mercoledì 11 ottobre 2023

L'alibi di Salvatore (2)

 

Vorrei aggiungere qualche breve considerazione rispetto a quanto scritto nell’ultimo post in merito all’alibi presentato da Salvatore nel 1968 e smentito da Nicola Antenucci 17 anni e rotti dopo i fatti.

Per far questo, mi occorre utilizzare un concetto che è proprio della critica biblica, quello di “Sitz im Leben” (e chiaramente lo faccio in omaggio a uno dei miei pochi lettori/commentatori che si firma “Reimarus”). Quindi cosa indica questa difficilmente traducibile espressione tedesca introdotta nell’esegesi dalla “Scuola delle forme”? Che per capire ogni documento letterario è necessario comprendere il contesto storico in cui nasce, il pubblico a cui è rivolto, lo scopo che si prefigge. Ora, nel caso del Rapporto Torrisi del 1986 siamo ben lungi da un testo letterario (anche se alcuni passi presentano notevole somiglianza con le bibliche invettive contro i vizi di Sodoma e Gomorra); però può essere interessante comunque inquadrarne il contesto.

Posto che la testimonianza in esame (Antenucci si presenta spontaneamente al G.I.) ha luogo il 18 ottobre 1985, possiamo ampliare un po’ il panorama delle indagini che erano  in corso in quel momento. Tramontata l’ipotesi Francesco Vinci dopo il duplice omicidio del 1983, controllato senza esito anche il figlio di Salvatore e sodale di Francesco, rimessi in libertà i due cognati dopo l’omicidio di Vicchio, rimaneva sull’agenda degli investigatori il solo Salvatore, giacché le sbrigative indagini del 1968-70 non fornivano ulteriori spunti, a parte alcuni nomi di soggetti siciliani forse in contatto con le due prime vittime.

Pertanto nel 1985 Salvatore Vinci è il primo sospettato, tanto più che dal maggio ‘85 Stefano Mele è tornato ad accusarlo; viene pedinato nei weekend e intercettato; senonché, proprio mentre è sotto sorveglianza avviene l’ultimo duplice omicidio, il che condurrà i CC all’amara conclusione “di non averlo controllato abbastanza bene” (in sostanza così Rotella pag. 154). A questo punto, vieppiù convinti gli inquirenti di venir menati per il naso da un callido e feroce assassino, nel mentre si intensificano - tardivamente -  i controlli già in atto, si torna al passato. E, come è noto il passato di Vinci vede la morte, in un caso violenta, nell’altro sospetta, di due donne a lui vicine: l’amante Barbara nel 1968 e  la moglie Barbarina nel 1960. E Mele,per quanto poco credibile, nel settembre 1985 dopo Scopeti, continua ad accusare Salvatore, questa volta insieme al proprio fratello Giovanni. 

 

Mario Spezi su La Nazione, ottobre 1985

 

 Quindi nell’ottobre 1985 prendono piede le indagini, in Sardegna e Lombardia, sul presunto suicidio di Barbarina Steri e si riesaminano, per l’ennesima volta, i fatti e i documenti del 1968. Per collegare l’omicidio del 1968 con la persona di Salvatore è però necessario smontare l’alibi presentato con successo a suo tempo, sia in corso di indagine sia nel processo del 1970 di cui abbiamo parlato nel post precedente. Potremmo supporre che proprio in questa critica temperie - in questo Sitz im Leben - a qualcuno degli inquirenti sia caduto l’occhio sullo strano verbale del 24 agosto 1968, in cui Nicola Antenucci aveva parlato inizialmente di una partita a biliardo avvenuta il martedì, facendosi poi convincere dal P.M. Capponnetto a correggere il giorno in mercoledì.  Nicola Antenucci viene risentito - dopo varie deposizioni, delle quali l’ultima del 1983, nelle quali aveva confermato quanto inizialmente dichiarato - il 16 ottobre e, nell’occasione, spiega come erano avvenuti gli interrogatori di cui è verbale, ma ancora a quanto sembra non è in grado di ricordare precisamente tutti gli avvenimenti della settimana; Torrisi non ci dice se tuttora confermi o meno le date più volte indicate, ma certo dei dubbi gli saranno venuti o gli saranno stati fatti venire.

Passano due giorni e ad Antenucci, il 18 ottobre, torna, per fortuita ed inspiegabile combinazione (cit.), la memoria totale, esaustiva e definitiva della settimana; l’abbiamo già descritta.

Ora, chiunque abbia qualche vaga nozione del funzionamento della memoria non può non essere scettico in merito al miracoloso recupero della memoria di Antenucci, per quanto avvenuto “dopo aver attentamente meditato” (Torrisi) per due giorni (1). Volendo credergli, si dovrebbe pensare piuttosto che lo sapesse dall’inizio e per questo ne avesse conservata precisa memoria. Ma allora, sorge la domanda, se voleva fornire l’alibi al nuovo amico, perché non fornirlo a puntino, per il giorno giusto? Questa domanda resta, a mio avviso, aperta.

