martedì 7 ottobre 2014

Giancarlo Lotti, collaboratore di giustizia (5)


Per trattare l'attendibilità intrinseca delle dichiarazioni auto-accusatorie del Lotti, trasferiamoci ora, sempre in compagnia dell'avvocato Mazzeo, al processo di Appello (1999), che argomenta ancora sulla base della Sentenza di Cassazione a Sezioni Unite già citata (quella del caso Marino – Sofri) criticando l'assunto con il quale la Corte di Assise ha giustificato le innumerevoli incoerenze ed evoluzioni del racconto di Lotti nel tempo, dai primi interrogatori in qualità di teste al dibattimento.  

"Quindi, credibilità del personaggio, dice la Suprema Corte a sezioni unite, <<problema della verifica dell'intrinseca consistenza e delle caratteristiche del racconto in base ai canoni della spontaneità>>, poi vedremo, <<della coerenza, della verosimiglianza, della puntualità>>. Il giudice di primo grado nell'incipit, si potrebbe dire, a pag. 25 ha sentito il bisogno di una premessa e io devo leggerla questa premessa perché qui si parla di sentenze di primo grado. Dice così: <<Premessa, prima di entrare in argomento giova comunque premettere ad inquadramento dell'intera vicenda quanto ha dichiarato il Lotti nella parte finale dell'istruttoria dibattimentale, quando, rispondendo alle domande che gli sono state fatte in sede di esame e di controesame, ha finalmente chiarito la sua posizione indicando il suo vero ruolo di palo e il contributo che aveva dato, così agli altri in occasione della materiale esecuzione dei duplici omicidi limitatamente però a quelli di Scopeti, Vicchio, Giogoli e Baccaiano, non avendo partecipato al duplice omicidio di Calenzano. Con tali ultime dichiarazioni il Lotti ha dunque abbandonato la linea difensiva, del tutto assurda ed inverosimile, seguita fino ad allora, linea che mirava a far credere in un primo momento, era stato soltanto un occasionale spettatore dell'accaduto -prime dichiarazioni - e successivamente che aveva invece partecipato ai vari episodi di omicidio però soltanto per costrizione del Pacciani - intermedie dichiarazioni - tale premessa appare dunque doverosa non solo ai fini di meglio capire la successione dei fatti ma anche e soprattutto al fine di meglio valutare la credibilità del Lotti, posto che le sue prime ed intermedie dichiarazioni non sono sempre in linea- io direi eufemisticamente, si dice così, - non sono sempre in linea con le ultime perché allora il Lotti aveva avuto tutto l'interesse a dare una versione di comodo - attenzione a questa espressione -, dalla quale risultasse la sua presenza sul posto, ma non il ruolo realmente ricoperto, si spiegano così alcune inesattezze o contraddizioni rispetto alle dichiarazioni finali.>> Ecco, l'ignaro lettore che si imbatte a pag. 25/26 della sentenza, ad avviso di questo difensore, non ha più bisogno neanche di andare avanti e di leggersi le altre 200 pagine perché ha già capito che la sentenza sarà sul punto centrale della causa che è la questione della credibilità del dichiarante, del confessore e chiamante in correità, la sentenza ha già detto la sua, ha già fornito al Lotti una patente, una patente di credibilità, ha detto - io ti credo e anche se in certe tue affermazioni, dichiarazioni appari o sei oggettivamente, perché in contrasto con risultanze processuali con fatti accertati, non credibile, io comunque ti assolvo perché tu quelle dichiarazioni non veritiere le hai fatte, le hai rese, con riferimento a questa versione di comodo che tendeva a sminuire il tuo reale ruolo di palo che avevi concretamente assunto in queste vicende delittuose. Allora la sentenza, questa premessa, contiene una serie di errori, errori di fatto ed errori di diritto. Errori di fatto perché si riassume tutte la congerie delle dichiarazioni del Lotti, dalle indagini preliminari fino all'incidente probatorio, fino all'esame dibattimentale, distinguendolo in tre fasi o momenti successivi: dichiarazioni iniziali/intermedie/finali e si dice che il ruolo di palo, di complice istituzionale, ad ogni effetto in questo sodalizio criminale egli lo avrebbe confessato soltanto nella fase finale, quando finalmente rispondendo ha chiarito la sua posizione. Non è vero (…)".

(SEGUE)

2 commenti:

  1. Circa il canone della verosimiglianza, rientrante tra i parametri di valutazione della attendibilità intrinseca delle dichiarazioni di un chiamante in correità, premesso che può ritenersi verosimile l'"id quod plerumque accidit" e premesso altresì che lo scoprire inverosimiglianze nelle dichiarazioni di G.L. è compito senza sforzo alla portata di qualsiasi persona di media intelligenza, qualche osservazione merita l'"episodio Butini", ossia il supposto approccio omosessuale che avrebbe fornito a Pacciani e Vanni spunto per una minaccia rivolta a G.L. per indurlo a seguirli sulla scena del duplice omicidio del 1983: 1) G.L. nega di avere tendenze omosessuali e perfino s'inalbera quando Filastò vi fa cenno, senza peraltro rendersi conto dapprima che sta riferendo opinioni di chi lo aveva sottoposto a perizia psichiatrica; 2) G.L., su domanda di Filastò, afferma di non sapere se il Butini avesse tendenze omosessuali (con il conseguente rischio che un approccio sgradito potesse indurre l'approcciato a divulgare lui la voce - ciò che il L. tanto temeva da indursi a partecipare ad un omicidio pur di evitare che la stessa si spargesse); 3) G.L. afferma che quella fu l'unica volta in vita sua che tentò un approccio omosessuale (e proprio in quell'unica volta fu visto da Pacciani e Vanni, che casualmente passavano lì vicino); 4) L., pur incalzato da Filastò sul punto con ripetute domande, non è in grado di specificare in che cosa sia consistito il tentato approccio omosessuale con il Butini; 5) L., peraltro sul punto recependo una domanda suggestiva del P.M., afferma che Pacciani e Vanni lo avrebbero anche minacciato di morte per farlo venire a Giogoli: viene in essere così la figura della "minaccia in subordine" (e non si capisce, quando si è minacciato qualcuno di morte, che senso abbia la minaccia di un male molto minore, come, almeno per l'epoca, poteva essere lo spargersi della voce di un episodio di rapporto omosessuale); 6) particolarmente assurda è la minaccia (anch'essa asserita dal L. in seguito a domanda suggestiva dal P.M., come si evince da quanto dice Filastò ponendo la domanda) di dire che L. era presente sulla scena del delitto di Baccaiano, con l'ovvio rischio che, una volta individuato per delazione il "palo" L., fossero individuati anche gli altri responsabili del duplice omicidio; non volendo poi trascurare che il Butini in dibattimento dice di aver conosciuto L. solo nel 1990 e di non aver mai avuto rapporti omosessuali di sorta con lui.

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    1. Che dire? In questo caso la menzogna è palese ma i giudici - e come loro tanti commentatori odierni - fecero finta di non vederla. Ma lo stesso si può dire, ad esempio, della colossale balla della fine della frequentazione tra Lotti e Pucci dopo Scopeti, smentita da testimoni affidabili in dibattimento eppure assunta come vera in sentenza.

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