Rispondendo a un anonimo sardista (forse Hazet, forse no, nel caso, pazienza, come disse Salvatore) colgo l’occasione per chiarire il mio punto di vista su alcuni aspetti nodali della vicenda.
Anonimo in rosso, Powerful / Quatar in neretto.
Buonasera. (...) ritengo debba meglio specificare che a processo il S. Mele venne portato in complicità con persone non identificate. Questo a indicare come il "rompicapo" sulla reale dinamica dei fatti per gli inquirenti dell'epoca fosse molto meno "rompicapo" di quello che oggi a noi, a distanza di decine di anni e da fuori, possa parere. Questo era ed è un dato imprescindibile.
Stefano Mele fu rinviato a giudizio per aver commesso il delitto “da solo o con l’eventuale compartecipazione di persona rimasta sconosciuta”. Tale complice viene invece escluso dalla sentenza, che quindi rimane monca, poiché non sa descrivere come Mele sia entrato in possesso dell’arma, dove la stessa sia finita, con che mezzi Mele abbia raggiunto il luogo, perché abbia portato il figlio proprio lì dove lo ha portato e un sacco di altre cosarelle.In pratica, i giudici si adagiano sugli esiti investigativi raggiunti in meno di un mese da Matassino. In ogni modo, sia per chi pensa che ci fosse un complice mai individuato giudizialmente, sia per chi sospetta che Mele sia all’oscuro del fatto, la scena di Signa rimane un “rompicapo”, anche senza aggiungerci l’ulteriore e maggiore rompicapo del collegamento con i delitti seriali. Per cui eliminare con un colpo di spugna, come fa la Corte, le criticità e le inverosimiglianze, non significa aver risolto il rompicapo ma averlo nascosto sotto il tappeto.
Secondo punto che mi sento obbligato a precisare è che rispetto alle successive indagini, quelle in legame alle vicende delittuose proprie al MdF, va rimarcato come il "nulla" emerso dal 1968 non sia ascrivibile ad una mancanza di indizi o di logicità deduttive per quel delitto, ma semplicemente ad una mancanza di ritrovamento fattuale di elementi concreti come arma, munizioni o feticci, men che meno presso le pertinenze di alcuno sospettato del "clan dei sardi". E' un fatto che nessuno del "clan dei sardi" del resto venne mai portato a dibattimento per i delitti del MdF: alcuni nomi perché detenuti al momento di delitti del mostro e l'ultimo dei sospettati dei sardi proprio per la mancanza di quelle "cose concrete" necessarie, nel pensiero giuridico di un Giudice Istruttore, ad un processo.
Rotella può aver capito chi era a l’assassino, ma non si sentì di mandarlo a giudizio sulla base di fichi d’India e zucchine sul comò. L’avvocato più scalcagnato avrebbe potuto opporre in dibattimento che l’arma poteva essere benissimo passata di mano dopo il 1968 e del resto, non essendo in grado di accertare chi era stato complice del Mele, veniva a mancare proprio la base su cui fondare la costruzione accusatoria. In sostanza, già solo per iniziare a parlare del Mostro, bisognava individuare il vero assassino del 1968, cosa che non si era stati in grado di fare allora e non si fu in grado di fare neppure dopo (convinzioni personali a parte).
E' bene d'altro canto evidenziare però che arma, feticci e munizioni, mai trovate e mai allegate agli atti contro nessun altro imputato, non impedì invece a differenti soggetti istituzionali di portare a processo altri sospettati, Pacciani in primis, che comunque mai vennero ritenuti colpevoli del delitto del 1968,
Infatti il processo Pacciani, del tutto indiziario, finì male per l’accusa in appello, il che rese necessario reperire al volo non più indizi ma prove dirette: testimoni e un reo confesso chiamante in correità. Che poi gli indizi, talvolta, dicano di più che testimoni palesemente falsi è dato di fatto che qui non ci può occupare.
né che i processi a carico del Pacciani prima e dei compagni di merende poi, mai abbiano dimostrato un qualsiasi depistaggio nel 1982 verso il 1968, né induzioni a false confessioni da parte al S. Mele e del N. Mele.
Questa è veramente un’obiezione ingenua. E quando mai suggerimenti, condizioni, coercizioni nei confronti degli indagati risultano documentalmente? Solo per avventura o quando esce qualcosa che non doveva uscire (vedi registrazione interrogatorio della Alletto nel caso Marta Russo). Al contrario, risulta agli occhi di chiunque dotato di senso critico che Stefano Mele è sempre condizionato da chi lo interroga e ogni sua giravolta è determinata dalla direzione in cui va in quel momento l’inquisizione.
