Mentre sono in attesa della revisione dal punto di vista
giuridico di un nuovo articolo, ripubblico, con qualche modifica, aggiunta e
miglioramento, un vecchio post sullo
stesso tema, vedi titolo, nella speranza che possa avere qualche nuovo lettore.
Immagione tratta dal canale Youtube Mostro di Firenze |
Ora che sono state rese disponibili le trascrizioni di quasi
tutte le udienze del processo ai Compagni di Merende (1997-98) su Insufficienza
di Prove e tutto l’audio dello stesso processo è ascoltabile in audio su Radio
Radicale, possiamo renderci meglio conto di quale fu l’approccio critico da parte
dei difensori del Vanni alla prova regina contro il loro assistito, ossia la
confessione di Giancarlo Lotti e la contemporanea chiamata in correità dello
stesso Vanni, Pacciani e altri. Nelle sue conclusioni (udienze del 3-4 marzo 1998) l’avvocato
Mazzeo affronta, in maniera a mio giudizio molto chiara ed efficace, alcune
problematiche centrali in quel processo, inerenti la valutazione della
confessione, della chiamata in correità, degli indizi o riscontri esterni. Si
tratta di argomentazioni prettamente giuridiche che hanno però, come si renderà
conto chiunque avrà la pazienza di leggerle o ascoltarle, un enorme riflesso
sul piano concreto delle prove valutate in quel processo per decidere la colpevolezza
degli imputati.
Vale la pena riportarne qui alcuni punti.
Questa di seguito è la parte introduttiva, in cui Mazzeo
cita ampiamente la fondamentale Sentenza di Cassazione 1653/93 (caso
Sofri-Marino). Per maggior chiarezza metto in corsivo le citazioni dalla
sentenza e tra parentesi i commenti estemporanei dell'avvocato.
<<La Corte di Cassazione su questo argomento così
delicato, così infido come la chiamata di correo ha ritenuto opportuno pronunciarsi
a Sezioni Unite e ha formulato una regola di giudizio (…) è il caso Sofri,
sentenza Marino + altri (…) dove la Suprema Corte dice:
"I problemi
relativi all'interpretazione dell'art. 192 comma 3 del C.P.P. vigente, per la
parte concernente la corretta valutazione della chiamata in correità,
unitamente agli elementi di prova che ne confermano l'attendibilità, presuppone
nell'ordine logico la risoluzione degli interrogativi che la stessa chiamata in
correità in sé considerata pone, sotto un duplice aspetto (…): in primo luogo
occorre sciogliere il problema della credibilità del dichiarante (il
problema della credibilità del Lotti, confidente e accusatore, ha confessato e
accusato) in relazione alla sua
personalità, alle sue condizioni socio-economiche e familiari , al suo passato,
ai rapporti con i chiamati in correità (rapporti Lotti-Vanni, per esempio),
e alla genesi remota e prossima della sua
risoluzione alla confessione e all'accusa dei coautori e complici (il catartico sentimento di autoliberazione ... Quindi allora, primo esame che deve
fare il giudice: la credibilità; … In
secondo luogo, dice la Cassazione), il
problema della verifica della intrinseca consistenza e delle caratteristiche
delle sue dichiarazioni (Allora: intanto vediamo la persona, poi vediamo
cosa ci dice…) alla luce dei criteri che
l'esperienza giurisprudenziale ha individuato (e quali sono i criteri per
stabilire se il racconto del Lotti ha l'apparenza della verità, è incredibile o
credibile? I criteri sono): precisione,
coerenza, costanza, spontaneità ( e così via. Avete notato che non mette
più disinteresse…) Ovviamente i problemi
ora accennati e quelli relativi ai riscontri cosiddetti esterni o oggettivi,
concettualmente distinti, possono concretamente intrecciarsi e tuttavia il
giudice deve compiere l'esame seguendo l'ordine logico sopra indicato (personalità,
attendibilità, credibilità, veridicità delle sue narrazioni, riscontri
oggettivi) perché non si può procedere ad
una valutazione unitaria della chiamata in correità unitamente agli altri
elementi di prova che ne confermano l'attendibilità se prima non si chiariscono
gli eventuali dubbi che si addensano sulla chiamata in sé, (…)
indipendentemente dagli elementi di verifica esterni ad essa (quindi: credibilità, attendibilità
intrinseca, attendibilità estrinseca).
A questo punto, l'avvocato Mazzeo passa ad esaminare il caso
concreto in applicazione della sentenza
della Cassazione.
"I dubbi che si addensano sulla chiamata in sé con
riferimento al Lotti. Allora andiamo ad esaminare ad esempio la personalità.
