Non mi faccio distrarre dalla dirompente serie di notizie di stampa di questi giorni e porto a termine il discorso iniziato da tempo sul teste Alfa. Comunque vada a finire l'indagine 2017 (Mostro quater? quinquies? boh), penso che per la ricostruzione storica quanto scritto finora rimanga comunque di interesse.
***
Come promesso, concludo la serie di articoli sul teste Alfa
con un’intervista a due psicologi ai quali ho richiesto di aiutarmi a
interpretare la situazione fornendo un punto di vista scientifico e aggiornato
su temi critici come il ritardo mentale e il funzionamento della memoria,
trattati, a mio parere personale in maniera inadeguata, nella consulenza che fu
portata al dibattimento.
A tal fine, ho interpellato la dott.ssa Cristina Potente,
psicologa, psicoterapeuta, specialista in psicopatologia dell’apprendimento
(che ha già collaborato con me nella stesura del I volume) e il Dott. Jacopo
Lorenzetti, psicologo, specialista della memoria. Gli intervistati hanno avuto
la pazienza di leggere la perizia Fornari – Lagazzi, la trascrizione della
deposizione in aula dei due consulenti, i verbali a me disponibili degli
interrogatori di Pucci in fase di indagine e qualche passaggio della sua
testimonianza a processo.
Avverto che per facilità di lettura ho conglobato
redazionalmente e semplificato le risposte fornite dagli intervistati (che
hanno approvato il testo finale) e che i grassetti sono miei, da intendersi non
come messaggio subliminale, ma come esplicita sottolineatura di passaggi che,
unilateralmente e nel mio diritto d’autore, ritengo particolarmente importanti
per un giudizio sul tema. Il testo è lungo, ma credo meriti di leggerlo per le
considerazioni ampiamente esposte nei post precedenti.
D1. Partiamo da lontano. Negli atti del processo a Stefano
Mele (1970) si legge che l'imputato, sottoposto a perizia psichiatrica, era
stato riconosciuto affetto da "oligofrenia di grado medio con
caratteropatia". Purtroppo la perizia non è disponibile. Cosa
significherebbe, come potrebbe essere tradotta questa definizione nei termini
della psicologia odierna?
R1. Con il sistema diagnostico attualmente in uso, il DSM 5
(è l’acronimo di Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, predisposto dalla American
Psychiatric Association e giunto alla sua V edizione) non parliamo più di
oligofrenia e neppure di ritardo mentale, ma di disabilità intellettiva. Per
una diagnosi di disabilità intellettiva devono venir soddisfatti i seguenti tre
criteri:
A. Deficit delle funzioni intellettive, come il ragionamento,
la soluzione di problemi, la pianificazione, il pensiero astratto, il giudizio,
l’apprendimento scolastico o l’apprendimento dall’esperienza, confermato sia da
valutazione clinica che da prove d’intelligenza individualizzate e
standardizzate (principalmente si usa la scala WISC per i bambini e la WAIS dai
16 anni in su che forniscono il così detto punteggio del Quoziente
Intellettivo, Q.I.)
B. Deficit del funzionamento adattivo che si manifesti col
mancato raggiungimento degli standard di sviluppo e socio-culturali per
l’indipendenza personale e la responsabilità sociale (attualmente esistono
anche delle scale per valutare il funzionamento adattivo, comele scale
Vineland).
C. Insorgenza dei deficit intellettivi e adattivi nell’età
evolutiva.
Attualmente si continuano a distinguere 4 livelli di gravità
(lieve, moderato o medio, grave e gravissimo). Quindi oggi la diagnosi di
Stefano Mele sarebbe da “tradurre” con
il termine “disabilità intellettiva di grado moderato”.
D2. Nel 1983 la USL del Chianti Fiorentino diagnostica a
Fernando Pucci la riduzione della capacità lavorativa pari al 100% per grave
oligofrenia attribuendogli la pensione di invalidità, poi confermata nel 1986.
Cosa dobbiamo intendere, oggi, per "grave oligofrenia"?
R2. In teoria dovremmo semplicemente tradurre “grave
oligofrenia” con il termine aggiornato di disabilità mentale di grado grave, ma
sembra difficile condividere questa diagnosi. Se così fosse, il soggetto
avrebbe necessità di un supporto continuo, scarse o nulle capacità di
comprendere il linguaggio scritto e nei concetti riguardanti numeri, quantità,
tempo e denaro; il suo QI (secondo i criteri del DSM-IV) si collocherebbe tra
20 e 34 e la sua età mentale tra 3 e 6 anni. Non sembra il caso di Pucci.
