sabato 10 gennaio 2015

Gerarchia delle fonti per lo studio del caso del Mostro di Firenze (2)

Qualche riflessione sul tema delle fonti. Il discorso metodologico prescinde in questo caso dall'accertamento dell'autenticità, che, come ovvio, in uno studio storico sarebbe fondamentale e preliminare; ma per condurre il discorso, riterremo autentici e validi tutti i documenti riprodotti in libri e anche quelli diffusi in altri modi, sia fotografati, fotocopiati, scannerizzati o completamente trascritti.
Cominciamo col dire che già nel primo gruppo (reperti e perizie), che dovrebbe essere del tutto esente da interpretazioni, si può insinuare l'elemento della valutazione soggettiva. Una cosa è dire che i proiettili rinvenuti sono di una determinata marca e calibro e presentano particolari segni caratteristici, altra ricostruire (ipoteticamente) lo svolgimento dell'azione criminosa. La perizia balistica Zuntini 1974 offre un buon esempio di questa problematica; non sarà lecito allo storico dubitare dei dati concreti ivi esposti (fino ovviamente a prova di falso), ma gli sarà permesso di criticare la parte argomentativa. Quanto alle perizie necroscopiche che dall'esame dei cadaveri determinano la causa ed il tempo presunto della morte, pur esse possono essere revocate in dubbio, quando i dati oggettivi esposti appaiano in contrasto con le conclusioni, ma per far questo occorrerà una specifica competenza tecnica. La discordanza sulla data di Scopeti 1985 è esemplificativa e ben nota.

I verbali di attività di P.G. sono il documento principale a valere come fonte primaria. In essi viene infatti descritto lo svolgimento completo degli accertamenti dal primo intervento ai successivi atti di indagine (rilievi tecnici e informazioni testimoniali ottenute); sono normalmente "neutri" e la loro bontà è influenzata solo dalla capacità investigativa (e, secondariamente, espositiva) degli operanti. Diverso è il caso per i rapporti giudiziari, che la P.G. sottopone all'attenzione del P.M. Essi sono una sintesi delle operazioni svolte, compilata sulla base dei verbali, e includono già per forza di cose una parte narrativa, in quanto devono dare un primo quadro d'insieme della vicenda (o rapportare sul risultato di successive indagini delegate). Nulla di male, purché essi non si avventurino ad anticipare provvedimenti di competenza del magistrato o a formulare teorie sociologiche o giudizi moralistici. Occorre quindi separare in questi documenti i dati oggettivi dal giudizio o pre-giudizio dell'estensore. Per scendere nel particolare, il "Rapporto Matassino" sulle indagini svolte nel 1968 è di importanza fondamentale (ma si preferirebbe poter leggere direttamente i verbali ad esso allegati); ma quando l'autore attribuisce al Mele "forgiato e messo a dura prova nei monti dell'Alto Nuorese, la capacità di agire con straordinaria freddezza e decisione, compiendo una tale carneficina" perde il carattere di fonte primaria per assumere quello di letteratura secondaria. Quando il Ten. Col. Torrisi nel suo rapporto definisce Salvatore Vinci, oltre che "furbo, vendicativo, aggressivo, violento, rozzo, ma intelligente, determinato" anche "perfido e diabolico" si passa dall'ambito del rapporto giudiziario a quello del romanzo d'appendice.

Nel nostro ordinamento giudiziario, ispirato come è noto al "rito accusatorio" di tradizione anglo-sassone, la prova si forma in dibattimento attraverso l'audizione dei testi, sottoposti ad esame e controesame da parte dell'accusa e della difesa (e degli avvocati delle parti civili); è questo il procedimento attraverso il quale il giudice dovrebbe pervenire a stabilire la verità. Perciò, i verbali di udienza devono considerarsi a mio avviso fonti primarie, in analogia con i verbali di P.G. prima citati; dal punto di vista giudiziario, anzi, rivestono valenza superiore, potendo la Corte ricorrere agli atti di P.G. solo in caso di contestazioni o per altri motivi particolari (es. atti irripetibili). Nella ricostruzione storica, invece, occorre superare la visione "ingenua" della testimonianza secondo cui quanto dichiara il teste sotto vincolo del giuramento è vero o, se è falso, lo è per intento doloso del dichiarante. In particolare quando i processi si svolgono gran tempo dopo i fatti, molto difficilmente (ed è un eufemismo) la testimonianza potrà essere precisa; è opportuno soprattutto diffidare di un successivo affastellarsi di particolari narrativi resi in udienza a fronte di verbali originari molto scarni; o di riconoscimenti effettuati ad anni di distanza dopo che le foto di un imputato siano state pubblicamente diffuse. Ovviamente non è possibile qui generalizzare; vi possono essere svariati motivi per cui una testimonianza differisce nel corso del tempo e non è detto che quella più vicina all'evento sia obbligatoriamente la più precisa e completa, per cui conviene valutare caso per caso. Come regola, sembra però di poter dire che per lo storico prudente il verbale di SIT, anche se reso soltanto alla P.G. e non nella corretta forma processuale di esame e controesame, ha importanza spesso superiore alla testimonianza.

(SEGUE)

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