Prima di tutto che bisogna fare? La verifica del dichiarante in relazione alla
sua personalità. E' assolutamente condivisibile il rappresentante della
pubblica accusa laddove vi ha illustrato la personalità del Lotti. Cito
testualmente la requisitoria del Pubblico Ministero. Dobbiamo esaminare la sua
personalità. Dice così (Ndr: citazioni dalla requisitoria del PM in corsivo;
grassetto mio, a sottolineare un passaggio che ritengo importante per il
seguito del discorso). E' un emarginato, una personalità debole e
sottomettibile, cede alle personalità più forti, è portato a subire qualunque
minaccia, anzi, la ingigantisce; è uno che non riesce ad elaborare nessuna
difesa, subisce; è una persona che non ha valori (che non ha valori;
quanto può essere credibile una persona che non ha valori? Un uomo in vendita,
commenterei io; ma andiamo avanti, sentiamo quello che dice il Pubblico
Ministero), il mondo intorno a lui è
inesistente (quindi problemi di coscienza se deve mettere nei guai qualcuno
non se ne porrà; lo dice il Pubblico Ministero e il Pubblico Ministero, direbbe
Marco Antonio, è un uomo d'onore, bisogna credergli). L'unica cosa che gli interessa è la soddisfazione di bisogni
elementari, primari: un tetto, una macchina seppure usata, le 50.000 lire per
andare con le prostitute (mamma mia che personalità); non coltiva sentimenti religiosi (non vi fate fuorviare dal fatto
che fosse lì in quella comunità gestita
da un prete); sta in comunità soltanto
perché ha bisogno di un tetto (che
cosa si può aggiungere, quale commento bisogna fare? Uno solo, questo lo faccio
io, non è del Pubblico Ministero: tipo ideale di calunniatore per proprio
tornaconto).
Se il giudice deve prima di tutto, nell'ordine logico
dettato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, esaminare la personalità
per evidentemente fugare i dubbi, chiarire gli eventuali dubbi che si addensano
sulla chiamata in sé, quindi prima di tutto la personalità, lasciamo perdere
quello che ha dichiarato, che elemento è questo? E qui c'è da allargare le
braccia, signori. Questo è il peggior tipo di chiamante in correità che si può
trovare sulla sua strada un giudice (…) che deve decidere sul destino delle
persone con uno che non ha valori, il mondo intorno a lui è inesistente,
l'unica cosa che gli interessa son le cinquantamila lire per andare con le
prostitute, non coltiva sentimenti religiosi (…) Qui si parte da un materiale,
signori, che (…) qui abbiamo raschiato il fondo del barile con un uomo così, si
parla di attendibile, inattendibile, questo è la quintessenza
dell'inattendibilità."
Sentiamo ora cosa dice l'avvocato Mazzeo sulla valenza
giudiziaria della confessione.
"Se c'è una prova, un mezzo di prova che è veramente
delicatissimo, e queste sono parole della suprema Corte di Cassazione, è
proprio la confessione. (…) E quindi, la confessione non è quella specie di
meccanismo automatico o semiautomatico che vi ha descritto il Pubblico
Ministero, è un mezzo di prova delicatissimo perché le motivazioni che possono
indurre una persona, in un giudizio penale, ad andare in qualche modo contro
natura accusandosi, perché l'istinto naturale, primordiale dell'uomo è quello
di difendersi, non di accusarsi, quello di negare le proprie responsabilità,
non di ammetterle, quindi ci troviamo già di fronte ad una situazione in cui il
giudizio deve essere particolarmente sveglio, ecco, c'è uno che confessa, la
prima regola, la prima regola vorrei dire pratica, di buon senso comune, non di
giudizio positivo, è di dire: ma perché confessa costui? Chiediamoci perché? Se
lo chiede molto bene, dai tempi dei tempi, il legislatore che ha previsto
infatti nel codice penale il reato di autocalunnia. L'autocalunnia è la
fattispecie in cui c'è un soggetto il quale falsamente confessa di essere
colpevole di qualche reato. Il legislatore l'ha previsto questo come figura
autonoma di reato contro l'amministrazione della giustizia, perché chi confessa
falsamente di aver commesso un reato in pratica intralcia il libero corso della
giustizia, perché magari distoglie l'attenzione degli inquirenti e dei giudici
dal vero colpevole. Quali sono le motivazioni che possono spingere una persona
a confessarsi colpevole? Esemplificazioni di (false) confessioni dovute ad
infermità di mente, altro squilibrio psichico, a fanatismo, ad auto- ed
etero-suggestione, a ragioni di lucro, a spirito di omertà. (…) Noi siamo qui
per stabilire se la confessione che riguarda questo processo è vera o falsa.
