sabato 5 luglio 2014

Coincidenze (5)


Come sappiamo, però, la coincidenza "locale" più sfortunata Pietro Pacciani la ebbe con le diverse residenze della ex fidanzata, quella Miranda Bugli che nel 1951 era stata parte attiva – o passiva, secondo i più, - dell'omicidio di Severino Bonini. Condannata per concorso in omicidio a sei anni e otto mesi di carcere, la donna uscì di prigione con un anno di anticipo, nel settembre 1957 ( si veda Insufficienza di prove), si sposò e tornò ad abitare nel natio Mugello. Nel 1960-61 la famiglia si trasferì a San Martino alla Palma, frazione di Scandicci (vicinissimo, aggiungo io, alla frazione Casellina in cui all'epoca abitava Palmerio Mele con i familiari) e l'anno dopo a Lastra a Signa, dove all'inizio del 1967 arriveranno anche Stefano Mele e Barbara Locci, in una via distante circa 200 metri dall'abitazione della Bugli. L'anno successivo al delitto, Miranda Bugli tornò nel Mugello, in comune di Londa, rimanendovi però solo sedici mesi (periodo nel quale si situa l'unica visita certificata di Pietro Pacciani alla ex-fidanzata), dopo di che si trasferì per un lungo tempo a Scandicci e infine a Montelupo Fiorentino. Quindi, a leggere la deposizione della Bugli al processo Pacciani (7 giugno 94), la donna girò almeno sette domicili tra la scarcerazione ed il processo e tutti sull'asse Mugello-Signa-Scandicci-Montelupo (le classiche zone d'attività del Mostro di Firenze). Il domicilio della Miranda Bugli a Lastra a Signa in epoca contemporanea al delitto del 1968 (ma nell'agosto di quell'anno la donna era, a quanto racconta, al mare con i figli) è l'unico elemento che nella tesi accusatoria Perugini-Canessa colleghi Pietro Pacciani al duplice omicidio di Signa; abbastanza secondo gli inquirenti per imputare a Pacciani anche il primo delitto, non abbastanza per la corte, che, con somma incoerenza, - incoerenza che il PM giustamente rileverà nei propri motivi di appello - nella motivazione della sentenza segue pari pari la versione "paccianista", ma conclude poi per un'assoluzione. Ma vanno lette anche, per la loro acutezza e concisione, le 3-4 pagine che il giudice Ferri dedica all'episodio di Signa nel proprio libro "Il caso Pacciani".

Resta il fatto che, tra gli inquisiti noti, Pietro Pacciani (che pure non sembrerebbe essere stato di suo un gran viaggiatore) è l'unico che si può bene o male mettere in collegamento con tutte le località in cui avvennero gli omicidi. Non abbastanza per sostenere un processo, ma certamente una bella serie di "sfortunate coincidenze".

10 commenti:

  1. Seguendo il filo delle suggestioni, gli elementi che potrebbero collegare Pacciani a Signa sono:
    -il fatto che la Bugli vi abitasse all'epoca, e a breve distanza dalla coppia Mele-Locci e dal Lo Bianco;
    -l'avvocato di Stefano Mele per il delitto di Signa (Dante Ricci), lo stesso che difese Pacciani per l'omicidio del '51;
    -l'articolo 'Le inquietudini dei fidanzati' trovato da Perugini nella Ford Fiesta di Pacciani, datato agosto 1968, che potrebbe far pensare a un Pacciani interessato alle "coppiette" già in quell'epoca;
    -la cartina autostradale trovata a Pacciani con cerchiate le località di Signa e San Casciano (le due zone dove colpì per la prima e l'ultima volta la famosa Beretta). Onestamente credo che solo il primo possa avere un certo peso, almeno a livello di sospetti.
    A proposito dell'uomo che seguiva in motorino la Locci, come Giancarlo Lotti anche Pacciani possedeva un ciclomotore all'epoca (dal '64 o dal '66 mi sembra di aver capito).
    A seguito dei suoi studi, quale scenario Le sembra ad oggi più verosimile per il delitto di Signa: esordio del mostro, stimolo per l'omicida seriale o delitto d'onore collegato ai successivi solo dall'arma?

