coppia in macchina?”
Colonnello D.A. “Come no, il mio primo successo investigativo.”
Maresciallo F. “ Sembra un po’ come quelli di adesso, del Mostro, vero?”
Colonnello D.A. “Ma figurati, se va bene il Mele sarà ancora dentro, come fa?”
Maresciallo F. “Ma la pistola, che fine avrà fatto?”
Colonnello D.A. “Eh, però… la pistola… guarda, vammi a prendere il fascicolo, magari ne parlo con il giudice.”
Terza scena
Colonnello D.A. “Signor giudice, vede qui, questo articolo dal nostro archivio? A Signa ci fu un duplice omicidio di una coppia in macchina, catturai io l’assassino, ero tenente alla compagnia.”
G.I. T.  (con pesante accento siciliano) “E che mi viene a significare?”
Colonnello D.A. “Usò una calibro 22, ma non riuscimmo a trovarla… e se fosse la stessa del mostro?”
G.I.T. “Ma no, vedi, qui dice che erano proiettili Fiocchi, non possono essere gli stessi.”
Colonnello D.A. “Ma con la H sul fondello, sono per forza Winchester non Fiocchi.”
G.I.T. “Ma allora, che minchia scrivete?”
Colonnello D.A. “Si potrebbe sentire Zuntini.”
G.I.T. “E senti a Zuntini, magari ha ancora qualche carta.”
Colonnello D.A. “Zuntini ha le copie, dice che ha guardato le perizie, dalle foto sembrano gli stessi del 1974.”
G.I.T. “ E tu digli che se si ricordava prima era meglio. Dove sono gli atti del processo? Li prenda.”
Colonnello D.A. “ Ma sono a Perugia, dove hanno fatto l’appello.”
G.I.T. “Cancelliere, per piacere, scriva: Alla Corte di Appello di Perugia. Per motivi di giustizia attinenti le indagini in corso…”
Di fantasia, ma verosimile, ritengo.


Questo intreccio assomiglia a quei film dal finale aperto in cui non si rimane certi di aver capito chi sia davvero l’assassino. Ho raccontato una storia, ma non so il finale. A tutti piace leggere romanzi: e quello imbastito, in poche pagine, da De Gothia è affascinante: i sardi che sanno che il collegamento tra Signa e la serie successiva è falso, ma non possono dirlo per non essere accusati del primo omicidio, è un colpo di genio. Per questo piace e continuerà a piacere, anche se ha poche possibilità di essere vero.

venerdì 10 febbraio 2017

Intorno al 20 di luglio ...



Posto  qui un articolo di compilazione di fonti sull'incipit della "pista sarda. Vorrei poi fare alcune considerazioni personali, ma mi riservo di verificare se ci saranno commenti o interventi utili allo sviluppo della discussione. Capisco che un articolo così lungo non è di agevole lettura sul monitor e in formato blog, se preferite copiate, incollate e stampate. Sarò grato a chi segnalerà errori o fornirà integrazioni.

La Città, 3 dicembre 1982

 

Raccolta delle fonti relative alla nascita della “pista sarda”


Il collegamento tra il primo duplice omicidio (Signa 1968) e i successivi è da sempre uno dei misteri più controversi tra i molti che costellano il caso criminale del Mostro di Firenze: cittadino amico sì vs cittadino amico no; messaggio anonimo sì vs messaggio anonimo no; depistaggio sì vs depistaggio no. Nel mio libro ho dedicato un’appendice al maresciallo Fiori e al suo apporto alle indagini, prendendo posizione abbastanza netta per depistaggio certamente no, anonimo probabilmente no. Una discussione in corso su un forum dedicato mi induce a ripercorrere la vicenda vagliando nuovamente le fonti in mio possesso; chissà che una rinnovata analisi a qualche anno di distanza e con qualche nuovo elemento a disposizione non possa portare a una conclusione diversa.

Quella che segue è in sostanza una raccolta commentata delle fonti sull’argomento. Nello scorrerle occorrerà tener ben presente che il termine “fonti” è qui usato nel senso più generale e improprio; si tratta in massima parte di testimonianze secondarie (giornalistiche e letterarie) inframezzate da qualche fonte primaria, senza peraltro dimenticare che anche la fonte primaria (es. una sentenza) rappresenta comunque non il fatto in sé bensì un’interpretazione dei fatti. Richiamo qui quanto già scritto su questo blog, disponibile anche su academia.edu (https://www.academia.edu/10202449/Gerarchia_delle_fonti_per_lo_studio_del_caso_del_Mostro_di_Firenze).

Avevo tentato di mettere insieme i pezzi in ordine più o meno cronologico, ma testi e fatti si incrociano in maniera troppo complessa per una raccolta di questo tipo: ad esempio, una sentenza del 2010 ci parla di avvenimenti del 1974. Seguiremo pertanto un ordine logico.