Restare attaccati ai fatti aiuta alla comprensione.
Quali fatti? Non ci sono fatti accertati se non la morte delle vittime. Si possono fare solo congetture. A questo punto, congettura per congettura, faccio la mia riguardo a un possibile svolgimento dei fatti di quel cruciale 23 agosto. Stefano Mele, ammesso che sia estraneo al delitto, ha comunque parlato con il figlio, che essendo presente, ha potuto agevolmente dargli importanti informazioni sulla scena del crimine: principalmente, il luogo dell’agguato, la posizione dei cadaveri, la luce lampeggiante dell’auto accesa nella notte. Se Mele nulla sa, è naturale che chieda cosa è successo. Il mattino dopo, interrogato dai carabinieri, Mele indizia Salvatore Vinci, ma tradisce, per sua incapacità di giudizio, la conoscenza di elementi della scena, quelli raccontatigli dal figlio, e gli inquirenti si convincono, per questo, che egli sia direttamente coinvolto. Pressato, in modi che ovviamente non risultano nei verbali, Mele confessa l’omicidio. A quanto pare, nella prima confessione non parla affatto di complici [Zanetti pag.83]. A questo punto, però, i carabinieri devono capire come Mele si è recato sul posto, dove abbia preso e che fine abbia fatto l’arma del delitto [ E’ lo stesso Mucciarini, il cognato presente all’interrogatorio, che anni dopo, nel rinarrare il fatto, si metterà nella posizione degli inquirenti: “Il Mele non gli dava risposta neanche alla domanda: la pistola dove l'hai comprata e dove l'hai messa?". (Sentenza Rotella, pag. 73)]. Mele non trova di meglio che inserire nella storia, come fornitore di mezzo di trasporto, arma e soprattutto movente, il personaggio che aveva già indiziato quella mattina, ossia Salvatore Vinci. Da qui poi, la girandola di ritrattazioni e nuove accuse, quando man mano coloro che egli accusa presentano alibi, veri o falsi che siano.
Chiedo venia, quando ho scritto il primo dei miei commenti ieri non avevo ancora letto il post datato 30 aprile dell'Autore del blog, che in quella sede aveva già formulato, in modo più informato e più approfondito, osservazioni al commento datato 27 aprile dell'utente Anonimo. Circa il riferimento a "suggerimenti" e "coercizioni" per ottenere da indagati (o da "testimoni") dichiarazioni accusatorie e circa i possibili "retroscena" di tali dichiarazioni, è utile la lettura di Rosalba Di Gregorio, "Diario di un avvocato di mafia", in R. Di Gregorio - D. Lauricella, "Dalla parte sbagliata", Roma 2014 (in particolare pagg. 61-76), nello specifico sul ruolo del trattamento penitenziario nella genesi di casi di "pentitismo". Come nota l'Autore del blog, fatti di questo tipo non di rado non trovano ingresso negli "atti", rimanendo perciò processualmente irrilevanti ed estranei alla valutazione di attendibilità delle dichiarazioni rese da testimoni o chiamanti in correità.
RispondiEliminaAll'Autore del blog vorrei chiedere se la ricomposizione del cadavere di Locci possa essere indizio di un qualche rapporto tra la stessa e l'assassino e se e quale rilevanza possa quindi avere la condotta non oltraggiosa nei confronti del corpo della vittima femminile (ossia se ciò possa spiegarsi - anche per quel che fu fatto con gesto di apparente "pietas" a quel corpo - in forza della, non preventivata in ipotesi, presenza di un bambino sulla scena del delitto).
RispondiEliminaHo avuto modo recentemente di rivedere varie questioni su Signa, ma non la presunta dinamica del delitto e immediato post-delitto. Le interpretazioni variano, come sempre succede, a seconda del pre-giudizio (non in senso negativo, ma puramente etimologico) del commentatore. La documentazione agli atti non permette certo di farsi un'idea precisa di cosa avvenne dopo l'omicidio. Se c'è stata una ricomposizione, quando è avvenuta e perché Natalino non ne parla mai, dandoci invece particolari poco credibili (le ultime parole del Lo Bianco, lo zio Piero che fruga nel cruscotto, il padre che gli chiede chi è stato)? E' tutto un totale guazzabuglio che solo chi è dotato di capacità di fede può pensare di dirimere. Un particolare suggestivo potrebbe trovarsi nel rapporto tra fori del vestito, della sottoveste e nel corpo della vittima. Riproverò a leggere il verbale di autopsia, ma temo che sarà un esercizio inutile.
