lunedì 27 aprile 2015

Ulteriore riepilogo delle dichiarazioni di Stefano Mele riguardo al figlio

Campagna nei dintorni di Firenze; sullo sfondo, in alto a sinistra, Villa Castelletti


La mattina del 22 agosto, avvertito dai Carabinieri della morte della moglie, Stefano chiede notizie del figlio "ma con tale fare che lascia chiaramente intendere che ne conosce di già le sorti". Questo commento del brigadiere Matassino è ovviamente soggettivo e filtrato attraverso la lente della successiva indagine, che ha attribuito al Mele la paternità in esclusiva dell'omicidio. In questo momento, padre e figlio non si sono ancora rivisti e Natalino ha raccontato di essere andato da solo dall'auto del Lo Bianco fino alla casa dei De Felice.

In serata, Natalino viene affidato al padre e i due hanno agio di parlare, come racconta indignato Rotella: "Dopo il primo interrogatorio, gl'inquirenti non si avvedono di porre le premesse di un primo duplice inquinamento delle indagini. (…) Se Mele non avesse saputo alcunché dell'omicidio, ne avrebbe chiesto al figlio e sarebbe stato poi difficile stabilire quanto sapesse già di suo. All'opposto, supponendosi che egli ne sapesse fin troppo, avrebbe avuto tutto l'interesse ad ammaestrare Natalino. Quella notte, come si scoprirà durante l'istruzione, e come si riscontrerà a partire dal 1982, padre e figlio hanno parlato. Ed il primo ha ammaestrato il secondo". O viceversa, possiamo aggiungere noi.

Il giorno successivo, Mele confessa di aver ucciso la moglie e l'amante su istigazione di Salvatore Vinci e con l'arma fornitagli da quest'ultimo. Il bambino si sarebbe svegliato solo nel momento in cui il Mele sta riaggiustando i cadaveri e avrebbe chiamato <<Babbo!>>; al che il Mele sarebbe scappato; o forse si deve intendere che sia scappato Natalino, come si potrebbe intuire da questa nota di Rotella: "È da notare che nel verbale, f. 25 atti gen., subito dopo "Non aggiunse altra parola" e prima di "o se lo fece non ebbi modo di sentire", è cancellata, con 'x' sovrapposta, la frase "perché aprì lo sportello posteriore destro ed uscì dalla macchina". Si tratta probabilmente di una versione poi ritrattata o di un fraintendimento da parte del verbalizzante, stante le difficoltà logiche e linguistiche che, a quanto pare, sarebbero state palesate dal Mele in questi interrogatori.

Il 24 di pomeriggio, Mele sposta l'accusa su Francesco Vinci. La versione sul comportamento del figlio rimane però la medesima, con l'aggiunta che Francesco Vinci gli avrebbe detto di aver condotto il bambino a una casa di contadini. Nello stesso pomeriggio, però, il maresciallo Ferrero ripercorre il tragitto insieme a Natalino e lo porta ad ammettere: << No, quella notte mi portò il mio babbo a cavalluccio!>>. E' da notare che dopo la notte tra il 22 e il 23, Natalino non dovrebbe aver più rivisto il padre, che è in stato di fermo, non dovrebbe dunque sapere nulla dell'avvenuta confessione, a meno che al maresciallo non sia scappato detto qualcosa che egli non riporta a verbale. Quando, nell'interrogatorio delle 21.15, gli sarà contestata questa circostanza, Mele sarà pronto ad ammetterne la verità, dicendo però di averlo detto lui stesso ai carabinieri il giorno prima (ma nello stesso pomeriggio aveva invece sostenuto che fosse stato Francesco!). Anche qui possiamo essere di fronte a un'incomprensione di quanto andava asserendo l'accusato o a una palese bugia, mossa soltanto dal desiderio di adeguarsi all'inquisizione, un atteggiamento che il Mele dimostrerà fino al 1985 e oltre.  

Nel giro di due giorni, dunque, il Mele, pur ammettendo di essersi trovato sul posto, fornisce almeno tre versioni diverse riguardo al comportamento post delitto del figlio: 1. Di non saperne nulla, in quanto scappato dalla scena (o che ambedue sarebbero scappati, ma in direzioni diverse); 2. Che l'accompagnatore sarebbe stato Francesco Vinci in motorino (cosa impossibile, viste le difficoltà della strada); 3. Di avere accompagnato lui stesso il bambino. 

In un'investigazione seria, l'unica cosa sensata sarebbe stata rifare con Stefano l'esperimento fatto con Natalino per verificare la sua effettiva conoscenza dei luoghi; ma i carabinieri si adagiano sulla sua confessione. Il sopralluogo avrà luogo solo il 19 giugno 1985 (!). Ma già il 24 agosto 1968 il danno è irrimediabilmente fatto e quattro anni di indagini sulla pista sarda (1982-1986) non basteranno (comprensibilmente, considerato il tempo trascorso) a sciogliere il nodo cruciale della vicenda, il mistero della passeggiata notturna di Natalino Mele.

3 commenti:

  1. Ho letto di Natale Mele scomparso dopo aver fatto una vita da poveraccio , eppure un modo per fare i soldi ce l'avrebbe, dire la verità su quello che é successo nel 68 ... impossibile che a 6 anni non ricordi un avvenimento simile...

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    Risposte
    1. ininfluente...
      fino a quando continueranno ad attribuire al mostro tutti gli otto duplici delitti non si arribìverà mai alla veità
      le mani sono tre e, forse la pistola unica,
      (probabile inquinamento delle prove)

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    2. purtroppo se vuole avere un commento sensato dovrà essere più chiaro

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