martedì 9 gennaio 2018

Giancarlo Lotti collaboratore di giustizia - Parte seconda (2)



Lotti:"...ma lui mi disse, l'avvocato,

se tu vai lì qualcosa in più bisogna tu dica, 
l'83, l'82, l'81...

o come fo' a sapere tutte queste cose?"


(stralcio di intercettazione telefonica – senza fonte - tratto dal blog “Pacciani, i Compagni di merende, ed altro ancora”)


La Nazione 11 dicembre 1996


Rivediamo, prima di procedere oltre, la cronologia del caso. Il 23 gennaio Mario Vanni riceve un avviso di garanzia; con grande immediatezza, potremmo dire, giacché  il  secondo verbale di SIT di Pucci, il primo nel quale si faccia il nome di Vanni in relazione all’omicidio di Scopeti, porta la stessa data del 23 gennaio ed è redatto alle ore 17. Il 6 febbraio il procuratore Tony chiede l’assoluzione di Pietro Pacciani, innescando una polemica con Vigna, alimentata dalla stampa. Il 9 febbraio Pucci conferma, pur in maniera tentennante, di aver visto Vanni tagliare con il coltello la tenda delle vittime francesi. Nella giornata dell’11 febbraio abbiamo un primo interrogatorio di Lotti, il confronto Lotti – Pucci e un secondo interrogatorio di Lotti, che, come detto, è verbalizzato per sommi capi. La sera stessa, come racconta Giuttari, il procuratore Vigna richiede al Ministero dell’Interno l’applicazione di speciali misure di protezione in favore del teste Beta,  Giancarlo Lotti. Il giorno successivo (12 febbraio) viene richiesta e ottenuta dal GIP la custodia cautelare in carcere di Mario Vanni; mentre  il 13, in seguito alla sentenza di assoluzione, viene scarcerato Pacciani. 


In questa tumultuosa serie di eventi, è ben difficile capire da chi dovesse essere protetto Lotti, se da Vanni che sarebbe andato in carcere il giorno dopo o da Pacciani, del quale si poteva prevedere (ma solo qualora, come in effetti avvenne,  la Corte d’Appello non avesse ammesso i testi algebrici) un prossimo ritorno in libertà e che sarebbe stato attentamente vigilato. Possiamo ben concordare dunque con l’opinione  di Giuttari del 2006, secondo cui il vero fine della protezione sarebbe stato non la tutela da inesistenti pericoli, ma il controllo completo del testimone. Di contro, poiché vi è sempre un contraltare, occorre chiarire che, una volta avviato il programma speciale di protezione, probabilmente in coincidenza del passaggio di Lotti dalla posizione di teste a quella di indagato, il collaboratore passa dalla gestione dell’autorità giudiziaria e di polizia locale alla tutela del Servizio Centrale di Protezione; diventa quindi, almeno in teoria, più difficilmente accessibile e influenzabile. 


L’argomento venne trattato poco in corso di processo. Rileggiamo un breve passaggio e scambio di battute tra l’avv. Pepi e il teste Michele Giuttari dall’udienza del 27 giugno 1997 (come sempre, da Insufficienza di Prove).

Avvocato Pepi: (…) Veniamo proprio ora a Lotti. Lei chiaramente è a conoscenza della attuale situazione giuridica del Lotti? Nel senso, il Lotti come lo si può definire, persona sottoposta a regime di protezione?

M.G.: Ma guardi, dalle notizie che posso darle io su questo aspetto molto generico, perché sono notizie anche di una certa riservatezza. Comunque le posso dire che è curato dal Servizio di Protezione, per i collaboratori di giustizia. Ecco, questo è quello che io so e le posso dire. I dettagli poi del servizio, sono cose riservate che non le posso riferire perché anche non le so, non è che non glielo voglia riferire.

Avvocato Pepi: Ecco, quindi lei per esempio non sa se il Lotti... come sappiamo benissimo i collaboratori di giustizia, sappiamo alcuni svolgono delle attività lavorative, hanno una retribuzione...

M.G.: questo aspetto assolutamente, non è competenza mia. Io faccio le indagini, non posso sapere queste cose no. (…)  C'è un ufficio ministeriale del Servizio Centrale di Protezione che ha competenza esclusiva su questo aspetto, quindi che gestisce i collaboratori di giustizia in tutte le necessità. Quindi non le posso dire completamente nulla su questo.

Avvocato Pepi: Lo chiederemo a Lotti al momento dell'esame, non è questo... (…)  Ecco, questa è una domanda, non lo so se lei mi può rispondere perché mi sembra che su questo non abbia cognizione perché l'ha detto prima lei. Lei... Comunque gliela faccio la domanda, semmai mi risponde che non lo sa. Che lei sappia il Lotti, essendo oggi in regime di protezione, può ricevere tranquillamente dall'esterno lettere?

