(O.T. Tra l’altro, sarebbe bello capire perché mai, nell’ipotesi
di coloro che propongono Giancarlo Lotti nella veste di unico serial killer,
egli non si sia limitato a raccontare il vero svolgimento dei fatti semplicemente
sostituendo a sé stesso il duo Pacciani-Vanni, anziché inanellare la serie di
incredibili fandonie, inverosimiglianze e vere e proprie impossibilità cui fece
ricorso tra il 1996 e il 1999. Sarebbe certo risultato più credibile e l’esito
finale sarebbe stato il medesimo: una bella condanna per concorso in omicidio
plurimo, che era evidentemente la cosa a cui teneva di più. Ma passiamo oltre)
L’argomentazione proposta nel volume non è, invero, del
tutto nuova; ne parlò infatti l’avvocato Filastò nella sua arringa conclusiva,
il 10 marzo 1998 (si veda Insufficienza di prove); ma in termini così
confusi e vaghi che la Corte di assise in
sentenza non dedica al problema neppure un
rigo, mentre in appello il giudice si limita a dire che “non può apparire
strano e incredibile che quella sera nessun automobilista di passaggio abbia
notato due automobili ferme ai margini della strada l’una dalla parte della
piazzola, l’altra dalla parte opposta né che le abbiano notate andare via dopo
gli omicidi”. Ma è del tutto evidente, già dalla semplice osservazione della
fotografia in testa al post precedente, che, al contrario di quanto sostiene la
Corte d’appello, era impossibile non vedere due auto parcheggiate a lato della
strada, perché avrebbero considerevolmente ostruito la carreggiata (NdA: a
quanto è dato di capire, addirittura una da una parte e una dall’altra, a pochi
metri di distanza, costringendo così gli eventuali passanti a una sorta di
gimkana; ma Lotti afferma che quella sera non passarono, per somma fortuna degli
assassini, macchine di sorta); e quanto ai testi che non le hanno viste, gli
stessi hanno notato l’auto del Mainardi ferma nella piazzola, due auto che li
hanno superati in corso di tragitto e l’auto dei loro amici che li ha
incrociati poco dopo il luogo dell’omicidio; si tratta dunque di testi che,
viaggiando a bassa velocità, come specificano, sono ben consci dell’ambiente
che li circonda e, soprattutto, vengono specificamente interrogati sul punto, a
breve distanza di tempo dal fatto, e confermano di non aver visto alcuna auto
nel luogo dove avrebbero dovuto trovarsi i mezzi dei CdM (dice esplicitamente il teste: “non ho visto altri veicoli lì fermi
intorno a quella macchina”. NdA: il teste Francesco C. non venne interrogato in
dibattimento perché impossibilitato a deporre in quanto in coma a causa di un
grave incidente, per cui la sua unica dichiarazione è quella risalente al 21
giugno 1982). Talché il capitoletto del
libro di cui stiamo parlando si può considerare, se non un nuovo elemento di
giudizio, almeno una “riscoperta” di una delle tante panzane ammannite dal reo
confesso Giancarlo Lotti.
Perché l’avvocato Filastò, il quale, come è evidente nel
leggere la trascrizione della sua difesa, si rendeva ben conto della discrepanza
tra il racconto del Lotti e quanto
riferito dai testi, non approfondì in maniera più decisa e puntuale la
questione?
Perché puntò tutto sulla posizione della vittima maschile
all’interno dell’auto, collocandola, seguendo le testimonianze Allegranti e Gargalini,
sul sedile posteriore e sviluppando una propria ricostruzione personale secondo
la quale l’assassino si sarebbe messo lui al volante dell’auto per portarla
(meglio, per portare il cadavere della ragazza, l’unico che in fondo gli
interessasse), in un luogo più appartato ove operare in sicurezza le rituali
escissioni. Ovviamente, la convalida di un'ipotesi di questo genere avrebbe
sbugiardato definitivamente il Lotti, il che spiega il motivo per cui l’avvocato
la sostenne in maniera così agguerrita, nonostante alcune gravi
inverosimiglianze. Senza scendere nei particolari di questa ipotesi, cui ho già
dedicato alcuni post in passato (http://mostrodifirenzevolumei.blogspot.it/2014/03/lenigma-di-baccaiano.html
e seguenti) , ne accenno solo per dire che la dinamica ipotizzata da Filastò,
più complessa e articolata, richiede un maggior tempo di esecuzione rispetto a quello delimitato dai
due passaggi delle auto di cui si è parlato; onde per cui Filastò non aveva
alcun interesse a porre l’accento sul tempo dell’azione.
