mercoledì 18 giugno 2014

Coincidenze (1)


La storia delle indagini sul Mostro di Firenze è costellata di singolari coincidenze, alcune ben note, altre meno; alcune sopravvalutate, altre trascurate.

Comincio ad enumerarne alcune, iniziando dal primo duplice delitto, quello di Signa.

La mattina dell'omicidio, 21 agosto 1968, Stefano Mele, marito della futura vittima, lascia il lavoro e si fa accompagnare a casa da un collega, adducendo un malore, la cui vera natura non sarà mai accertata. La malattia del padre deve avere impressionato il figlio Natalino, visto che le prime parole che riporterà ai soccorritori, prima ancora dell'informazione che "la mamma e lo zio sono morti in macchina", sarà che il babbo "è malato a letto", la medesima espressione che userà il Mele la mattina dopo quando i carabinieri verranno a prelevarlo a casa. La sera, il cognato di Stefano, Piero Mucciarini, fornaio a Scandicci, ha il settimanale giorno di libertà dal lavoro; in seguito dirà di avere in quella occasione scambiato il turno di riposo con un collega (quindi di essere stato al lavoro), ma il fatto sarà indagato troppo tardi (nel 1984!) per essere confermato. Francesco V., abituale frequentatore del bar "della Posta" di Lastra a Signa quella sera non viene visto in giro; solo la moglie confermerà che l'uomo è rimasto a casa con lei. Salvatore V. passa la serata a giocare a biliardo con due amici; ma uno, interrogato con grave ritardo, non ricorderà, l'altro addirittura – ma molti anni dopo – sosterrà di aver sbagliato giorno. Stefano Mele, da parte sua, "indovinerà" il numero di colpi sparati (8), prima che siano resi noti i risultati delle autopsie, saprà che la scarpa della vittima maschile era sfilata, ricostruirà di aver spostato, nel ricomporre il cadavere della moglie, la leva della luce di direzione rimasta accesa e lampeggiante. Verrà trovato la mattina dopo il delitto, e dopo una notte che avrebbe passato "a letto malato", con le mani sporche di grasso (i CC ipotizzeranno, forse a torto, che se ne sia andato in giro in bicicletta). Sarà sottoposto al guanto di paraffina con esito (debolmente) positivo. Quanto a Natalino, dopo il delitto, solo o accompagnato che fosse, capiterà sotto casa di uno del "clan dei sardi", proprio uno dei presunti compagni della partita a biliardo di Salvatore. In seguito dirà che a sparare era stato lo "zio Piero", cambiando successivamente il nome in Pietro; degli zii di Natalino uno si chiamava Piero (Mucciarini), l'altro Pietro (o meglio, Pietrino Locci). Tralascio la coincidenza con il nome di battesimo di Pacciani perché non la considero significativa; anche se l'espressione "zio" usata da Natalino non è necessariamente significativa di un grado di parentela.

In corso di indagini, si verrà a sapere che la vittima femminile era stata minacciata da qualcuno uso a girare in motorino e armato di pistola; la descrizione ben si attaglia ad uno dei primissimi sospettati, che al processo venne poi completamente scagionato. Pochi giorni prima di essere uccisa, la donna era stata oggetto di una scommessa tra il sospettato e l'amante che sarà ucciso con lei. Infine, la vittima femminile era vissuta, prima del matrimonio, nella frazione di San Casciano (La Romola) in cui era nato e vissuto con la famiglia uno dei futuri "Compagni di Merende", Giancarlo Lotti. All'epoca anche Giancarlo Lotti, verosimilmente, andava in motorino, non avendo ancora conseguito la patente.

Una bella serie di coincidenze per essere il delitto d'esordio di un serial killer estraneo alle vittime.

3 commenti:

  1. Che Lotti fosse cresciuto alla Romola come lo sai? Lo hai letto su "Delitto degli Scopeti" ? Uno degli autori (Cappelletti) mi ha detto che è stato un errore, mi ha anche detto dove, forse Tavarnelle, a sud di San Casciano, ma potrei sbagliarmi.

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  2. Antonio, in primis penso proprio di averlo letto nel tuo libro, ma forse ho interpretato male la frase: Giancarlo Lotti era di quattro anni più giovane appena, anche soltanto di vista e di fama dovette
    senz’altro conoscere la donna quando abitava alla Romola, e magari avervi fantasticato sopra.
    In effetti non è chiaro quale sia il soggetto della frase temporale. magari c'è scritto anche nel libro di Cappelletti, ma ora non l'ho presente.

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    1. Hai ragione, nelle mie intenzioni il soggetto della frase subordinata era la donna, ma secondo le regole della sintassi sembra Lotti. Avrei dovuto scrivere "... conoscere la donna quando lei abitava alla Romola... ". A parte gli errori di uno scrittore improvvisato, Cappelletti scrive proprio (p.126) "Non fu lui, che per un certo tempo visse alla Romola (vicino a San Casciano) dove abitavano i parenti di Barbara Locci...".
      Io sapevo che da giovane aveva abitato con la madre dalla parte opposta, forse Tavarnelle, ma non ricordo dove l'ho letto.

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