Iniziamo dal 30 giugno 1982, quando, sull’onda dell’emozione per il delitto di Baccaiano, gli inquirenti decidono di far pubblicare sugli organi di stampa l’identikit dell’uomo visto da testimoni sull’Alfa rossa in fuga da via dei Prati a Calenzano, pubblicazione che darà la stura a una miriade di segnalazioni, molte delle quali anonime. Il 3 luglio 1982 abbiamo da parte della Procura della Repubblica di Firenze la richiesta al Nucleo Operativo dei CC e alla squadra Mobile di accertare “se si siano verificati, nel territorio dello Stato o all’estero, episodi delittuosi che per modus operandi siano analoghi a quelli verificatisi in Borgo San Lorenzo, Scandicci, Calenzano, Montespertoli (…) Il periodo che interessa è quello che va dal 1970 ad oggi”. Per ora su questa iniziativa investigativa, a firma di Pier Luigi Vigna e Silvia Della Monica, limitiamoci a osservare solo quella data “dal 1970 a oggi”: ossia gli inquirenti spostano all’indietro il lasso temporale da mettere sotto esame. 


Intorno a metà del mese di luglio apprendiamo da Articoli di Mario Spezi apparsi su La Nazione che: 14 luglio 1982: Carabinieri e magistrati si sono recati a Borgo San Lorenzo. Frenetica attività degli inquirenti. 15 luglio. Frenetico lavoro svolto martedì sera a Borgo San Lorenzo dal giudice Pier Luigi Vigna e da alcuni ufficiali dei carabinieri. 16 luglio 1982:Il caso del mostro diventa “top secret”. Il lavoro frenetico delle ultime settantadue ore sembra in parte essersi calmato e si sarebbe incanalato in una ricerca che richiede tempi abbastanza lunghi e metodicità. Questa “frenetica attività” rimasta indefinita potrebbe essere collegata alla ricerca di una pistola apparentemente scomparsa, a leggere il recente volume “Al di là di ogni ragionevole dubbio” (2.a ed.): “I primi di luglio del 1982, ad esempio, le indagini sull’arma da fuoco portarono a Borgo San Lorenzo il Dr. Vigna in persona, a caccia di una pistola presa in carico da una armeria del luogo e poi scomparsa nel nulla della burocrazia. Quella pista si sgretolò con l’arrivo del filone sardo, poiché la pistola sparita risultava costruita nel ‘67 ma registrata in carico al grossista solo nel ‘69 e quindi dopo il delitto di Signa”. Può sembrare strano che in cerca di una pistola si muova, per più giorni, il Sostituto Procuratore, ma naturalmente mi inchino a chi ne sa più di me. Se questo è vero, le indagini svolte a Borgo San Lorenzo non avevano nulla a che fare con la “pista sarda” che stava nascendo proprio in quei giorni. 


Infatti il 17 luglio 1982 il Giudice Istruttore di Firenze–(ossia Vincenzo Tricomi) faceva richiesta alla Cancelleria della Corte d’Appello di Perugia di ricevere il fascicolo del processo di appello a Stefano Mele, completo del corpo di reato (bossoli per comparazione). E’ questa la prima fonte sulla “pista sarda”; quindi o qualcuno (diciamo subito il nome, tanto lo sappiamo tutti: il maresciallo Fiori) si era ricordato o aveva ricevuto una soffiata nei giorni immediatamente precedenti. C’è da interrogarsi sull’eventuale rapporto tra il ricordo del maresciallo e la richiesta della Procura del 3 luglio, rammentando che la stessa riguardava fatti avvenuti dal 1970 in poi, mentre il delitto di Signa era antecedente. Oggi sappiamo che la richiesta a Perugia andò inevasa perché il fascicolo era stato restituito a Firenze. 


In effetti nella Sentenza del GUP di Perugia del 20 aprile 2010 leggiamo che (nota: il giudice sta citando la requisitoria del P.M. Mignini) – “dall’informativa che il Responsabile del G.I.De.S. Dr. MICHELE GIUTTARI ha inviato alle due Procure di Firenze e di Perugia in data 2 marzo 2005 emerge che il G.I. Dr. TRICOMI il 20.07.1982 ha effettivamente richiesto gli atti alla Cancelleria della Corte d’Assise di Firenze ma non è stata rinvenuta traccia documentale dei successivi passaggi e, quindi, del rinvenimento dei bossoli”. Gli atti processuali erano in realtà stati restituiti a Firenze il 1 aprile 1974. Si evince chiaramente dalla lettura, pur mediata, che nel 2005 gli investigatori del GIDES che indagavano sull’esistenza di presunti mandanti dei duplici omicidi ritenevano che il collegamento del delitto del 1968 avesse rappresentato un clamoroso depistaggio. Infatti così procede la requisitoria del P.M., sempre citata in sentenza: “Va ancora aggiunto che le risultanze della perizia sui proiettili del ’68 sono state non univoche almeno per quanto riguarda il proiettile estratto dal corpo di ANTONIO LO BIANCO, perché, mentre il Colonnello ZUNTINI ha colto sul proiettile in questione n. 6 rigature destrorse, gli altri periti hanno individuato sempre nello stesso proiettile, solo n. due frammenti di impronta di rigature con andamento destrorso”. Se ne deve concludere, tralasciando la mancanza di tracce documentali del passaggio dalla Cancelleria all’Ufficio Istruzione, che : 1. Tricomi chiese il fascicolo (e i reperti) a Perugia; 2. ebbe risposta negativa; 3. chiese il fascicolo a Firenze; 4. ottenne il fascicolo, probabilmente lo stesso 20 luglio.