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  2. Gentile lettore, purtroppo lo scenario del 1968 è stato, a mio avviso, irrimediabilmente inquinato dal pressapochismo (absit iniuria verbis) delle indagini dell'epoca e dalla particolare conformazione psicologica del presunto colpevole. Per giunta, il teste-bambino aggiunse qualcosa di suo alla confusione, facendo nomi che magari non c'entravano nulla.
    Alla fine del libro, ero onestamente convinto, al 90%, di un delitto in casa sarda. oggi, avendo avuto accesso a ulteriore documentazione (lo so, avrei dovuto aspettare per scrivere; ma allora non si scriverebbe mai!) sono più propenso a credere all'esordio del serial killer; quanto meno 50 e 50; non sto a ripetere i motivi, perché sono noti e ne ho già scritto.
    quanto al '68 solo come input, non mi ha mai scaldato questa ipotesi un po' romanzesca, che pure è avanzata da De Fazio. E' comunque possibile; rimarrebbe da capire come l'arma passò di mano, se raccolta da uno spettatore, come sostiene l'amico Segnini, o per parentela, complicità o semplice vicinanza campestre tra i sardi e, ad esempio, Pacciani (Vigna).
    Come disse appunto Vigna (che credo fosse sinceramente convinto della colpevolezza di pacciani e forse dei CdM), "è un mistero, questo del '68".
    Ora, mi piacerebbe sapere l'idea che se ne è fatto lei.

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    1. Prima di tutto le devo dire che condivido la sua scelta di offrire al lettore tutte le ipotesi senza dare niente per scontato.
      Per quanto mi riguarda, non riesco a collocare (in veste di assassino) a Signa una persona estranea al clan dei sardi, così come trovo altamente improbabile un mostro sardo.
      A questo punto sono costretto a ipotizzare un passaggio dell'arma. Qui ogni scenario può apparire un po' fantasioso, e proprio per questo ritengo credibile l'ipotesi di Vigna: pur non essendo venuto fuori nessun legame tra Pacciani e i sardi, converrà con me che sia l'uno che gli altri hanno sempre opposto agli inquirenti un muro di diffidenza quando non di omertà.
      L'ipotesi di Segnini è estremamente suggestiva e non mi sento affatto di escluderla: ma anche in questo caso meglio di Lotti vedrei Pacciani come raccoglitore dell'arma, data la sua abitudine di arraffare oggetti ovunque (e a questo proposito mi viene in mente una lettera di Pacciani alla moglie in cui raccontava di aver trovato per terra delle cartucce perdute da cacciatori e di averle prese con sé).
      Lotti resta un enigma ma le poche circostanze note della sua biografia non mi offrono spunti significativi in tal senso.

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    2. L'elemento più forte a sostegno della pista sarda rimane a mio parere il suo timore - intendo della Locci - di essere uccisa mentre amoreggiava in macchina, segno che la donna si sentiva minacciata; e sappiamo chi la minacciava, girava in motorino, era violento e armato. Mi risulta però che gli inquirenti fecero i salti mortali per trovare il nesso tra Francesco V e pacciani, ma trovarono solo testimonianze sgangherate e probabilmente compiacenti. Anche se non è escluso che in tutto quello che raccontò calamosca qualcosa di vero ci sia.
      Detto questo, la conferma che, in un modo o nell'altro ci fu nel 1982 una segnalazione anonima di pistaggio o depistaggio su Signa mi ha destabilizzato; come molto altri, credo, vedo che pochi ne hanno preso atto.

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    3. Mi pare che Lei ritenga probabile la presenza di Francesco Vinci nel delitto di Signa.
      Riguardo alla segnalazione anonima, della memoria del maresciallo Fiori e dei ricordi incerti di Tricomi c'era poco da fidarsi secondo me. Quello che stupisce in effetti è la decisione con la quale Rotella la smentisce nelle poche righe in cui ne fa cenno nella sua sentenza dell'89.
      Come Lei sa meglio di me, oggi (ma forse da sempre) va per la maggiore una teoria che vuol dire tutto e niente: il mostro mai entrato o forse solo sfiorato dalle tante indagini. Quello che non mi convince affatto di questa teoria è che non spiega il fatto singolarissimo di due innocenti autoaccusatisi e finiti in carcere: Mele e Lotti. E, se è vero che il primo ha più volte ritrattato accusando più o meno tutti, il secondo ha difeso fino alla definitiva condanna la sua compartecipazione nei delitti.