 

(1) Chi è interessato ad approfondire l’argomento può documentarsi, oltre che sui libri già classici della prof.ssa Giuliana Mazzoni, sull’ampio materiale presente nei siti https://www.societadipsicologiagiuridica.org/ e https://www.testimonianzapenale.com/ 

34 commenti:

  1. Concordo pienamente con i dubbi sollevati in merito alla validità di testimonianze rese dopo anni dagli accadimenti. In questo caso però la versione dei fatti resa anni dopo non si configura come una versione "diversa" rispetto a quella resa da Nicola nell'immediatezza ma, più propriamente, identica per quanto riguarda le circostanze e le azioni svolte assieme a Salvatore e Silvano ed identica per quanto riguarda la sua seconda dichiarazione nella allorquando, per la prima volta, gli viene esplicitamente chiesto a quale giorno della settimana devono essere riferiti i fatti di cui aveva appena parlato. Nicola, AFFERMA che si era trattato del martedì e, pur affermando di non sapere riferire la data precisa, RIPETE che il giorno della settimana era martedì (non mercoledì) argomentando oltretutto la sua risposta. In seguito, di fronte a dirette e crescenti contestazioni da parte del Magistrato in relazione a questa sua specifica affermazione, Nicola finisce per adeguarsi ad un giorno (il mercoledì) che gli consente oggettivamente di chiudere la partita senza conseguenze negative per sé e per Salvatore.

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  2. Questa che proponi è senz'altro una spiegazione possibile: già nel 1968 Nicola ricordava solo 4 sere e sono le stesse che descrive con maggiore precisione (o meglio, la maggiore precisione è nei verbali, non può essere nella sua testa) nel 1985. La prima difficoltà che vorrei sollevare è che ricorda appunto solo 4 sere, ma partendo dalla domenica: quindi il giovedì e il venerdì (prima di essere prelevato dai CC) non sa dire cosa ha fatto. E' comprensibile che non se lo ricordi, ma allora come fa a descrivere con grande precisione le prime quattro sere? La mia seconda obiezione è: la confusione martedì/mercoledì non ci fa pensare a un alibi preparato. In altre parole, se la partita a biliardo avvenne solo martedì (e lunedì) come poteva pensare Salvatore che Nicola gli confermasse l'alibi, mentre invece era stato dalla cugina? Qui non siamo a mesi / anni dal fatto, ma due giorni dopo. Allora la domanda cui a mio parere non si può rispondere con certezza è: Nicola aggiusta le cose - per accontentare gli inquirenti - nel 1968 (passando dal martedì al mercoledì) o nel 1985 (ritornando dal mercoledì al martedì)?

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  3. Hazet sul gruppone hai molti seguaci, perché non ti fai un blog tuo?



    “Reimarus” è un lettore?
    Non un alter ego creato apposta per darsi un tono di approvazione ?
    Questa sì che è una novità!

    'Hazet,

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    1. Con preghiera di pubblicare. Smentisco di essere un "alter ego" di (se ho ben capito) "Hazet". Anche quest'ultimo, come del resto moltissime persone, tra le quali chi scrive, non crede nella verità processuale "raggiunta" su (quattro de)i duplici omicidi attribuiti al Mdf. Mi sembra tuttavia che il predetto (chiedo venia se sbaglio e, se sbaglio, correggetemi) sia tra i sostenitori della "pista sarda", come, ad es., Mario Spezi e Davide Cannella; non è questo il caso di chi scrive, dal momento che, pur a seguito di approfondite e prolungate indagini sulla pista in questione, non è emerso (pistola a parte, con tutte le controversie che al riguardo sono sorte e permangono: si vedano le deduzioni di C.P. sull'asserito depistaggio del 1982) alcun concreto legame tra appartenenti al "clan dei sardi" e uno qualsiasi dei duplici omicidi commessi tra il 1974 e il 1985. Approfitto di questa mia precisazione per ribadire, a partire dalla errata ipotesi di un'identità tra diversi utenti, un punto metodologico che mi sembra non irrilevante: l'evidente diversità di stile e di toni tra chi scrive e l'utente Hazet porta naturalmente alla conclusione che si tratta di persone diverse, come in effetti è, e di ciò sono e non posso ovviamente non essere assolutamente certo; se ne evince, come regola generale di ragionamento, che le ipotesi da privilegiare e le conclusioni per le quali propendere sono quelle che si conformano all'"id quod plerumque accidit" (ad esempio, testi che evidenziano nette diversità di stile e di toni vanno ascritti a persone diverse) e sono da preferirsi alle altre (ad esempio, testi nei quali si riscontrano evidenti diversità di stile e di toni sarebbero il frutto della medesima persona che assume diverse identità, nella fattispecie per, se ho ben capito, continuare ad intervenire nel contesto di un blog nonostante i suoi modi lo abbiano portato o rischino di portarlo ad essere "bannato" da quel blog). Preciso altresì che solo saltuariamente accedo a questo blog e che solo stamattina ho appreso dell'ipotesi, non rispondente al vero, di una identità tra chi scrive e l'utente Hazet. Per quanto concerne la "storia" dello scrivente, che risiede in un comune della Città Metropolitana di Roma Capitale, aggiungo che il primo contatto, a parte articoli di giornale e trasmissioni TV, con la vicenda del Mdf è avvenuto con la lettura del libro scritto dal Presidente della Corte d'Assise d'Appello che assolse Pacciani e che la curiosità per la vicenda fu, dopo molti anni, riaccesa dalla visione di alcuni video su Youtube in periodo di lockdown. Successivamente, tra i vari siti compulsati sul Web, ho trovato particolarmente interessante e in consonanza con l'approccio che preferisco alla vicenda il blog di Omar Quatar, alla fine inducendomi a qualche intervento nello stesso. Un cordiale saluto.

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    2. No, Reimarus, ha frainteso il senso del commento precedente. E' l'utente Hazet che nella sua bassezza intellettuale e morale avanzava l'idea che "Reimarus" fosse un alter ego di me stesso, creato appositamente per dare un tono più elevato al blog.
      Ho pubblicato la frasetta, nonostante il ban perpetuo cui è sottoposto Hazet, per dimostrare, se ancora fosse necessario, la proterva sicofantaggine del molesto individuo.