(…) Dice la Cassazione in quella sentenza 26 settembre 1996 n. 8724: <<La valutazione delle dichiarazioni
confessorie dell'imputato ai fini del giudizio di responsabilità a suo carico
deve essere condotta e motivata in base ai criteri elencati nel I comma
dell'art. 192>> quando si dice appunto << il
giudice valuta la prova dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e
dei criteri adottati>> niente riscontri oggettivi, non
necessariamente, una confessione può essere ritenuta valida, vera, al di là dei
riscontri oggettivi, semplicemente alla base di una valutazione congrua,
evidentemente, e logicamente corretta della credibilità intrinseca e della
attendibilità intrinseca, non estrinseca, senza riscontri, di colui che si
confessa (colpevole). Per esempio una confessione evidentemente frutto di un
catartico sentimento di espiazione – e questo certamente non è il caso del
Lotti – quella potrebbe essere considerata sufficiente, di per sé, senza bisogno
di riscontri, una prova sufficiente a fondare la condanna di chi? Di colui che
si confessa colpevole, cioè a dire del Lotti, per tornare a noi. (…) Dice la
Cassazione (…): <<Ne consegue che
la confessione può essere posta a base del giudizio di colpevolezza
nell'ipotesi in cui il giudice ne abbia favorevolmente apprezzato la
veridicità, la genuinità, l'attendibilità, fornendo le ragioni per cui deve
respingersi ogni intento autocalunniatorio o di intervenuta costrizione del
soggetto.>>”
Questo volume contiene un articolo di Pier Luigi Vigna sulla gestione giudiziaria dei pentiti |
Il quadro è abbastanza chiaro. Di mio, aggiungo una
citazione da un articolo dell’illustre giurista Franco Cordero (da F.
CORDERO, La confessione nel quadro decisorio, in La giustizia penale e la
fluidità del sapere: ragionamento sul metodo, Padova, a cura di L. De Cataldo Neuburger, 1988,):
<<In quanto atto narrativo
dell'imputato la confessione è una prova: nessun dubbio che sia una prova. Può
darsi che sia una prova che non vale niente, da cui un giudice attento non si
lascia persuadere, ma è una prova. E' una prova, ma una prova sospetta;
sospetta perché, a differenza del testimone l'imputato non è obbligato a
rispondere in modo veridico, non rischia niente qualunque cosa dica. (…) quindi
è molto importante studiare i motivi, puri o impuri, che lo inducono a parlare
in quel senso>>.
Mazzeo parla poi dei riscontri necessari per validare la chiamata in correità; ossia,
dando anche per ammessa la credibilità intrinseca delle dichiarazioni
autoaccusatorie del Lotti, di quanto necessario per provare la partecipazione
ai delitti di Mario Vanni (come è ben noto, Pacciani non è parte di questo
processo e comunque al momento della sua conclusione è già defunto).
"I riscontri… (Ndr:
per validare la chiamata in correità) occorrono quindi altri elementi di
prova che ne confermino l'attendibilità. Gli altri elementi di prova, la
suprema Corte ha avuto modo di spiegare in più occasioni che non c'è limite
qui…; altri elementi di prova può essere prova diretta, prova indiretta, prova
provata, indizi – indizi, uso sempre il plurale perché lo usa il legislatore,
indizi, certi, numerosi, gravi precisi, concordanti, i requisiti degli indizi –
anche gli indizi possono rappresentare riscontri, siete stati voi sommersi da
una raffica di cosiddetti indizi nella prima settimana di discussione, da una
raffica di cosiddetti riscontri oggettivi, io molto sommessamente dico che non
ho mai sentito usare la parola indizio o riscontro oggettivo così a sproposito
come in questo processo (…); qui si è parlato soprattutto di riscontri che,
nelle parole di coloro che hanno parlato sarebbero indizi, ad esempio questo
carosello di macchine in prossimità dei luoghi dei delitti di Vicchio e di
Scopeti, questa girandola di macchine, una, due, bianca, nera, rossa, chiara,
scura in ore prossime a quelle degli omicidi in luoghi prossimi a quelli degli
omicidi, questo è l'indizio; non è un indizio, lo vedremo. (…) Quindi, la
differenza che passa tra l'indizio e il sospetto, tra ciò che è e ciò che si
vuol vedere. Cosa sono gli indizi. Allora Cassazione 4 aprile 1968: <<Gli indizi si differenziano profondamente
dalle congetture perché, mentre queste sono costituite da intuizioni,
apprezzamenti, opinioni, gli indizi consistono in fatti ontologicamente certi
collegati tra loro in guisa che per forza logica sono suscettibili di una sola
e ben determinata interpretazione>>. Cassazione 25 marzo 1976 caso
Milena Sutter: <<Gli indizi devono
portare ad un convincimento che non deve avere contro di sé alcun dubbio ragionevole>>.