Per una di quelle coincidenze straordinarie e forse diaboliche di cui è ricolmo il caso che ci occupa, quello stesso 20 luglio 1982 La Nazione pubblicava “Un appello dei carabinieri per il mostro, Un appello è rivolto dal comando del nucleo investigativo dei carabinieri di Borgo Ognissanti a una persona che ha dato più volte il suo contributo anonimo all’indagine sui delitti del maniaco perché si rimetta in contatto con loro. L’uomo, che nella sua ultima lettera si è firmato “un cittadino amico” e che ha scritto tre volte (…) dovrebbe fornire di nuovo la sua collaborazione, magari anche solo telefonando al nucleo investigativo”. Da questo trafiletto, molti anni dopo, il sommo esperto mostrologo che si nascondeva sotto lo pseudonimo di De Gothia ha tratto un breve (e famoso) scritto sul caso, dal titolo “La notte del cittadino amico”, nel quale sostiene la tesi del depistaggio e ritiene di trovare la fonte del collegamento nelle lettere anonime inviate ai carabinieri di Borgo Ognissanti nel 1982 dall’ignoto che si firmava “Un cittadino amico” o “Colui che capisce il mostro”. 


A questo punto abbiamo già in campo l’ipotesi segnalazione anonima al fine di depistaggio, ma dobbiamo ancora sentire l’altra campana, ossia la versione ufficiale dei fatti, rappresentata dal maresciallo Francesco Fiori del quale citiamo, alla data del 28 novembre 1986, il verbale di testimonio senza giuramento dinanzi al G.I. Rotella alla presenza dei PM Vigna e Canessa.- (già riportato da Paolo Cochi nel sito Cronaca-Nera, , ora nel volume “Al di là di ogni ragionevole dubbio, 2.a ed.). “Avevo seguito il caso sul delitto di Signa, accompagnando il Maresciallo Ferreri (sic) all’Istituto dove era ospitato il bambino Natalino Mele. Nei giorni dell’omicidio non ero presente a Signa perché in ferie. Dopo il delitto del 1982, parlando con l’appuntato Piattelli Ugo, che era in servizio a Signa nel 1968, venne fuori il ricordo del duplice delitto del 1968. Più precisamente, ricordammo che in quella località fu compiuto un duplice omicidio ai danni di un uomo e una donna insieme a colpi di arma da fuoco. Ricordo anzi che tra me e il Piattelli nacque una discussione intorno all’anno in cui si era consumato il delitto di Signa. Io sostenevo che si trattasse del 1964 mentre l’appuntato lo attribuiva al 1968. Certo è che poi io mi recai dal Colonnello Dell’Amico (…)”  Inserisco qui per facilità di riferimento il seguito dell’articolo di Cochi, che non se ne è stato e ha intervistato l’appuntato Ugo Piattelli: “Confermo l’episodio descritto dal Maresciallo Fiori e ricordo che avemmo una discussione circa l’anno dell’omicidio, lui ricordava il 1964, mentre io sostenevo che si trattava del 1968. Assieme ci recammo dal Colonnello Dell’Amico che seguiva le indagini, il quale rinvenne un fascicolo personale, non so a quale persona implicata nella vicenda appartenesse. Dell’Amico informò subito il G.I. Dr. Tricomi, che dapprima contattò il perito balistico dell’epoca e poi fece richiesta alla Cancelleria della Corte d’Appello di Perugia  e successivamente a quella di Firenze per l’acquisizione degli atti processuali.“ Se la memoria, invero prodigiosa, dell’appuntato non sbaglia, prima lui e Fiori ebbero il ricordo, poi andarono dal colonnello, il quale andò dal G.I. il quale prima interpellò il perito Zuntini (non è chiaro a quale scopo, forse per avere in anteprima copia della perizia?), infine, il 17 luglio fece la prima richiesta del fascicolo a Perugia. Quindi la ricerca di “vecchi casi” avviata dalla Procura il 3 luglio, sempre posto che lo spunto del ricordo di Fiori fosse quello, aveva dato i propri frutti in un tempo molto ristretto.