EliminaCirca il "post factum" del duplice omicidio di SIgna, con riguardo al comportamento di Natalino Mele, segnalo, come caso di cronaca nera nel quale è dato riscontrare la presenza di un sopravvissuto in età prescolare, quello di cui si è occupato una trasmissione della serie statunitense di "true crime" "Murder Comes to Town" - trasmissione andata in onda ieri 17 giugno tra le 3.35 e le 4.25 a.m. sul canale 38 digitale ("Giallo"). Vi si trattava di un quintuplice omicidio commesso il 25 settembre 2011 intorno alle ore 13.00 nel paese (circa 500 abitanti) di Laurel nell'Indiana. Nel primo pomeriggio di quel giorno fu trovata, mentre camminava su una strada asfaltata non distante dal luogo del delitto, una bimba cui nella trasmissione sono attribuiti l'età di due anni (immagino compiuti) e il nome (se ho ben compreso) di Ashley: alla coppia di coniugi su un'autovettura di passaggio che si ferma e la prende con sé la stessa dice che la madre era morta e, portata il giorno stesso dalla bisnonna che abita anch'essa nel suddetto paese, aggiunge che erano morti anche i genitori. Nella ricostruzione, per solito accurata e basata sugli atti del caso e su testimonianze mandate in onda, la bimba, che nella "fiction" compare di spalle per alcuni secondi, non piange e non dà segni esteriori di alterazione emotiva. Le vittime erano la madre, i nonni materni (cognome del nonno materno e della madre Napier), uno zio materno e un vicino accorso agli spari. Il delitto era stato commesso, per una questione attinente ad "aumenti di prezzo", da un uomo del posto che acquistava medicinali antidolorifici dal nonno materno della bimba, il quale, versando in non buone condizioni economiche, anche per una patologia dalla quale era affetto in seguito all'attività lavorativa che aveva svolto prevalentemente come muratore, si rivendeva i farmaci che gli erano prescritti in relazione a tale patologia. La bimba, che si era nascosta durante la commissione degli omicidi, si era allontanata da sola dal luogo del delitto e quando fu ritrovata per strada non era nelle immediate vicinanze dello stesso.
RispondiElimina"primo pomeriggio"
RispondiElimina"strada asfaltata"
"non distante dal luogo del delitto"
-- SCALZA? il commento di "Reimarus"(?) non lo dice
Quindi:
su tre indicazioni: nemmeno una che corrisponda a quella relativa a Natalino Mele
In compenso, "Reimarus"(?) nel suo commento ci fa sapere che:
" la stessa dice che la madre era morta"
mhmmmm... insomma:
ma sti bimbi non è che dovrebbero nemmeno capire cosa "morta" sia una persona?
Nel caso Natalino Mele, ci son stati "autorevoli"(?) commenti proprio in tal senso, pur di tirar l'acqua al proprio mulino cercchiobottista
"La bimba, si era nascosta durante la commissione degli omicidi"
RispondiEliminaMica come il NM, che se la dormiva della grossa beato come un pucio ad una manciata di centimetri da una canna di pistola sparante. Senza batter ciglio (e poi pure oplà a passeggiare al buio, verso una luce che non poteva vedere se non all'ultimo, con l'assassino/gli assassini magari ancora nei dintorni o addirittura sullo stesso tragitto.
Bambine duenni americane: 3
nostrani antisardisti-a-prescindere: 0
un match davvero senza storia
Chissà se la bimba americana, poi ha accusato qualche parente (innocente e rigorosamente non sulla scena del crimine)?
RispondiEliminaChissà, se poi, una volta cresciuta, la bimba americana si è poi sperticata in, molto lasse ed imbeccanti, interviste a dire di essere stata "torturata a colpi di accendino" dai cops americani.
"Reimarus"(?) potresti gentilmente integrare il commento con le dovute info in merito?.
Grazie della cortesia.