Avendo letto la consulenza Fornari – Lagazzi e altri
documenti processuali, riterremmo più probabile che il funzionamento di Pucci
sia oggi inquadrabile in un ritardo mentale di livello medio (Q.I. collocato
tra 35 e 49 età mentale tra 6 e 9 anni). I soggetti con ritardo mentale medio
necessitano abitualmente di un supporto, hanno un linguaggio semplificato
rispetto all’età, un orientamento temporale e uso del denaro marcatamente
limitato, una limitata capacità di giudizio sociale e nel prendere le
decisioni; possono essere occupati in ambito lavorativo in attività che
richiedono capacità comunicative e concettuali limitate.
Per completezza di informazioni descriviamo anche il
funzionamento di un ritardo lieve, che è percentualmente il disturbo più
ricorrente (naturalmente molto distante dalla definizione di oligofrenia grave,
ma che comunque potrebbe anch'esso descrivere il funzionamento cognitivo di
Pucci):
• nell’adulto
pensiero astratto, funzioni esecutive e memoria a breve termine compromesse
• difficoltà
nell’apprendimento e nell’orientamento spazio-tempo con necessità di supporto
• difficoltà
nel problem solving
• immaturità nelle interazioni sociali
• linguaggio, comunicazione e capacità di
conversazione immaturi
• difficoltà nella regolazione emozionale e
comportamentale
• limitata comprensione dei rischi in
situazioni sociali (rischio di essere manipolati e sfruttati, ingenuità,
creduloneria)
• in età adulta necessità di supporto per
attività di vita quotidiana più complesse, come decisioni in ambito legale
e sulla salute.
D3. Veniamo ora alla consulenza disposta dal P.M. su
Fernando Pucci (1996). La conclusione dei periti afferma l’esistenza di un
disturbo di personalità e di un ritardo mentale, non quantificabili. Anche
questa definizione deve essere aggiornata?
R3. Come detto sopra, la diagnosi della disabilità
intellettiva si basa sia sulla valutazione clinica che sui test standardizzati
delle funzioni intellettuali e adattative. Il funzionamento intellettivo è
tipicamente misurato con prove di intelligenza individualmente somministrate e
psicometricamente valide, complete e culturalmente appropriate. Gli individui
con disabilità intellettiva hanno punteggi di circa due deviazioni standard o
più inferiori alla media della popolazione, incluso un margine per errore di
conferma (generalmente +5 punti). Nei test con una deviazione standard
di 15 e una media di 100, si tratta dunque di un punteggio del QI di 65-75 (70
± 5) o inferiore. Inoltre deve essere valutato il funzionamento adattivo, il
cui deficit è necessario oggi per una definizione di disabilità intellettiva. I
test in questo ambito, che consentono di ottenere misure standardizzate,
vengono fatti a persone informate (ad esempio, genitore o un altro membro della
famiglia) e all'individuo nella misura del possibile. Altre fonti di
informazione comprendono valutazioni di carattere educativo, di sviluppo,
medico e salute mentale.
Quando il test
standardizzato è difficile o impossibile da somministrare, a causa di una
varietà di motivi, l'individuo può essere diagnosticato con disabilità
intellettiva non specificata. Come riferisce oggi il DSM 5, questa categoria
dovrebbe essere utilizzata solo in circostanze eccezionali e richiede una
rivalutazione dopo un periodo di tempo.
Un altro capitolo è il disturbo di personalità. Un disturbo
della personalità è un modello duraturo di comportamento interiore che devia
notevolmente dalle aspettative della cultura del singolo, è pervasivo e
inflessibile, ha un inizio nell'adolescenza, è stabile nel tempo e porta una
serie di disagi.
Il termine disturbo di personalità non specificato è un
termine usato quando il modello di personalità del singolo individuo soddisfa i
criteri generali per un disordine di personalità e sono presenti tratti di
diversi disturbi della personalità, ma i criteri per una personalità specifica
non sono soddisfatti in pieno.
Il professionista per fare una valutazione di Disturbo di
Personalità deve valutare la stabilità dei tratti di personalità nel tempo e
nelle diverse situazioni. Anche se un'intervista con l'individuo è talvolta
sufficiente per effettuare la diagnosi, è spesso necessario condurre più di una
intervista nel tempo.
