lunedì 18 dicembre 2017

L'arringa dell'avvocato Bertini



Arringa, secondo il Vocabolario Treccani online, è il “Discorso pronunciato davanti a una folla, a un’assemblea o in tribunale, con notevole impegno oratorio, volto soprattutto alla persuasione e alla mozione degli affetti. In particolare, la difesa orale, pronunciata nel dibattimento durante il processo penale”.

E’  un termine forse un po’ demodé e probabilmente lo era già il 27 febbraio 1998, circa trent’anni fa, quando l’avvocato di Giancarlo Lotti, Stefano Bertini, trasse le conclusioni a difesa del suo assistito. Poiché sto preparando un articolo sull’inquadramento legale di Lotti quale testimone protetto e (mancato) collaboratore di giustizia, ho pensato di proporre ai lettori, propedeuticamente, una trascrizione della parte finale della sua arringa. E’ stato un lavoro faticoso. Non giudico la sostanza, ma la forma. All’epoca Bertini non si poteva definire un grande oratore: è visibilmente emozionato, ha difficoltà di eloquio, fa ripetizioni, si mangia le parole, usa molti anacoluti. Vieppiù defatigante è stata la trascrizione, anche perché la registrazione audio tratta da Radio Radicale non è il massimo dell’alta fedeltà. Credo che leggere i passi che ho estratto sia comunque interessante, anche perché l’udienza non risulta trascritta su Insufficienza di Prove. Avverto che dove una frase o parola mi era incomprensibile ho inserito un punto interrogativo tra parentesi (?) e che il grassetto, a evidenziare passaggi che ritengo importanti, è ovviamente frutto del mio intervento redazionale. Buona lettura.

