Sono sempre affascinato dalla genesi delle cose e delle
opinioni.
Dopo aver studiato la genesi di un’opinione smentita –
quella della pista sarda – voglio dedicarmi alla genesi di un’opinione
confermata in giudizio – quella dei Compagni di Merende.
Avendo già parlato della teste Gamma (qui) , è il caso di parlare
di Alfa, che dovrebbe essere l’inizio: Alfa è la prima lettera dell’alfabeto
greco e non per caso a Fernando Pucci fu affibbiato lo pseudonimo Alfa, quando
si trattò di acquisire le nuove testimonianze nell’ambito del processo di
appello Pacciani. Pucci, infatti, era all’epoca cronologicamente il primo – e
il più importante - testimone diretto dell’ultimo duplice omicidio. La sua
importanza verrà poi oscurata dall’astro nascente di Giancarlo Lotti, per cui
Beta sopravanzerà di gran lunga Alfa. Ma limitiamoci per ora ad Alfa, appunto
Fernando Pucci. Solo che, per capire il modo in cui Pucci irrompe sulla scena
delle indagini quel 2 gennaio 1996, bisogna andare ancora a ritroso nel tempo,
di un anno e mezzo circa, e riportarsi all’epoca del primo processo Pacciani; è
una strada che ho fatto più volte, ma possiamo rifarla, con più attenzione e
nuovi documenti, insieme. Avverto però che la strada che porta ad Alfa è lunga
e tortuosa e si rischia di perdercisi; per cui mi appello alla pazienza del
lettore.
Siamo dunque nel luglio del 1994 e il precedente 8 di giugno
il ben noto superteste Lorenzo N., convocato per la seconda volta in aula, aveva detto
di aver visto Pietro Pacciani in auto insieme a un’altra persona la sera del 8
settembre 1985 nei pressi di Scopeti. E poi c’era chi aveva visto – o creduto
di vedere – Pacciani su un’auto non sua; o, al contrario, qualcun altro, non riconosciuto, vicino
all’auto di Pacciani. Non ci dilunghiamo
su questo perché sono cose arcinote, come è arcinoto che da queste
testimonianze – e da altre – sorse agli inquirenti l’idea – e poi lo scriverà
anche il giudice – che almeno a Scopeti Pacciani avesse un complice. Naturalmente,
esisteva nelle menti degli inquirenti un pre-giudizio: che Pacciani non poteva
non essere colpevole; onde per cui tutte le testimonianze apparentemente
discordanti dovevano essere accordate a questo dato di fatto incontrovertibile.
E quindi, in maniera riservata, mentre il processo continuava, si condusse un
supplemento d’indagine mirato a scoprire se qualche amico di Pacciani gli aveva
dato man forte, magari inconsapevolmente, anche solo prestandogli la propria
auto. A questo punto il già citato supertestimone tornò a farsi informalmente
vivo con la S.A.M., insistendo non solo sulla lunga e consolidata amicizia tra
Pacciani e Mario Vanni, ma facendo altri nomi: in particolare quello di un
certo Lotti, detto Garibaldi, anch’egli amico di Vanni, che insieme a Vanni
andava a fare l’amore con tale Filippa, la quale, per fortunata coincidenza,
aveva abitato in via di Faltignano (e Pacciani era stato visto proprio
all’incrocio tra via di Faltignano e via degli Scopeti!), senza contare che nella
casa accanto a quella della Filippa aveva abitato la Sperduto Antonietta vedova
Malatesta, autoconclamata amante sia del Pacciani che del Vanni! (Si veda
udienza del 24 maggio 1994, ma, facendo un ritorno al futuro, anche 27 gennaio
1998 al processo Compagni di Merende). E in più si era saputo, da una
recentissima testimonianza, che in quella casa, con la Filippa, aveva abitato
un mago che faceva filtri d’amore (quello che fanno tutti i maghi, insomma, ma
chissà cosa ci metteva, nei suoi filtri, quel mago, che viveva vicino al luogo
di un duplice omicidio e insieme a una donna che forse faceva anche l’amore con
due amici dell’imputato). La coincidenza non era poi così cogente, giacché
all’epoca del delitto di Scopeti, - secondo quanto riferisce la S.A.M. - sia la
Filippa che la Sperduto si erano già trasferite da altre parti, ma andiamo
avanti. Sta di fatto che la S.A.M. fece il suo mestiere, prendendo informazioni
al PRA e sentendo sia Lotti che la Filippa, identificata per Nicoletti Filippa.