M.G.: No, io questo non glielo so dire.

Avvocato Pepi: Non lo sa. Bene.

M.G.: Io non so né dove sta né...

Avvocato Pepi: No, no.. .

M.G.: Niente su Lotti.

Avvocato Pepi: Io ho fatto una domanda, lei è un alto funzionario di Polizia.

M.G.: Sì, sì. Non glielo so dire, sinceramente.

Avvocato Bertini: Presidente, mi perdoni.

M.G.: No, questo...

Avvocato Bertini: Avvocato Bertini. Vorrei sapere che attinenza hanno al processo queste domande? Se può spiegarcelo.

Avvocato Pepi: Hanno molto attinenza, basta leggere anche i...

Presidente: Va be', ma questo non lo sa, la domanda rimane senza effetto.

M.G.: Io queste cose non le posso sapere, signor Presidente.

Avvocato Pepi: Va be', io gliel'ho chiesto, se non lo sa...

M.G.: Io posso sapere l'attività investigativa. Queste cose amministrative esulano dalle mie competenze.

Avvocato Pepi: Bene. No, no...

Presidente: Ce lo dirà il Lotti dopo.

Ma non mi risulta (posso sbagliare) che al Lotti vennero poi fatte, nella sua deposizione, domande del genere. Della posizione del coimputato come collaboratore di giustizia parlò più a lungo l’avv. Mazzeo, nelle sue conclusioni (udienza del 3 marzo 1998), con argomentazioni molto acute e puntuali, ma che non ebbero alcuna presa sui giudici.

La Nazione 2 aprile 2002



Sarebbe interessante anche conoscere se e come siano stati applicati, nel caso di Lotti, i commi 1, 2 e 3 dell’art. 2 DM 687/94, i quali prescrivevano che, nella proposta di protezione, il Procuratore della Repubblica proponente dovesse indicare i motivi per i quali le dichiarazioni erano ritenute attendibili e importanti per le indagini, come pure gli elementi che confermavano l’attendibilità del teste/indagato /imputato collaborante (e qui possiamo immaginare che si sarebbe citato il riscontro fornito dal Pucci) e che alla proposta venisse allegato un verbale di dichiarazioni preliminari alla collaborazione (o verbale di informazioni ai fini delle indagini per i testi estranei al fatto) dal quale dovesse risultare la volontà di collaborare. Alla data del 12 febbraio ’96 e ancora per qualche tempo sarebbe stato difficile formulare un simile documento con riferimento alle scarne ed incerte dichiarazioni “a rate” che il Lotti, prima da persona informata sui fatti e poi da indagato, stava versando. Ma la dottrina ci insegna che questo “verbale delle dichiarazioni preliminari”, per motivi giuridici che qui non è il caso di approfondire, venne di fatto disapplicato fino alla legge di riforma (Rosa Anna Ruggiero, L’attendibilità delle dichiarazionidei collaboratori di giustizia, Giappichelli 2012, pp. 174 e seguenti.), talché si può presumere che nella vicenda che ci occupa non sia mai stato neppure redatto. La legge di riforma interverrà radicalmente su questo aspetto, proprio per evitare il “mercanteggiamento” tra dichiarazioni progressive del collaborante e corrispondente concessione dei  benefici, introducendo l'obbligo di un “verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione”, da rendere alla Procura della Repubblica nel termine massimo di sei mesi.


Sta di fatto che Lotti viene protetto subito dopo il suo secondo interrogatorio e rimane sotto protezione durante tutte le indagini e i processi. Lo testimoniano i verbali disponibili; la perizia Lagazzi – Fornari del dicembre 1996; se ne parla in varie udienze del processo di I grado; è ancora protetto (diciamolo chiaramente: fornito di vitto, alloggio e sostegno economico) alla data della prima sentenza, il 24 marzo 1998, e ancora quando viene pronunciata la sentenza di Appello il 31 maggio 1999; ed è ancora e sempre domiciliato presso il Servizio Centrale di Protezione del Ministero degli Interni alla data della sentenza di Cassazione, il 26 settembre 2000. Quindi quanto meno dal 12 febbraio 1996 al 27 settembre 2000, per quattro anni e mezzo, Lotti usufruisce, grazie alla sua posizione di collaboratore di giustizia, di vitto, alloggio e assistenza economica a spese dello Stato.  La precarietà della sua situazione (in teoria, il collaboratore dovrebbe dire tutto quello che sa e subito, pena la decadenza dai benefici) può giustificare il contenuto di frasi tratte dalle intercettazioni telefoniche, delle quali è difficile non sottolineare l’importanza, come quella riportata in epigrafe o la seguente, detta al telefono a Don Fabrizio Poli il 14 giugno 1996: “Se non rispondi alla prima, alla seconda, sono costretti a portarti via, l’è quello il problema (…); c’è stato dei contrasti ultimamente, m’è toccato dì qualcosa, perché se no finiva male per dì la verità (…); e m’è toccato dì qualcosa perché se no alla fine mi mettevano dentro”. E’ anche significativo il ricorso della Procura allo strumento processuale dell’incidente probatorio (19 febbraio 1997), utilizzato di consueto per acquisire le dichiarazioni dei “pentiti” di mafia; infatti in tali situazioni il PM non ha mai la certezza che l’imputato collaborante in sede di dibattimento non cambi versione o si rifiuti di rispondere. E’ solo, quindi, dopo un anno di “protezione” che Lotti sarà pronto a dare la sua versione definitiva (o quasi: ci sarà ancora qualche aggiustamento in sede di dibattimento) dei fatti [Nota: Purtroppo il verbale dell’incidente probatorio non è disponibile e il contenuto è conosciuto solo attraverso brevi estratti, riportati nel “vecchio blog di Master” (http://i-compagni-di-merende.blogspot.co.uk/2009/12/incidente-probatorio.html)].