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    3. Ho capito. Accedendo al blog senza continuità, ho "saltato" alcuni passaggi e non ho comunque compreso che nel Suo post del 13 ottobre 2023, 11.14, vi era una citazione dell'utente Hazet.

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  4. Per quanto concerne il duplice omicidio del 1968, vorrei porre un interrogativo su un punto sul quale non ho sinora trovato espresse considerazioni. A quel che mi è capitato di leggere, Natalino Mele, quando raggiunse la casa, a circa un paio di chilometri dal luogo del delitto, nella quale trovò accoglienza quella notte, non sembrava trovarsi in uno stato di particolare alterazione emotiva: egli afferma che la madre era morta in macchina con lo "zio", che il padre era a casa malato e che lui, Natalino, era stanco e voleva, dopo essersi riposato, essere accompagnato a casa. Premesso che le considerazioni al riguardo devono tener conto della percezione che della morte hanno bambine/i in età di cinque/sei anni, lo stato d'animo di Natalino Mele, stando alla descrizione che della sua condotta in quel frangente viene data, appare sin troppo tranquillo, per essere un bambino che da poco ha assistito alla morte violenta della madre (è poco probabile che i colpi di pistola non lo abbiano svegliato) e comunque ne ha constatato la morte, evento per lui improvviso e inaspettato. Ci si può chiedere, quindi, se l'apparente assenza di reazioni emotive all'evento (ciò che sembra interessargli è riposarsi e poi andare a casa) non possa essere dovuta al fatto che, sul luogo del delitto e nell'immediatezza dello stesso, egli non abbia trovato la presenza "rassicurante" di qualche familiare stretto.

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    1. Questa dello stato d'animo relativamente tranquillo di Natalino è un'osservazione fatta da molti autori e, peraltro, anche dagli stessi inquirenti in corso di indagine. La risposta che fu accompagnato e tranquillizzato dal padre si scontra però a mio avviso con la mancanza di scopo della passeggiata. In effetti Stefano dirà, dopo aver ammesso di averlo accompagnato, di averlo portato fin lì perché riportarlo a casa a piedi sarebbe stato troppo lungo. Questo però presuppone almeno due cose: 1. che stefano dopo l'omicidio fosse stato abbandonato dal complice; che sapesse che in fondo alla stradina, alla distanza di due km e rotti, ci fosse un abitato dove depositare il bambino. D'altronde, chi era in grado di accompagnarlo e tranquillizzarlo dopo il trauma vissuto se non unicamente il padre?

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  5. Il mio interesse per la vicenda del MdF e’ sporadico, e dunque leggo solo adesso questa pagina. Vorrei comunque commentare la parte in cui Reimarus e Omar Quatar discutono della reazione di Natalino alla morte della madre. Che percezione poteva verosimilmente avere, Natalino, della morte? La letteratura psicologica su questo tema e’ piuttosto limitata. I risultati dei pochi studi effettuati sono pero' piuttosto convergenti e ci offrono indicazioni abbastanza precise.
    Comprendere la morte implica il riconoscimento di cinque fatti biologici fondamentali: 1) tutti gli esseri umani sono destinati a morire (inevitabilita’); 2) la morte si applica a tutti gli esseri viventi (universalita’); 3) la morte e’ permanente (irreversbilita’); 4) con la morte, tutte le funzioni fisiologiche e mentali si fermano (cessazione); 5) la morte e’ causata dalla rottura dei processi corporei (causalita’). La comprensione di questi cinque fatti viene acquisita in tempi diversi ed a velocita’ diverse. I bambini generalmente comprendono l’inevitabilita’ e l’irreversibilita’ della morte gia’ a 5 anni, mentre raramente comprendono l’universalita’ e la cessazione prima dei 6-7 anni. Inoltre, vi e’ evidenza empirica che l’idea che il corpo smetta di funzionare viene acquisita prima dell’idea che la mente (pensieri, emozioni) cessino di esistere con la morte. Il principio di causalita’, essendo una nozione astratta e richiedendo la comprensione di processi complessi, non viene acquisito prima degli 8-10 anni.
    Si puo’ dunque ipotizzare che Natalino capi’ che sua madre era morta e che l’aveva perduta per sempre, almeno nella sua forma terrena. Questo deve per forza aver costituito un trauma fortissimo, rafforzato anche dalle particolari circostanze in cui Natalino scopri' di questa morte.

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    1. l'argomento ripreso da Fabio S. è fondamentale. L'avevo trattato nel mio libro, con l'aiuto di una psicologa dell'età evolutiva. Riporto qui il passo specifico, avvertendo che non sono più tanto sicuro di essere d'accordo con me stesso.Il delitto di Signa è un vero rompicapo.
      [inizio citazione] <> [fine citazione]