Tutta la vicenda è stata poi riassunta in questi termini dal Giudice Istruttore di Firenze  (Mario Rotella) nella Sentenza Ordinanza del 13 dicembre 1989, che è opportuno citare per esteso. “(…) ricordo del m.llo Fiori, in servizio presso il Comando Gruppo Carabinieri di Firenze, e nel 1968 alle dipendenze della Compagnia di Signa. Egli rammentava al comandante del Reparto Operativo, T. Col. Dell'Amico, che in quell'anno dirigeva il Nucleo Investigativo dello stesso Gruppo, che nel 1968, appunto, era stata uccisa una coppia in Castelletti di Signa a colpi di pistola. L'arma non era mai stata rinvenuta. Un colpevole era stato trovato in persona del marito della donna uccisa, per quanto se ne sapeva condannato dalla Corte d'Assise di Firenze nel 1970. Effettuati opportuni riscontri, si accertava che il condannato, Stefano Mele, aveva subito tutti i gradi di giudizio ed uno di rinvio a Perugia. Il G.I. dell'epoca, avvertito, disponeva il recupero del fascicolo processuale. Intorno al 20 di luglio del 1982 esso si trovava sul suo tavolo. Allegati al fascicolo erano, per fortuita e inspiegabile combinazione, i bossoli e i proiettili rinvenuti dopo il duplice omicidio. Disposta comparazione, già a livello informale si accertava l'identità dell'arma adoperata nel 1968 e nel 1982. Il giudice avvertiva il p.m. La notizia veniva tenuta segreta per necessità imprescindibili delle indagini, che avrebbero poi condotto all'incriminazione di Francesco Vinci. Scagionato quest'ultimo dalle sopravvenienze nel 1984, la riservatezza del 1982 avrebbe suscitato non poche diffidenze, mai sopite, nei mass-media e perciò nell'opinione pubblica, con seguito di anonimi consiglieri che hanno ritenuto d'indirizzare le indagini nei confronti di taluno degli stessi membri delle stesse forze di P.G.

Nel 1983 tutti coloro che, tra i carabinieri del gruppo di Firenze, avevano contribuito alla scoperta del precedente sono stati escussi e taluni, nuovamente, negli anni successivi. Da ultimo, in questo 1989, si è ritornati incidentalmente sull'argomento, in rapporto (…) alla possibilità, smentita in maniera assoluta dagli accertamenti, che la notizia del precedente del 1968 fosse stata ottenuta diversamente, per esempio attraverso una confidenza. Analogamente non ha nessun fondamento che sia pervenuto al G.I. dell'epoca (1982) un anonimo, nel quale fosse menzionato in relazione agli omicidi delle coppie, il precedente di Signa”.

Il resoconto di Rotella sembra esaustivo e in effetti potremmo fermarci qui. 
Ma proseguiamo alla ricerca di quelle diffidenze nei mass media di cui parlava Rotella e grazie all’emeroteca di Insufficienza di Prove ne troviamo tre (ma ce ne saranno altre): 


L’Unità 7 novembre 1982 (articolo di Giorgio Sgherri, che brucia i colleghi e pubblica la notizia) affermando: “L’inchiesta su questo duplice omicidio è stata riaperta nella base di alcune lettere anonime giunte agli inquirenti, le stesse lettere anonime, a quanto pare, facevano riferimento a 5 e non a 4 duplici omicidi. È così che i magistrati sono andati a rispolverare il fascicolo sulla tragica fine di Barbara Locci e Antonio Lo Bianco”.

La Città 9 novembre 1982 (articolo di Franca Selvatici). “Dopo l’ultimo delitto cominciarono ad arrivare lettere di denuncia e di sospetto. Un autore anonimo ricordò agli inquirenti un delitto avvenuto sei anni prima di quello di Borgo San Lorenzo” e successivamente La Città 9 settembre 1983 (articolo di Franca Selvatici). “Ai primi di luglio (del 1982) alcune lettere anonime suggerirono di riconsiderare il lontano e dimenticato delitto del '68 a Lastra a Signa. E fu così che si giunse alla sconvolgente scoperta che l'arma del delitto era sempre stata la stessa.Stessa formulazione in un articolo del 27 gennaio 1984, non firmato, probabilmente dalla penna della stessa giornalista.
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E’ pacifico che il cronista di nera dell’Unità, essendo il primo a dare la notizia, si assume la paternità, nell’ambito della stampa, di propagare la versione delle lettere anonime. Undici anni dopo, nella pubblicazione collettiva L’ultimo mostro (Supplemento al n. 293 dell'Unità del 15-12-93) Sgherri attribuirà il merito del collegamento al solo Francesco Fiore (sic), ma manterrà in gioco le lettere anonime scrivendo: “Ma alla fine del '82 il candidato più quotato era Francesco Vinci. A mettere gli investigatori sulle sue tracce ci sono anche delle lettere anonime inviate ai carabinieri”; segno che qualcosa gli è rimasto a frullare in testa. Notiamo che il contenuto della presunta segnalazione (nella versione primigenia del novembre 1982) non coincide con quanto ricostruito da De Gothia (indirizzamento diretto su Signa) né con la successiva versione di Spezi, che ora andiamo a leggere.