Quindi si scopre che questo Lotti aveva posseduto, tra le sue altre macchine,
due Fiat 128 coupé (Nota: due? Che sia una duplicazione del PRA?) e il Lotti ricordava
infatti di aver posseduto una 128 coupé rossa; mentre di cosa sia stato chiesto
alla Filippa e di cosa lei abbia dichiarato non c’è traccia. Questo ritorno di
fiamma delle indagini produceva solo un’annotazione di P.G. informale e si
acquietava. Rimaneva però nero su bianco che Giancarlo Lotti, amico di Pacciani
e Vanni, era stato possessore di una 128 coupé rossa.
Saltiamo ora all’11 ottobre 1995, quando due nuovi testi, Marcella
De Faveri e Vittorio Chiarappa, riferirono che nel pomeriggio della domenica 8
settembre 1985 erano stati ospiti del proprietario della villa situata su via
degli Scopeti di fronte all'ingresso della stradina che porta alla piazzola del
delitto e di aver visto "un'auto dalla forma tronca dietro, di colore
rosso sbiadito stazionare per diverse ore sul lato destro della carreggiata; a
lato della macchina avevano visto due uomini” (nota: la signora verrà sentita
ulteriormente il 14 novembre, dopo di che i coniugi deporranno al processo il
30 giugno 1997). Quindi il commissario Giuttari nell’assumere l’incarico di
Capo della Squadra Mobile di Firenze aggiungeva questa fresca testimonianza a
quelle che parlavano di due macchine (una bianca, una rossa) a Vicchio e,
ancora più indietro nel tempo, eventualmente all’Alfa rossa GT vista alle
Bartoline di Calenzano. Nel contempo, veniva a sapere dall’annotazione di cui
abbiamo parlato prima, che tale Giancarlo Lotti aveva posseduto una Fiat 128
coupé rossa e che tale Filippa Nicoletti frequentava gli amici di Pietro
Pacciani. E che la Fiat 128 di Lotti fosse già nel cuore degli inquirenti risulta dal SIT reso
direttamente al P.M. il 27 novembre 1995 da Filippa Nicoletti, alla quale viene
addirittura mostrata una fotografia di un’auto di quel tipo affinché la
riconosca come (identica a) quella di Lotti, il che la teste ovviamente fa.
Che la macchina rossa sia il grimaldello di questa fase
dell’indagine me lo conferma anche un documento riservato ove si parla
dell’interrogatorio subito il 6 dicembre 1995 da Sabrina C., alla quale veniva
pressantemente richiesto di identificare la macchina che, nel pomeriggio della
domenica 8 settembre, era arrivata nella piazzola mentre lei e il fidanzato
stavano andando via. Pare che la polizia fosse convinta, con una certa
insistenza, che l’uomo fosse Mario Vanni (eppure si doveva ben sapere che Vanni
non guidava l’auto!). Chi volesse ricostruire l’episodio può combinare i vari
articoli comparsi sui giornali il giorno 7 dicembre con il confuso controesame
della teste condotto dall’avvocato Colao in data 30 giugno 1997 (si veda
Insufficienza di prove e, volendo, la registrazione dell’udienza su radio radicale,
dove è evidente lo stupore di Colao e l’imbarazzo di Canessa). Si legga anche questo estratto da un articolo
non firmato, apparso su La Repubblica 16 dicembre 1995 “La settimana scorsa la
squadra mobile interrogò a lungo un' altra testimone: una signora che ricorda
un particolare che potrebbe diventare decisivo. Secondo quella testimonianza un
amico di Pacciani fu visto su un' auto rossa nella campagna di Scopeti, dove il
mostro uccise i turisti francesi Nadine Mauriot e Jean Michel Kraveichvili,
pochi giorni prima di quel delitto, nel settembre 1985”. Ma appunto questa
notizia data alla stampa da qualcuno non verrà affatto confermata al
dibattimento.
Il verbale del 6 dicembre non è disponibile, ma, atteso che
il riconoscimento dell’amico di Pacciani (ossia, per parlare chiaro, Mario Vanni) venne poi recisamente
smentito, il dato importante è che si
parlò di un motorino rosso appoggiato su un albero visto nei giorni precedenti
il delitto. Questo si desume sia dalla trascrizione dell’udienza del 1997 sia
dagli articoli di giornale dell’epoca, in particolare la nazione, dove, a firma
di Amadore Agostini è gran discorso di questo motorino, che ovviamente doveva
essere quello di Pacciani. Di un motorino o motocicletta a Scopeti avevano peraltro
parlato anche i testi Pordoli nell'immediatezza e Iacovacci al processo del 1994.
Ci stiamo avvicinando ad Alfa, che al momento è ancora un
perfetto sconosciuto. Infatti, l’utenza telefonica della Nicoletti viene messa
sotto controllo e il commissario Giuttari sente Lotti il 15 dicembre, ma, a
quanto risulta ufficialmente, non si parla di auto (Giuttari, Il Mostro pag.