Quindi dire che Pucci
era oligofrenico (come Mele nel 1970) e dire che è affetto da ritardo mentale è
una tautologia, nella quale varia soltanto, dal 1983 al 1996, il grado del
disturbo, che nella visita del 1983 viene molto probabilmente esagerato, mentre
nel 1996 non è esattamente quantificato.
D4. La domanda posta dal PM ai periti era innanzitutto in
merito all'invalidità del periziando. Ma a questo quesito i consulenti
sostanzialmente non rispondono, adducendo una mancanza di collaborazione del
soggetto. Avendo letto il testo della consulenza e la trascrizione della
deposizione dei periti in aula, potete fare qualche osservazione supplementare?
R4. La perizia (o meglio, consulenza tecnica) si è svolta in
soli due incontri; è probabile che aumentare il numero di incontri avrebbe
facilitato la collaborazione del soggetto e magari gli avrebbe permesso di
comprendere che la perizia non era volta ad un eventuale accertamento ai fini
della pensione d’invalidità che percepiva.
Nello stesso tempo i periti si contraddicono, perché
inizialmente dicono che: (Pucci) “ha chiesto spiegazioni circa le ragioni e gli
scopi dei nostri incontri, ha compreso senza difficoltà alcuna il perché dei
nostri accertamenti e ha fornito i dati di cui sopra...”, ma poi aggiungono
che: “è come se tutto il nucleo familiare paventasse chissà quali negative
conseguenze dagli accertamenti in corso; a poco sono servite le nostre
rassicurazioni circa il suo ruolo di semplice, ma importante testimone per
l'accusa...” Non è dunque chiaro se il Pucci avesse effettivamente capito quali
fossero gli scopi della perizia e ciò non ha sicuramente agevolato la sua
collaborazione.
Altra criticità è il passaggio che dice: “Il patrimonio
intellettivo è apparso piuttosto povero, ma non propriamente così deficitario
come risulta dalla patologia accertata dalla commissione per gli invalidi
civili nel lontano 1983...” Come già detto, il giudizio clinico nel valutare il
funzionamento cognitivo e adattivo del soggetto con Ritardo Mentale appare
sicuramente importante, ma non può essere esclusivo. Parlare di patrimonio
intellettivo che “pare” povero lascia molti margini ad interpretazioni
soggettive non quantificabili. Sarebbe
stato importante usare anche misurazioni oggettive con test standardizzati. Stessa
cosa per la descrizione di: “attenzione vigile e memoria valida, senza segni di
cedimento o di rallentamento o di intorpidimento”; anche in questo caso
esistono numerosi test neuropsicologici che avrebbero consentito di avere una
valutazione oggettiva e quantificabile sul funzionamento di abilità
neuropsicologiche complesse, quali sono l'attenzione e la memoria. La sola
osservazione può dunque indurre in errore il clinico. Inoltre nel verbale di deposizione i due periti affermano che il
soggetto ha raccontato poco o nulla del suo vissuto; come fa questa
affermazione ad essere coerente con la definizione di “memoria attendibile”? La
maggior parte delle informazioni sulla sua anamnesi vengono fornite ai periti
dalla sorella: anche questo dato di fatto è poco compatibile con una
definizione di memoria attendibile.
In sostanza, in sede di perizia venne somministrato al
periziando il solo test di Rorschach, che era ed è tuttora molto diffuso
nell'ambito della psicologia forense prevalentemente da parte degli psichiatri
e psicologi di scuola psicodinamica. Il
reattivo di Rorschach fu definito come lo strumento d’eccellenza per
l’investigazione dinamica della personalità e fa parte dei test così detti
“proiettivi”. Essendo di diversa scuola, preferiamo non commentare questo
specifico punto. Comunque, l'uso dei test proiettivi andrebbe evitato quando ci
sono da valutare aspetti strettamente intellettivi. Per esempio, se bisogna
effettuare una valutazione della capacità di intendere e di volere, le tecniche
proiettive devono obbligatoriamente cedere il passo ai test di livello, prime
fra tutti le scala Wechsler (Test WAIS).
In generale, le tecniche proiettive non andrebbero applicate
quando ad essere esaminata è una persona con un medio-grave ritardo mentale. In
un ritardo lieve ciò andrebbe fatto con molte cautele.