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    2. il programma ha eliminato il testo tra virgolette; lo ripeto qui :
      D’altra parte, è altrettanto poco probabile che Natalino abbia potuto comprendere da solo che la madre e lo “zio” erano morti: un bambino di sei anni non ha di norma un'idea chiara della morte. Vieppiù stupefacente che abbia padroneggiato con relativa freddezza la situazione, se si considera la possibilità che il bambino stesse dormendo al momento dell'omicidio e si sia svegliato in piena sparatoria, esperimentando poi direttamente, come racconta in un primo momento, l’avvenuto decesso della coppia. E’ strano che non abbia riportato impressioni proprie o incertezze a questo riguardo nel suo discorso al De Felice, del tipo “la mamma sta male" oppure “la mamma non si sveglia" o qualcosa di simile, ma che abbia chiaramente percepito e riferito dell’avvenuta morte della madre. Sembra logico pensare che sia stato imbeccato da qualcuno su cosa dire ai suoi soccorritori...
      Particolarmente singolari sono le sue prime parole rivolte al De Felice e l’atteggiamento di apparente calma. L’ipotesi più verosimile resta indubbiamente quella dell’indottrinamento in itinere. Volendo ad ogni costo escludere l’intervento di un terzo, si dovrebbe pensare che il bambino si trovasse in una fase di negazione dell’evento traumatico, per cui lo avrebbe riportato senza coinvolgimento emotivo e come un fatto secondario (il bisogno primario manifestato sarebbe quello di dormire perché stanco e assonnato). Anche la formulazione “ho il babbo a letto malato” si situa all’opposto del normale bisogno di accudimento di un bambino che in una situazione di pericolo richiede la presenza delle figure genitoriali. Per quanto improbabile, non si può comunque escludere che l’apparente tranquillità possa essere imputabile ad uno stato di alterazione della coscienza.

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    3. Ancora sul tema:
      E’ del resto certo che non può essersi tranquillizzato da solo durante il cammino (sarebbe semmai avvenuto il contrario) ed è plausibile che sembri tranquillo perché è stato accompagnato e confortato (e non certo minacciato, come sostiene il padre!) da una figura familiare, che potrebbe essere il padre o un altro soggetto a lui ben noto e dotato di autorevolezza, un parente o anche uno degli amanti della mamma che gli fosse particolarmente familiare e non ostile.
      Il fatto poi di riportare il bambino sulla scena del crimine (sopralluogo insieme al M.llo Ferrero) può, da una parte, essere stato utile nella ricostruzione del ricordo, ma dall’altra è anche possibile che ritrovarsi sul luogo del delitto alcuni giorni dopo abbia attivato così tanto il bambino da rendere ancor più confusi i suoi ricordi dell’accaduto. Non si può prescindere dal fatto che si è trattato per Natalino di un episodio drammatico, la cosa peggiore e più destabilizzante che può capitare ad un bambino, ossia quella di essere testimone della morte della propria madre. La mente umana, soprattutto quella infantile, tende spesso a trovare meccanismi difensivi rispetto a situazioni così fortemente stressanti, come quella di negare il fatto, o di ricostruirlo in modo differente dal reale, oppure meccanismi dissociativi, in cui l'evento viene vissuto come se fosse accaduto ad un estraneo.

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  6. Essendo convinto della validita' scientifica della letteratura sulla comprensione del concetto di morte nei bambini, a cui ho fatto riferimento, credo fermamente che Natalino abbia capito che sua madre era morta e dunque scomparsa per sempre.
    Com'e' possibile, allora, che Natalino sia apparso relativamente sereno ai De Felice? La presenza di una figura familiare e tranquillizzante che accompagno' Natalino durante il tragitto puo' senz'altro spiegare questa incongruenza. Personalmente, pero', trovo difficile immaginare che nell’immediatezza di un trauma di tale entita’, qualcuno, si trattasse anche di suo padre, avesse la capacita’ di riportare Natalino alla calma completa. Per questo, credo che valga la pena prendere sul serio uno scenario alternativo, a cui Omar Quatar ha gia' accennato.
    Ovvero, e’ possibile che il trauma subito da Natalino sia stato talmente forte da creare uno stato dissociativo, in cui la parte cognitiva dell'esperienza si separa dall’emotivita’. Cio’ che Natalino vede e’ troppo forte ed intenso per la sua giovane psiche, all'interno della quale si produce una sorta di deflagrazione, con schegge cognitive ed emotive che schizzano ovunque. Il terrore e la paura scaturiti dal vedere la madre morta si scindono dalla mera conoscenza del fatto, e scompaiono temporaneamente dalla coscienza.
    Questa possibile spiegazione si coniuga bene con un altro fatto: Alcune di queste schegge cognitive non verranno mai piu’ reintegrate nella mente di Natalino (sempre che si creda a quello che lui ha continuamente e coerentemente raccontato nel corso della sua vita adulta). Il Natale adulto ricorda di aver visto la madre morta, di averle toccato la mano, ricorda il sangue. Ma non ricorda come usci’ dall’auto, e ha solo vaghi ricordi circa il modo in cui arrivo’ dal De Felice, a parte riferire di aver seguito una lucina lontana. Questo non e’ affatto strano, anzi e’ perfettamente in linea con quello che la psicologia ci dice a proposito del ricordo di eventi traumatici. Diversamente dai ricordi di eventi piacevoli o neutrali, che si strutturano in narrative lineari e coerenti, i ricordi di eventi traumatici si caratterizzano per il loro essere frammentari. Alcuni dettagli sono ricordati in maniera vivida, altri invece scompaiono dalla memoria. E’ molto tipico, ad esempio, ricordare benissimo il fatto centrale ("ho visto mia madre morta") dimenticando invece aspetti importanti di quello che e’ successo subito dopo, a parte, magari, vaghe impressioni.
    Va detto pero’ che, in Natale, con il passare del tempo la parte affettiva legata all’evento si e’ ricollegata alla parte cognitiva. In un’intervista di qualche anno fa, Natale racconta spontaneamente, senza che l’intervistatore lo avesse sollecitato a farlo, di avere avuto incubi notturni molto frequenti, per tutta la vita, in cui rivedeva l'immagine di sua madre morta.
    L'ipotesi che ho esposto puo' essere sostenuta senza dover ipotizzare la presenza di un accompagnatore. E' anche vero, pero', che non contrasta necessariamente con l’idea che Natalino sia stato accompagnato.