L'avvocato Bertini - immagine tratta dal web, sito GoNews


[start] Io vi ho chiesto all’inizio di fare una divisione netta tra la posizione del Lotti e quella dei suoi compartecipi, esecutori materiali di questi delitti. E le conclusioni del PM in tal senso sono ineccepibili, in effetti abbiamo l’ergastolo chiesto per Vanni, 21 anni per Lotti. La richiesta della concessione delle attenuanti generiche prevalenti a Lotti attua di fatto formalmente questa diversificazione. Ma non è sufficiente. Il nostro codice vi offre elementi per rendere questa diversificazione ben più reale, effettiva, non soltanto, ma più aderente alle risultanze del processo, alla personalità del Lotti.  E voi capite quali meccanismi hanno indotto il Lotti a prendere parte a questi omicidi. (…) Quindi come vedete quello che è rappresentato è un quadro misero, che ci rappresenta una persona incapace di vivere una vita normale non soltanto per le oggettive difficoltà che può avere incontrato, ma per la consapevolezza di essere diverso, l'autoconsapevolezza di non poter essere accettato e quindi la depressione di cui parlavo prima, non un istinto violento, la depressione, i complessi, le paure, la dipendenza dagli altri e voi capite quale importanza abbia questo dato se noi andiamo poi a verificare quei meccanismi che hanno indotto il Lotti  a prendere parte a questi omicidi. A prescindere dall'occasione particolare, proprio, dalla circostanza che ha determinato il suo coinvolgimento, come fra poco vedremo, si capisce che il Lotti è credibile quando dice di essere stato costretto dai suoi complici: "mi minacciava, come facevo a dire di no? Dovevo andare, se dice così, come fo, lo dovevo fa' pe' forza". Pensate a quello che vi ha detto riguardo alla circostanza di dover andare a imbucare quella lettera a Vicchio, qui gli fu chiesto, giustamente, ma come, ha fatto tutta quella strada per andare a imbucare questa lettera a Vicchio? Non poteva dirgli imbucala da un'altra parte più vicina, tutti quei km in macchina perché? Dice: “che dovevo fare? Gliel'ho detto ma… Dovevo andare. Non potevo dirgli di no, se devo andare devo andare”. Ma signori, questo dato è importante: chi è l'interlocutore di Lotti in questi fatti? E' il Pacciani. E il Pacciani ha un carattere non soltanto autoritario, forte, ma violento, prevaricatore. Pacciani rappresenta quella realtà cui il Lotti non può uniformarsi, rappresenta una realtà a cui non può sottrarsi, non può che soggiacere, una realtà troppo forte per lui. Lotti lo sente, non gli è simpatico, lo ritiene prepotente, sa di cosa è accusato con le figlie, riguardo alle figlie, ha fatto cose brutte, dice il Lotti del Pacciani. Con Pacciani a differenza di Vanni non può parlare, tace, ecco come ha paura della realtà. (...) Sotto questo punto di vista l'elaborato dei dottori Fornari e Lagazzi, che è puntuale su questo punto, sulle paure, su ciò che il Pacciani evidenzia riguardo, su ciò che Lotti evidenzia riguardo al rapporto con Pacciani. E dice una cosa importante, importantissima, il Lotti: Pacciani ha cercato di coinvolgermi per farmi stare zitto, eccoci al punto che ci interessa, signori della Corte, punto determinante in questo processo. Si è detto che non è possibile che una persona possa determinarsi a compiere simili atti, a partecipare a questi delitti  soltanto perché minacciato psicologicamente anche se non costretto fisicamente, materialmente. Il Lotti si sa che si recò sui luoghi dei delitti di con la macchina propria, poteva anche andarsene; anche se si ragiona male avendo davanti uno con la pistola in mano, un altro con il coltello. Che ci dice il Lotti su questo riguardo? Pacciani ha cercato di coinvolgermi per farmi stare zitto, ha cominciato a minacciarmi, ormai ero dentro e dovevo andare avanti. Se guardiamo a queste dichiarazioni alla luce della personalità del Lotti, come ho evidenziato, ma quale risulta dalle carte, in questo processo, non possiamo che comprendere che una persona come il Lotti quella minaccia cui vi parla, ne parla con i periti, ne parla con voi, ne parla diffusamente, era per lui assolutamente effettiva, cogente, determinante, non poteva sottrarsi; era Pacciani che comandava, era un violento, forse poteva anche ucciderlo, a questo punto era una paura che poteva avere anche il Lotti, e comunque di fronte a questo tipo di aggressione lui non poteva fare niente. E questo ci apre anche le porte alla soluzione di un altro problema, perché il Lotti fu coinvolto, perché la prima volta fu condotto a Baccaiano nell'82?
[Nota: segue una dissertazione sul modo in cui Lotti fu costretto a partecipare ai delitti]
Dopo questo, possiamo tornare all'ultimo aspetto che concerne la posizione processuale del Lotti, anch'esso direi di importanza determinante per quanto riguarda la diversificazione tra lui e i complici, di cui più volte vi ho detto. Ho già avuto modo di dire e lo ribadisco che Lotti non può essere considerato alla stregua di chi ha materialmente ucciso, tagliato, quasi sventrato quelle giovani vittime; il ruolo che lui ha nella vicenda è ben diverso, sia per importanza, sia per determinazione sia per apporto ed efficienza causale. A questa chiara, netta ed evidente diversificazione e diversità di ruolo deve corrispondere necessariamente una diversità di pena. Ma una diversità di pena ancora più evidente di quella che vi ha richiesto, vi ha prospettato il pubblico ministero. Esaminiamo un attimo quindi l'argomento del concorso di Lotti nei reati che vengono contestati. Posso ora premettere alcune velocissime premesse alla conoscenza dei giudici popolari. Quattro sono gli elementi principali della compartecipazione criminosa: la pluralità degli agenti, la realizzazione della fattispecie obiettiva di reato, il contributo attivo del concorrente, e l'elemento soggettivo. Come potete capire chiaramente, il punto nevralgico di questa nostra indagine è dato dall'identificazione dei requisiti della condotta del singolo concorrente. Come deve essere l'apporto del soggetto alla realizzazione dell' evento perché egli possa essere dichiarato concorrente? E perché possa rispondere al pari degli altri alle conseguenze di ciò che ha commesso? Per potere affermare la responsabilità di un soggetto a tale titolo è sufficiente che lo stesso abbia apportato un contributo di ordine materiale o psicologico o morale idoneo alla realizzazione anche di una sola fattispecie delle fasi di ideazione, organizzazione o esecuzione dell'attività criminosa. Quindi può essere un contributo materiale, un contributo morale, inteso come agevolazione o rafforzamento del proposito criminoso di chi materialmente agisce. Questo contributo per essere colpevole deve essere idoneo alla realizzazione della condotta tipica. Anche la semplice presenza sul luogo del delitto può realizzare una compartecipazione criminosa a condizione però che non sia meramente casuale e che abbia costituito uno stimolo all'azione o un rafforzamento del proposito criminoso degli agenti. Quindi anche la semplice presenza (…) ha valore penale (...).  Vi è poi una norma importante, importantissima, vedete questo è l'appiglio a cui ho fatto riferimento prima nel richiedere una diversificazione netta della posizione del Lotti che è l'articolo 114 del codice penale. In base alla quale qualora si ritenga che l'opera prestata da uno dei concorrenti abbia avuto un'importanza minima nella preparazione o nell'esecuzione del delitto, la pena può essere sospesa [!!??)].
[Nota: riproduco qui l’art. 114 C.P. con le note tratte dal sito Brocardi.it.
Il giudice, qualora ritenga che l'opera prestata da taluna delle persone che sono concorse nel reato a norma degli articoli 110 e 113 abbia avuto minima importanza nella preparazione o nell'esecuzione del reato, può diminuire la pena (1).
Tale disposizione non si applica nei casi indicati nell'articolo 112.
La pena può altresì essere diminuita per chi è stato determinato a commettere il reato o a cooperare nel reato, quando concorrono le condizioni stabilite nei numeri 3 e 4 del primo comma e nel terzo comma dell'articolo 112 (2).
