lunedì 4 maggio 2015

Le ragioni di queste pagine



Quando nel dicembre del 2013, dopo più di due anni di studio, pubblicai il primo volume della "Storia del Mostro di Firenze", interamente dedicato al delitto Locci - Lo Bianco e alle indagini sulla "pista sarda", avevo fermamente in animo di continuare la narrazione con un secondo volume che avrebbe dovuto trattare i delitti seriali (1974-1985) ed un terzo che coprisse il lungo (troppo lungo e in parte inconcludente) periodo dei processi. Tanto più che quelli che avevano letto il libro – specialisti e non - lo avevano apprezzato e mi incitavano ad "andare avanti con la storia". 

Ben presto, mi scontrai con un dato di fatto ineludibile: un vuoto documentale (si intende, di documenti resi pubblici) che avvolgeva gli anni dal 1974 (delitto Pettini – Gentilcore) a quel giugno – luglio 1982 che era da considerarsi il primo dei molti punti di svolta dell'indagine, ossia il ricordo, autentico o indotto che fosse, del delitto di Signa da parte del maresciallo Fiori. E d'altra parte, dal luglio 1982 a tutto il 1985 le indagini, almeno per la parte resa nota, non avevano seguito altro che la "pista sarda" e di quella avevo già parlato a sufficienza. La mole documentale riprendeva poi con le indagini contro Pietro Pacciani e i vari processi, fino a quello contro Francesco Calamandrei e la sentenza di Perugia. Peraltro, il processo ai "Compagni di merende" del 1997-98, fondamentale nella ricostruzione dell'iter giudiziario, è tuttora in fase di trascrizione su “Insufficienza di Prove” e bisogna attendere una pubblicazione completa.

Ora, è ben chiaro che non si può fare storia senza disporre dei documenti. Se il 1968 e la pista sarda erano eccezionalmente ben documentati grazie alla triade Matassino – Torrisi - Rotella ed altre carte sparse, il nulla parallelo e successivo sugli altri filoni di indagine poteva solo essere tentativamente ricostruito attraverso la lettura dei giornali e di altri libri; libri però che, quand'anche pregevoli, erano essenzialmente autobiografici (Perugini) o romanzati (Spezi) e “a tesi” (Alessandri, Filastò). Se è abbastanza facile passare dalla storia al romanzo, è eccezionalmente difficile, se non impossibile, il percorso contrario, ossia retrocedere dal romanzo alla storia; del resto, non avevo alcun interesse a riscrivere alla mia maniera quello che già era stato scritto, e ripetutamente, da altri. E' pur vero che sono da tempo disponibili tutte le sentenze; e le sentenze, si sa, si prendono la briga di ricostruire ogni volta, nelle motivazioni, “la storia” come l'ha vista e capita il giudice estensore. Tuttavia, nel nostro sistema giudiziario, il giudice ha cognizione unicamente di quello che gli viene sottoposto in dibattimento e deve ignorare ciò che non compare nel processo; e nel processo compare solo quanto è necessario per provare l'accusa da parte del PM, per smontare la tesi accusatoria da parte della difesa. Una “storia critica” delle indagini, che è quello che alla fine mi interessa, sulla base delle sole sentenze, non si può scrivere; e bisognerebbe anche capire se ci sia un interesse a farlo o se l'attività di polizia giudiziaria in quegli anni (si intenda 1974-1982) si sia in realtà limitata a investigare i guardoni e correre dietro alle segnalazioni anonime. Ma questo si vedrà; poiché le carte delle indagini esistono tuttora in gran parte, non sono state obliterate e si può e deve sperare che alla fine in qualche forma vengano pubblicate e rese disponibili agli studiosi.

Ciò detto, terminato con soddisfazione il primo capitolo della storia, mi si proponevano fondamentalmente tre alternative (oltre a quella, semplicemente, di passare ad altro): scrivere un secondo volume (I delitti) sostanzialmente ripetitivo e inutile; saltare a piè pari i delitti e scrivere un terzo volume (I processi), ma sulla base di una documentazione in fieri e ad oggi, 1 maggio 2015, non ancora completa; seguire i fili sparsi delle innumerevoli cose che già si conoscono, ma sono proposte in maniera inorganica, parziale, spesso falsata, cercando di approfondire, sia attraverso una rivisitazione critica di “luoghi comuni” sia con una ricerca originale di argomenti poco esplorati, le tematiche che potevano sembrare meritevoli di ulteriore trattazione. Quasi involontariamente, è venuta fuori, invece che un secondo volume mediocremente originale, una serie di approfondimenti che compongono un patchwork, con tutti i limiti, ma anche la inerente libertà, insiti in questa modalità espressiva. Il blog si è rivelato a questo fine un accettabile strumento per condividere non solo pensieri e riflessioni estemporanei, ma che a giudizio dell'autore meritavano di essere fissati nella scrittura – e spesse volte anche integrazioni a quanto era stato scritto nel libro, alla luce di nuove informazioni che erano diventate nel frattempo disponibili – ma anche “tentativi di interpretazione” che potranno essere accolti e sviluppati in successivi scritti, quando ve ne saranno le condizioni; oltre a considerazioni di metodo, ad esempio sul relativo valore delle “fonti”, che considero propedeutiche a un qualsivoglia approccio di studio.