PS: buone vacanze (almeno come le mie al mare)
Vai e non tornare mai più
RispondiEliminaE' da poco uscito in libreria "Il mostro è libero (se non è morto)", coautori il giornalista Pino Rinaldi (che già in precedenza si era espresso sul caso, manifestando il proprio scetticismo verso la verità giudiziaria e sembrando propendere per un serial killer unico non toccato dalle indagini) e l'ufficiale dei CC in pensione Nunziato Torrisi. L'opera riprende, in modalità divulgativa, la tesi sostenuta nel "rapporto Torrisi", secondo la quale il MdF s'identifica in Salvatore Vinci. LO schema argomentativo sembra poter riassumersi come segue:
RispondiElimina- Stefano Mele era sicuramente presente sulla scena del delitto allorquando fu commesso nel 1968 il duplice omicidio Locci - Lo Bianco;
- le caratteristiche del personaggio (ad es. oligofrenia, mancanza di mezzi di locomozione che non siano, al più, una bicicletta, mancanza di qualsiasi confidenza con armi da fuoco) rendono tuttavia certo che lo stesso non possa ritenersi l'autore principale del delitto, ma solo un concorrente in posizione nettamente subordinata, con funzione sostanzialmente di capro espiatorio;
- l'autore principale del delitto va ricercato tra persone cui il Mele era strettamente legato, quindi nell'ambiente del "clan dei sardi" (intendendo i parenti del Mele, i parenti della Locci, gli amanti della Locci);
- da considerazioni relative alla personalità e alla storia degli appartenenti al predetto ambiente, come anche da una valutazione critica delle dichiarazioni pur contraddittorie rese nel corso del tempo dal Mele, si evince che autore principale del delitto del 1968 sia Salvatore Vinci;
- dall'identità tra la pistola con la quale furono uccisi Locci - Lo Bianco e la pistola con la quale furono commessi i duplici omicidi della sequenza 1974-1985 discende che anche di questi ultimi debba considerarsi responsabile Salvatore Vinci, il cui profilo appare compatibile con quello di un serial killer.
Il problema che emerge in relazione a questa ricostruzione, per quanto è dato riscontrare anche dall'esposizione divulgativa che ne fa il Rinaldi, è che, a parte la pistola, non è emerso alcun elemento che colleghi concretamente Salvatore Vinci alla scena di uno qualsiasi dei sette duplici omicidi del 1974-'85. Con riguardo al duplice omicidio degli Scopeti, poi, commesso quando il Vinci era già da tempo attenzionato dalle FF.OO., si è argomentato che sarebbe stato un pericoloso azzardo per il Vinci commettere un duplice omicidio in quelle condizioni e che sarebbe perciò improbabile che egli ne sia il responsabile.
L'ipotesi perorata nel testo di Rinaldi - Torrisi, ossia la pista sarda nella particolare declinazione "salvatorvincista", è oggetto di considerazione critica nel video "Mostro di Firenze - cambio di prospettiva - terza parte", sul canale Youtube di Flanz Vinci. L'oratore "senza volto" di "Cambio di prospettiva", poi ricomparso, come "Giovanni", in una trasmissione di Florence International Radio, senza intrattenersi sulla "verità giudiziaria", riduce il problema sostanzialmente all'alternativa tra serial killer unico non toccato dalle indagini (che egli e altri che hanno cooperato nella sua ricerca ritengono sia un poliziotto o un carabiniere che, espulso dal corpo di appartenentenza, ha agito con finalità "rivendicative", ossia per vendetta nei confronti un mondo che lo ha respinto) e clan dei sardi. Dando per acquisito che la pistola è sempre la stessa ("ci sono le foto": "contra" le argomentazioni di C.Palego) e dismettendo l'ipotesi di una pistola gettata via e recuperata da qualcun altro ("contra" A. Segnini), perché resta il problema dei proiettili, considerando assiomatico che la pistola con la quale è stato commesso un omicidio non possa essere passata di mano, il sostenitore del cambio di prospettiva formula, per quanto concerne la pista sarda, alcune considerazioni, prevalentemente "sociologiche" per quanto concerne le dichiarazioni, ritenute inattendibili, di S. e N. Mele, in ordine alle quali Giovanni richiama la prassi investigativa dell'epoca e la formazione "fascista" degli inquirenti di allora, (in sostanza adombrando l'ipotesi che i due siano stati imbeccati/condizionati dagli inquirenti e che le stesse verbalizzazioni non siano ineccepibili); quindi afferma, rimandando alla letteratura scientifica sull'argomento, l'inattendibilità della prova del guanto di paraffina, e, per quanto concerne le dichiarazioni di N. Mele, rileva che le stesse non furono rese con le garanzie e nelle condizioni oggi previste per testimoni di quell'età. A queste considerazioni, Giovanni aggiunge un'argomentazione che è in sostanza la seguente: poiché né Francesco, né Salvatore Vinci possono essere il MdF (essenzialmente perché attenzionati dopo il duplice omicidio del 1982), allora né F. e S. Vinci, né S. Mele possono essere responsabili del duplice omicidio del 1968. Tuttavia, egli, essenzialmente per giustificare il tragitto compiuto da N. Mele fino a casa De Felice (sul quale in verità Giovanni "sorvola") e la ricomposizione del cadavere della Locci, adombra l'ipotesi che S. Mele sia capitato sulla scena del delitto poco dopo la commissione dello stesso.
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