In conclusione, la
diagnosi di “ritardo mentale non quantificato” non è altro che la formula che i
periti applicano quando “gli adulti sono troppo poco collaborativi per essere
testati” (DSM-IV, F79.9). Poteva valere la pena di cercare di vincere questa
iniziale mancanza di collaborazione del periziando. Ugualmente, concludere la
perizia parlando di un disturbo di personalità non quantificabile senza neppure
cercare di qualificarlo sembra davvero molto poco.
D5. Quali caratteristiche può avere un soggetto con ritardo
nel riportare i propri dati mnestici?
R5. Le difficoltà di memoria nel Ritardo Mentale non sono
omogenee. Soggetti con ritardo mentale medio-lieve possono non ricordare quello
che hanno visto in televisione, ma possono ricordare facilmente episodi e
storie che hanno contenuti fortemente emotivi. E’ chiaro che chiunque dovrebbe ricordare per sempre di aver assistito
a un duplice omicidio. Comunque, sono spesso presenti difficoltà nella memoria
sia a breve che a lungo termine, che nel nostro caso sono ben documentate dalla
deposizione stessa del teste in sede processuale.
Inoltre le modalità di comunicazione dei propri dati mnesici
nei soggetti con Ritardo Mentale dipendono molto dalla effettiva comprensione
della domanda, da quanto è compromesso il linguaggio della persona (espressione
e comprensione), da come viene posta la domanda, ecc. Infine il ricordo degli
eventi può essere disturbato anche nello stadio della ritenzione. In
particolare, le informazioni che vengono
acquisite dopo il verificarsi dell’evento possono avere un effetto distorcente.
D6. Ci sono particolari cautele da osservare
nell'interrogare giudizialmente un soggetto con ritardo in merito alle proprie
esperienze? In particolare in relazione a un’eventuale maggiore
suggestionabilità?
R6. Non siamo specialisti in questo settore. Crediamo che ad
esempio nel Regno Unito vengano usate regole di buona prassi per gli agenti di
polizia che indicano i procedimenti adatti per interrogare i soggetti con
Ritardo Mentale. Si potrebbe, semplificando, dire che nell’interrogatorio del
soggetto con ritardo dovrebbero essere usate le cautele che vengono usate
nell’interrogatorio dei minori.
Troviamo nella rivista online PsicologiaGiuridica.eu
un’interessante sentenza di Cassazione (II Sezione Penale, n. 9817/2007) di cui
possiamo riportare un estratto:
“E’ sperimentalmente
dimostrato che un bambino, quando è incoraggiato e sollecitato a raccontare, da
parte di persone che hanno una influenza su di lui (e ogni adulto è per un
bambino un soggetto autorevole) tenda a fornire la risposta compiacente che l’interrogante
si attende e che dipende, in buona parte, dalla formulazione della domanda. Si
verifica un meccanismo per il quale il bambino asseconda l’intervistatore e
racconta quello che lo stesso si attende, o teme, di sentire; l’adulto in modo
inconsapevole fa comprendere l’oggetto della sua aspettativa con la domanda
suggestiva che formula al bambino. In sintesi, l’adulto crede di chiedere per
sapere mentre in realtà trasmette al bambino una informazione su ciò che
ritiene sia successo. Se reiteratamente sollecitato con inappropriati metodi di
intervista che implicano la risposta o che trasmettano notizie, il minore può a
poco a poco introiettare quelle informazioni ricevute, che hanno condizionato
le sue risposte, fino a radicare un falso ricordo autobiografico; gli studiosi
della memoria insegnano che gli adulti “raccontano ricordando” mentre i bambini
“ricordano raccontando” strutturando, cioè, il ricordo sulla base della
narrazione fatta. Una volta fornita una
versione, anche indotta, questa si consolida nel tempo e viene percepita come
corrispondente alla realtà. Tale accadimento è possibile perché la naturale
propensione della mente umana è verificazionista; quando ci formiamo una idea,
tendiamo naturalmente ed inconsapevolmente a confermarla attraverso
l’acquisizione di nuove informazioni coerenti con la stessa ed a destinare un
trattamento opposto a quei dati che sembrano andare in direzione contraria”.
Questo passaggio potrebbe ben applicarsi al caso giudiziario
che stiamo studiando, anche se il soggetto non è un bambino.
In generale, in tema
di suggestionabilità, i minori risultano più suggestionabili quando le domande
sono poste da persone che ritengono autorevoli; inoltre le domande
specifiche inducenti e ripetute producono facilmente distorsioni, mentre i
racconti liberi producono risposte più accurate anche se spesso incomplete.