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  7. Non è sinceramente credibile che NM possa non aver potuto capire che madre e zio erano morti, ossia che 'non sarebbero mai più tornati'. Infatti è proprio una delle tre cose che subito dice a chi lo accoglie in casa. Le altre due sono che ha sonno e che suo padre è a casa malato. La conferma a ciò, cioè che avesse ben chiaro che 'morti = che non vanno più da nessuna parte', sta sempre proprio nelle sue successive parole quando accompagnando alla macchina, ed è passato del tempo ormai da quando madre e zio sono stati uccisi, dice di controllare lì, che li ci sono i 'morti'. E quando gli confermano che i morti ci sono eccome, c'ha pure lo sbocco di orgoglio di aver dimostrato di non aver detto una bugia.

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    1. Veramente lo sbocco di orgoglio non lo vedo, lo vede Segnini che però sbaglia a citare la frase di Natalino, che chiese al carabiniere: "Ha visto se sono morti? Ha visto se sono morti?", non affermò enfaticamente: "Ha visto che sono morti! Ha visto che sono morti!" La differenza tra una domanda e un'esclamazione è evidente a tutti tranne che a lui e alcuni suoi fedeli seguaci.
      Vabbé, l'argomento non è decisivo. Al Mucciarini, se gli si vuol credere, NM disse che Lo Bianco gli disse che la madre era morta "e poi si addormentò anche lui. (qui vado a memoria). Secondo me Natalino aveva memoria della fase del cinema e poi del cammino fatto (solo o accompagnato), ma non della sparatoria. Comprensibilmente l'ha rimossa, credo.

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    2. Premetto che non sono un seguace di Segnini. Non credo assolutamente che Lotti sia il MdF (per tutta una serie di ragioni), non credo che le escissioni avessero come scopo quello di fare del teatro (un’idea che contrasta con quello che validi studi criminologici ci raccontano), e ad un certo punto ho smesso di seguirlo perche' non condivido il modo in cui liquida superficialmente tutte le valide obiezioni che gli vengono rivolte.
      Riguardo a cio’ che Nataliano disse al carabiniere, pero’, temo che Segnini abbia ragione. Sono originario di Empoli – che e’ molto vicino a Signa – ed ho la stessa eta’ di Natale Mele, per cui conosco bene l’espressione “ha visto se…” Il tono della frase e’ nettamente affermativo, e si tratta di un modo di affermare che qualcosa e’ come avevo detto io. Equivale a dire: “te l’avevo detto che era morta!” Da notare infatti che, generalmente, “ha” non implica dare del ‘lei’ all’interlocutore, ma e’ una forma abbreviata della seconda persona singolare “hai”. Questo lo si nota anche dal fatto che le parole ‘ha’ e ‘visto’ in questo caso non suonano per niente staccate l’una dall’altra, ma suonano come se si dicesse ‘avisto’.
      Siccome si tratta di una questione importante al fine di capire se Natalino avesse consapevolezza della morte della madre, credo che meritebbe un serio approfondimento. Sarebbe interessante, per esempio, consultare l’Accademia della Crusca al riguardo. Ma davvero, personalmente nutro pochi dubbi in questo caso. Ho usato quell'espressione - con quel preciso significato di cui dicevo - infinite volte.

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    3. Che vuole che le dica, il sig. Manetti, che era sul posto fece verbalizzare le frasi come domande, con il punto interrogativo. Penso che anche lui fosse del posto, visto il cognome (sì, nato a Campi Bisenzio dice il verbale). Ma è possibile che chi batteva a macchina abbia capito male o abbia italianizzato un'espressione sentita come dialettale. Sinceramente non vedo come si potrebbe approfondire, ma il punto eventualmente è a favore di chi pensa che Natalino abbia fatto tutto da solo.

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    4. Quindi, riassumendo si avrebbe che NM aveva memoria della 'fase del cinema' e memoria della 'fase del cammino fatto', ma contemporaneamente non aveva memoria 'della sparatoria'. Se ne deduce, mi si permetta, per consecutio logica che questo sarebbe il motivo principe per il quale 'non avrebbe potuto capire che madre e zio erano morti'. Un costrutto elucubrativo che non va al di là del puro soggettivismo personale a prescindere, in pieno contrasto con quanto lo stesso NM riferisce fin da subito ai De Felice circa il fatto che mamma e zio siano morti; e che fa a pugni, ben oltre il comico, che un caricatore di colpi esploso a poche decine di centimetri dalle tue orecchie non ti svegli e non ti lasci ricordi. Più che un ragionamento, in tutta onestà, sembra una mera presa di posizione; una pezza a coprire le falle al ricorso alle memorie selettive per sostenere cosa più personalmente affascina. In soldoni, una posizione che per approccio e difesa è espressione della stessa identica medesima ars metodologica che usa Antonio Segnini. Eppure inspiegabilmente vi criticate l'un l'altro.
      Letti da fuori, commettete entrambi lo stesso errore di inventarvi ognuno il proprio ordine di esecuzione delle operazioni aritmetiche (prima si eseguono le potenze, poi moltiplicazioni e divisioni, infine addizioni e sottrazioni), cioè ognuno per il proprio conto decidere, sbagliando entrambi, quale sia l'ordine corretto in cui mettere gli elementi.
      Uscendo dall'aritmetica e rientrando in quello investigativo: prima di plausibilità, buon senso, studi accademici, testimonianze ed interpretazioni: c'è l'impossibilità fisica a comandare. Le domande da porsi per risolvere un quesito devono essere non solo quelle giuste, ma devono essere poste nell'ordine giusto, pena il dover ricorrere a sterili arrocchi su specchi per difendere risultati errati.