Detto questo, risulta che all’epoca vi erano già versioni autorevoli che ripetevano la storia ufficiale. Ad esempio, Mario Spezi nel suo primo libro sul caso,  Il Mostro di Firenze (1983): “A metà luglio (1982) gli inquirenti decidono di tentare una nuova strada. Si tratta di fare un’indagine su tutti i reati commessi prima del 1974 in cui è comparsa una Beretta cal. 22. E un’idea che sembra pazzesca attraversa la mente di un sottufficiale dei carabinieri la mattina di uno dei primi giorni di agosto. Il maresciallo Francesco Fiore (sic) ricorda che nel 1968 a Signa, non lontano da Firenze una coppia di amanti vennero uccisi mentre erano in macchina in campagna. (…) i due amanti furono uccisi  con una pistola calibro 22 e l’arma non fu mai ritrovata. Perché non confrontare i bossoli del delitto del ’68 con quelli degli omicidi del Mostro?” A questo punto, possiamo aggiungere che nesso stesso libro Spezi fa riferimento al “cittadino amico”, lo stesso di De Gothia, che avrebbe scritto tre lettere in quel lasso di tempo e sarebbe stato oggetto di una richiesta di collaborazione da parte del Comando Carabinieri di Borgo Ognissanti apparsa sui giornali (come si vede tutto coincide), ma ne spiega dettagliatamente il contenuto in maniera del tutto diversa e le attribuisce, per farla breve, a un mitomane. 


Qualche anno dopo, però, Spezi cambierà opinione, se non sul “cittadino amico” quanto meno sulla genesi della “pista sarda”, come risulta dalla lettura del suo Delitti in Toscana (1989). “Secondo una voce che non ha mai trovato conferma ufficiale e che fu per la prima volta riportata da chi scrive queste pagine (dove? abbiamo visto che il primo era stato Sgherri), arrivò nel giugno 1982 un biglietto anonimo alla caserma dei carabinieri di Borgo Ognissanti a Firenze. L’autore del messaggio invitava gli inquirenti ad andare a rivedere le carte del vecchio processo d’appello per i fatti del ’68 celebrato a Perugia anziché a Firenze. (…) La storia del biglietto anonimo non è mai stata confermata ufficialmente, E tuttavia, per la prima volta, chi scrive può dire quale fonte gliela rivelò: il giudice istruttore Vincenzo Tricomi (…). Mi aggiunse un particolare grave: quando chiese di vedere il biglietto, gli fu risposto che era irreperibile. Quel biglietto, insomma, non esiste più”.  Più o meno la stessa versione verrà ribadita in Toscana nera dello stesso autore, pubblicato nel 1998: “Siamo in grado di rivelare che gli investigatori furono informati da un biglietto anonimo, probabilmente inviato dal mostro stesso. In quel biglietto – anzi un ritaglio di giornale in cui si parlava dell’uccisione di Barbara Locci e Antonio Lo Bianco era scritto. <<Perché non andate a rivedere il processo d’appello per i fatti del 1968 che si svolse a Perugia?>> Incredibilmente il messaggio, custodito nella caserma dei carabinieri di Borgo Ognissanti, si perse. La Procura della Repubblica negò che fosse mai esistito. Ma il giudice Vincenzo Tricomi lo ebbe in mano e ci ha autorizzato a confermarne l’esistenza.

Considerate le teorie di Spezi, esplicitate da ultimo nel suo “Dolci Colline di sangue” (vedi infra), il messaggio anonimo sarebbe non un depistaggio bensì un “pistaggio”, un indirizzamento preciso; ma in questa sede questo non ci interessa. Notiamo che Tricomi fu sostituito nel ruolo di giudice istruttore già nella prima metà del 1983; quindi quando e per quale motivo avrebbe avuto occasione di chiedere di vedere (o ri-vedere) il biglietto anonimo? Quando il misterioso ritaglio sarebbe stato “smarrito”? Possibile che nel giro di pochi mesi, pur lavorando a tempi pieno sul caso, ne avesse dimenticato il contenuto? O che addirittura non avesse mai chiesto di prenderne visione? Vedremo nel seguito la sua versione dei fatti.


Una conferma indiretta del racconto di Spezi, o meglio che Spezi raccontava pubblicamente quello che aveva scritto, ci viene da Carmelo Lavorino, autore di vari scritti sul Mostro. Nel suo Mostro di Firenze  - La teoria finale (1991) - “Mi ha detto il mio amico giornalista Mario Spezi: nel 1982 arrivò al maresciallo Fiori un biglietto anonimo che indicava il collegamento … di tale biglietto non è rimasta traccia … io lo so perché il giudice Tricomi lo ha visto e me lo ha confermato…  Cosa può essere accaduto:? L’inquirente cattivo appartiene a una combinazione criminale che dal 1974 comincia a sparare e sezionare per motivi che a noi non è dato conoscere, ma solo supporre. La pistola con cui la combinazione spara non è la stessa del 1968.L’inquirente cattivo spara con la pistola che uccide dal 1974 otto proiettili e li recupera, congiuntamente ai bossoli, si reca a Perugia, fa sparire i reali proiettili e bossoli della calibro 22 del clan sardo (nota: si intende, sostituendovi i bossoli sparati dalla vera pistola del Mostro, Lavorino si dimentica di dirlo esplicitamente). Nel 1982, dopo il delitto di Montespertoli, fa stabilire il collegamento, avvalendosi del m.llo Fiori o strumentalizzandolo” (nota: nel seguito l’autore chiarisce di non credere per nulla a questa ipotesi e di averla citata, per così dire, solo per smontarla). Questa comunque è una testimonianza de relato di secondo livello (Tricomi lo dice a Spezi che lo dice a Lavorino) che lascia il tempo che trova, ma che inseriamo per amore di completezza.