Quando terminò il programma di protezione di Lotti (se immediatamente alla pronuncia della sentenza di Cassazione, l’anno dopo o alla sua morte [Nota: per la modifica e revoca del programma, si veda art. 5 DM 687/94]), non mi è dato, allo stato delle conoscenze, di sapere con certezza. Secondo la norma regolamentare dell’epoca, le misure di protezione, fossero esse ordinarie o relative ad uno speciale programma di protezione, erano rinnovabili, ma sottoposte alla condizione del perdurare dello stato di grave pericolo derivante dalla collaborazione offerta alla giustizia dalla persona. Pertanto, accertato il venir meno del fattore di rischio (es. carcerazione di Vanni, morte di Pacciani), avrebbe dovuto essere disposta l’immediata revoca o sospensione dell’attività di tutela; cosa che, con tutta evidenza, non avvenne. Naturalmente lo stesso Lotti aveva introdotto un ulteriore soggetto (o più di uno) nella vicenda che avrebbe potuto essere pericoloso per la sua incolumità: il misterioso dottore mandante degli omicidi; il che poteva garantirgli la continuità delle misure di protezione.

La Nazione 13 aprile 2002


Da una notizia di agenzia del 3 ottobre 2000 (purtroppo dispongo solo della trascrizione), apprendiamo che <<Il "pentito" dell'inchiesta bis sui delitti del "mostro" di Firenze, Giancarlo Lotti, è stato arrestato. A quanto si è appreso l'arresto sarebbe avvenuto in una zona del nord Italia dove l'uomo era soggetto a programma di protezione. Il provvedimento è scattato dopo la conferma della sentenza sui cosiddetti "compagni di merende" da parte della Corte di Cassazione, che ha ribadito in via definitiva la condanna di Lotti a 26 anni di carcere. Egli fu il pentito-accusatore del processo bis che portò alla condanna all'ergastolo di Mario Vanni. Secondo il difensore del Lotti, avv. Stefano Bertini, il programma di protezione sarebbe decaduto al momento in cui la sentenza è diventata definitiva>>. Dopo di ciò, sappiamo solo, da scarne notizie giornalistiche (alcuni numeri de La Nazione del mese di aprile 2002), che, al momento del manifestarsi della malattia che lo portò alla morte (15 marzo), Lotti si trovava recluso nel carcere di Monza e che spirò 15 giorni dopo in un ospedale di Milano; non si sa – probabilmente non si può sapere - se godesse ancora di qualche beneficio penitenziario in conseguenza della sua passata collaborazione.




A conclusione di questo esame, poiché questo blog ha per destinatari utenti che già conoscono la vicenda e sono presumibilmente alla ricerca di approfondimenti più che nozioni di base (nei termini in uso da un noto settimanale enigmistico, direi “dedicato ai solutori più che esperti”), non starò certo a ripercorrere per l’ennesima volta la storia delle ondivaghe dichiarazioni di Lotti, nella considerazione di averlo fatto già su queste pagine e che ci sono testi che comunque lo fanno egregiamente e ai quali rimando. Una nota soltanto: dalla lettura delle trascrizioni dei verbali di interrogatorio che l’amico Antonio Segnini mi ha gentilmente anticipato (ora consultabili dal suo blog: http://quattrocosesulmostro.blogspot.it/p/contenuti-scaricabili.html ), risulta che molte delle dichiarazioni di Lotti furono spontanee, su impulso dell’indagato stesso e non necessitate da interrogatori, come invece accadde prima del 12 febbraio. In parole molto semplici, è solo dopo l’ammissione allo speciale programma di protezione che Lotti spontaneamente e progressivamente confessa la sua diretta partecipazione ai delitti. Reputo che a questo punto si possa lasciare ai lettori il giudizio se e in quale misura lo status di collaboratore di giustizia di Giancarlo Lotti abbia potuto influenzare il suo comportamento in corso di indagini e nei vari processi in cui comparve in qualità di coimputato chiamante altri in correità.