104 e segg.). Il giorno dopo, però, Lotti telefona alla Filippa, che è
intercettata (e dall’intercettazione si comprende che si è parlato di macchine,
fuori verbale, almeno di quella vista a Calenzano) e viene informato dalla
donna che a lei è stato chiesto della macchina rossa, il 128 coupé, e che “loro
(= la polizia) hanno una foto della macchina”. Al che Lotti si limita a
ribattere: “ah quel coupé, il 128… ti hanno fatto vedere quello? Ma quello è da
quindici anni e più…” L’intercettazione viene ritenuta rilevante dalla SAM in
quanto il Lotti vi ammette di aver posseduto una Fiat 128 coupé rossa (ma lo
aveva già pacificamente ammesso nel 1994!) e l’auto poteva essere messa in
relazione con quella vista il pomeriggio di domenica 8 settembre 1985 nei
pressi della piazzola del duplice omicidio di Scopeti (quindi, ci si riferisce
alla testimonianza Chiarappa – De Faveri).
L’audizione di Lotti ha però portato a un nuovo nome,
Gabriella Ghiribelli; viene sentita il 21 dicembre e anche a lei viene mostrata
la foto dell’auto “di Lotti” (anche qui veniamo a saperlo non dal verbale, ma
dalla successiva intercettazione; l’identificazione formale, con la discussione
sullo sportello, avverrà nella seconda convocazione del 27 dicembre, ma di
questo ho già parlato ad abundantiam nell'articolo linkato all'inizio). Sta di fatto che al 27 dicembre abbiamo
i seguenti elementi d’informazione scaturiti dall’indagine in corso: l’auto di
Lotti (con due uomini) che staziona tutto il pomeriggio di domenica davanti
alla piazzola e forse nel pomeriggio tenta di entrarci, ma la trova occupata; l’auto di Lotti che viene avvistata nello stesso luogo intorno
alle 23.30 (testi Ghiribelli e Galli, nonostante le discordanze tra loro); e
Ghiribelli che già il 23 dicembre si lascia sfuggire al telefono che è strano
che Lotti, parlando a vanvera come è solito fare, non abbia ancora messo in
mezzo il suo amico del cuore, Fernando. Chi è Fernando? Come ben sappiamo con
il senno di poi, è il teste Alfa.
Prima dell’entrata in scena di Alfa dobbiamo però situare
ancora un episodio, rilevante, ma del quale purtroppo si sa poco di certo:
l’incontro avvenuto tra il Lotti e la Ghiribelli, a Firenze, nel corso del
quale lui avrebbe giustificato la sua presenza agli Scopeti la sera dell’8
settembre 1985 con la fatidica frase “Non ci si può più fermare neanche a
pisciare!” Da un documento che ho potuto consultare grazie alla cortesia di un
amico mostrologo, risulta il seguente stralcio di intercettazione telefonica,
in data 28 dicembre 1995 (nota: a parlare è la Ghiribelli):
G.G. mi hanno fatto
vedere una macchina.....tanti testi dicono che hanno visto una macchina rossa
con uno sportello più chiaro....a quell'epoca, ...agli Scopeti. Secondo che ho
capito io l'hanno detto anche a lui ( sta parlando di Lotti). ..."Lei ha
la 131 rossa con lo sportello di un altro colore. Come mai adesso ha venduto la
macchina?.....Perché noi sappiamo che ha comprato due gomme antineve per questa
macchina! Come mai le ha comprate e dopo 15 giorni che l'abbiamo interrogata ha
cambiato la macchina?" Mi hanno chiesto :" lei cosa ne sa di questa
storia? ". Io ho risposto che non andava più. (…) comunque questo cretino
ha venduto la macchina dopo due giorni che l'hanno interrogato. A loro sembra
che lui abbia qualcosa da nascondere…
Non si capisce bene se la Ghiribelli stia riferendo quello
che le hanno detto in questura o un suo colloquio diretto con il Lotti o un mix di entrambe le cose. Sta di
fatto che Giancarlo Lotti al più tardi al 28 dicembre è ampiamente allertato
del fatto che la sua auto sarebbe stata vista quella domenica pomeriggio e sera
agli Scopeti. Naturalmente non sa che l’auto rossa è stata vista nel pomeriggio
(da Chiarappa – De Faveri), ma sa del presunto avvistamento della Ghiribelli e
probabilmente, se la sequenza temporale è quella corretta, ha già trovato,
nella sua agile mente, una scusa buona: non ci si può nemmeno fermare a
pisciare?