Cassazione 25 maggio 1995: <<La
circostanza assumibile come indizio deve, perché da essa possa essere desunta
l'esistenza di un fatto, essere certa: tale requisito, benché non espressamente
indicato nell'art. 192 del C.P.P. – [infatti l'art.192 usa questi aggettivi:
gravi, precisi, concordanti ]– è da
ritenersi insito nella precisione di tale precetto. Con la certezza
dell'indizio infatti viene postulata la verifica processuale circa la reale
sussistenza dell'indizio stesso, posto che non potrebbe essere consentito
fondare la prova critica – [cioè la prova indiretta] –su di un fatto solo verosimilmente accaduto, supposto od intuìto,
inammissibilmente valorizzando, contro indiscutibili postulati di civiltà
giuridica, personali impressioni o immaginazioni del decidente>>.
Guardate quante parole: impressioni, suggestioni, immaginazioni, sospetti,
ipotesi di lavoro, desideri; hanno desiderato che in quelle macchine che
giravano intorno a Vicchio quella sera ci fosse il Vanni, ma nessuno l'ha detto
che c'era Vanni. Il Vanni non lo nomina nessuno: quello sarebbe stato un
indizio, perbacco, dice: <<Ha visto Vanni in una di quelle due macchine
che giravano là intorno>>. Cassazione (ndr: non cita gli estremi):
<<La correlazione tra circostanza
indiziante e il fatto da provare deve essere tale da escludere la possibilità
di una diversa soluzione>>. Questi (ndr: intende il fatto che i
testimoni descrivono delle macchine - vedi sopra) non sono neanche indizi, sono
sospetti."
Sulla base di queste massime di Cassazione citate
dall'avvocato Mazzeo possiamo per conto nostro valutare la forza degli indizi
che furono raccolti non solo nel processo ai Compagni di merende (dove in
realtà i riscontri oggettivi mancano totalmente, essendo il Vanni stato
condannato unicamente sulla base delle accuse del Lotti riscontrate, abbiamo
visto altrove come, da Pucci, in tre
casi su quattro solo de relato),
ma anche nel corso delle indagini precedenti (e successive).
Ad esempio: Salvatore Vinci: per la morte della prima
moglie, nessuno; per i delitti seriali uno straccio con macchie di sangue e
residui di polvere da sparo; sangue che
però non poté essere direttamente collegato alle vittime, polvere che non poté
essere collegata all'arma dei delitti.
Ad esempio: Pietro Pacciani: un album da disegno che non è
certo appartenesse alle vittime tedesche, un proiettile cal. 22 che non è certo
fosse stato incamerato nell'arma dei delitti.
Ad esempio Francesco Calamandrei: il nulla più assoluto, a
parte le dichiarazioni di una moglie mentalmente disturbata.
Un ben misero raccolto, dal quale ancor più risalta il
valore di prova diretta e definitiva della confessione, che però andrebbe molto
attentamente vagliata dal giudice per quanto riguarda la propria intrinseca
credibilità. E non è un caso che in tutta la storia gli unici processi che si
concludano con la condanna dei presunti colpevoli sono quelli fondati sulla
confessione: il processo Mele del 1970, il processo ai Compagni di Merende
1997-98.
Per trattare l'attendibilità intrinseca delle dichiarazioni
auto-accusatorie del Lotti, trasferiamoci ora, sempre in compagnia
dell'avvocato Mazzeo, al processo di Appello (1999), ove si argomenta ancora
sulla base della Sentenza di Cassazione a Sezioni Unite già citata (quella del
caso Marino – Sofri) criticando l'assunto con il quale la Corte di Assise ha
giustificato le innumerevoli incoerenze ed evoluzioni del racconto di Lotti nel
tempo, dai primi interrogatori in qualità di teste al dibattimento.
"Quindi, credibilità del personaggio, dice la Suprema
Corte a sezioni unite, <<problema
della verifica dell'intrinseca consistenza e delle caratteristiche del racconto
in base ai canoni della spontaneità>>, poi vedremo, <<della coerenza, della verosimiglianza, della
puntualità>>. Il giudice di primo grado nell'incipit, si potrebbe
dire, a pag. 25 ha sentito il bisogno di una premessa e io devo leggerla questa
premessa perché qui si parla di sentenze di primo grado. Dice così: <<Premessa, prima di entrare in argomento
giova comunque premettere ad inquadramento dell'intera vicenda quanto ha
dichiarato il Lotti nella parte finale dell'istruttoria dibattimentale, quando,
rispondendo alle domande che gli sono state fatte in sede di esame e di controesame,
ha finalmente chiarito la sua posizione indicando il suo vero ruolo di palo e
il contributo che aveva dato, così agli altri in occasione della materiale
esecuzione dei duplici omicidi limitatamente però a quelli di Scopeti, Vicchio,
Giogoli e Baccaiano, non avendo partecipato al duplice omicidio di Calenzano.