Ringrazio l’amico Maurizio Sozio per avermi usato la cortesia di rivedere il testo dal punto di vista strettamente giuridico, evitandomi qualche strafalcione; senza naturalmente che questo comporti una sua adesione alla mia interpretazione dei fatti.



Piccola bibliografia
Loris D’Ambrosio, Testimoni e Collaboratori di giustizia, CEDAM 2002
Silvio D’Amico, Il collaboratore della giustizia, Robuffo 1995
Luisella De Cataldo Neuburger, Psicologia della testimonianza e prova testimoniale, Giuffré 1988
Rosa Anna Ruggiero, L’attendibilità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia nella chiamata in correità, Giappichelli 2012
Pierluigi Vigna, La gestione giudiziaria del pentito: problemi deontologici, tecnici e psicologici  (sta in Chiamata in correità e psicologia del pentitismo nel nuovo processo penale a cura di Luisella de Cataldo Neuburger, CEDAM 1992) 
Fabio Fiorentin, I benefici penitenziari per i collaboratori di giustizia (da Diritto e Diritti, rivista online)
Anacleto Fiori, Invisibili. Alla scoperta del Servizio centrale di protezione testimoni e collaboratori di giustizia (articolo online da Polizia Moderna).
 

37 commenti:

  1. lavoro puntuale e ben fatto, Frank; da quale sempre più "emerge" il peso specifico del VLP (ridimensionando, come è giusto che sia, il quasi mero sub-ruolo del Giuttari).

    Hazet

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    1. Ciao Hazet, è possibile avere il file del tuo studio completo sul mdf? Se sì, come? Grazie.

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  2. Ovviamente e beninteso che non-spontane, mezze-spontanee o spontanee che le si voglia intendere, le dichiarazioni del Lotti continuano a scontrarsi con le impossibilità fisiche e temporali da lui raccontate per Scopeti, Baccaiano e Vicchio (ed in minor misura per Giogoli).
    E quindi, dopo l'aver ri-accertato ed in modo assolutamente insindacabile che Lotti fu un "collaboratore di Giustizia", continua a restare in sospeso (eheheh), come fu possibile che scafati ed in gamba investigatori/procuratori/giudici presero per oro colato le sue parole.
    ;)

    Hazet

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    1. le dichiarazioni "spontanee" indicano che era un pentito e collaboratore e che non si può sostenere che venne stanato (ma semmai incastrato, usato, masticato e gettato via).

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  3. Più che concorde su questo. e da anni e anni e anni.

    Adoro la lingua italiana ed i suoi termini.
    Prendi ad esempio quel 'pentito' nella tua frase, abbinato a quel tuo contenuto tra le parentesi... e aggiungici una spruzzatina di Fornero-Lagazzi + la definizione di 'pentirsi' della Treccani!!! :) :) :)

    E adoro anche i 'casi fortuiti della vita'...
    tipo quello per cui si salva la faccia al lavoro di P. sostituendolo in toto con quello di G.
    E tutteddue, ora questo ora quello, salvano quello di V.

    Hazet

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  4. Interpreto la mancanza di commenti (eccezion fatta per quelli di Hazet) come concordanza dei lettori sui contenuti.

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  5. Assolutamente! Per me rimane un mistero se gli investigatori ci credessero veramente alla loro ricostruzione.

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    1. Infatti mi piacerebbe sapere se un investigatore esperto come Giuttari credesse veramente anche solo minimamente alle dichiarazioni di Lotti , o ha cercato di chiudere in qualche modo il caso x prendersi gli onori ... morale della favola abbiamo il superpoliziotto che ha risolto il caso , Lotti che ha evitato di convivere con gli extracomunitari, e Pucci che ha rischiato di farsi fottere la pensione di invalidità ... la cosa che non mi torna è il comportamento di Pucci

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    2. La mia ipotesi su Pucci è che abbia veramente assistito a una scena del genere (ossia essere cacciato mentre faceva il guardone) in altra occasione e forse altro luogo e si sia poi convinto, a causa delle sue limitate capacità mentali, a trasferire l'esperienza alla data (presunta, ma errata) e al luogo del delitto. Questo perché nel primo SIT neppure nomina di aver sentito sparare né vede alcuna arma.