Se osserviamo il “racconto libero” (free recall) del Pucci, esso è molto scarno; sa dire solo il motivo
della sosta e di aver visto una tenda e due uomini, uno con il coltello e
l’altro con la pistola; tutti gli altri particolari sono prodotti, appunto, da
domande specifiche inducenti e ripetute.
D7. Siete entrambi specialisti di abilità cognitive come la
memoria. Abbiamo detto che un evento scioccante come aver assistito a un
duplice omicidio non si scorda più, almeno nelle sue grandi linee. Ma quanto è
credibile che un soggetto ricordi nel 1996 particolari di eventi vissuti negli
anni dal 1983 al 1985? E che poi - nuovamente interrogato nel 1997 - non li
ricordi più? E che non ricordi quanto ha dichiarato l'anno precedente?
R7. Sono due i ragionamenti da fare. Innanzitutto
premettiamo che esistono molti tipi di memoria: nello specifico i ricordi di
avvenimenti traumatici fanno parte della memoria autobiografica. Spesso ricordare
il trauma è come riviverlo e gli eventi traumatici del passato sono richiamati
con grande vividezza di particolari e intensità emotiva quasi che il trauma si
stia verificando di nuovo. Se dunque Pucci ha effettivamente assistito ad un duplice omicidio è molto probabile
che ciò possa essere definito come ricordo traumatico, soprattutto per la
sensazione emotiva che vi si accompagna (angoscia e forte sensazione di pericolo per la propria
incolumità personale). Se così fosse,
dovrebbe essergli rimasta impressa in memoria la scena principale dell'evento
traumatico e quindi avrebbe dovuto ricordarla in modo dettagliato e descriverla
in egual modo sia nel 1996 (dieci anni dopo il fatto) che nel 1997 ossia solo
un ulteriore anno dopo. Un evento traumatico non potrebbe essere stato
ricordato in modo particolareggiato l’anno prima e poi dimenticato l’anno
successivo, in quanto il trauma sarebbe riaffiorato con la stessa intensità.
Addirittura si pensi che i ricordi e le immagini dell’evento traumatico
ritornano alla mente anche quando non li si vorrebbe richiamare alla memoria.
Il secondo ragionamento è il seguente: un conto è ricordare
la scena principale di un delitto, che come abbiamo detto risulta un evento
traumatico; altra cosa è ricordare dettagli e particolari relativi al contesto,
alla situazione, al giorno, all'ambiente. Tredici anni di tempo sono veramente
molti perché' una serie di informazioni possano rimanere impresse nella nostra
memoria. Ma anche ammettendo che ciò sia
avvenuto, queste informazioni (nel caso di Pucci per esempio data, giorno della
settimana, autovettura, presenza di un motorino ecc.) entrano nella nostra
memoria a lungo termine che è un tipo di memoria che può trattenere i dati
anche anni. È quindi tanto meno credibile che una persona possa ricordare con
precisione dopo così tanto tempo tutta una serie di informazioni e poi
dimenticarli improvvisamente l'anno successivo.
Per questo è fondamentale condividere un’ulteriore
riflessione: ossia quella che riguarda i cosiddetti falsi ricordi. Infatti la
memoria può generare in determinate situazioni una vera e propria ricostruzione
del ricordo. I falsi ricordi sono
distorsioni della memoria che vengono create quando le persone sviluppano una
serie di ricordi vividi e dettagliati di eventi che non hanno mai vissuto;
oppure, le persone possono confondere gli eventi che si sono verificati prima o
dopo l’evento con l’evento stesso. Per esempio, in ambito legale, vi sono delle
informazioni post – evento acquisite dal testimone attraverso i colloqui con
agenti di polizia, gli interrogatori precedenti o le discussioni con altre
persone con amici e parenti che possono contribuire a creare un falso ricordo o
perlomeno a modificarne uno reale con dettagli non esistenti.
Visto che l'interrogatorio del Pucci avviene proprio nel 96,
quando Pacciani e Vanni sono al centro dell’attenzione mediatica e, c’è da
supporre, del paese, viene da pensare che molti dettagli riferiti possano
essere dunque ascrivibili a falsi ricordi, soprattutto visto quanto espresso
prima sul ritardo cognitivo del testimone. Una
serie di falsi ricordi stimolati dall’ambiente e dagli interrogatori e soprattutto
troppo dettagliati difficilmente sarebbe poi rimasta nella memoria l'anno
successivo.