Infine, arriviamo alla esplicita dichiarazione dell’ipotesi “depistaggio”. Nel romanzo Coniglio il martedì di Aurelio Mattei (1993) Il protagonista, che è anche l’assassino, si insinua nella Cancelleria di un Tribunale fingendosi collaboratore di un avvocato e sostituisce i reperti di un altro fascicolo inserendovi i bossoli sparati dalla sua pistola; dopo di che telefona in questura e suggerisce di collegare gli omicidi. Una battuta del romanzo forse degna di nota è la seguente: “Dove avete trovato i bossoli?» «In tribunale», rispose Cadone, «nell'archivio reperti. È stato per puro caso; secondo il cancelliere tra un mese sarebbe andato tutto al macero. Mi ha detto che, dopo un certo numero di anni, se non ci sono oggetti preziosi, oppure materiale d'interesse per il museo criminologico, viene tutto incenerito.» «Non dovevate controllare», riprese il criminologo, «tutti gli omicidi degli anni precedenti?» «Sì, il controllo è stato eseguito, ma c'eravamo fermati al 1970.» Se un controllo simile e la stessa data vi fa scattare un’associazione di idee con l’indagine avviata il 3 luglio del 1982, beh, non avete torto. Che dire? Si tratta di un romanzo ispirato alla vicenda del Mostro; ma a volervi cercare una chiave, la si trova.


Un sostegno alla versione ufficiale, dopo queste note a dir poco dissonanti, viene da Giuseppe Alessandri, il quale nel periodo tra processo di primo grado e appello nei confronti di Pacciani diede alle stampe  La leggenda del Vampa (1995), che, condivisibile o meno il suo assunto, resta un libro affascinante e frutto di una ricerca sul campo. A quanto pare, l’autore parlò con il maresciallo Fiori, che gli confermò direttamente (ma come avrebbe potuto non farlo?) quanto a suo tempo dichiarato agli inquirenti. “Fu proprio in questi giorni di inizio luglio che il colonnello Dell’Amico invitò tutti i suoi collaboratori del Comando fiorentino dei carabinieri a fargli presente ogni episodio delittuoso che riaffiorasse alla loro memoria e che potesse in qualche modo essere ricollegato agli omicidi del Mostro. Fu così che il maresciallo Fiori, anch’egli in servizio a Borgognissanti – al nucleo investigativo – si ricordò di un duplice omicidio avvenuto nell’estate del 1968 nella campagna di Signa (della cui stazione egli, brigadiere, faceva parte), peraltro in un periodo in cui si trovava in licenza. Sì badi bene dunque: non fu, come è stato tendenziosamente affermato, un biglietto anonimo a richiamare all’attenzione dei militari dell’Arma su quel vecchio delitto di Castelletti, ma fu il maresciallo Fiori ad avere, su sollecitazione del colonnello Dell’Amico, tale intuizione. Nacque così quella che sarebbe divenuta tristemente famosa come la “pista sarda” delle indagini sui misfatti del mostro di Firenze”. Tanto per essere chiari, per Alessandri la “pista sarda” è “tristemente famosa” perché allontanò l’attenzione dall’arcicolpevole Pacciani.