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    3. Nella sua ipotesi, che trovo abbastanza convincente, come inquadra la rottura tra Lotti e Pucci? Perchè interruppero bruscamente la loro frequentazione? Se erano davvero loro due gli uomini visti il pomeriggio e la sera della domenica agli Scopeti, potrebbero in effetti aver visto i cadaveri. Pucci capì che Lotti conosceva gli assassini e preferì chiudere i loro rapporti. Mi sembra che la storia fili in questo modo. Molto di più delle tesi opposte e a mio avviso inverosimili di un Lotti assassino in solitario o del Katanga 'palo' che si porta dietro l'amico curioso.

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    4. Non affatto vero cche i rapporti tra Lotti e Pucci si interruppero improvvisamente subito dopo il delitto di Scopeti. Mi sono occupato di questo aspetto, ingiustamente trascurato e misconosciuto, prima in due vecchi articoletti
      https://mostrodifirenzevolumei.blogspot.com/2014/03/la-versione-di-pucci.html
      e
      https://mostrodifirenzevolumei.blogspot.com/2014/03/la-versione-di-pucci-2.html
      successiamente in maniera più completa e, ritengo definitiva, negli articoli sul teste Alfa, segnatamente parti 3 e 4, che La invito ad andarsi a rileggere se l'argomento La interessa. Mi faccia sapere se sono stato convincente. Un saluto.

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    5. chiedo scusa per gli errori ma sono in una postazione di fortuna e ho qualche difficoltà a scrivere

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    6. Ho letto gli articoli che mi ha indicato e devo ammettere che la sua spiegazione mi sembra convincente. I parenti di Pucci erano tutti concordi nel ricondurre la rottura tra il fratello e Lotti alla fine del 1991. Ricordavo in effetti che le sentenze di primo grado e di appello del processo ai compagni di merende collocavano la rottura tra i due subito dopo Scopeti, ma senza approfondire le risultanze dibattimentali. Mi piacerebbe sentire cosa ne pensa Segnini, perchè questo mi sembra un punto debole della sua teoria. Se si sono frequentati ancora per anni, come mai avevano bisogno di incontrarsi alla fine del 95 per concordare una versione da dare in pasto agli inquirenti? Poteva Pucci nascondere per anni ai familiari le terribili confidenze di Lotti? Cosa possono aver capito Fornari e Lagazzi di due personaggi così sfuggenti e contraddittori in una manciata di colloqui?

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    7. La genesi della concordante indicazione di Lotti (telefonata con la Ghiribelli) e Pucci (primo interrogatorio) è cruciale. Personalmente non ho soluzioni che mi soddisfino completamente. Se quella domenica i due non avevano vissuto nulla di strano, peraltro, non avevano bisogno di concordare alcunché -prima degli interrogatori del dicembre 95. Ma anche in questo caso, Lotti sapeva di essere sotto tiro (dalla Nicoletti e Ghiribelli), ma come poteva immaginare che venisse individuato Pucci come suo compagno di quella notte? Sembrerebbe che il nome di Fernando sia uscito per la prima volta nell'intercettazione Nicoletti - Ghiribelli del 23 dicembre... a verbale non risulta, ma si sa che non tutto veniva verbalizzato.
      Sull'altro argomento, penso che le consulenze Lagazzi-Fornari (due illustri luminari nel campo) siano uno dei punti più bassi di una vicenda di per sé di bassissimo livello.

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    8. L'unica ipotesi che riesco a fare è che Pucci e Lotti avessero davvero assistito a un episodio come quello raccontato, cioè le minacce di due uomini nella piazzola di Scopeti. La descrizione che Pucci fornisce di uno dei due uomini è immediatamente somigliante a Pacciani, già nel primo interrogatorio. Non credo che nessuno dei due abbia assistito o partecipato al delitto. Nella mia personale interpretazione, Pacciani è il possibile esecutore. Ci si dimentica a volte che il venerdì sera sarebbe stato visto da un teste, Buiani Italo, praticamente nella stessa situazione alterata riferita da Longo, che sarebbe però avvenuta la domenica sera. Forse la notte della domenica era in atto la spedizione in Mugello per imbucare la missiva. Mi rendo conto che è una versione paccianista, ma ha una sua logica. A cominciare dalla presenza dei poveri francesi alla festa dell'unità di Cerbaia, frequentata nello stesso weekend da Pacciani. Se poi si prende per buono il guaio alla Fiesta di Pacciani, è un inconveniente che potrebbe spiegare il prestito dell'auto la sera della domenica. È un'ipotesi non priva di forzature, ma in misura minore rispetto alla verità giudiziaria, al Lotti mostro solitario e ai compagni di merende totalmente estranei alla vicenda.