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    5. Non capisco bene l'oggetto della polemica, si stava parlando, inizialmente, dell'apparente assenza di emotività di Natalino, testimoniata da chi lo accolse in casa quella sera. Poi sul concetto di morte che può avere il bambino e la consapevolezza che mamma e zio erano proprio morti, se acquisita da sé o appresa da altri (l'accompagnatore?).
      Sul vuoto intorno al momento vero e proprio dell'uccisione, esso è in atti e dimostrato dalle versioni diverse che Natalino darà dal 1968 al 1970 (il seguito non lo considero). Copio un passo a mio parere significativo dal recente libro di Zanetti (testimonianza De Felice 31 agosto):
      "gli domandano se avesse la sicurezza che la mamma e lo zio fossero effettivamente morti.
      Il bambino replica di aver provato a prendere la mano della mamma, ma che questa era ricaduta inerte e non sa precisare le cause della morte facendo segno di allargare le braccia."

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    6. Assenza di emotività, concetto della morte, consapevolezza che lo fossero davvero: APPUNTO! Prima di mettere in pista quelle domande, è obbligatorio farle antecedere almeno da quella del se è possibile non svegliarsi ai botti di un caricatore di colpi sparati a poche decine di centimetri dalle orecchie. Si vuol quindi sostenere che NM fosse stanco più di un sasso?? Va bene... solo che poi diventa al 100% irrazionale ipotizzare che un bimbo così stanco possa farsi quel tragitto scalzo sul pietrisco, al buio, senza idea di dove sta dirigendosi fino al secondo ponticello da dove poi potrà intravedere una lucina, nei tempi parametrati di quella notte. E sinceramente nemmeno si comprende proprio il perchè del porsi quella domanda sul grado di comprensione della morte per il NM. Tra il materiale constatare un'assenza di vita e l'etereo filosofeggiare su cosa implichi il nostro stato terreno: ci passa un abisso. Anche per gli adulti. Un abisso che nulla ha a che vedere con una indagine investigativa. E' una palese inutile perdita di tempo dato che è lui stesso a dirlo e ripeterlo e ad argomentarlo ai DF prima ai Cc poi, che eran morti; vedasi a conferma anche proprio la frase da Lai su citata dal libro.
      Ergo, quello che invece andrebbe apertamente chiarito, non è se NM questo o se NM quell'altro. Ma il a che gioco si voglia giocare con queste arruffaggini mezze mascherate che paiono esclusivamente essere animate, verso altra direzione, dal medesimo spirito metodologico di quelle che animano le esposizioni del Segnini.

      Ricordo che è lo stesso NM a dire di essere stato accompagnato, dal padre. E che il padre l'ha confermato. Se si vuole sostenere che così non sia andata, allora è necessario ed obbligatorio mettere in tavola le prova che gli investigatori abbiano prodotto prove fasulle, estorto confessioni e quant'altro. Ma, peccato, non basterebbe nemmeno quello perchè se se si esclude il padre, tocca trovare un altro nome a fare da accompagnatore. Solo che la rosa è molto ristretta delle persone di cui un bimbo di 6 anni accanto a mamma e zio morti possa fidarsi per farsi accompagnare; ed ancora più difficile trovare un estraneo che per caso passi di per caso e lo accompagni. Ed ancora più strano di entrambi i casi: che il NM non ne faccia invece menzione e piuttosto accusi il padre.

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    7. Fare il segno di allargare le braccia, magari alzando contemporaneamente un minimo anche le spalle:
      non solo può significare 'non sapere', ma altrettanto può essere una risposta affermativa di cosa così particolarmente ovvia, da non necessitare ulteriori parole.
      Tanto quanto i ripetuti 'visto che sono morti' o il 'visto se sono morti' o il 'visto se sono morti?',
      sono frasi che possono tranquillamente, in tutte e tre le versioni, avere anche funzione affermativa. Dipende dal tono della voce, dalla mimica facciale, dalla spaziatura temporale tra le singole parole, dallo stato d'animo di mentre le si dice, magari anche pure dal fastidio di ripetere nelle ultime ore sempre la stessa cosa.
      I fatti, certi ed ovvi, sono che 'mamma e zio' erano morti; che NM fosse lì al momento dell'uccisione;
      che NM fin da subito disse ai DF e ai Cc che erano morti. Fatti oggettivi, non ambigue e vaghe interpretazioni vagamente psicoanalitiche che nel contesto lasciano davvero il tempo che trovano: cioè nessuno.

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    8. Non mi risulta che Natalino abbia mai accusato il padre, se non al massimo di averlo prelevato dall'auto e accompagnato. Se crediamo a Natalino, l'assassino è lo zio Pie(t)ro.