Con tali ultime dichiarazioni il Lotti ha dunque abbandonato la linea
difensiva, del tutto assurda ed inverosimile, seguita fino ad allora, linea che
mirava a far credere in un primo momento, era stato soltanto un occasionale
spettatore dell'accaduto -prime dichiarazioni - e successivamente che aveva
invece partecipato ai vari episodi di omicidio però soltanto per costrizione
del Pacciani - intermedie dichiarazioni - tale premessa appare dunque doverosa
non solo ai fini di meglio capire la successione dei fatti ma anche e
soprattutto al fine di meglio valutare la credibilità del Lotti, posto che le
sue prime ed intermedie dichiarazioni non sono sempre in linea- [A.M.:io direi eufemisticamente, si dice così] - non sono sempre in linea con le ultime
perché allora il Lotti aveva avuto tutto l'interesse a dare una versione di
comodo – [A.M.: attenzione a questa espressione] -, dalla quale risultasse la sua presenza sul posto, ma non il ruolo
realmente ricoperto, si spiegano così alcune inesattezze o contraddizioni rispetto
alle dichiarazioni finali.>> Ecco, l'ignaro lettore che si imbatte a
pag. 25/26 della sentenza, ad avviso di questo difensore, non ha più bisogno
neanche di andare avanti e di leggersi le altre 200 pagine perché ha già capito
che la sentenza sarà sul punto centrale della causa che è la questione della
credibilità del dichiarante, del confessore e chiamante in correità, la
sentenza ha già detto la sua, ha già fornito al Lotti una patente, una patente
di credibilità, ha detto: io ti credo e
anche se in certe tue affermazioni, dichiarazioni appari o sei oggettivamente,
perché in contrasto con risultanze processuali con fatti accertati, non
credibile, io comunque ti assolvo perché tu quelle dichiarazioni non veritiere
le hai fatte , le hai rese, con riferimento a questa versione di comodo che
tendeva a sminuire il tuo reale ruolo di palo che avevi concretamente assunto
in queste vicende delittuose. Allora la sentenza, questa premessa, contiene una
serie di errori, errori di fatto ed errori di diritto. Errori di fatto perché
si riassume tutte la congerie delle dichiarazioni del Lotti, dalle indagini
preliminari fino all'incidente probatorio, fino all'esame dibattimentale,
distinguendolo in tre fasi o momenti successivi: dichiarazioni
iniziali/intermedie/finali e si dice che il ruolo di palo, di complice
istituzionale, ad ogni effetto in questo sodalizio criminale egli lo avrebbe
confessato soltanto nella fase finale, quando finalmente rispondendo ha chiarito
la sua posizione. Non è vero (…)".
"E allora, torniamo alla Suprema Corte, torniamo ai
canoni che devono guidare con umiltà il percorso del magistrato che adopera il
buon senso comune e che non intende essere offeso da queste cose. Si parlava di
questo con riferimento agli aggiustamenti del racconto, alle modifiche del
racconto, perché è evidente che i racconti qui bisogna dire, perché è evidente
che in due anni e mezzo il Lotti ha reso vari racconti, quindi i racconti è
umano che presentino, che possano presentare sfasature, incoerenze e quindi che
ci possano essere anche delle contraddizioni, purché queste contraddizioni non
riguardino dati decisivi- dice la Suprema Corte -, ma riguardino soltanto dati
di contorno, perché siamo fatti anche noi, voglio dire, di cellule e quindi la
memoria umana specie quando si parla di fatti successi 10-15 anni prima può
essere fallace, ma, attenzione, qual è il criterio che deve guidare il
giudicante? Qui parlano della sentenza Sofri-Marino: <<In relazione ai singoli episodi chiave del
racconto del Marino è mancato nell'analisi critica dei giudici un momento
essenziale del procedimento logico diretto a stabilire, con riguardo ai singoli
contesti, la rilevanza e la significatività delle lacune e della
contraddizioni, per saggiare l'attendibilità dell'insieme e la schiettezza dei
successivi aggiustamenti e delle correzioni, onde stabilire se si trattasse di
genuini ripensamenti, espressione di uno sforzo di chiarezza
nell'approfondimento mnemonico ovvero>> ed è il nostro caso <<dell'adeguamento puro e semplice della
propria versione a fronte dell'emergere di contestazioni e di risultanze
processuali da far quadrare con essa.>> (…) L'aggiustamento del racconto, se è
spontaneo, se è non provocato da contestazioni o da risultanze processuali
insanabilmente in contrasto con il racconto è ammesso evidentemente, perché fa
parte della natura umana non avere la perfezione di una macchina, ma quando
questo aggiustamento avviene dopo che ci sono state le contestazioni, dopo che
si è fatto presente che il racconto in questo caso contrasta insanabilmente con
dati processuali e probatori acquisiti altrove, questo aggiustamento, lungi
dall'essere spontaneo, è semmai un'indicazione ben precisa per il magistrato
che si tratta appunto di un <<adeguamento
puro e semplice della propria versione a fronte dell'emergere di contestazioni
da far quadrare con essa>>".