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  6. Mik... "mi piacerebbe sapere se un investigatore esperto come Giuttari
    - credesse veramente anche solo minimamente alle dichiarazioni di Lotti,
    - o ha cercato di chiudere in qualche modo il caso
    " [citaz]

    Nel primo caso... mhmmmm, molto mhmmm per "esperto"
    Nel secondo caso... mhmmm, molto mhmmm ancor peggio per Giustizia, funzione, ruolo, parenti delle vittime, etc.

    Resto dell'opinione (supportata dalle dichiarazioni e dalla tempistica) che comunque non fu lui NE' a dare il là, nè a scegliere simili strade in tal senso.

    E' "facile" (e pur anche corretto, ovviamente) prendersela coi front-man, ma i front-man cambiano (P->G), mentre la direzione (abbandonare la Pista Sarda/PP) ed il modus (quadro/straccio/scintillio/Nesi) resta lo stesso.

    Questione, direi, quindi assai più di "back-office" più che di front-man.


    Hazet

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    1. Per Giuttari esperto intendevo nel valutare i testimoni dato che non credo fosse al suo primo interrogatorio , chiaramente non era un esperto di sk xè non se ne era mai occupato , come tutti gli altri investigatori non erano preparati x risolvere un caso simile

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    2. @Mik
      ma di che SK stai parlando?
      Coi CdM il/i sk non esistono, essendo state smentite qualsiasi pulsioni maniacali a favore della scelta "commerciale su commissione".
      Quindi che differenza avrebbe fatto essere esperti di sk o non essere esperti di sk, se di sk non ce ne erano manco l'ombra?

      hazet

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    3. Forse non mi sono spiegato bene , ho scritto che Giuttari non era sicuramente al suo primo interrogatorio quando interrogò Lotti , aveva una certa esperienza quindi non riesco a capire come fosse possibile che si è fatto fregare da Pucci e Lotti , x esperto intendevo solo questo e non nel investigazione sui sk che probabilmente neanche conosceva tale fenomeno , indipendentemente se i cdm c'entravano con la storia del mostro

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  7. Ho letto che esce il tuo libro cartaceo, domani volo alla ibs di Lecco ad ordinarlo ...

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  8. "Naturalmente lo stesso Lotti aveva introdotto un ulteriore soggetto (o più di uno) nella vicenda che avrebbe potuto essere pericoloso per la sua incolumità: il misterioso dottore mandante degli omicidi; il che poteva garantirgli la continuità delle misure di protezione". Ciò, unito alle già esistenti indagini sui soldi di Pacciani, è la vera genesi delle dichiarazioni di Lotti sul dottore dei feticci. Non possono esserci dubbi a riguardo. Solo che mi sembra difficile che Lotti abbia fatto autonomamente il ragionamento : " se continuano le indagini e mi credono in pericolo, non mi mandano in carcere e mi campano loro". Qualcuno gli avrà dato l'intelligente, quanto inutile alla fine, suggerimento?

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  9. Era necessario, soprattutto, tirar fuori un movente credibile (?) non essendo risultato sufficiente "uccidevano perché gli garbava" detto da Pucci. Qualcuno riprese un vecchio suggerimento apparso sui giornali di tanti anni prima, a memoria direi inventato da Mario Spezi quando dava la caccia al dottor B. (non sono sicuro che sia stato il primo a parlarne, però)

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  10. Sul dottor B. da quello che ho capito qualche indagine venne fatta sul serio, con il suo cognome che appare di sfuggita nella sentenza Rotella. Come teoria, dottore che paga per i feticci, è probabile che l'abbiano ripresa da lì. Ne parlammo anche sul blog di Antonio, non era una teoria originale. Ma l'idea chi l'ha avuta? Lotti? Chi lo difendeva (per modo di dire)? O chi conduceva le indagini? Innegabilmente le coincidenze sono strane, con la storia del Dottore, come detto non originale ma funzionale, si poteva prolungare il regime di protezione e dare un senso alle indagini, già cominciate da mesi, sui soldi di Pacciani. Comunque se il regime di protezione di Lotti, è andato ben oltre la morte di Pacciani e la carcerazione di Vanni, forse come tentativo, quello del dottore, non fu del tutto vano. Ad essere maliziosi si potrebbe pensare ad una sorta, ma non era stata la prima e nemmeno l'ultima volta, di do ut des tra Lotti e gli inquirenti.

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  11. Non sopravvaluterei la capacità di Lotti di negoziare quanto piuttosto la sua utilità per la tesi accusatoria CdM. A quello che so, la sua "protezione" (leggasi: impunità assistita) termina con la sentenza definitiva. A quel punto, da utile idiota diventa inutile carcerato comune. Questo mi pare molto significativo.