Note
(1) La dottrina e la giurisprudenza sono concordi nell'affermare che la disposizione in esame deve essere interpretata con valenza oggettiva, ovvero, per la sua applicazione, è necessario che sia riscontrato dal giudice come minimo il contributo dal soggetto fornito. Deve questo esser del tutto marginale e di così lieve efficienza causale da risultare quasi trascurabile rispetto all'evento. Viene quindi ad interpretarsi rigorosamente il disposto in esame e ciò fa si che si restringano i casi che posson beneficiare di tale attenuante. Per chiarire non vi rientrano, ad esempio, la condotta del cd palo, o di chi trasporta la refurtiva o di chi fornisce informazioni per facilitare la commissione di un reato.
(2) Il secondo comma configura una diversa possibilità di applicazione della circostanza attenuante in esame, rinvenibile nel caso in cui il soggetto si sia trovato in condizioni tali da ridurre le capacità di resistenza psicologica alle altrui pressioni.]
E quindi bisogna capire questo concetto;  è importante. Più persone che agiscono insieme, ciascuno con il proprio ruolo, la propria capacità,  la propria competenza, con la propria personalità, la propria volontà, per commettere un reato. Più o meno consapevolmente, più o meno coscientemente. Se una di queste persone apporta all'opera degli altri un contributo minimo, marginale, secondario, egli ha diritto a una riduzione di pena, una riduzione anche evidente, rilevante. Questo perché? Perché in questi casi (...) L'apporto del singolo concorrente non è determinante ai fini della realizzazione dell'evento. Cerchiamo ora di vedere appunto, di verificare come si realizza l'apporto del Lotti alla realizzazione dei delitti di cui è processo.
[Nota: Segue una dissertazione del ruolo di Lotti sulla scena dei delitti, che contesta la causalità della sua partecipazione sulla scena dei delitti e la funzione di “palo”]
È questo un apporto determinante? Possiamo concludere che Vanni e Pacciani si sono determinati a commettere i reati proprio perché Lotti ha fatto questo? Senza questo non potevano farli? Vi è poi Giogoli. Come sappiamo qui per la prima volta,  è l'unica volta in cui Lotti spara, gli viene posta la pistola in mano, spara e colpisce i ragazzi tedeschi. Non vi è dubbio che questo di per sé sarebbe un comportamento che sarebbe idoneo alla fattispecie tipica di cui si è visto. Ma questa circostanza, come si è visto anche, è molto particolare. Lotti non aveva alcuna intenzione di sparare, il gesto era stato preordinato da altri, dai suoi complici, a sua insaputa, è Pacciani che gli mette la pistola in mano, che lo costringe dall'alto della sua minaccia immanente, subdola, a sparare. Lotti spara, rimane impietrito, dice “io non sapevo nemmeno cosa fare”, tant'è che Pacciani gli strappa la pistola di mano e va a sparare lui stesso, “ero imbambolato”; tutto questo poi avviene, anzi Lotti poi spara contro il vetro, a tutta prima non sa nemmeno dire se ha rotto il vetro, se ha colpito al vetro, tanta è la paura che lo attanaglia in quel momento: “ho visto delle ombre, ho sparato così, poi il Pacciani mi ha tolto la pistola di mano”. Tutto questo avviene in un tempo brevissimo, nella concitazione di un momento particolare sotto la minaccia del Pacciani con la consapevolezza che il Vanni comunque sia aveva il coltello in mano. Rileggete le indicazioni del Lotti sotto questo punto di vista, a pagina 47 dell'incidente probatorio. “Non so nemmeno dire se ho rotto il vetro, sono rimasto impietrito, immobile, finché il Pacciani mi ha preso la pistola di mano e ha terminato l'opera.” A prescindere da queste ultime osservazioni, non vi è dubbio che l'apporto di Lotti alla commissione dei delitti vada valutato complessivamente, attraverso un esame complessivo di tutta la sua compartecipazione o presunta tale, a tutti i delitti, attraverso un esame di tutte le istanze processuali (?). Da un siffatto esame complessivo, completo, non può che emergere un dato oggettivo, determinante, tranquillo: la condotta di Lotti non ha espletato efficacia causale o ha espletato efficacia causale minima, marginale rispetto alla produzione dell'evento. In altri termini, quello che voglio dire è questo e vorrei che ci pensiate attentamente: gli omicidi sarebbero stati commessi ugualmente da parte dei complici, con diverse o con le stesse modalità, ma ugualmente, la presenza del Lotti, l'apporto, assolutamente fungibile, marginale, insignificante non ha potuto determinare i complici a commetterli, i complici che hanno commesso anche altri delitti prima di questi, prima che Lotti fosse chiamato a parteciparvi, prima che Lotti fosse costretto a prendervi parte perché si voleva coinvolgerlo. Il Lotti prima non c'era, a Scandicci non c'era, a Calenzano non c'era, non faceva il palo, eppure li hanno commessi lo stesso; ricordate quindi che il Lotti non soltanto non era presente in questi delitti, ricordate anche che il Lotti fu chiamato dai complici non soltanto per aiutarli, qual è stato lo scopo per cui il Lotti è stato portato la prima volta a Baccaiano? Per coinvolgerlo, per farlo stare zitto. Lotti aveva avuto una rivelazione involontaria da parte del Vanni, lo chiamano per questo, non per un aiuto che poi aiuto non dà. Ricordate poi che la volontà di farlo sparare a Giogoli nasce in virtù di questo, perché doveva coinvolgerlo maggiormente, in modo che si sentisse ormai legato a quel carro. Forse i complici non avrebbero ucciso i tedeschi se lui non avesse sparato in quell'occasione? Oppure il Pacciani sparava come ha sempre fatto? Forse non avrebbero ucciso le altre coppie senza la presenza passiva ininfluente fastidiosa e curiosa del Lotti? Lotti che si permette di portare un amico a Scopeti. (?) Ma qual è l'apporto causale, qual è il contributo effettivo che lui dà all'opera dei compartecipi? Pure attraverso la valutazione profonda e rigorosa che è dovuta per verificare se è possibile applicare al Lotti questa attenuante trattandosi di norma che deroga al principio di equiparazione delle varie forme di concorso di persone, la minima efficacia causale del contributo di Lotti emerge chiaramente, di modo che si impone, a mio parere, l'applicazione al medesimo di questa attenuante specifica. Il Lotti quindi ha diritto alla diminuzione di pena prevista in questa norma perché non ha portato all'opera dei compartecipi alcun valido e concreto contributo, tangibile o meglio così tangibile, così concreto, così determinante da costituire un uno stimolo alla condotta medesima. (…) La concessione di questa attenuante con conseguente irrogazione di una pena sensibilmente più bassa rispetto a quella richiesta dal pubblico ministero potrebbe ricondurre la sanzione entro schemi e limiti più consoni alla personalità dell'imputato, al suo comportamento, a un imputato che, comunque sia, nella vicenda ha dimostrato tutti quei meriti che vanno evidenziati:  la collaborazione, la spontaneità delle dichiarazioni, (?)  pur in una situazione di colpevolezza, non lo metto in dubbio. Vi ricordo ancora che 21 anni di carcere equivalgono per il Lotti a un ergastolo; ma anche se così non fosse il suo ruolo, la sua personalità, il suo comportamento processuale, l'aiuto determinante che ha offerto agli inquirenti, tutto questo reclama una pena inferiore nel pieno rispetto della legge. Io nella mia veste di difensore vi ho indicato una strada per giungere a questo, strada che ritengo in coscienza percorribile, che vi chiedo sommessamente di esaminarla nell'intimo delle vostre coscienze perché anche noi come ha detto Rontini siamo qui per chiedere giustizia e anzi abbiamo offerto a questa Corte tutti gli strumenti necessari per poter perseguirla, ma chiediamo anche che la condanna che andrete a decidere per il Lotti non sia emotiva, non sia suggestionata dall'orrore che quei crimini hanno determinato, ma che lui non ha materialmente commesso. 
Lotti che se la ride al processo, tra il suo avvocato e un probabile agente della scorta - Immagine tratta da Insufficienza di Prove