Questi i passaggi che ritengo centrali nelle conclusioni
dell’avvocato Mazzeo nei processi di I e II grado.E’ tempo di concludere con
alcune considerazioni del tutto personali. La confessione del Lotti, nonostante
con tutta evidenza non rispetti i canoni fissati dalle Sezioni Unite della
Cassazione (precisione, costanza,
coerenza, spontaneità e così via) e nonostante la personalità del reo
confesso dia adito a dubbi fondati sulle sue motivazioni, viene giudicata credibile
(incredibilmente credibile, mi si perdoni il calembour). Il fatto si è che la Pubblica Accusa, in mancanza di
riscontri oggettivi quali potrebbero essere la pistola o i feticci, si presenta
al processo con un'arma imbattibile, un testimone oculare (Fernando Pucci) che
conferma (da testimone e non da imputato, quindi obbligato a dire la verità) la
scena narrata dal Lotti riguardo all'ultimo delitto. Accertato che due testi
(di cui è uno è anche imputato e quindi assumerà su di sé le conseguenze penali
del suo dire) hanno visto Pacciani e Vanni uccidere a Scopeti, tutto il resto
viene da sé, andando a ritroso nel tempo. Senza il riscontro di Pucci, la
testimonianza di Lotti non varrebbe niente, perché unus testis nullus testis, come insegnava già Mosé: “Un solo
testimone non avrà valore contro alcuno, per qualsiasi colpa e per qualsiasi
peccato; qualunque peccato uno abbia commesso, il fatto dovrà essere stabilito
sulla parola di due o tre testimoni.”(Deut. 19,15) Ma di quanto valga veramente
il riscontro di Pucci abbiamo già parlato.
La scelta fatta dalla Procura di non indagare il Pucci per
concorso o quanto meno favoreggiamento, permettendogli così di testimoniare e
fungere da riscontro, quel riscontro che era necessitato dall’art. 192 C.P.P.),
si rivela quindi assai azzeccata dal punto di vista accusatorio. Lotti e Pucci,
pur in posizioni processuali del tutto diverse e dicendo spesso anche cose
diverse, salvo poi correggersi in corsa, stanno in piedi insieme (simul stabunt vel simul cadent). A
conclusione della vicenda, la Cassazione sentenzierà: <<Il Pucci offre il riscontro, a volte
diretto, altre volte indiretto, alle dichiarazioni, auto ed eteroaccusatorie
del Lotti. Egli non è solo il testimone oculare dell'omicidio dei due francesi
in contrada Scopeti di San Casciano Val di Pesa, ma è anche il teste "de
relato" dell'omicidio di Vicchio di
Mugello, di Giogoli, di Baccaiano, avendo raccolto di volta in volta le
confidenze dell'amico sulle loro modalità di svolgimento e sulle persone che vi
prendevano parte.>> Ciò comporta che i difensori del Vanni, nei cui
confronti si leggono spesso accuse dure e a mio parere immotivate, dovevano
seguire una tattica obbligata; non potendo dimostrare che Vanni non aveva
partecipato agli omicidi (poiché due testi affermavano di averlo visto; né si
poteva sperare di rinvenire, a tanti anni di distanza alibi o testimoni
contrari) potevano soltanto minare la credibilità dei testi stessi, dimostrare
che stavano dicendo il falso; e quale modo migliore se non quello di negare che
i due fossero sul posto, che avessero davvero visto qualcosa? L'ansia di
smentire la veridicità del racconto portò però ad appuntarsi troppo spesso e
troppo a lungo su dettagli e particolari; argomentazioni che entrambi i
tribunali ebbero poi agio di rigettare adducendo difetti della memoria, il
lungo tempo passato, difficoltà di comprensione ed esposizione dei testi. Forse
ci si poteva concentrare di più sull’incredibilità generale del racconto, sui
cambi di versione, sulle dichiarazioni “a rate” di entrambi. Il risultato è
quello che conosciamo, ma forse non si poteva fare di più.
Il funerale di Mario Vanni |
Chiudo l’articolo riportando un breve testo tratto dal “Corriere
fiorentino” (15 aprile 2009) in occasione del funerale di Mario Vanni:
L'ultimo saluto a «Torsolo»
I parenti: «Era innocente»
Mario Vanni è stato sepolto stamani nel cimitero di San
Casciano Val di Pesa, dove è nato e ha vissuto. I funerali si sono svolti in
maniera molto semplice: presenti nove parenti e due compaesani
Condannato dalle aule di giustizia, ma innocente per i
parenti. Mario Vanni, l’ex postino di San Casciano Val di Pesa, condannato per
quattro degli otto duplici omicidi del Mostro di Firenze, è stato così difeso
dai parenti nel giorno del suo funerale. Vanni è stato sepolto stamani nel
cimitero di San Casciano Val di Pesa, dove è nato e ha vissuto. funerali si
sono svolti in maniera molto semplice: presenti nove parenti e due compaesani.