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    1. C'è un fatto che non riesco a spiegarmi. Se Lotti si decise a collaborare - si fa per dire, se non sapeva nulla - per paura del carcere, la paura gli passò quando ci finì davvero? o morì prima di fare a tempo a ritrattare? e se l'avesse fatto, qualcuno gli avrebbe creduto? Una mia curiosità: Lei metterebbe la mano sul fuoco anche sull'innocenza di Vanni?

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  12. Forse non gli fu data la possibilità di ritrattare, mi sembra di ricordare che Bertini in un'intervista disse che dopo la condanna non lo aveva più visto. Ho cercato di contattare i precedenti avvocati di Lotti, per chiarire la genesi della sua collaborazione, ma non hanno voluto parlarmi, il che potrebbe significare che l'argomento rimane delicato (oppure semplicemente non avevano tempo da perdere). So che a qualcuno più quotato hanno parlato, ma con il vincolo del silenzio, almeno così mi è stato detto.
    Quanto a Vanni, la mano sul fuoco in tutti i casi la metto solo per me stesso. Però mi sembra evidente che l'unico elemento sospetto nei suoi confronti era l'amicizia con Pacciani, amicizia che da Ognibene in poi diventa complicità. I testimoni, Alfa e Beta, come avrà capito, non li prendo in considerazione.

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    1. La sua idea è chiaramente di un Lotti falso testimone e pentito, usato e poi scaricato dagli inquirenti. Lei come spiega il silenzio di Lotti sui primi delitti e soprattutto sulla busta inviata dal Mostro dopo Scopeti? Chi ha costruito la testimonianza di Lotti ha dimenticato di suggerirgli quella parte o lui era talmente cretino da non afferrare i suggerimenti?

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    2. Per qualche motivo che non capisco il precedente commento di Enrico Marletti non risulta visibile, lo riporto qui:
      La sua idea è chiaramente di un Lotti falso testimone e pentito, usato e poi scaricato dagli inquirenti. Lei come spiega il silenzio di Lotti sui primi delitti e soprattutto sulla busta inviata dal Mostro dopo Scopeti? Chi ha costruito la testimonianza di Lotti ha dimenticato di suggerirgli quella parte o lui era talmente cretino da non afferrare i suggerimenti?
      Risposta mia:
      Lotti era indubbiamente cretino, ma la spiegazione che mi dò è un'altra: avendo già spiegato con il ricatto sesuale o meglio la minaccia di spifferamento di omosessualità il suo coinvolgimento sia a Giogoli che a Baccaiano, cosa si sarebbe inventato per Calenzano, Scandicci e Rabatta?
      Avrebbe dovuto, per l'ennesima volta, smentire se stesso.
      Alla Procura quel che aveva detto era comunque più che sufficiente (come la Storia dimostra), dopo che finalmente avevano trovato il vero movente: il dottore che comprava i feticci.

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    3. Però Lotti disse di aver saputo da Vanni che lui e Pacciani avevano ucciso la coppia di Calenzano. Quello che rimane oscuro è perché non abbia detto lo stesso per i precedenti omicidi.
      Non avrebbe dovuto smentirsi per spiegare il proprio coinvolgimento, ma limitarsi a dire di aver saputo dagli altri. La fermezza mostrata da Lotti nel tacere sugli omicidi di Borgo e Scandicci non trova a parer mio nessuna spiegazione plausibile, né immaginandolo nei panni del mostro, né di un complice né di un povero idiota unicamente interessato a guadagnare gli agi del sistema di protezione. In ogni caso, nulla aveva da perdere; ma nulla disse.
      Gli altri delitti rimasero fuori dalle sue confessioni perché a Pucci non ne aveva parlato? Ma allora Lotti e Pucci si sarebbero accordati per accusare Pacciani e Vanni solo di alcuni delitti? Io alzo le mani, non ho nessuna risposta.

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  13. Diciamo meglio: prima fu Pucci a dire che Lotti glielo aveva detto (di Calenzano), poi Lotti conferma.
    La sua considerazione è giusta. Forse Procura e PG si accontentarono, una spiegazione banale ma non impossibile.

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    1. Certo, anche per Calenzano fu prima Pucci a parlare; ma gli interrogativi restano, e si trasferiscono sulla figura di Pucci. Perché non disse nulla sui delitti precedenti, costringendo Lotti ad adeguarsi?
      Se i due falsi testimoni erano guidati a proprio piacimento dagli inquirenti, è difficile credere che si fossero accontentati. Tanto più che negli interrogatori posero ai due compari alcune domande su Scandicci e Borgo, ma non riuscirono a trovare (presunti) riscontri con cui scalzare Lotti.
      D'altronde lei capisce che a un Lotti impegnato a rafforzare il suo status di pentito sarebbe convenuto accusare Pacciani e Vanni anche per i primi delitti (e forse anche i suoi avvocati lo spinsero in tal senso). Perché questo non sia avvenuto è difficile da comprendere.