E, signori, un'ultima annotazione, molto importante, io a questo scopo preciso che vi ho adesso illustrato ho da proporre una questione alla Corte, che è una questione che ritengo importante anche questa attinente agli esiti delle indagini, una questione che ha un'importanza fondamentale anche nel nostro ordinamento storico (?). Il Lotti ci ha detto di essere stato sfortunato in vita sua, certamente lo è stato, per me lo è anche da questo punto di vista, lo è anche dal punto di vista della pena che in concreto gli può essere comminata. Perché se Lotti, invece che a un paio di balordi ubriaconi di provincia si fosse accompagnato a due mafiosi, due camorristi e avesse tenuto il suo comportamento, quello che ha tenuto in questo dibattimento, confessando, collaborando, offrendo agli inquirenti elementi cardini per scoprire la verità, avrebbe diritto a un trattamento di favore assoluto da parte della legge, avrebbe diritto a quelle attenuanti specifiche previste dalla legge, legge 203 del 91 per coloro che collaborano, per i pentiti di mafia, terrorismo, di camorra. Io a questo riguardo, signori della Corte, giunto a conclusione di questo mio intervento, eccepisco una questione di legittimità costituzionale dell'articolo 8 legge 12 luglio 91 numero 203 in relazione all'articolo tre della Costituzione nella parte in cui non consente l'applicabilità delle attenuazioni di pena previste per i collaboratori di giustizia anche nei processi  concernenti  la criminalità comune oltre a quella organizzata e di mafia. Quello che propongo, poi presenterò alla Corte uno scritto, è un problema grave, reale che è stato oggetto di un ampio dibattito teorico, dottrinale prima anche della promulgazione della legge 203 del 91. Il presupposto di questa normativa, che consente consistenti riduzioni di pena per chi decide di dissociarsi, collaborare, aiutare la giustizia è quella della difficoltà oggettiva di raggiungere una prova in questi processi, difficoltà connessa al tipo di rapporti esistenti tra i soggetti mafiosi, all'omertà che è in questi ambienti, alle difficoltà obiettive di indagine in processi in cui sono coinvolti soggetti tra loro legati da un forte vincolo solidale. Nel caso che ci occupa, che abbiamo vissuto, vi sono fondamentali, significative concordanze: anzitutto è un processo in cui si contesta agli imputati il reato associativo seppure non di tipo mafioso, il che rende la fattispecie relativamente simile a quella cui si riferisce la normativa che io vi ho indicato, in secondo luogo si discute di atti gravissimi commessi da un gruppo di persone che, ancorché non legati da vincoli di affiliazione a cosche, sono comunque legati tra loro dal vincolo immanente di violenza, di perversione e anche questo è un processo in cui la prova è difficile, questo è un dato io penso su cui nessuno potrà obiettarmi niente, è un processo che ha vissuto fasi alterne per 20 anni fino a che il Lotti non è arrivato e ha dato quel contributo effettivo, reale che ha poi costituito lo stimolo per le indagini, per l'accertamento della verità. Quindi anche questo è un processo in cui la prova per il motivo dei legami che legavano queste persone, per l'oggetto terribile dei reati, era difficile. Quarta attinenza il comportamento del Lotti è perfettamente assimilabile, completamente a quello del collaboratore di giustizia mafioso e ciò non perché egli come questo ha goduto della protezione, perché la sua condotta, il significato della sua condotta è sostanzialmente identico. Queste in sintesi sono le attinenze che fanno della questione che vi sottopongo una questione reale, effettiva, da prendere in considerazione, oggettivamente rilevante, che dimostra anche, cosa che è dimostrata anche dall'ampio dibattito che si è svolto su questo aspetto. Vi sono due correnti dottrinali, importanti, che contrastano questo orientamento legislativo perché non è giusto che si attui una disparità di trattamento qual è quella che si evidenzia. Ciò che occorre evidenziare, signori della Corte, è questo: ogni cittadino deve essere uguale di fronte alla legge con gli stessi diritti e gli stessi doveri. Di fronte alla stessa fattispecie ci può e ci deve essere soltanto un modo di intervento dell'autorità giudiziaria e di applicazione della legge appunto per il rispetto del principio di legalità e di uguaglianza. Tale ovvio principio non verrebbe rispettato se noi ponessimo  il collaboratore di mafia o comunque sia di criminalità organizzata su un piano diverso rispetto al collaboratore comune, chiamiamolo così, in una situazione cioè di ingiusto e immotivato privilegio. Perché questi soltanto perché mafioso e camorrista può ottenere dalla legge un trattamento di favore con rilevantissime riduzioni di pena che ne facilitano il reinserimento e il recupero nella vita sociale e invece il collaboratore che ha deciso di collaborare, di fornire gli stessi elementi, di avere lo stesso contributo che ha il mafioso non è ammesso a tali benefici? La pena richiesta nei confronti di Lotti Giancarlo è veramente rilevante rispetto a quella che potrebbe di fatto essere irrogata, applicata, se egli invece che a due balordi si fosse affiancato un mafioso pur commettendo gli stessi delitti. A quel punto soltanto per il vincolo esistente con un mafioso o un camorrista avrebbe goduto in virtù della sua collaborazione (?)  di uno sconto di pena consistente, invece di 21 anni ne avrebbe presi 8,10 al massimo. Quindi si badi bene non si potrà obiettare a questa impostazione che il Lotti non è un collaboratore sia per ciò che abbiamo detto in precedenza che è  palese  e oggettivo, ma perché la qualifica identifica chi, leggo testualmente, "dissociandosi dagli altri si adopera per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori anche aiutando concretamente l'autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e l'identificazione della cattura degli autori dei delitti". Insomma, secondo me non è chi non veda come ciascuna di queste caratteristiche sia rivestita dal Lotti, dal suo comportamento. Lotti che con le sue ampie circostanziate ammissioni, confessioni ha fornito un contributo determinante, tangibile all'esito delle indagini, ammettendo fatti che allora erano, s’è detto, non conosciuti, arrivando ad ammettere le sue responsabilità, questo sì,  contribuendo a scoprire la verità.  Pensate a quello che ha detto sui delitti 82-83, alle circostanze che ha riferito, che hanno incontrato (?) ampi riscontri, l’aiuto si è detto che non è il solo perno di questo processo, ma l’aiuto è determinante, se non c’era il Lotti tante cose non venivano scoperte;  basta vedere la giurisprudenza sul punto per vedere quanto la determinatezza di questo aiuto sia effettiva. Qual è la prova più evidente di questa legislazione (?), di quella, la volontà di liberarsi di questo peso andando anche ad ammettere circostanze, fatti che ne presuppongono la sua responsabilità e non ci sarà nemmeno da obiettare a questa impostazione che la norma in esame è una norma speciale nata per rispondere a esigenze particolari e urgenti, in quanto la questione che vi ho prospettato risponde a un principio generale dell'ordinamento tendente a favorire la repressione dei reati attraverso la collaborazione e ciò a maggior ragione vale oggi in cui il fenomeno del collaborazionismo, del pentitismo è quanto mai in voga, quanto mai impellente, da affrontare. Ricordiamoci che la legge è del 91, quella che recepisce questa novità, la realtà ora è diversa, oggi il fenomeno è un fenomeno molto ampio quindi c'è un interesse effettivo, certo dello Stato alla repressione dei reati attraverso la collaborazione, questo risponde a un principio generale dell'ordinamento. Lotti è un collaboratore perché ha contribuito personalmente in modo rilevante alla conoscenza e alla repressione dell'attività criminosa, che avrebbe diritto a quella riduzione di pena prevista dalla legge, articolo otto della legge 12 luglio 91 numero 203. (...) Pertanto , (?) la legittimità costituzionale di tale norma in relazione all'articolo tre della Costituzione chiedendo conseguentemente che la Corte d'assise di Firenze voglia previa sospensione del procedimento rimettere gli atti alla Corte Costituzionale per le decisioni di sua competenza. Arrivo alle conclusioni. La difesa di Lotti Giancarlo conclude pertanto in primis per l'accoglimento di questa eccezione formulata sulla legittimità costituzionale dell'articolo 8 legge 12 luglio 91 numero 203 e comunque voglia, ritenuti i reati sotto il vincolo della continuazione, concedere al Lotti Giancarlo le attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti contestate in ragione della incensuratezza dell'imputato, e del suo corretto e leale comportamento processuale nonché per l'alta collaborazione prestata nello svolgimento delle indagini (...)
[end]