Per inciso, nel pomeriggio del 28 dicembre, come sappiamo
dai giornali, viene interrogato un testimone segreto, un uomo di una certa età,
abitante a San Casciano. “Ignorava il motivo per cui era stato convocato in
questura ed era anzi abbastanza spaventato da questa convocazione”, ci dice
ancora Amadore Agostini su la Nazione del 29 dicembre (la notizia verrà
brevemente battuta anche dall’ANSA). Chi è questo testimone segreto, abitante a
San Casciano, di una certa età e comprensibilmente spaventato? A mia scienza,
nessun libro ne parla, neppure Giuttari, che nei suoi due volumi è piuttosto
meticoloso su questa fase delle indagini. Forse il teste segreto non aveva
nulla di interessante da dire.
Sia come sia, Pucci / Alfa, di anni 64, pensionato (pensione di invalidità per grave oligofrenia, ma questo tralasciamolo per ora) è facilmente identificato e convocato in questura il 2 gennaio 1996. Interrogato da Giuttari, comincia subito male raccontandogli quella dell’uva sulla rottura della sua amicizia con Lotti circa 10 anni prima. Poi si parla un po’ della Gabriella, un po’ di Vanni; dopo di che Giuttari chiede molto semplicemente se si sia mai fermato a Scopeti con Giancarlo. Una nota: nel libro “Compagni di sangue” (pag. 77) Michele Giuttari ritiene opportuno precisare: “ Formulai in maniera diretta la domanda sia perché già conoscevo la circostanza della presenza di un auto simile a quella del Lotti agli Scopeti la notte del delitto (…)”; e d’altronde, aggiungiamo, giacché la signora De Faveri aveva visto due uomini – e la Sabrina C. aveva escluso che ci fosse Vanni, - chi altri avrebbe potuto trovarsi con il Lotti se non il suo compagno di girate Pucci, che ha appena detto che era solito trascorrere insieme al Lotti tutte le domeniche pomeriggio e sera? Insomma, sembra che il commissario vada sul sicuro.
E infatti, siccome due più due fa sempre quattro, Pucci spiattella
subito tutto; beh, non proprio tutto, una prima versione: “ricorda bene” di
essercisi fermato solo una volta, agli Scopeti, e circa 10 anni prima, e proprio una domenica
e proprio mentre tornavano dalla settimanale ora di ricreazione con la
Gabriella e insomma, si sono fermati per un bisogno fisiologico.
C’era la tenda, c’era la macchina e dalla macchina sono
scesi due uomini che si sono messi a vociare e li hanno cacciati via. E la
macchina di Lotti qual era? Non ricorda di preciso, ma certo era rossa, o il 128
coupé o il 131 (come sappiamo, tra le due Lotti ha avuto anche la 124
celestina, ma per qualche strano motivo il ricordo di Pucci si concentra subito
sulle auto rosse). Però questa versione
non deve essere sembrata, agli occhi degli inquirenti, del tutto soddisfacente.
Che ci facevano infatti i due uomini vocianti (ossia Pacciani e l’ancora ignoto
suo complice, come è facile immaginare anche se i nomi non sono stati fatti)
nella macchina dei francesi? Pucci corregge un po’ il tiro. L’auto non è più
vicina alla tenda, ma a metà strada tra l’asfalto (via degli Scopeti) e la
piazzola (ma ora, la macchina dei francesi dov’è andata a finire?). Ora va
tutto bene, è normalissimo che il teste, dopo dieci anni, possa confondere le
posizioni dell’auto o dove si trovassero i due uomini. Quello che appare molto strano
è che nella breve scena che descrive (scendono dall’auto per fare un po’
d’acqua, vengono affrontati e minacciati dai due tipacci, e subito se ne vanno, anche
rincorsi dai due) il teste abbia avuto il tempo e la prontezza di spirito di
notare un vecchio motorino che era appoggiato nel pressi del cancello al muro o
ad un albero. E allora non si può non ricordare la testimonianza della Sabrina
C., e conseguente grancassa di stampa, sulla presenza del motorino appoggiato a
un albero.
In altre parole, è naturale che chi vive un evento choccante
come quello narrato dal Pucci, ne serbi a lungo il ricordo, anche a grandi
linee, impreciso; ma quanto è probabile che, all’interno della scena principale
(la minaccia, la fuga) si serbi il ricordo di un particolare insignificante che
nulla a che fare con l’evento? Questa sovrabbondanza di particolari, in genere
utili all’investigazione, ossia “riscontri” a posteriori di conoscenze già
acquisite, è una costante dei testimoni particolarmente collaborativi.
Nella seconda parte cercheremo di seguire il processo di
liberazione di Alfa, che per ora ha detto quello che gli inquirenti si aspettavano,
ma non tutto quello che si aspettavano; e avrà ancora molto da dire.
(SEGUE)
Nessun commento:
Posta un commento
Il tuo messaggio apparirà dopo essere stato approvato dal moderatore.