Dimentichiamo un momento il “chi” e dedichiamoci al “dove”. Pacciani o non Pacciani, Lotti o non Lotti, da
qualche parte l’assassino, chiunque sia stato, deve essere venuto, in qualche
parte deve aver parcheggiato un mezzo di locomozione, se non si vuole credere
che sia venuto a piedi da casa sua. Procedendo
da Baccaiano in direzione di Fornacette, prima della piazzola del delitto si
incontra uno spiazzo sulla destra che dà su un campo coltivato e poco più oltre
scende al letto del torrente Virginio. Di fronte, dalla parte opposta della
carreggiata, un viottolo porta all’ex tiro a segno di Montespertoli. Percorsi meno di duecento metri si giunge alla
piazzola del delitto, sulla destra, oggi cancellata dalla vegetazione e riconoscibile solo grazie a un paracarro da ambedue i lati della strada (la piazzola era a lato di un fosso); duecento metri dopo è
apprezzabile un’ulteriore piazzola e infine l’incrocio con la strada che sulla
sinistra sale verso Poppiano, sulla destra verso Montespertoli, dove si
congiunge con la via Volterrana.
Poiché
il campo sulla destra della strada (in pratica tra la provinciale e il corso
del Virginio), è facilmente accessibile, sono sempre stato convinto che il
killer fosse passato di lì, avendo parcheggiato il proprio mezzo sullo spiazzo,
abbastanza ampio, di fronte all’ingresso del poligono di tiro. Senonché, dal
riassunto fatto dall’avvocato Filastò nelle sue conclusioni, sembrerebbe che la
coppia Graziano M. e Concetta B. (due tra i primi soccorritori) si sia fermata
proprio in quella piazzola al momento degli spari; questo dovrebbe risultare
dai verbali dell’epoca, poiché in dibattimento (udienza del 19 dicembre 1997) i
due testi non parlano affatto di una
sosta, anzi la ragazza dice esplicitamente di aver sento “i botti” mentre la
loro auto era in movimento. Il punto quindi non è chiaro (anche alla stampa la
coppia dichiarò di essere” ferma lungo la strada, circa un chilometro prima”); comunque
sia, quello, da una parte o dall’altra della carreggiata (ossia lato Virginio o
lato poligono,) è senz’altro un possibile luogo di parcheggio. In alternativa, bisognerebbe pensare che l’assassino
abbia preso via Poppiano in direzione di Montespertoli, abbia posteggiato lì e
sia poi passato attraverso i campi per giungere sul retro della piazzola; in
questo caso però avrebbe dovuto guadare il torrente Virginio; impresa certo non
impossibile, ma comunque disagevole nel buio della notte.
La teste Concetta B. in udienza dice qualcosa di importante,
pur fatta la tara di tutte le suggestioni
indotte dall’esterno nei quindici anni che dividono il fatto dalla
testimonianza (premetto che il fatto di non disporre del verbale del 21 giugno
1982 può inficiare le considerazioni che seguono, se qualcuno ne sa di più –
come certamente è – ben venga). Riassumo
per semplicità: 1. l’auto proviene da Baccaiano verso Fornacette e dovrà
svoltare a sinistra al bivio in direzione di Poppiano; 2. circa 500 metri prima
della piazzola (in altri termini, poco dopo aver imboccato via Virginio Nuova) i testi avvertono “i botti” o “schioppettìi”;
3. passano accanto all’auto del Mainardi che è dall’altra parte della
carreggiata con le ruote nel fosso, ritengono che si tratti di un’auto
incidentata e proseguono; 4. all’altezza
dell’incrocio ci ripensano e tornano indietro a vedere cosa è successo. La
teste afferma; <<Poi, dopo, si disse: 'è successo qualcosa a questa
macchina', (…) Perché si vedeva che...
pareva ci fosse qualcuno dentro, ecco>>. In
effetti, Concetta B. chiarisce nel seguito la sensazione di aver visto, nel
passare, il corpo della Migliorini, distinguibile nel buio per il maglione
bianco. Dov’è finito, nel brevissimo spazio di tempo intercorso tra i momenti 2 e
3, l’assassino?
Foto tratta dal sito "Calibro 22" |
(SEGUE)
Complimenti per l'articolo.
RispondiEliminaL'ipotesi Filastò non convince; per quale motivo avrebbe dovuto gettare via le chiavi se non per far prima e spengere le luci anteriori e posteriori semplicemente levandole dal quadro; allora perchè mettersi alla guida e perdere altro tempo? allora non avrebbe buttato via le chiavi ma le avrebbe spente dall'interno. Secondo l'Alessandri ne "la leggenda del Vampa" è presumibvile che accovacciandosi in retromarcia per non farsi colpire il ragazzo abbia perso il controllo dell'auto finendo nel fosso.
Giustamente appare in congruente però il fatto che non abbia visto le macchine dei CDM. O forse non c'hanno fatto caso perchè erano parcheggiate più distanti...