22 commenti:

  1. Intanto grazie: "sbobinare" è un lavoro che, se non sei stenografo, sai quando inizi ma non sai quando finisci.
    Faccio una piccola considerazione nel merito poi resto in attesa: mi pare che Bertini abbia optato per una soluzione difensiva estrema (mi appare ancora più chiaro leggendo). L'esempio è "sacrilego" ma, se il processo fosse la roulette, lui ha posato la puntata sul numero pieno, ed è andata male. Pur da convinto assertore del coinvolgimento dei cdm nei delitti, mi fa sorridere leggere che Lotti avrebbe "contribuito alla repressione dell'azione criminosa"; 10 anni dopo l'ultimo delitto! Anche le parole "ampie" e "circostanziate" riferite alle ammissioni di Lotti, lasciano il tempo che trovano. Bertini chiede che al suo cliente vengano riservati i benefici equivalenti di pena, ma per tutto il processo la sua condotta sarebbe stata inamissibile per un "pentito": Lotti ha usato -legittimamente- della garanzia che non potesse essergli imputata reticenza o falsa testimonianza. Detto volgarmente Bertini "voleva capra e cavoli". Da qui la sensazione che abbia rischiato troppo.

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  2. "...non perché egli come questo ha goduto della protezione..."

    il punto nodale è proprio questo.

    Importa infatti assai poco o nulla che a GL siano stati riconosciuti, ex post, a processo, gli "sconti di pena" di un certo "X" status giuridico.
    Perchè?
    Perchè a quel punto il GL ha già "fatto la sua parte"... nella bambagia incantata dalla "carota".

    Del resto, bastano gli atti degli stessi Inquirenti (senza nemmeno bisogno di incomodare i Giudicanti) ad indicare il "trattamento speciale" di cui ufficialmente il GL usufrì durante l'inchiesta e fino al terzo grado.
    [... e poi ci sarebbero tutte le piccole e grandi "sfumature" del trattamento speciale "non-ufficiale", specie (ma non solo) in aula, ma... inutile cavillare. acqua passata ormai.]

    ---@Toxicity
    Sulle parole del Bertini... vabbè dai; assolutamente di parte... come un avvocato di parte è più che normale che sia. Ci sta tutto.