(SEGUE)

5 commenti:

  1. A me invece sembra che la prosecuzione dell'opera iniziata col primo volume sarebbe assolutamente meritoria: ho letto e riletto l'opera con estremo interesse e non ti nascondo che l'ho molto apprezzata (la considero una delle migliori cose apparse di recente sul MdF, insieme al libro di Valerio Scrivo; mentre l'opera collettiva curata da Cochi & C., seppure utile a tirare le fila, non mi pare aggiunga nulla all'eterno dibattito).
    Spero tu cambi idea.

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  2. Intanto ti ringrazio per il giudizio positivo (devo dire che di negativi non ne ho avuti, ma forse quelli cui non è piaciuto non si sono presi la briga di farmelo sapere). Non è questione di proseguire perché opera meritoria o meno, permane il problema che non ha senso scrivere cose già dette e permane la carenza documentale che ho evidenziato. Non è escluso che invece di scrivere il secondo volume passi direttamente al terzo...
    Devo dire anche che non condivido affatto il giudizio sul libro che tu citi. Anche se personalmente sono rimasto scontento dal modo in cui si è risolta la mia partecipazione, lo trovo un testo la cui lettura è fondamentale per tutti gli appassionati. Semmai, invece di uno se ne potevano scrivere due; ma immagino che la scelta sia dovuta a motivi editoriali ed economici.

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    1. Intanto non vorrei sembrare maleducato: non sono aduso a scrivere sui blog (li leggo, però..) e non so nemmeno quali siano le regole di identificazione. Questa volta, come minimo, mi firmerò: così saprai che avrai a che fare con l'ennesimo fiorentino la cui infanzia e adolescenza sono state turbate dalle "imprese" del mostro.
      IL mio giudizio sul libro di Cochi & C. si basa sul fatto che a me pare che in esso si tenda a tirare una riga in calce a tutto quello che si è detto e scritto (a volte anche a sproposito) fino a ora: mi pare un libro molto utile - in particolare per la cronologia e l'utilizzo di certi documenti - a chi poco o nulla sappia del caso, ma chi se ne interessa da anni credo che non ci troverà nulla di veramente nuovo.
      Il profiling geografico lo trovo meglio sviluppato da Scrivo mentre il fulcro del libro, ovvero la demolizione del teorema dei compagni di merende (già affrontata dal Cochi nel suo bel documentario), non è una novità, e ormai mi pare che - tra le persone disposte ad andare al di là della verità giudiziaria - sia un fatto acclarato. Dici che sono troppo ottimista?
      Ciao.
      Michele

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    2. Senz'altro troppo ottimista, visto che la nuova edizione della "Leggenda del Vampa" ripropone Pacciani con aggiunta CdM (non l'ho ancora letto, ma mi è stato descritto in quel modo). Per alcuni, quand'anche Lotti avesse mentito, non significa niente, sono colpevoli lo stesso. Boh...

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    3. Io lo sto leggendo in questi giorni: Pacciani e solo Pacciani rimane al centro della scena. D'altra parte, come ho detto in altra sede, il libro dell'Alessandri può essere senz'altro qualificato come instant-book, pensato e scritto nei mesi del processo. Io non ero riuscito a leggere l'edizione originale per cui mi sono precipitato a comprare questa: ma conoscevo la posizione dell'Autore (che, se non lo si fosse capito, non è la mia); per cui "chi è causa del suo mal pianga se stesso".
      Quello che stupisce è che l'Alessandri non abbia sentito l'esigenza di inserire almeno qualche elemento di dubbio nella nuova prefazione. Cionondimeno, non posso credere che con tutto quello che è successo in tempi recenti egli non abbia come minimo sottoposto le sue convinzioni a una robusta revisione critica.
      Il libro resta comunque interessante perché ricostruisce la biografia di un personaggio quantomeno singolare (direi che non era affatto "un uomo abbastanza normale"): io l'ho comprato soprattutto per questo.
      Michele

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