Nel 1996, Tornielli e Bruno (Analisi di un Mostro) sono sicuri che il maresciallo Francesco Fiore (sic) fu aiutato da un biglietto anonimo (forse un’imbeccata dello stesso Mostro?) Peggio, nel suo singolare pastiche intitolato Mostro d’autore (1996-2001) Tommaso D’Altilia si schiera apertamente per il depistaggio, sulla base, a suo dire, di un’interpretazione storica e logica, il che in parole povere significa “facendo ampio ricorso alla fantasia”-  (nota: cito unicamente dalla premessa programmatica del volume) “Raccolta di elementi indicanti: depistamento doloso delle indagini, compiuto nel luglio del 1982 mediante la creazione di una falsa “pista sarda”; che l’autore del depistamento fu il maresciallo dei carabinieri Francesco Fiore (sic); che il depistamento fu attuato mediante manomissione dei reperti allegati al fascicolo processuale di Stefano Mele, ciò allo scopo di ingannare i periti balistici; che dopo il doloso depistamento il maresciallo Fiore negò recisamente l’imbeccata di una lettera anonima” Nel seguito, l’autore definisce il maresciallo Fiore “utile idiota di cui si servì qualcuno che aveva già attuato la manomissione dei reperti (bossoli)”. E’ singolare, ma forse nemmeno tanto, che D’Altilia venga citato come fonte attendibile nella requisitoria del PM Mignini, che riporta un brano di una sua audizione del 2002 presso la Squadra Mobile di Perugia: “posso dire che il depistaggio è avvenuto, a mio avviso, nella città di Perugia o meglio nel Tribunale di Perugia, allorquando il dottor VIGNA subentrò come Capo del Pool Investigativo che si occupava dei duplici omicidi avvenuti nella città di Firenze. (…)Nella circostanza un Maresciallo dei Carabinieri, FRANCESCO FIORE, affermò di ricordare che nel '68 c'era stato un delitto analogo, una coppia uccisa forse a Lastra a Signa, LOCCI – LO BIANCO. Il maresciallo o la magistratura ritennero di recuperare i bossoli al fine di procedere alla comparazione degli stessi, e siccome l'iter giudiziario del procedimento a carico di STEFANO MELE si concluse nella città di Perugia, tutti i reperti erano presenti presso quest'ultimo Tribunale, da cui si deduce che solo presso quegli uffici sia stato effettuato lo scambio dei bossoli affinché quelli della serie partente dal '74 coincidessero con l'arma dell'omicidio del '68”. Tuttavia, lo stesso Mignini informa che il fascicolo era tornato a Firenze (si veda Sentenza del GUP di Perugia già citata). 


A questo punto, avendo già citato una varietà di fonti, possiamo fare un’osservazione di carattere filologico. Chi, scrivendo, usa il nome Fiore anziché Fiori molto probabilmente non conosce gli atti e ripete la storiella “per sentito dire” oppure non ricorda bene. E’ pur vero che la stessa Dott.ssa Della Monica, in un’intervista raccolta da Paolo Cochi per il suo documentario (I delitti del Mostro di Firenze), chiama il maresciallo “Di Fiore” e lo qualifica come “collaboratore di Piero Vigna”, ma parlando a braccio ci si può sbagliare, scrivendo un libro no – o quanto meno non si dovrebbe.

Siamo alla fine. Concludo questa raccolta di fonti con un interscambio a distanza Tricomi – Spezi. Ecco quanto scrive Spezi in Dolci Colline di Sangue (2006) – “Parlammo del delitto di Montespertoli, l'ultimo, e a un tratto chiesi al giudice, senza una vera ragione: 'Ma davvero fu solo per la memoria del maresciallo Fiori che vi accorgeste che le pallottole del 1968 erano le stesse degli altri delitti?' "Tricomi si accese un'altra sigaretta, si guardò le punte delle scarpe e con il suo stretto accento siciliano mi disse senza esitazioni: 'Macché! Può anche essere che quel maresciallo si sia ricordato del delitto del '68, ma la verità è che ricevemmo un'informazione precisa'. '"Un'informazione? E da chi? Che tipo d'informazione?' lo incalzai, annusando una notizia clamorosa. "'Arrivò un biglietto', riprese Tricomi per nulla agitato, 'un biglietto anonimo, scritto in stampatello. Anzi, la scritta era su un vecchio ritaglio di giornale che parlava dell'omicidio del '68. Si leggeva Perché non andate a rivedere il processo di Perugia contro Stefano Mele?” in questo passaggio del romanzo Spezi descrive un dialogo intercorso con il G.I. Tricomi, in occasione dell’apertura di un anno giudiziario [dialogo fittizio? La scena è intrinsecamente credibile in quanto Tricomi intorno all’aprile 1983 fu trasferito alla Corte di Appello di Firenze, venendo sostituito all’Ufficio Istruzione da Rotella, ma ovviamente l’abilità del romanziere sta nel costruire situazioni fittizie ma verosimili). Temporalmente, la confidenza andrebbe situata tra il 1983 (prima versione di Spezi) e il 1989; ma spostando la data in avanti viene a cadere il riferimento all’ultimo delitto come quello del 1982. L’unica apertura dell’anno giudiziario nella quale il delitto di Montespertoli è ancora l’ultimo è quella del 1983 e all’epoca Tricomi ancora si occupava del caso. Insomma, nel modo in cui viene narrata la scena qualcosa non quadra; il che non implica di per sé che la sostanza del dialogo non sia veritiera. 