    ---@Frank
    grazie per la sbobinata :)

    Hazet

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  3. Ho sentito dire all'avv. Bertini durante la trasmissione l'apriscatole Italia 7 che non fece in tempo a parlare con Lotti in punto di morte ma nell'ultima volta che lo vide e incalzato a dir la verità, Lotti ribadi che lui ha raccontato quel che ha visto ... domande, sapete dirmi se Lotti in quell'occasione era malato terminale e se lui stesso ne era al corrente ? Xè ribadire le stesse cose senza mai ritrattare o cambiare versione sapendo che entro breve non usufruirà più dei benifici delle sue testimonianze mi pare strano, senza nessun senso e non coerente con il comportamento di chi ha testimoniato solo x avere qualche agevolazione

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  4. Spero, senza ovviamente poter entrare nella mente di Lotti, di dare qualche informazione nel prossimo articolo in corso di preparazione.

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  5. @Mik
    tutto può essere, però anche in questo caso è bene ricordare che Bertini è "di parte"; quindi non si vede ragione alcua perchè avrebbe dovuto rilasciare dichiarazioni in senso differente (specie dopo tutto il suo lavoro svolto ad accreditare le parole del Lotti).
    Per quello che riguarda il GL in sè (a conoscenza della malattia o meno), anche in questo caso è più che lecito ritenere che il GL ormai in quel ruolo ci si fosse calato fino in fondo (sempre ammesso che avesse realmente capito quale fosse il suo vero ruolo), e quindi perchè mai avrebbe dovuto dire (sempre prendendo per buono che l'abbia detto) qualcosa di diverso?
    Il GL, inoltre, non risulta (nemmeno dalla Fornero-Lagazzi) personaggio che si potesse fare molti scrupoli morali (nemmeno in "punto di morte"). Quindi perchè avrebbe mai dovuto avere un attimo di ripensamento?

    Che poi GL non abbia mai "ritrattato" o "cambiato" versione dei suoi ricordi... beh beh... beh! basta mettere a confronto le sue varie versioni tra incidente probatorio, deposizioni, verbali, audizioni etc etc, e di differenze se ne trovano parecchie.
    Certo, il core-business resta lo stesso, ma... ma lo stesso resta il "cui prodest" e il valore intrinseco del personaggio (oltre alla intrinseca fantastica coincidenza del Pacciani mostro singolo che diventa Pacciani mostro di gruppo).
    Ma quand'anche e tutto compreso: la "verità" di GL continuerebbe a scontrarsi con la datazione di Scopeti e con la ricostruzione impossibile di Baccaiano.
    ;)

    Hazet

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  6. GL ha avuto dai processi un riscatto sociale che probabilmente bramava da tutta la vita. L'emarginato dalle cui labbra tutti improvvisamente pendono. E durante i dibattimenti è chiaro il suo carattere "non provate a contraddirmi, se dico che il blu è rosso, voi dovete dire che ho ragione io" nonostante cambiasse, modificasse versione di giorno in giorno. Sempre attento a correggere il tiro ascoltando attentamente quanto discusso. Perché GL impara durante il processo a colmare le sue incredibili lacune sul caso.

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    1. C'è senz'altro questa componenente di protagonismo che però, a mio parere, rimane secondaria rispetto alla necessità di aggrapparsi con le unghie e con i denti (vedi questione delle due auto) ai benefici di cui gode nel presente e di quelli futuri eventualmente (possiamo ipotizzare) promessi.

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    2. Si ma ci sono sempre gli interrogatori del 90 e del 94 in cui non disse niente , del nervosismo davanti alle domande di Giuttari e 3 duplici omicidi di cui sa poco o niente e di sicuro lo avranno spinto a inventarsi qualcosa ... se bramava questi processi da buon mitomane , 1) si sarebbe presentato spontaneamente invece se non saltava fuori il 128 rosso se ne sarebbe stato con gli immigrati in quel centro 2) siccome era senza empatia un buon mitomane avrebbe confessato di essere lui il mostro non di certo il palo 3 ) se viveva di protagonismo dopo il processo si sarebbe rifatto vivo con ritrattazioni o altre verità ...

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  7. @Mik84
    ti chiedi perchè non si sia "presentato spontaneamente" dandogli del "mitomane"...
    Ma GL un "mitomane" NON lo era affatto (nè la perizia depone in tal senso).

    Era un piccolo "utilitario", "utilitaristico", "egoista", "amorale"...
    Non certo un mitomane (nel senso comune del termine).

    Inoltre il buon GL stava nella emme fino al collo, incapace di mettere assieme il pranzo con la cena, schinato da tutti, senza un tetto sulla testa, etc.
    Nemmeno era una cima di astuzia (pur non essendo stupido, come il doversela barcamenare per sopravvivere spesso insegna).

    Poi (fortunatamente per lui e altri) all'interno della follia della caccia alle streghe paccianesche-complicesche-at-all-costs, un bel dì finisce in un ingranaggio dal quale c'ha solo da guadagnarci (rispetto alla sua emme in cui stava).

    E (non senza aiutini ed aiutoni), appena capisce/gli spiegano il possibile tornaconto: ne approfitta senza remore (coerentemente con la perizia).

    E' un piccolo ed un misero. Non necessità di chissà che: mangiare dormire BERE un tetto due soldi, un pò di sassolini da togliersi dalle scarpe, un minimo di attenzione.
    Che poteva sognare di più un simile personaggio?

    E poi... quand'anche avesse "sognato di più".... ehm, ehm: mica era lui che gestiva i fili del gioco; non scordiamocelo.