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    9. Non mi risulta di aver scritto che NM abbia detto di aver visto il padre sparare. Non mi risulta che si dica una simile cosa da nessuna parte. Quindi a che pro una Sua frase del genere? Mi risulta, come anche a Lei e come a tutti, che NM mise il padre sulla scena del crimine, visto che indica che dall'auto lo accompagno fine nei pressi della nota casa con la lucina. Così come a chiunque abbia letto verbali e sentenze risulta che il padre confermò presenza in loco e accompagnamento fin anche in tribunale. Piaccia o non piaccia. E' quindi obbligatorio porsi la domanda: perchè citare NM, solo molto parzialmente, solo per le dichiarazioni del 21 aprile 1968, e non invece per quelle in Tribunale? E' nel corso del processo, legislazione italiana vuole, che si formino le prove; non altrove. Le risulta che NM a dibattimento, 20 marzo 1970, abbia accusato il Pie(t)ro? A me, no. minimamente.

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    10. E allora? A cosa mirano queste tirate retoriche di stampo Hazettiano? Natalino non è attendibile, oppure è attendibile in tutto, non è che si può discernere fior da fiore come le pare. Nel recente libro di Zanetti c'è una parafrasi del parere dello psicologo rilasciato 11 giugno 1969. Evidentemente le accuse allo zio Piero avevano messo in allarme gli inquirenti.

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    11. NM non è acriticamente attendibile in tutto, visto che in più occasioni ha detto tutto ed il contrario di tutto. Idem il padre. In Tribunale però, dove ne andava realmente delle sorti del suo unico genitore rimasto, e delle proprio dal punto di vista paterno: SM conferma di aver sparato, come già aveva detto e dimostrato sul campo fin dal 23 agosto, e di aver accompagnato il figlio. E NM, altrettanto altro non fa che confermare ciò che già aveva detto il 24 agosto: di essere stato accompagnato dal padre.

      Il delitto è del 22 agosto . Un giorno o due, le panzane anche le meno verosimili e le più difficili da digerire, passano. Ma già il 23, e a conferma figliare il 24, vacillano e crollano come è giusto e normale che sia. Non è credibile che 8 colpi di pistola non sveglino. Non è credibile camminare scalzi su quell'acciottolato e cumuli di ghiaia al buio. E' quel tipo lì di loro affermazioni che non vengono credute perchè non sono credibili. E non è che ostinarsi a spingere tanto in direzione alternativa e contraria cambi di un millimetro le carte in tavola. Quelle del 23 e 24 ago, sono le prime dichiarazioni di appena caduto l'alibi. Le più fresche, le più spontanee: quelle con meno tempo a disposizione per essere preparate. Come anche ribadito in Tribunale nei tre gradi di giudizio e poi di nuovo spiegato e con dovizia di particolari spiegato nella sentenza Rotella.

      Ridateci Reimarus che lui leggerlo è un piacere.

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  8. Premesso che stiamo ovviamente discutendo di ricostruzioni arbitrarie che non potranno mai essere confermate in maniera definitiva, se mi è concesso, vorrei sottolineare il fatto che l’ipotesi proposta nel mio commento precedente si basa sulla letteratura scientifica concernente i fenomeni dissociativi. In particolare, la letteratura ci dice che:
    1. Le esperienze dissociative peritraumatiche (cioé le esperienze dissociative che avvengono nell’immediatezza del trauma) sono contraddistinte dal fatto che l’individuo entra in uno stato di “emotional numbness” (anestesia emotiva), e che la sua memoria dell’evento si fa frammentaria (in qualche caso, che comunque non riguarda Natalino, si può addirittura avere una totale amnesia).
    2. Le reazioni dissociative a eventi traumatici sono particolarmente comuni nei bambini.
    3. La frammentazione del ricordo a seguito del trauma aumenta le probabilità di avere in seguito flashbacks ed incubi notturni in cui si rivive la scena traumatica.
    4. Traumi particolarmente gravi, soprattutto in assenza di un supporto sociale adeguato, aumentano le probabilità che, negli anni che seguono l’evento traumatico, l’individuo possa sviluppare sintomi di stress post-traumatico come, appunto, gli incubi notturni.
    Tutto questo è concordante con la mia ipotesi che (a) Natalino apparve relativamente tranquillo ai coniugi De Felice a causa di una reazione dissociativa al trauma, e che (b) gli incubi notturni che il Natale adulto ha raccontato di avere avuto per tutta la vita sono una conseguenza naturale della dissociazione avvenuta al momento del trauma.
    A costo di apparire pedante, includo i dettagli di un’articolo scientifico relativamente recente che sintetizza statisticamente i risultati di studi relativi al tema da me discusso:
    Memarzia, J., Walker, J., & Meiser-Stedman, R. (2021). Psychological peritraumatic risk factors for post-traumatic stress disorder in children and adolescents: A meta-analytic review. Journal of Affective Disorders, 282, 1036-1047.