Ad accompagnare la bara dell’uomo che coniò la frase «Compagni di merende», e
si è sempre dichiarato estraneo agli omicidi, c’erano la sorella Grazia con il
marito, le nipoti Alessandra, Stefanella e Francesca, il nipote Paolo con la
moglie, due cugini e due conoscenti del paese. Con loro il vicario emerito di
San Casciano, monsignor Renzo Pulidori, che ha benedetto la bara e pronunciato
una preghiera. Dopo alcuni minuti di raccoglimento del piccolo gruppo si è
proceduto alle esequie, la bara, in legno chiaro, è stata calata nella tomba.
Un cespuglio di fiori, tra cui rose rosse e bianche, hanno quindi ricoperto la
sepoltura.
LA DIFESA DEI PARENTI - «Sono sempre stata convinta e ne
rimango tuttora - ha commentato dopo il funerale la nipote Alessandra Bartalesi
- che mio zio Mario non c’entrava nulla con i delitti del Mostro, ma c’è chi in
tanti anni, ha fatto di tutto perché lui alla fine diventasse l’assassino di
una storia a cui era estraneo». Anche un altro nipote, Paolo Vanni, difende lo
zio: «Per me - ha detto - rimarrà sempre lo zio che in paese chiamavano
Torsolo, cioè uno che valeva poco, uno che io ho sempre visto come un uomo con
l’orologio rimasto fermo a 30/40 anni indietro, con problemi di ubriachezza e
un’esistenza sgangherata, ma non quella di un assassino». «Si dice che - ha
continuato il nipote - per alcuni è morto da condannato dei delitti del Mostro,
ma noi parenti sappiamo invece che se ne è andato in pace, senza queste colpe».
I parenti hanno ricordato che gli ultimi anni in casa di riposo Mario Vanni li
ha trascorsi molto serenamente. Fino a pochi mesi prima di morire chiedeva
notizie di loro e del paese, poi piano piano ha smesso per le condizioni di
salute che si aggravavano. Circa un anno fa, tra l’altro, mandò a chiamare il
vicario di San Casciano. «Andai a trovarlo - ha ricordato monsignor Renzo
Pulidori - e più volte mi ripeté di essere innocente. Tuttavia alternava
momenti di lucidità ad altri di minor presenza. Mi disse anche che appena
avesse potuto avrebbe fatto un viaggio in America, lui che non si era mai mosso
da San Casciano».
"Avvocato, ma quando me lo fanno il processo?"
RispondiEliminaUna delle ultime frasi di Vanni a Filastò che ben chiarisce su chi si sono accaniti.
ciao Frank,
RispondiEliminainnanzitutto: auguri di buon 2018.
Poi... non propriamente relativo a status giuridici e arrighe, ma nemmeno off-topic con le vicende mdf (visto che la firma è il noto profiler Jhon Douglas dell'FBI):
ti è capiato di leggere il suo "Mind Hunter"?
Interessante (non la biografia o gli aneddoti in sè, ma il sacco di 'spunti di utili riflesssioni' sui SK che ovviamente contiene, ben ovviamnete applicabili anche a questo caso), te (e a tutti gli appassionati delle vicende mdf) ne consiglio la lettura.
Hazet
Sto attualmente vedendo la serie Netflix dello stesso titolo, che mi risulta tratta dal volume. Cinematograficamente vale poco, ma le interviste con i serial killers sono interessanti. Per ora (sono a metà) non ho trovato traccia di sette esoteriche né di mandanti.
EliminaAuguri di felice 2018 possibilmente senza chilometriche polemiche.
ciao
non sapevo di netflix... ma cmq preferisco leggere :).
EliminaComunque, mi riferivo ad alcune "perle" (in senso positivo del termine) di cosa-sì e cosa-no e di cosa-come, per quando si indaga su un SK (imho, molto attinenti attualmente al caso... e che rilette oggi in confronto storico con la vicenda mdf danno da pensare e dovrebbero far riflettere su qualche "altarino" in merito alla perizia richiesta alla FBI).
e mhò spumante e nanna per un par di giorni.
enjoy le feste!