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    2. Non ho altra possibile spiegazione se non che gli inquirenti non insistettero abbastanza.
      L'alternativa è che tutto quello che Pucci e Lotti dissero fosse vero; ma mi pare che siano emersi sufficienti argomenti per dire che così non fu.

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    3. confessando 7 duplici omicidi , 14 morti, forse sarebbe stato più difficile evitare la galera? a mio avviso avrebbe dovuto trovare delle spiegazioni plausibili per la sua presenza anche per i delitti 74-81. i giudici avrebbero creduto che era stato solo un "palo", ma sarebbe più corretto dire mezzo palo, anche in quei delitti? confessando quei delitti difficilmente avrebbe evitato l'ergastolo. forse Lotti, o chi per lui, fece questo ragionamento?

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    4. Il 18 aprile 1996 Pucci disse di aver saputo da Lotti che Pacciani e Vanni "hanno morto anche quelli a Calenzano". Lotti non gli avrebbe detto se era presente. Lotti si adegua e racconta di aver saputo da Vanni che la coppia di Calenzano l'avevano ammazzata lui e Pacciani.
      Non poteva Lotti ripetere la storia per i delitti precedenti: "Vanni o Pacciani (o entrambi) mi hanno detto di aver ucciso anche le altre coppie"?
      Gli inquirenti avrebbero risolto il caso, a parte la giuntura tra Signa e gli altri omicidi (che tentarono di spiegare con la storia di Francesco Vinci, opportunamente suggerita a Lotti); Lotti avrebbe offerto il massimo di collaborazione possibile, senza caricarsi di altri delitti.
      Se Lotti non disse nulla sui primi omicidi perché Pucci non ne aveva parlato prima di lui, è evidente che la chiave del mistero è nel rapporto Pucci-Lotti.
      Lotti deve aver fatto delle confidenze a Pucci. Forse c'era qualcosa di vero, forse erano tutte invenzioni.
      Altrimenti i due avrebbero messo in piedi (con la complicità degli inquirenti) una farsa penosa, cui si volle credere ad ogni costo. Vi sembra possibile?

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    5. Lorenzo Franciotti non sono molto d'accordo. La strategia difensiva di Lotti, da un certo punto in poi, si basa sulla collaborazione e non sul diniego. Ammette di aver sparato a Giogoli, scrive la lettera spontanea e altro, che devo ancora pubblicare se ne avrò il tempo. Lui pensa che la sua speranza di cavarsela sia nell'ammettere, si difende come una tigre dagli avvocati difensori che vorrebbero appioppargli una calunnia evitandogli un accusa di concorso in omicidio, in sostanza difende la propria colpevolezza. Penso davvero che fu la procura a non voler insistere perché più cose lotti diceva tanto meno diventava credibile, per lo meno in una visione sanamente critica che i giudici non adottarono.
      questa è la mia opinione personale e ovviamente senza elementi concreti.

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    6. X kozincev : avrebbe potuto ripetere le falsità dette su Calenzano anche per gli altri delitti, ma i giudici gli avrebbero creduto? Col senno di poi, l'assoluzione del povero Faggi, sappiamo di no. X Omar: io penso che Lotti abbia scelto la strada della collaborazione perchè gli spiegarono che fino a sentenza definitiva avrebbe evitato il carcere, e che , forse, lo avrebbe evitato anche dopo. Sono propenso credere che gli abbiano fatto capire che se non collaborava avrebbe fatto la fine degli altri due. La lettera spontanea, in realtà non lo era, e lo sappiamo tutti. Sulla procura che zittisce Lotti non so cosa pensare. Non lo zittirono quando tirò fuori la storia di una lettera inviata ad una certa Emanuela dopo Vicchio contenente non si sa cosa. Non lo zittirono con i primi maldestri tentativi di trovare moventi, come i feticci che Pacciani dava da mangiare alle figlie o la storia della Rontini uccisa perchè aveva rifiutato Vanni. Forse Omar sbagliamo nel pensare che gli inquirenti si facessero questi problemi. Secondo me a loro non spaventava molto la possibilità di una visione critica da parte dei giudici.

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  14. L'articolo offre una plausibile e documentata interpretazione della genesi delle "confessioni" di Lotti, che la sentenza di appello del processo ai cdm vede come il frutto di un "travaglio interiore". Lotti cerca di minimizzare il più possibile il suo (asserito) apporto, ad es. raffigurandosi come vittima di minacce. Nel 1995 il collaboratore di giustizia Leonardo Marino, per concorso in omicidio volontario aggravato, teoricamente un reato da ergastolo, era stato condannato a undici anni di carcere e il reato fu dichiarato prescritto.

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