    Potrebbe essere altrimenti?
    Si (forse).. ma solo se "i ricordi di testimone oculare e complice presente sulla scena del delitto"(SIC!!!) su Baccaiano e Scopeti (e Vicchio, non dimentichiamecela!!! con la partenza dei CDM già armati di calibro22 da San Casciano alle 22:00, per andare fino a Vicchio a compiere il delitto alle 21:45!!!!) non fossero quelle impossibili (fisicamente impossibili) che raccontò... ma che comuque andavano benissimo investigativamente parlando qualunque imposibilità fisica e logica ci mettesse in mezzo, finchè ci compariva dentro il Pacciani.

    il caso GL nasce e muore lì: nell "accettare" invetsigatvamente, giuridicamente e istituzionalemnete quelle palesi frattaglie, senza che queste ne discreditino il narratore.

    Ma GL era de facto un "collaboratore di Giustizia", e allora... tutto va bene madama la marchesa.

    Hazet

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    1. "La vera misura della credibilità di lui non è che l'interesse ch'egli ha di dire o non dire il vero" (Beccaria)

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  8. @omar
    scrivi: "...rimane secondaria rispetto alla necessità di aggrapparsi con le unghie e con i denti ai benefici..." [citaz]

    Condordo.
    MA anche rilancio... perchè è impossibile immaginare che GL potesse "fare e dire" quello che voleva, da solo.
    Non è certo lui l'unico protagonista di certe "svolte" investigative e giudiziarie.
    Le sue dichiarazioni (anche le più impossibili fisicamente) dovevano passare un vaglio (non certo di riscontri sul campo nè logici, si direbbe rileggendole oggi).
    Vaglio, che anche nelle più palesi impossibilità fisiche, passarono senza alcun problema di credibilità nei suoi confronti ("magnanimità" non certo concessa a nessun altro imputato o testimone in tutta la serie di processi al mdf/mdf-cdm/mdf-mandanti).

    Quindi: GL insiste sì per i suoi benefici, MA ANCHE perchè altro, una volta calatosi in quel giochino "collaborativo" ed in quel tornaconto, NON può proprio fare nè dire altro.

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  9. Ma quindi lui ha parlato xè gli proposero dei benefici o xè incominciò a parlare il Pucci? ( secondo me istruito dallo stesso Lotti ) ... quest'estate ho riletto il mostro di Giuttari e non mi ricordavo che 2 testimoni dissero che pochi giorni dopo il ritrovamento dei francesi , sentirono il Lotti dire al Bar di San Casciano che aveva visto qualcosa inerente al duplice omicidio ... come ve lo spiegate che già nel 85 anno in cui lavorava e godeva di uno stipendio è saltato fuori con questa sortita? Se dovessi scommettere un bitcoin lo scommetterei sulla tesi ( penso di Vieri Adriani) scritta in grossetto a pag 126 del libro Delitto Scopeti giustizia mancata ...

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    1. non fu confermato in dibattimento. quanto ai benefici ne parliamo al prossimo articolo

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    2. @Mik
      scrivi: "Ma quindi lui ha parlato xè gli proposero dei benefici o xè incominciò a parlare il Pucci? " [citaz.]

      Se vuoi la mia personalissima interpretazione...

      GL "parlò" per due motivi. collegati tra loro e da sovrapporre.

      1- perchè finì in mezzo ad una pressione investigativa all'interno della quale lo si pressionò-et-allettò tipo con un "stai nei guai qui e nella vita, amico bello,... ma se ci servi il PP su un piatto d'argento invece... letto tetto pasti caldi vino notorietà etc etc... "

      2- per la bassissima levatura umana ed intellettiva del personaggio (e del suo sodale Pucci), che non gli permise nemmeno un istante di razionalizzare la dimostrabile sua innocenza (le pressioni del resto, servono anche proprio a quello, eh);
      Cosa da dimostare che era semplicissima per lui: gli bastava far presente, carte alla mano (e le aveva), che all'epoca quella sua macchina non circolava più; smentendo così la Ghiribelli (ed il Pucci di rimando, se il 100% oligofrenico Pucci fosse stato il problema).
      Impossibile che lui non sapesse di averle tolto le ruote, bocciato con l'altra auto, tolto l'assicurazione, etc... (ed infatti, a processo se ne ricorda eccome... ma per ben altri motivi!).

      Invece, siccome non fece nulla di questo, poi, a quel punto, stava dentro il gioco e non ne poteva più uscire, e quindi poteva solo più mantenere il punto.
      ----

      Ovviamente, trattasi solo della mia opinione. Vale quel che vale.
      Magari scattarono meccanismi più semplici o più complessi. Non saprei.
      So però che nessuna delle sue molteplici ed aggiustate ricostruzioni è attendibile nè poco nè tanto, ma proprio nulla.

      E questo fa veramente strano per uno che dice che era presente ai delitti, complice degli assassini e che poi si è pure pentito e si è addirittura reso disponibile a collaborare.
      Proprio non quaglia.
      Non permette alle cose di incastrarsi in maniera pulita.
      E non lo permette: non per le assurdità che dice, ma perchè quelle assurdità (e dunque la sua credibilità) non gli vengono mai contestate da chi di dovere (facendo così storcere, e tanto, il naso al punto di dover postulare quasi come obbligatorio il punto 1).