Ma ecco il testo della dichiarazione rilasciata da Vincenzo Tricomi a Mario Spezi datata 15 gennaio 2002 - “In ordine all'episodio di cui mi si chiede, premesso il notevole lasso di tempo sbiadito e incerto ogni ricordo, posso dire di ricordare che presumibilmente nell'inverno 1982 venne il maresciallo Fiore (sic) con un ritaglio di giornale di cui ignoro come e con quale modalità erano venuti in possesso i carabinieri che riferiva della conferma della condanna in sede definitiva a Perugia. Mi chiese se era possibile acquisire il processo e io lo ritenni del tutto possibile". Notiamo che nel 2002 Tricomi ricorda poco o nulla e sbaglia anche lui, come un D’Altilia qualsiasi, il nome del povero maresciallo; del resto, sono passati, dai fatti, vent’anni. Notiamo anche che, nella dichiarazione, non si parla affatto di anonimo, ma solo di un ritaglio di giornale, che poteva benissimo provenire dall’archivio del Nucleo di Borgo Ognissanti. Ancora, secondo Tricomi, fu il maresciallo a venire direttamente da lui, mentre il duo Fiori – Piattelli afferma concordemente di aver lasciato l’incombenza, per ovvi motivi gerarchici, al colonnello Dell’Amico. Lo stesso iter informativo proceduralmente corretto (Fiori – Dell’Amico – Tricomi) si ritrova nella sentenza Rotella, il magistrato che all’epoca, a menti ancora relativamente fresche, si occupò di chiarire il caso. La mia impressione è che nel 2002 Tricomi scrisse, per far piacere a Spezi (che forse si stava precostituendo le basi per il suo prossimo romanzo e l’ipotesi “Carlo”), il massimo che si ricordava e poteva confermare in coscienza; quindi il dettaglio dell’articolo di giornale è (probabilmente) autentico, mentre non troviamo conferma di una segnalazione anonima indirizzante al processo di Perugia. 


Infine, Vincenzo Tricomi rilasciò un’intervista a Paolo Cochi ( 13 agosto 2011 – ora anch’essa nel volume “Al di là di ogni ragionevole dubbio”).  “Devo precisare che dopo quel delitto (Baccaiano di Montespertoli, giugno 1982) fui io personalmente a disporre l’invio di fonogrammi ai vari Comandi dei CC e polizia di ricerca per eventuali casi di duplice omicidio con modalità simili. Un giorno venne il Maresciallo Fiori con un vecchio articolo di giornale inerente il caso del delitto del 1968 chiedendomi se sarebbe stato opportuno approfondire la questione. Ovviamente disposi il recupero del fascicolo che stava a Perugia ed il Maresciallo se ne occupò assieme al Colonnello Olinto Dell’Amico. (...) Rammento che intorno al 20 di Luglio 1982 il fascicolo relativo al duplice omicidio del 1968 di Signa era a nostra disposizione. Nel fascicolo, come è ormai noto, rinvenimmo una bustina con allegati i bossoli di quello strano omicidio. Le perizie del Colonnello Zuntini erano all’interno del faldone. Ci fu dunque un controllo immediato con i bossoli esplosi dalla famigerata calibro 22 e ricollegammo gli omicidi”. Notiamo alcune cose. Lo stesso Tricomi che nel gennaio 2002 (dichiarazione a Spezi) sbagliava il nome del maresciallo, ora lo dice giusto; quel  Tricomi che sbagliava il tempo dell’indagine (“presumibilmente nell’inverno 1982”) ora ricorda addirittura il giorno (20 luglio). Ma non solo: usa una locuzione molto simile a quella riportata nella sentenza Rotella; “Intorno al 20 di luglio del 1982 esso si trovava sul suo tavolo” vs ”intorno al 20 di luglio 1982 il fascicolo era a nostra disposizione”. Un filologo che si trovasse di fronte a due testi A e B, che raccontano la stessa storia nello stesso modo, conoscendo l’anteriorità di A, non avrebbe problemi a stabilire che B deriva da A, soprattutto quando in un testo antecedente l’autore di B dimostra di non conoscere (nel nostro esempio, non ricordare) dettagli riportati da A. Sperando di essere stato chiaro, richiamo un ulteriore dubbio su quanto detto da Tricomi a Cochi, ossia: era stato il G.I. a far ricercare delitti simili verificatisi negli anni precedenti o era stata la Procura (richiesta del 3 luglio) e Tricomi ricorda male? O erano stati entrambi autonomamente? Il giudice istruttore poteva all’epoca prendere iniziative investigative autonome; d’altra parte,  se l’invito non fosse venuto direttamente da Tricomi , perché mai Fiori (o Dell’Amico) avrebbe portato da lui il ritaglio di giornale, anziché fare rapporto alla Procura della Repubblica? E’ impossibile optare per una ipotesi o per l’altra, non disponendo di documentazione. Sta di fatto, che quand’anche su alcuni particolari esposti nell’ultima intervista la memoria dell’ex giudice sia stata probabilmente aiutata, un episodio importante come un anonimo che scatena un’indagine durata sette anni e che manda in galera gente innocente, non si può dimenticare; e Tricomi, a esplicita domanda di Cochi, confermò recisamente che  non gli risultava che la notizia fosse arrivata dall’esterno e che l’identità dell’arma era una delle poche certezze di questa storia.



[1] Franca Selvatici, interpellata direttamente in merito alla segnalazione anonima (data 10/02/2017) ha confessato di non ricordare nulla dell’anonimo.