Chi volesse sapere di più sull’argomento può consultare
questo articolo della rivista online “State of mind”, con annessa bibliografia
(http://www.stateofmind.it/2015/09/trauma-memoria-misinformation-effect/
)
D8. In effetti, leggendo il verbale del primo interrogatorio
del Pucci quasi non si capisce che stia riferendo di aver assistito a un
duplice omicidio. A questo punto, chiedo: è plausibile che Pucci abbia in altra
occasione vissuto un’esperienza parzialmente simile a quella raccontata e abbia
poi, in perfetta buona fede, adattato i suoi dati mnestici personali al
contesto che pensava di ricostruire seguendo eventuali domande suggestive degli
investigatori?
R8. E’ un’ipotesi possibile, posto che sia davvero necessario
individuare un accadimento reale come spunto delle dichiarazioni del teste.
Tralasciando il dibattito in aula, nel quale Pucci dice poco o nulla, nei
precedenti verbali, se esaminati nella loro successione cronologica, il
processo di adeguamento è evidente. Ma dal punto di vista professionale non
possiamo dire di più.
D9. Infine, una domanda sulla risposta conclusiva dei
periti, in merito all’asserita capacità di Pucci di testimoniare “purché lo
voglia”.
R9. Concordiamo, ma a condizione che la testimonianza sia
condotta con le cautele e poi valutata
dal giudice nei limiti di cui abbiamo parlato sopra.
Da parte mia, dell’intervistatore / autore del blog, posso
solo chiosare il contenuto del colloquio riproponendo un passo
dell’interrogatorio dei Pucci a processo, molto citato e che dovrebbe commentarsi da solo, ma dal
quale, in realtà, la corte non trasse le debite conclusioni.
P.M.: Senta, le faccio
ancora qualche domanda. Lei, poi, con il Lotti, ha parlato di altri omicidi?
Degli altri omicidi del "Mostro"? Con il Lotti.
F.P.: (espressione di
diniego) Ma io... Ma che c'è mica scritto, costì?
P.M.: Eh
F.P.: No, lo voglio
sapere, perché vu' scrivete un monte di
robe, io 'un me lo ricordo...
P.M.: Noi, queste
robe, per fortuna le abbiamo anche registrate. Quindi...
F.P.: Abbia
pazienza... 'Un mi posso ricordare di ogni cosa.
P.M.: No, ma lei non
si deve ricordare cosa c'è scritto qui, capito, signor Pucci?
F.P.: Ecco...
P.M.: Lei si deve
ricordare se questi discorsi li ha fatti e se sono veri.
F.P.: Ma io non me lo
ricordo.
P.M.: Però, vede, se
non se lo ricorda ora, è un fatto; se non se lo ricordava nemmeno prima, è un
altro.
F.P.: Eh, non è
possibile...
P.M.: Ecco.
F.P.: ... non me ne ricordavo nemmeno prima,
sicché... Ora, che vuole, è da tanto tempo che... Chi se ne ricorda! Bah...
(FINE)
Credo che un punto davvero poco dibattuto fra gli appassionati della vicenda (ma in effetti questa assume l'aspetto di un puzzle multidisciplinare) sia proprio quello della psicologia della testimonianza. Penso sia molto importante mettere sul piatto della bilancia questo aspetto come hai fatto tu, altrimenti si rischia la solita pletora di "è impossibile", "è verosimile", "non è pensabile", "è ovvio che", etc. tutte sensazioni basate sulla propria esperienza personale (magari percepita anche quella), ma ben poco suffragati dai dati dell'osservazione empirica.
RispondiElimina"un conto è ricordare la scena principale di un delitto, che come abbiamo detto risulta un evento traumatico; altra cosa è ricordare dettagli e particolari relativi al contesto, alla situazione, al giorno, all'ambiente. Tredici anni di tempo sono veramente molti perché' una serie di informazioni possano rimanere impresse nella nostra memoria. Ma anche ammettendo che ciò sia avvenuto, queste informazioni (nel caso di Pucci per esempio data, giorno della settimana, autovettura, presenza di un motorino ecc.) entrano nella nostra memoria a lungo termine che è un tipo di memoria che può trattenere i dati anche anni. È quindi tanto meno credibile che una persona possa ricordare con precisione dopo così tanto tempo tutta una serie di informazioni e poi dimenticarli improvvisamente l'anno successivo". mi chiedo a questo punto quale sia la credibilità del Pucci successivo, quando gli chiedono del medico di Perugia...
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