      Hazet

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  10. Anzitutto colgo l’occasione per inviare a tutti i miei migliori auguri di buon 2018.
    Nel merito, ritengo l’argomentazione del Sig. Hazet pienamente da condividere. Considerando comunque la motivazione 1 nettamente prevalente sulla motivazione 2 (comunque esistente). Andrei anche oltre. A mio parere per comprendere a fondo la portata del “teorema Lotti” è necessario contestualizzare e storicizzare le sue dichiarazioni. Certamente il periodo che va dalla fine degli anni 70 alla metà degli anni 80, che per avventura coincide grosso modo con quello di maggior attività del MDF, costituì gli “anni ruggenti” di GL ed anche di FP. Le girate domenicali, le uscite con personaggi del sottobosco sociale, le “attività” casalinghe del mago Indovino, per soggetti quali GL e FP dovevano costituire davvero in massimo che si possa chiedere alla vita. Tuttavia, dopo il 1985, quei tempi erano finiti e per sempre, questo non poteva non esser chiaro anche a uno come GL. Non aveva più una casa né un lavoro, riusciva a mantenere una vecchia auto probabilmente con espedienti, gli amici di un tempo chi morto, chi in galera, chi lontano geograficamente o anche solo moralmente o affettivamente. Quello che rimaneva era qualche frequentazione sporadica o occasionale ed il rimpianto per quel minimo di integrazione sociale, sia pure al livello più infimo, che aveva conquistato e poi perso. Mentre il GL del 1985 aveva qualcosa da perdere e non avrebbe presumibilmente accettato a cuor leggero di farsi venti e passa anni di galera, seppur teorici ed in regime di relativo favore, soprattutto per omicidi di cui, con tutta probabilità, ne sapeva quanto il sottoscritto, cioè nulla, il GL di dieci anni dopo, quando iniziò le sue stratificate, contraddittorie e fisicamente impossibili dichiarazioni no. Di conseguenza, qualsiasi fossero i motivi (comunque facilmente ipotizzabili) che lo spinsero a corroborare incondizionatamente il teorema sui CDM della Procura e della Questura, contraddicendo la logica oltre che la fisica, non avrebbe avuto alcun motivo per ritrattare alcunchè, anche dopo le pesanti condanne in giudizio, avendo presente a quel punto la semplice soddisfazione dei suoi bisogni primari e non considerando alcuna empatia né con le vittime che rimanevano senza giustizia, né men che meno con i suoi ex amici che venivano ingiustamente condannati.

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  11. Lotti, in quegli anni in cui secondo voi anelava la galera, usciva regolarmente con la nipote di Vanni, la Bartalesi. Riceveva soldi da Vanni ed erano spesso, in due o in tre, in giro per trattorie. Oltre alla Bartalesi vedeva ancora la sua amica prostituta. E pare che si fosse anche recato in villeggiatura a Viareggio. Lotti approfittava dell'ospitalità del prete perché risparmiava l'affitto e poteva spendere altrimenti i soldi in donne, mangiate, bevute e benzina.
    Con ciò non dico che non ci sia ancora molto da capire e approfondire; sono scettico sul fatto che la galera fosse un'alternativa da preferire alla vita del beone di paese.

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    1. Appare del tutto evidente, a mio parere, che se non fosse stato messo davanti all’alternativa “galera o protezione” GL non ci avrebbe deliziato con i suoi fantasiosi racconti. Tuttavia questo non spiega il motivo che avesse, finita la protezione ed arrivate le condanne e la conseguente galera, per non ritrattare mai (per quello che mi è noto), neanche a livello di semplice chiacchierata col proprio difensore. Il mio post precedente infatti si riferiva proprio a questa circostanza. Di certo non si sarebbe infilato in galera di sua spontanea volontà come allo stesso modo non entrò certo spontaneamente nell’ufficio di Giuttari. Del resto che quando iniziò per lui la protezione non avesse più né casa né lavoro, che il suo “giro” fosse finito da tempo e che non avesse più alcun legame affettivo stabile mi pare accertato: cosa avrebbe dovuto spingerlo a battersi per la “verità”? Uno come lui? Il poter tornare in canonica in mezzo agli extracomunitari? Che poi quando per un breve periodo frequentò la Bartalesi (senza grande successo pare) Vanni gli dovesse pagare i conti mi pare la dica lunga.

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    2. Ad integrazione di quanto sopra: è ovvio che, una volta divenuta definitiva la condanna, la relativa sentenza non è più impugnabile con i mezzi ordinari e l’unico mezzo per fare retromarcia pe GL sarebbe stato quello della revisione, ipotesi remotissima e possibile solo in caso di importanti nuovi elementi oggettivi; va da sé che se anche avesse ritrattato a quel punto per GL non sarebbe cambiato nulla. Questo non poteva non esser chiaro anche a uno come lui. Una sua eventuale ritrattazione avrebbe a quel punto avuto solo un senso morale, poco in linea con la personalità dello stesso.

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    3. Probabilmente è così. personalmente credo che Lotti si rese conto della situazione solo nel momento in cui fu accompagnato in galera.Peraltro Bertini richiese ancora in sede di ricorso in Cassazione, oltre la questione di legittimità, l'attenuante dell'art. 114 CP (minimo concorso), una richiesta che il suo stesso assistito aveva caducato ammettendo (ma perchè? era questione di centimetri mancanti?) di aver lui stesso sparato a Giogoli.

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    4. @lancista
      "Del resto che quando iniziò per lui la protezione non avesse più né casa né lavoro, che il suo “giro” fosse finito da tempo e che non avesse più alcun legame affettivo stabile mi pare accertato"

      In diversi riferiscono che la vita di Lotti, dal 1985 fino al 96, era sempre la stessa: bar, trattorie, prostitute, giri in auto. Con Vanni, Butini, Pucci. Lo riferiscono Bartalesi, Marchi (il barista di fiducia), Butini stesso e altri.

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  12. Temo che l'alternativa fosse tutt'altra: o la protezione o la galera. Ma forse nessuno gli aveva spiegato che la protezione sarebbe stata a termine.

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  13. L'alternativa che proponi, Omar, la trovo molto più aderente alla situazione. Considerando la complessità legislativa che si evince dal tuo ultimo articolo, il suo avvocato, gli inquirenti, i magistrati avevano ampi spazi di manovra legali per prospettargli vari scenari (augurabili o terrorizzanti) a seconda dei momenti. Ma attendo la seconda parte per essere più specifico.

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