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  9. Buonasera. Nella risposta del 1° marzo u.s. all'utente Fabio S. Omar Quatar definisce il duplice omicidio di Signa "un vero rompicapo". Prescindendo dalla implausibilità - sul piano della verità storica - dell'esito processuale della vicenda (condannato il solo Stefano Mele) e dalle domande che restano aperte sulla reale dinamica dei fatti per quanto concerne soprattutto le persone coinvolte, l'enigma, in quello che, al di là appunto della difficile e ormai pressoché impossibile determinazione delle effettive responsabilità individuali, sembrerebbe un "banale" delitto provocato dal comportamento sessualmente libero della vittima femminile, consiste soprattutto nell'individuazione del legame tra questo delitto e la serie di duplici omicidi che vanno dal 1974 al 1985. Il primo delitto appare infatti atipico, rispetto ai sette che seguiranno: negli altri casi, a parte i due ragazzi tedeschi uccisi nel 1983, abbiamo coppie uomo-donna tendenzialmente stabili, con una relazione "seria", nel 1968 abbiamo una donna che si concede a più uomini e cede ad una persona che sembra addirittura abbia scommesso di conquistarla. Ciò, al di là di sempre ipotizzabili casualità, assume comunque e tuttavia rilevanza perché della donna fa una vittima "ordinaria" e perciò "ideale" di sentimenti di gelosia e di vendetta e rende perciò quantomai probabile l'ipotesi che il delitto sia maturato nell'ambito di quanti avevano un rapporto stretto di parentela con la donna o alla stessa erano legati da rapporti intimi - ipotesi che uscirebbe vieppiù rafforzata se, oltre alla causale legata alla libertà sessuale, se ne delineasse anche una concorrente di natura economica, in ragione di una condotta scialacquatrice da parte della donna. Il "rompicapo" sorge quando si tratta di connettere questo duplice omicidio con quelli attribuiti al Mdf commessi tra il 1974 e il 1985, dal momento che le indagini svolte con accanimento sul "clan dei sardi" non hanno portato ad un risultato processualmente utilizzabile e sostanzialmente nulla è emerso, che non fosse la ritenuta identità dell'arma. Peraltro, se un (minimalistico) nocciolo razionale è rinvenibile nell'ipotesi "barocca" di C.P. (scindendo le considerazioni sulla difettosa ricostruibilità del percorso dei corpi di reato ritrovati nel 1982 all'interno del fascicolo processuale relativo al duplice omicidio del 1968 dall'interpretazione di ciò che C.P. ritiene di dare, pur essendo ovvio che la manipolazione del fascicolo processuale richiederebbe poi una spiegazione), il quale suppone coinvolta nella vicenda una moltitudine di persone, sia pure con ruoli differenti, è che non v'è neppure assoluta certezza sull'identità dell'arma e quindi sulla effettiva sussistenza di un tal nesso (aperto poi a diverse interpretazioni) tra il duplice omicidio del 1968 e i sette successivi.

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    1. Intanto abbiamo accontentato Hazet/Osservatore che anelava ad altri scritti di Reimarus. Sul punto osservo che anche osservato in sé e per sé, senza cercare collegamenti con la serie omicidiaria, Signa rimane un rompicapo, per quanto ci sarebbe un ovvio sospettato. Ma i due Mele, in ciò favoriti dagli inquirenti troppo spicci (eufemismo), hanno tanto inquinato le possibili ricostruzioni che non se ne esce più.

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    2. Buonasera. Un ulteriore chiarimento all'utente Fabio S. ritengo debba meglio specificare che a processo il S. Mele venne portato in complicità con persone non identificate. Questo a indicare come il "rompicapo" sulla reale dinamica dei fatti per gli inquirenti dell'epoca fosse molto meno "rompicapo" di quello che oggi a noi, a distanza di decine di anni e da fuori, possa parere. Questo era ed è un dato imprescindibile. Secondo punto che mi sento obbligato a precisare è che rispetto alle successive indagini, quelle in legame alle vicende delittuose proprie al MdF, va rimarcato come il "nulla" emerso dal 1968 non sia ascrivibile ad una mancanza di indizi o di logicità deduttive per quel delitto, ma semplicemente ad una mancanza di ritrovamento fattuale di elementi concreti come arma, munizioni o feticci, men che meno presso le pertinenze di alcuno sospettato del "clan dei sardi". E' un fatto che nessuno del "clan dei sardi" del resto venne mai portato a dibattimento per i delitti del MdF: alcuni nomi perchè detenuti al momento di delitti del mostro e l'ultimo dei sospettati dei sardi proprio per la mancanza di quelle "cose concrete" necessarie, nel pensiero giuridico di un Giudice Istruttore, ad un processo. E' bene d'altro canto evidenziare però che arma, feticci e munizioni, mai trovate e mai allegate agli atti contro nessun altro imputato, non impedì invece a differenti soggetti istituzionali di portare a processo altri sospettati, Pacciani in primis, che comunque mai vennero ritenuti colpevoli del delitto del 1968, nè che i processi a carico del Pacciani prima e dei compagni di merende poi, mai abbiano dimostrato un qualsiasi depistaggio nel 1982 verso il 1968, nè induzioni a false confessioni da parte al S. Mele e del N. Mele. Rotella riteneva necessario ad un processo la presenza di "cose concrete", altri ritennero che il ricorso ai soli indizi fosse base giuridica sufficiente. Restare attaccati ai fatti aiuta alla comprensione.

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    3. Di norma non pubblico commenti anonimi perché 9,9 su 10 provengono dal perfido Hazet. Ma questo pubblicato sopra dimostra una chiarezza e consequenzialità di argomentazione incompatibile con la confusione mentale tipica del predetto e bannatissimo villain, anche se parte dalle medesime premesse interpretative. Quindi pubblico, pregando comunque tutti di collegarsi con un account google non anonimo. Il post merita una risposta articolata che mi occuperà qualche giorno, ma che mi impegno comunque a fornire.

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  10. Grazie Reimarus.
    Leggerla è sempre un vero piacere chiarificatore.
    Ce ne fossero di appassionati cella vicenda come lei!

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  11. Anche se...
    sappiamo benissimo che a rispondere quel testo è stato "omar qua-qua-quatar"... come ben si evince dal fatto che il nick dell'autore del commento risulti da non-loggato con quella utenza (a differenza delle altre volte del vero Reimarus")

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  12. Osservatore Hazet bannato non più solo a vita ma fino alla terza e quarta generazione mentre Reimarus sarà benedetto fino alla millesima generazione (Es.20,5-6).

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