Hazet
La serie "Mind Hunter" parte lenta ma è davvero un piccolo capolavoro del genere. Nella seconda serie ci sarà la Manson family. E' la generazione di profilers successivi a Douglas ad essersi occupati di s.k. in coppia e di gruppo. Non poteva fare tutto lui... :)
RispondiEliminaNel merito del post. La chiave di volta fu Pucci che supportava le confessioni di Lotti, questo è "pacifico". Nel caso Soffri/Marino questo appoggio testimoniale non c'era. Voglio dire che -forse- l'avvocato Mazzeo assimilò situazioni diverse.
Buon anno a tutti voi.
Trovo del tutto condivisibili le considerazioni dell'Autore del blog sulla scelta "obbligata" che i difensori di Vanni hanno dovuto operare in fatto di strategia processuale, incentrata sullo screditamento delle dichiarazioni rese da Pucci come sedicente testimone e da Lotti come sedicente chiamante in correità. Probabilmente, sull'insuccesso ha inciso anche la limitatezza di mezzi che per forza di cose essi avevano a disposizione: intendo dire che, ad esempio, se vi fosse stato un consulente tecnico di parte per la difesa Vanni nelle perizie psichiatriche cui furono sottoposti Pucci e Lotti e se avesse potuto essere svolto un lavoro certosino e processualmente spendibile per rintracciare tutto quanto era già di pubblico dominio sulla dinamica dei delitti commessi tra l'82 e l'85 sulla base di articoli di giornale e trasmissioni TV, la difesa Vanni avrebbe probabilmente avuto qualche "chance" in più. Questa non vuol essere una critica ai due eccellenti Avvocati (Filastò e Mazzeo), perché, come ho detto, c'è da tener conto che i mezzi (finanziari ed umani) che ebbero a disposizione dovettero essere indubbiamente limitati e non comparabili con quelli di cui poté avvalersi la pubblica accusa. Un cordiale saluto.
RispondiEliminaGrazie di essere stato tra i pochi ad aver avuto la pazienza e l'interesse per leggermi.
EliminaPrecisione, coerenza, costanza, spontaneità: i criteri oggettivi per vagliare l'attendibilità intrinseca delle dichiarazioni. Ora, prescindendo dal difetto di costanza nella fattispecie (v. ad es. gli aggiustamenti sulla questione dell'utilizzo della 128 nel 1985), quale criterio, se mai è stato definito, deve ritenersi violato nel caso di dichiarazioni che ripetutamente rappresentano eventi che fanno a pugni con il senso comune (i primi colpi di pistola lasciati esplodere a Giogoli ad un soggetto della cui confidenza con l'arma da fuoco nulla si sapeva e che dice che mai prima d'allora aveva maneggiato un'arma del genere; la richiesta di non andar via a Baccaiano e il L. che si allontana "piano piano", mentre passano automobili nell'imminenza del delitto; lo scavo di buche per occultare non si sa che nelle immediate vicinanze dei luoghi di alcuni dei duplici omicidi, dove di lì a poco sarebbero confluite le forze dell'ordine con i curiosi; ecc.ecc.ecc.).
RispondiEliminaReimarus,
RispondiEliminala cosa che più fa a pugni col 'senso comune' (e la logica e l'esperienza storica), è che:
1) sei un sodale di un gruppo criminale, ricercatissimo!, che uccide e mutila gente a sangue freddo
2) per questo delitto premeditato ti è stato assegnato, dai tuoi complici, il ruolo di "palo"
E tu che fai?
3) prima te ne vai a Firenze a mignotte, su un'auto scassata (ferma) e senza corretto contrassegno assicurativo (così, per essere sicurissimo di non rischiare di lasciare in tuoi complici in ambasce)
4) poi, solo perchè lo scassone d'auto non ti ha lasciato a piedi per la strada: arrivi (ma in ritardo: i tuoi complici sono già lì (...che si grattano, in attesa del tanto necessario "palo" per iniziare... tanto, che rischio c'è a star lì 5 minuti o 5 ore?)
5) e ciliegina sulla torta: ti porti pure appresso un estraneo al sodalizio (e rigorosamente senza aver nemmeno prima avvertito i tuoi complici di ciò)
6) durante l'esecuzione del delitto, tu, palo, manco fai il palo (avrebbe dovuto stare a livello della strada asfaltata), e ti avvicini fino a d una decina di metri dal delitto (che ti guardi tutto per filo e per segno)
Ma non finisce nemmeno qui, perchè a delitto compiuto:
7) l'estraneo manifesta pure l'intenzione che sarebbe meglio andare dalle FFOO a raccontare ciò a cui si è assistito
8) peccato che, nella stessa nottata, nè negli anni (e tanti) a venire: al testimone estraneo al sodalizio non capiti nulla di nulla, nè la sua bocca venga chiusa in modo definitivo.
Hey Reimarus:
che ci vuoi fare:
- il NOSTRO 'buon senso' vale picche a briscola fiori davanti alla "discrezionalità" dei giudici.
hazet