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    4. Due personaggi molto particolari. La mia ipotesi, allo stato attuale, è che nessuno dei due abbia visto nulla; sanno solo quello che gli è stato detto da altri, per il resto vanno di immaginazione, con qualche spinta. Ovviamente, ci sono dei punti oscuri sui quali sto ancora lavorando.
      Ma vedo che Lei è comunque restio, nonostante le incertezze, a discostarsi dalla versione ufficiale.

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    5. Sono restio perché nessuna delle ipotesi alternative mi convince. Ovviamente non credo che la verità sia davvero nelle sentenze, ma forse non è così lontana come si crede. Trovo che alcuni dei personaggi più popolari tra gli appassionati della vicenda abbiano creato solo confusione giocando in modo disinvolto con le fonti più disparate (Spezi in primis) o sovrapponendo alla toga i panni del mostrologo (il buon Filastò). Quello che più infastidisce in questa vicenda (soprattutto chi tenta di darne una ricostruzione storica esauriente come Lei) è la contraddittorietà delle fonti e delle informazioni; le faccio un solo esempio: Lei ha mai capito quanto era alto il povero Vanni? Giuttari ne "Il mostro", e come stupirsene?, parla di un metro e ottanta. Secondo altre fonti l'altezza era inferiore, appena superiore al metro e settanta.

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  3. Non so se Lei è d'accordo con me, io credo che solo Francesco Vinci e Pacciani avessero la statura criminale per commettere i delitti del mostro. Qualche coincidenza che lega i due personaggi io la vedo, al di là dei racconti sgangherati di Calamosca e delle ovvietà di Lotti. Vinci era stato amante della Milva Malatesta, figlia della Sperduto, a sua volta amante di Pacciani, e forse anche di Vanni. Ed entrambi morirono bruciati, nello stesso mese, agosto 1993. Non Le sembrano coincidenze inquietanti queste?

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    1. Francesco Vinci fu il principale sospettato del 1968 fin da subito. Tuttavia il Mele ingarbugliò tanto le carte che ne uscì indenne, grazie alla Lambretta dal meccanico e all'alibi fornito dalla moglie. Che non fosse lui l'autore dei delitti post 68 è dimostrato dal semplice fatto che ben due avvennero mentre era ristretto in carcere. Il legame con Pacciani attraverso la Milva Malatesta è a mio parere molto debole, ma non si può escludere. Se pienamente provata, sarebbe certamente una coincidenza inquietante.
      Quanto alla statura criminale dei soggetti, non sono un criminologo, anzi piuttosto scettico su profili ipotetici e quant'altro. Quindi sinceramente non so cosa rispondere.
      Aggiungo solo che se si entra nell'ottica di un passaggio volontario dell'arma, è più probabile che questo sia avvenuto nell'ambiente della mala sarda di Prato e dintorni.Mentre i frequentatori della stamberga di via Faltignano erano, a quanto mi risulta, siciliani.

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    2. Se non ricordo male, Salvatore Indovino aveva dei parenti a Prato e vi aveva anche vissuto per un periodo. Sono evidentemente degli elementi deboli, tuttavia siamo costretti a lavorare di fantasia per colmare le lacune investigative e giudiziarie. Per quanto riguarda Francesco Vinci, non si può escludere che nell'83 si cercò di scagionarlo con l'uccisione dei due turisti tedeschi. Se è stata dimostrata l'unicità dell'arma, per quanto probabile non si può dire lo stesso per la mano che la impugnava. Giuttari ha lavorato troppo di fantasia, ma di morti strane e senza colpevole ce ne sono davvero tante in questa storia.

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